domenica 3 novembre 2024

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sul progetto di un impianto per la produzione di biometan


 Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sul progetto di un impianto per la produzione di biometano

Intervistatore: Dottor Bruno, recentemente il progetto di un impianto per la produzione di biometano in località Cafore ha generato un acceso dibattito tra i sindaci dei comuni coinvolti, tra cui Surbo e Lecce, e le comunità locali. Lei, come esperto del settore, quale è la sua opinione su questo progetto?

Dottor Antonio Bruno: Ringrazio per questa opportunità di discussione. Dal punto di vista agronomico e ambientale, un progetto di questo tipo richiede un'analisi dettagliata e attenta del contesto in cui si intende inserirlo, soprattutto in una zona come quella del Salento, caratterizzata da equilibri delicati e da una forte vocazione agricola. In questo caso specifico, il progetto solleva molti dubbi sulla sostenibilità e sulla gestione delle risorse locali.

Intervistatore: Cosa intende per gestione delle risorse locali?

Dottor Antonio Bruno: Mi riferisco soprattutto al consumo di suolo agricolo, che rappresenta una delle criticità principali evidenziate da associazioni come Italia Nostra. Il progetto coinvolgerebbe circa 100 ettari di terreno agricolo, una quantità significativa in una regione già particolarmente interessata dal fenomeno del consumo di suolo. Oltre alla questione della superficie occupata, c’è poi il problema della biomassa: questo impianto richiederebbe un grande afflusso di biomasse che dovrebbero provenire non solo da attività agricole locali, ma anche da altre fonti esterne. Questo potrebbe incidere negativamente sia sulla sostenibilità ambientale, sia sull’equilibrio economico del territorio.

Intervistatore: Alcuni rappresentanti locali e associazioni hanno sottolineato la necessità di una gestione più condivisa dei progetti energetici che incidono sul territorio. Cosa ne pensa?

Dottor Antonio Bruno: È un punto cruciale. Il Salento ha vissuto diverse esperienze di “centralismo metropolitano” che hanno trascurato l’opinione e le esigenze dei comuni più piccoli. Quando si pensa a impianti di questa portata, che richiedono risorse e comportano cambiamenti paesaggistici e ambientali significativi, la partecipazione della comunità è fondamentale. La popolazione locale e le amministrazioni dovrebbero essere coinvolte in ogni fase del processo, dalla progettazione alla valutazione d’impatto, affinché si possano considerare tutte le ricadute a medio e lungo termine. Questo approccio non è solo democratico, ma permette anche di valutare meglio i rischi e le opportunità reali per il territorio.

Intervistatore: Secondo lei, l’impianto in località Cafore potrebbe compromettere l’equilibrio ecologico del territorio?

Dottor Antonio Bruno: Potenzialmente sì. La produzione di biometano ha il vantaggio di sfruttare energie rinnovabili, ma va realizzata con criteri molto stringenti di sostenibilità. Nel caso specifico di Cafore, oltre alla vicinanza a importanti aree agricole e all’abbazia di Santa Maria di Cerrate, c’è la questione del flusso di biomasse richiesto e dei conseguenti impatti ambientali. Se non gestito con attenzione, un progetto del genere potrebbe incidere negativamente su suolo, acque e biodiversità, compromettendo anche attività economiche locali come l’agricoltura e il turismo agrituristico.

Intervistatore: Il sindaco di Lecce, Adriana Poli Bortone, e altri amministratori locali hanno espresso dubbi e cautela riguardo al progetto. Qual è il ruolo dell’amministrazione in situazioni come questa?

Dottor Antonio Bruno: Le amministrazioni comunali hanno la responsabilità di tutelare il territorio e di considerare il benessere a lungo termine delle comunità locali. Il sindaco Poli Bortone ha sottolineato la necessità di ascoltare e valutare prima di prendere una decisione. È fondamentale che le amministrazioni si approccino con trasparenza e con un orientamento all’ascolto, come hanno chiesto il sindaco di Surbo Oronzo Trio e altri rappresentanti locali. Le esperienze passate, come quella della Masseria Ghetta citata da Trio, evidenziano quanto sia importante evitare decisioni calate dall’alto, senza confronto con i comuni interessati.

Intervistatore: Italia Nostra ha espresso una forte opposizione, sostenendo che il progetto non rispetti i principi dell’economia circolare. Cosa significa esattamente questo in un contesto come quello salentino?

