giovedì 24 ottobre 2024

Intervista al Dott. Antonio Bruno: L'Innovazione nell'Agricoltura e la Gestione del Paesaggio Rurale da Parte dello Stato

 


Intervista al Dott. Antonio Bruno: L'Innovazione nell'Agricoltura e la Gestione del Paesaggio Rurale da Parte dello Stato

Intervistatore: Dott. Bruno, oggi parliamo di innovazione in agricoltura, un settore che si trova ad affrontare molte sfide. Lei propone un'idea piuttosto innovativa: la gestione diretta del paesaggio rurale da parte dello Stato. Ci può spiegare meglio questa visione e come si collega al tema dell'innovazione?

Dott. Antonio Bruno: Certamente. L’innovazione in agricoltura, oggi, non può limitarsi solo a miglioramenti tecnologici o all'introduzione di nuove colture. Deve affrontare una questione strutturale: l’abbandono progressivo dei terreni agricoli da parte delle imprese agricole. La realtà è che molte di queste aziende sopravvivono grazie ai finanziamenti statali e comunitari. Parliamo di un modello insostenibile, dove la produzione agricola non è più sufficiente a garantire la redditività per i contadini. Di fronte a questa crisi, la mia proposta è che lo Stato si prenda in carico la gestione del paesaggio rurale, non solo per preservarlo, ma per renderlo produttivo in maniera sostenibile e innovativa.

Intervistatore: Quali sono le cause principali di questo abbandono?

Dott. Antonio Bruno: Le cause sono molteplici. In primo luogo, la pressione economica sui piccoli e medi agricoltori. Coltivazioni tradizionali come la vite, l'olivo, il grano, il mais e le patate, che in passato costituivano la spina dorsale della nostra agricoltura, oggi non garantiscono più un ritorno economico sufficiente. Prendiamo ad esempio la coltivazione della vite. Molte aziende agricole non riescono più a coprire i costi di produzione, nonostante la qualità del vino italiano sia rinomata in tutto il mondo. Stesso discorso per l’olivo: produrre olio d'oliva richiede grandi investimenti, e il mercato globale, con la concorrenza di altri paesi, rende difficile per i piccoli produttori competere.

Intervistatore: Quindi, la soluzione sarebbe che lo Stato gestisca direttamente queste terre?

Dott. Antonio Bruno: Sì, la mia idea è che lo Stato, o altre istituzioni pubbliche, intervengano per gestire il paesaggio rurale in modo organico e sistematico. Lo Stato può garantire una visione di lungo termine, incentivando colture sostenibili e adattando le produzioni alle esigenze del territorio e del mercato. Ad esempio, lo Stato potrebbe sviluppare piani per la coltivazione di varietà di grano più resistenti ai cambiamenti climatici, o per incentivare l’uso di tecnologie innovative nella coltivazione del mais, come l'irrigazione intelligente o l'agricoltura di precisione. Questi sono esempi concreti di come l’innovazione potrebbe intervenire, ma devono essere integrati in una strategia a lungo termine e sostenuta.

Intervistatore: Ha menzionato colture tradizionali come la vite, l’olivo e il grano. Come potrebbe lo Stato valorizzare queste colture attraverso una gestione diretta?

Dott. Antonio Bruno: Prendiamo come esempio la vite. Lo Stato potrebbe non solo preservare i vigneti storici, ma anche investire in tecniche agricole moderne per aumentare la produttività senza sacrificare la qualità. Questo potrebbe includere la promozione di vitigni autoctoni meno conosciuti ma più resistenti ai cambiamenti climatici. Similmente, per l'olivo, lo Stato potrebbe sostenere la reintroduzione di tecniche tradizionali di coltivazione e combinare queste con nuove tecnologie per ridurre l’uso di pesticidi e ottimizzare la resa.

Anche il grano, che in Italia ha una lunga tradizione, potrebbe beneficiare di questo tipo di intervento. Invece di dipendere da varietà di grano importate dall'estero, lo Stato potrebbe incentivare la coltivazione di varietà locali più adatte ai nostri terreni e condizioni climatiche. O ancora, lo Stato potrebbe gestire la rotazione delle colture, introducendo coltivazioni più sostenibili in termini di utilizzo delle risorse idriche, come le leguminose, che arricchiscono il terreno di azoto.

Intervistatore: Come si inseriscono altre colture, come il mais o le patate, in questa visione di gestione statale?

Dott. Antonio Bruno: Il mais è un’altra coltura fondamentale, soprattutto nel Nord Italia. Tuttavia, il cambiamento climatico e la scarsità di risorse idriche stanno mettendo in crisi i modelli tradizionali di coltivazione. Lo Stato potrebbe intervenire per favorire un uso più efficiente dell’acqua, attraverso l’adozione di tecnologie come l’irrigazione a goccia o l’agricoltura di precisione. Per quanto riguarda le patate, invece, potremmo pensare a incentivi per l’introduzione di varietà più resistenti alle malattie o per lo sviluppo di tecniche di coltivazione biologica, riducendo così la dipendenza dai prodotti chimici.

Intervistatore: Quali sarebbero i benefici sociali ed economici di una gestione statale del paesaggio rurale?