Dottor Antonio Bruno: L’economia circolare si basa su un uso sostenibile e locale delle risorse, riducendo sprechi e impatti ambientali. In questo contesto, significa utilizzare sottoprodotti agricoli locali per produrre compost, migliorando la fertilità del suolo senza dover importare biomasse da altre regioni. Invece, se l’impianto si focalizzasse principalmente sulla produzione di energia, con biomasse provenienti da fuori territorio, si tratterebbe di un modello più vicino a quello dell’economia lineare, che si limita a estrarre e consumare risorse senza reintegrarle. Questo è un tema molto importante, soprattutto in un territorio come il Salento, dove il suolo è un patrimonio da preservare.

Intervistatore: Quale potrebbe essere la soluzione per gestire al meglio questo tipo di progetti?

Dottor Antonio Bruno: A mio avviso, la soluzione ideale sarebbe puntare su piccoli impianti che servano esclusivamente gli Ambiti di Raccolta Ottimale (ARO) e che siano dedicati alla produzione di compost. Questo approccio permetterebbe di minimizzare gli impatti ambientali e di valorizzare davvero i sottoprodotti locali. Infine, un maggiore coinvolgimento delle amministrazioni comunali e delle associazioni ambientali locali favorirebbe una pianificazione più armoniosa e condivisa, riducendo le tensioni e migliorando il rapporto tra le città e le aree rurali.

Intervistatore: La ringrazio, Dottor Bruno, per le sue considerazioni approfondite.

Dottor Antonio Bruno: Grazie a voi. Spero che questo dibattito porti a una maggiore consapevolezza sull’importanza di un approccio sostenibile e condiviso per lo sviluppo del nostro territorio.

Intervista al Dottor Antonio Bruno, Agronomo: “Rigenerazione del Salento: Un Nuovo Inizio per un Futuro Verde e Sostenibile”


 Intervista al Dottor Antonio Bruno, Agronomo: “Rigenerazione del Salento: Un Nuovo Inizio per un Futuro Verde e Sostenibile”


Intervistatore: Dottor Bruno, grazie per essere qui con noi oggi. Vorrei partire da una riflessione sullo stato attuale del Salento. La Xylella Fastidiosa ha devastato il paesaggio olivicolo locale, e i terreni appaiono sempre più abbandonati. Qual è la sua valutazione della situazione?

Dottor Antonio Bruno: Grazie a voi per avermi invitato a discutere di un tema così importante. Dal 2012 assistiamo a una lenta ma inesorabile crisi del nostro territorio. La Xylella ha colpito il cuore dell’economia agricola salentina, distruggendo migliaia di ulivi e lasciando dietro di sé distese di terreni morti e abbandonati. Il problema è stato affrontato principalmente con finanziamenti a fondo perduto, che però, purtroppo, non hanno prodotto risultati concreti e duraturi. Questi fondi, anche se ingenti, non hanno creato un vero cambiamento né sul piano ambientale né su quello economico.

Intervistatore: Quindi, secondo lei, qual è la principale causa di questo insuccesso?

Dottor Antonio Bruno: Direi che c’è stata una gestione frammentata, priva di una visione strutturale. I fondi europei e nazionali sono stati spesso usati in modo disorganico e senza una reale pianificazione che considerasse la sostenibilità a lungo termine. Mancava un coordinamento tra enti e istituzioni per mettere in campo strategie integrate. A peggiorare la situazione, abbiamo visto una burocrazia lenta e complessa che ha ostacolato l'accesso agli aiuti e, di conseguenza, ha demotivato agricoltori e investitori. E così, a distanza di oltre un decennio, i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Intervistatore: Si parla quindi di un “fallimento” del sistema di sostegno attuale. Cosa pensa serva per invertire la rotta?

Dottor Antonio Bruno: Prima di tutto, occorre una nuova visione. Non possiamo continuare a replicare le soluzioni che in passato non hanno funzionato. Serve un piano che vada oltre il mero finanziamento e che si concentri sulla creazione di un sistema di gestione sostenibile e condiviso del territorio. Io credo che affidare la gestione del paesaggio a un ente pubblico potrebbe essere una soluzione. Questo ente dovrebbe avere la capacità di impiegare giovani tecnici specializzati e attuare progetti di rigenerazione mirati. Così facendo, il Salento potrebbe non solo recuperare parte del suo patrimonio agricolo ma diventare un modello di sostenibilità.

Intervistatore: Sappiamo che alcune personalità locali, come Cesare Spinelli, propongono di diversificare le coltivazioni per evitare il rischio di un’economia agricola dipendente dagli ulivi. Lei cosa ne pensa?

Dottor Antonio Bruno: Sono pienamente d’accordo con l’idea della diversificazione. L’olivicoltura resterà sempre un pilastro della nostra tradizione, ma non possiamo più basare tutta la nostra economia su di essa, specialmente in un contesto di cambiamento climatico e di scarsità idrica. Colonie di frutta secca, frutti esotici come l’avocado, o coltivazioni di carrubo e noce sono valide alternative che consumano meno acqua e si adattano meglio al nostro clima sempre più arido. Diversificare significa non solo ridurre i rischi per gli agricoltori, ma anche creare un’economia agricola più solida e variegata.

Intervistatore: E la Camera di Commercio di Lecce, tramite il suo presidente Mario Vadrucci, chiede interventi coordinati tra enti locali e governo. Pensa che una cooperazione di questo tipo possa realmente fare la differenza?

Dottor Antonio Bruno: Assolutamente sì. La rigenerazione del Salento è una sfida che non può essere affrontata in modo isolato. Occorre un’azione concertata tra istituzioni locali, regionali e nazionali per poter finalmente superare le barriere burocratiche che hanno bloccato molti progetti. Un piano di rinascita condiviso è essenziale per avere una visione integrata e coordinata, in cui ognuno—dai piccoli agricoltori ai grandi investitori—abbia un ruolo chiaro e proattivo.

Intervistatore: Parlando proprio dei piccoli agricoltori, come vede il loro ruolo in questa rigenerazione?

Dottor Antonio Bruno: I piccoli agricoltori hanno sempre rappresentato la spina dorsale del nostro territorio, ma oggi molti di loro sono anziani e senza ricambio generazionale, anche a causa del disinteresse dei giovani verso l’agricoltura. Dobbiamo offrire un futuro concreto anche a loro, creando condizioni che permettano ai giovani di tornare alla terra. Incentivi, sgravi fiscali e soprattutto una semplificazione burocratica sono necessari affinché questi agricoltori possano essere parte attiva di un nuovo modello di sviluppo.

Intervistatore: Concludendo, cosa vede nel futuro del Salento?

Dottor Antonio Bruno: Io credo fermamente che la crisi della Xylella possa essere trasformata in un’opportunità. Se riusciremo a superare il modello di intervento basato solo su aiuti economici senza un impatto reale, e se coinvolgeremo tutte le parti interessate in un sistema di gestione pubblico e partecipativo, potremo far rinascere il Salento. Con il giusto approccio, il nostro territorio potrebbe diventare un esempio di rigenerazione ambientale per tutta l’Europa, un luogo dove sostenibilità e tradizione convivano in armonia. Questo è il futuro verde che il Salento merita e che dobbiamo costruire.

venerdì 1 novembre 2024

"Polvere e Memoria: Storie in Bianco e Nero dai Campi"

 


"Polvere e Memoria: Storie in Bianco e Nero dai Campi"

Di Antonio Bruno

Negli anni ’60, c'era un esercito di uomini e donne che si piegava a un ritmo lento, quello della terra, quello dei calli che crescevano come rughe sulle mani, quello del sole che bruciava come un unico testimone, silenzioso e complice. E c'era qualcuno, con una macchina fotografica, che si chinava anche lui, per ricordarli uno per uno. Perché certe storie non basta ascoltarle: bisogna portarsele dentro, o finiranno per cadere nel dimenticatoio di un tramonto.

Giuseppe, Mario, Ferdinando... Sembrano nomi qualunque, eppure sono stati occhi, polmoni, battiti in mezzo al sudore. Loro non volevano solo raccontare; volevano accendere una luce che non si sarebbe più spenta. Non scattavano foto, ma attimi sospesi, quelli in cui anche un sorriso stanco diventa epico, quelli in cui le mani dei braccianti — ruvide, graffiate, consumate — sembrano voler dire “Siamo ancora qui”. E in ogni scatto c’era la forza di un sogno, uno di quelli che non ti fanno dormire, perché se lo fanno svanire al primo battito di ciglia.