Dott. Antonio Bruno: I benefici sarebbero molteplici. In primo luogo, si potrebbe fermare l’abbandono delle aree rurali, garantendo non solo una produzione agricola sostenibile, ma anche la preservazione del paesaggio e della biodiversità. In secondo luogo, la gestione statale potrebbe creare nuovi posti di lavoro legati non solo all’agricoltura, ma anche al turismo rurale e alle attività collegate alla conservazione ambientale. Penso, ad esempio, a programmi di educazione agricola per le scuole o a iniziative che coinvolgano le comunità locali nella gestione e valorizzazione delle risorse del territorio. Infine, ci sarebbe un impatto positivo sulla sicurezza alimentare, riducendo la dipendenza dalle importazioni e valorizzando la produzione locale.

Intervistatore: In conclusione, come vede il futuro dell'agricoltura in Italia?

Dott. Antonio Bruno: Il futuro dell’agricoltura in Italia dipende dalla capacità di integrare innovazione e sostenibilità. La gestione statale del paesaggio rurale potrebbe rappresentare una soluzione a lungo termine per garantire la sopravvivenza del settore agricolo, specialmente in quelle aree dove le imprese private non riescono più a operare in modo economicamente sostenibile. Non si tratta di una gestione "statale" in senso stretto, ma di una sinergia tra pubblico e privato, dove lo Stato offre una guida e un supporto strutturale, lasciando spazio all'innovazione tecnologica e alla partecipazione delle comunità locali. Innovazione e tradizione possono coesistere e diventare il motore del rilancio del nostro paesaggio rurale.

 

L'innovazione: un processo collettivo e dinamico

L’innovazione è il risultato di un atto creativo che nasce dalla necessità di comprendere un fenomeno o di risolvere un problema. Tuttavia, si distingue dalla semplice creazione o invenzione, poiché si sviluppa all'interno di una rete di relazioni sociali, economiche e culturali. Secondo Cerroni (2013), l'innovazione non è un atto isolato ma coinvolge una pluralità di soggetti. Questo aspetto collettivo rappresenta una delle sue caratteristiche più distintive: mentre la creazione è spesso frutto dell'inventiva di un singolo individuo, l’innovazione richiede la partecipazione attiva di molteplici attori.

Innovazione come processo collettivo

L’innovazione, proprio per la sua natura applicativa e orientata alla risoluzione di esigenze pratiche, necessita della collaborazione di diverse persone e istituzioni. Inizialmente, è gestita da chi l’ha concepita, prodotta e adottata, ma si diffonde e influenza anche chi ne usufruisce indirettamente. Ad esempio, i clienti possono beneficiare di prezzi più bassi, i consumatori possono godere di una qualità migliore dei prodotti e i cittadini possono percepire gli effetti positivi o negativi dell’innovazione a seconda delle loro esperienze, valori e obiettivi. L’interazione tra i vari soggetti coinvolti influenza, dunque, l’evoluzione e il successo del prodotto o del processo innovativo. Come sottolinea Cerroni, "tutti, compresi i membri della società, possono interferire con la produzione e l’evoluzione di un prodotto/processo innovativo" (Cerroni, 2013).

Innovazione e ricerca

L’innovazione, oltre ad essere un atto di creatività, è anche il frutto di una ricerca strutturata. Da un lato, essa è il risultato dell’attività di ricerca condotta da strutture pubbliche e private che rispondono alla domanda di miglioramento continuo, riduzione dei costi, aumento dell’efficienza e diversificazione della produzione. Dall'altro, può essere una risposta pratica a problemi specifici che un imprenditore o un cittadino cercano di risolvere. In entrambi i casi, sono necessarie competenze specifiche per codificare in termini scientifici la novità introdotta e per sviluppare prima un prototipo e poi un prodotto commerciale.

Inoltre, affinché un'innovazione abbia successo, è fondamentale l’adozione da parte di terzi e la sua diffusione nel mercato. Questo passaggio coinvolge non solo i produttori e i ricercatori, ma anche i consumatori e l’intera società. È un ciclo che richiede la cooperazione di numerosi soggetti per passare dalla fase di ideazione a quella di commercializzazione.

Innovazione incrementale e radicale

Le innovazioni possono essere di natura incrementale o radicale. Nel primo caso, si tratta di un miglioramento o di un adattamento di un’idea già esistente che, pur mantenendo la struttura di base, necessita di essere aggiornata per ottimizzare le sue prestazioni o aumentare l’efficienza. Questo tipo di innovazione è spesso visto come un passo evolutivo, piuttosto che rivoluzionario. Nel secondo caso, l’innovazione è completamente nuova, sfrutta conoscenze di recente acquisizione o intuizioni inedite che superano i metodi tradizionali.

Questo processo di innovazione radicale può portare a cambiamenti significativi nei settori di riferimento, aprendo la strada a nuovi mercati e opportunità, ma comporta anche rischi maggiori, poiché l'accettazione da parte della società e dei consumatori non è immediatamente garantita.

Conclusioni

In conclusione, l'innovazione è un fenomeno complesso e collettivo, che si sviluppa all’interno di reti sociali e professionali. Non si limita alla creazione di nuove idee, ma richiede la partecipazione attiva di molteplici soggetti, dalla fase di ricerca a quella di adozione e diffusione. L’innovazione, infatti, si caratterizza per il suo impatto sociale ed economico, influenzando non solo chi la produce, ma anche chi ne usufruisce. L’approccio collettivo, l’attenzione alle esigenze pratiche e il costante processo di adattamento rendono l’innovazione un fattore chiave per il progresso e lo sviluppo delle società contemporanee.

Antonio Bruno

Fonti:

  • Cerroni, A. (2013). Innovazione e società: relazioni, dinamiche e pratiche.

 

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