Loro vedevano bellezza anche nelle pieghe delle camicie sudate, nel pane diviso, nella polvere che copriva i volti come un velo antico, in quella fatica che sembrava sempre uguale, ma che ogni giorno urlava con un suono diverso. Palumbo, Dondero, Scianna non avevano bisogno di parole; sapevano che un’immagine a volte dice tutto ciò che la voce non riesce a pronunciare. Hanno camminato in mezzo ai campi per rendere onore a chi non aveva palco, ma solo terra sotto i piedi e cielo sopra la testa.

Oggi le loro foto sono ancora lì, potenti, instancabili. Sono il nostro specchio, il nostro memento, il nostro sussurro di umiltà. Guardiamo quelle facce e ci chiediamo come abbiamo potuto dimenticarle, come abbiamo fatto a pensare che la vita vera fosse altrove. E invece eccola lì, la vita, tra la polvere e il sudore, tra un sorriso e un sopracciglio inarcato. E forse, proprio grazie a loro, possiamo ricordarci che ogni storia, anche quella più nascosta, ha il diritto di restare in piedi, di essere vista, di essere respirata.

Dove c'era polvere, ora c'è memoria.

Antonio Bruno

Le Tradizioni, come la Lingua, Vivono e Lottano con Noi


 Le Tradizioni, come la Lingua, Vivono e Lottano con Noi

Le tradizioni popolari, diciamolo, sono come la lingua. Se continuiamo a parlare italiano nel 2024, usiamo un codice comune, un modo per capirci tutti. Ma se cominciassimo a parlare in latino, quanti ci capirebbero? Pochi, pochissimi! Le tradizioni, invece, rimangono in vita proprio perché sono come una lingua che si evolve, che si adatta ma resta radicata. Prendiamo, ad esempio, la fiera di Ognissanti di Carpignano Salentino.
Eh sì, in questo borgo del Salento, che incontri se da Martano prendi la strada per Otranto, ogni anno si celebra questa fiera millenaria. Parliamo di una tradizione che affonda le sue radici nell’anno Mille! Allora, i contadini si scambiavano semi, bestiame e attrezzi agricoli e tutto avveniva intorno alla chiesa di San Cosimo, vicino al casale di Carbieno, in un punto strategico perché lì si fermavano per cambiare i cavalli prima di raggiungere Otranto.
E oggi? Beh, oggi io ci arrivo con la macchina, senza cavallo, ma con la stessa curiosità e la voglia di immergermi in questa atmosfera unica. Mi sembra di sentirli, i cittadini di Carpignano, che gridano: “La fiera è viva e lotta con noi!”, come dicevano un tempo i partigiani.
Anche oggi trovi gli attrezzi agricoli e il bestiame, ma il paese si trasforma. Ci sono bancarelle ovunque, un vero e proprio caos ordinato, un po' come i letti a castello nelle case affollate di una volta. E poi c’è questa leggenda metropolitana che circola tra i visitatori: pare che qualcuno, tra i più arditi, si introduca nelle case dei Carpignanesi e gli abitanti, senza batter ciglio, gli vendano tutto ciò che c’è dentro per poi comprare un arredamento nuovo. Sarà vero? Chissà!
Ci trovi persone da ogni dove: dai paesi vicini, dal resto del Salento e, oserei dire, dal Globo terracqueo. Io alla fiera ci vado dal 2005, quando un signore molto malato, ricoverato con me, decise di firmare per essere dimesso contro il parere dei medici, solo per non perdersi quell’edizione. Era la millesima e cinque, oggi siamo alla millesima e ventiquattresima. E, credetemi, sembra non sia passato un giorno.

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sul dibattito sugli abbattimenti dei lupi in Italia

 


Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sul dibattito sugli abbattimenti dei lupi in Italia

Dottor Bruno, qual è la sua opinione sull’approvazione dell’emendamento al disegno di legge Montagna, che consente gli abbattimenti controllati dei lupi?

Dott. Antonio Bruno: "L’introduzione dell’emendamento ha sollevato molte questioni, non solo in termini di tutela dell’agricoltura, ma anche rispetto alla conservazione ambientale e alla biodiversità. Comprendo le preoccupazioni degli allevatori per i danni causati dai lupi al bestiame, ma è fondamentale considerare anche il ruolo ecologico del lupo come regolatore naturale delle specie, come i cinghiali, che altrimenti diventano invasivi e difficili da gestire."

In Salento, qual è la situazione della popolazione dei lupi e dei danni associati alla loro presenza?

Dott. Antonio Bruno: "Secondo i dati dell’ASL di Lecce, parliamo di una popolazione di pochi lupi, e i danni al bestiame sono stati riscontrati in un numero limitato di casi, pari a circa lo 0,3% sugli animali censiti. Il lupo sta gradualmente tornando nel Salento dopo decenni di assenza, e alcune iniziative locali si sono impegnate a monitorarne la presenza e a promuovere una convivenza sostenibile tra questo predatore e le comunità umane."

Le associazioni ambientaliste hanno fortemente criticato l’emendamento, temendo un rischio di eradicazione della specie dal territorio italiano. Condivide questa preoccupazione?

Dott. Antonio Bruno: "Sì, questa è una preoccupazione legittima. L'Unione Europea protegge il lupo come specie, e l'emendamento potrebbe esporre l'Italia a violazioni della direttiva Habitat. Mentre gli allevatori necessitano di tutele per il loro bestiame, dobbiamo essere cauti nel modificare l'equilibrio ecologico. Eradicare un predatore come il lupo potrebbe portare a un aumento incontrollato di altre specie, come cinghiali e cervi, con effetti negativi per l’ambiente e per l’economia rurale."

C’è chi sostiene che i lupi non trovino, nelle aree antropizzate del Salento, le condizioni adatte per coesistere con le altre specie e le attività umane. È d’accordo?

Dott. Antonio Bruno: "Il Salento è sicuramente una zona molto antropizzata e, in queste condizioni, è più complesso garantire un habitat adeguato ai grandi predatori. Tuttavia, ciò non significa che si debba ricorrere agli abbattimenti: si potrebbero sperimentare metodi non letali, come i recinti protettivi o l’introduzione di cani da guardia. In molti altri Paesi, l’uso di soluzioni preventive ha ridotto le predazioni senza compromettere l’equilibrio naturale."

Dal punto di vista agronomico, qual è il ruolo del lupo nell’ecosistema e che impatto ha sulla biodiversità del territorio?

Dott. Antonio Bruno: "Il lupo è un predatore apicale che svolge una funzione di regolazione delle specie erbivore, come i cinghiali, contribuendo a mantenere l’equilibrio della biodiversità. Se interveniamo riducendo la popolazione di lupi, rischiamo di alterare profondamente questo equilibrio. La ‘semplificazione’ della biodiversità, cioè la riduzione del numero di specie, rende l’ecosistema più vulnerabile, come abbiamo visto con l’invasione della Xylella, che ha devastato gli ulivi del Salento."

Cosa pensa della gestione degli abbattimenti in altre nazioni europee? Potrebbe essere un modello per l’Italia?

Dott. Antonio Bruno: "Gli esperimenti di abbattimenti controllati in Paesi come la Francia hanno spesso avuto risultati limitati. Eliminare alcuni esemplari senza un piano specifico spesso destabilizza il branco, che, privo del lupo Alfa, tende a disperdersi e a cercare cibo in maniera disordinata, causando ulteriori problemi. Non si tratta semplicemente di rimuovere qualche animale: la gestione del lupo è complessa e richiede un piano basato su dati scientifici e studi ecologici."

Quale soluzione propone per trovare un equilibrio tra la tutela degli allevatori e quella dell’ecosistema?

Dott. Antonio Bruno: "Il dialogo è essenziale per trovare soluzioni che rispondano alle esigenze di tutte le parti coinvolte. Credo che sia possibile mettere in atto strategie di difesa non letali e prevedere dei rimborsi economici per i danni subiti dagli allevatori. A livello locale, bisognerebbe proseguire i monitoraggi come quello del progetto ‘Hic Sunt Lupi’ e coinvolgere agricoltori e cittadini per costruire una convivenza più armoniosa. Solo così, potremo garantire la protezione del lupo e la sostenibilità delle attività agricole nel lungo periodo."

Grazie per il suo tempo, Dottor Bruno. Un ultimo commento?

Dott. Antonio Bruno: "Dobbiamo ricordare che l’equilibrio della natura è delicato, e ogni intervento umano lascia delle tracce. È necessario lavorare insieme per trovare soluzioni sostenibili che rispettino l’ecosistema e, al contempo, sostengano le comunità agricole. È un lavoro complesso, ma anche una sfida che non possiamo ignorare."