martedì 17 ottobre 2017

Il paesaggio è il futuro del Salento leccese


Il paesaggio rurale del Salento leccese è in una profonda trasformazione. Sino agli anni 80 del secolo scorso dire Provincia di Lecce equivaleva a una paesaggio in cui la vite e l’olivo insieme al tabacco la facevano da padroni. Oggi la vite e ridotta a meno di 10mila ettari e l’olivo, così come lo conosciamo noi, rischia di scomparire sotto la morsa del disseccamento mentre il tabacco è oramai da anni che non si vede più.
A questo punto si rende necessaria una riflessione in grado di stimolare la discussione sulle queste questioni di rilevanza territoriale.
Secondo i dati dell'ultimo censimento Istat (2010) sono circa 97mila gli ettari di superficie olivetata in provincia di Lecce, il 60% della superficie agricola utilizzata (Sau), per un totale di 65mila aziende. Il 92% delle aziende agricole è dedito alla coltivazione dell'olivo (9 su 10), mentre le aziende specializzate esclusivamente nel settore olivicolo sono 51.078 (il 77% del totale). Di queste 29.880 (pari al 58,5%) hanno una superficie inferiore ad un ettaro. Quelle con una superficie inferiore a due ettari sono invece 42.372 (83 %) e detengono una superficie complessiva di 33.692 ettari pari al 36,3% del totale (più di un terzo).
Quindi in Provincia di Lecce l’agricoltura è soprattutto olivicoltura. Ma  l’olivicoltura è in crisi e non solo per il disseccamento quindi cosa coltivare e come utilizzare il territorio? Questa è la domanda che pongono gli agricoltori e i proprietari del paesaggio rurale del Salento leccese.
Uno strumento a disposizione di tutti è il PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO PROVINCIALE approvato con Deliberazione del Consiglio Provinciale n. 75 del 24/10/2008 che è scaturito dal principio secondo il quale “Non si può fare programmazione economica e generale in assenza di una coerente programmazione del territorio”.
Sono passati 9 anni da allora e secondo la mia opinione abbiamo la necessità di fare lo sforzo di mettere lo specchio davanti agli occhi dei proprietari del paesaggio rurale per osservare attraverso lo sguardo dei professionisti il Salento leccese.
Si legge nella presentazione di questo piano una affermazione dell’On. Salvatore Capone che è valida oggi più che mai ed è la seguente:
“C'è un Salento nuovo che ha voglia di crescere, di trovare nuove strade per lo sviluppo, di costruire comunità sempre più accoglienti e a misura d’uomo. Un Salento che possa offrire un futuro e nuove opportunità alle prossime generazioni.
[omissis]  Per farlo c’è bisogno di strumenti innovativi che sappiano cogliere le reali esigenze dei cittadini del Salento e trasformarle in idee e progetti realizzabili.”.
Ecco perchè è opportuno pensare a una vera e propria pianificazione territoriale del Salento leccese. Questo è ancora più importante in quanto siamo tutti consapevoli che nell’ambito delle discipline della pianificazione territoriale e dello sviluppo del territorio, non esiste un linguaggio comune. Questo chiarisce la dipendenza della riflessione che propongo dagli aspetti culturali della terra di Lecce e d’Otranto, soprattutto perché si avrebbe una difficoltà di comprensione e comunicazione nell’ambito della pianificazione e dello sviluppo territoriale con professionisti provenienti da altri territori.
In questo contesto è possibile ottenere di accompagnare e stimolare gli attori impegnati nelle sfide della pianificazione e dello sviluppo del territorio, nel loro percorso verso la definizione di soluzioni appropriate.
Per ottenere questo c’è bisogno di coinvolgere tutte le figure professionali del territorio ciascuna chiamata a dare il proprio contributo specifico. Il professionista Dottore Agronomo e Forestale in questo contesto ha una centralità per via della sua formazione ampia e articolata che lo mettono in grado di relazionarsi con tutte le altre figure professionali poiché  è in grado di applicare ai problemi di pianificazione un vero e proprio approccio “olistico”. L’approccio è integrato dalla conoscenza che ha il Dottore Agronomo e Forestale  della struttura, delle dinamiche e delle modalità di controllo e di gestione del territorio rurale, boschivo e “naturale” in genere.
C’è molto da fare e quindi si tratta di iniziare.
Antonio Bruno


lunedì 2 ottobre 2017

Potrebbero essere due i predatori contro il vettore di Xylella


Le notizie che da due giorni appaiono circa la scoperta casuale ad opera del Prof. Francesco Porcelli del predatore “Zelus renardii” efficace contro il vettore della Xylella  è oggi salutata sulla stampa come una possibile soluzione per abbassare la popolazione dei vettori e quindi di conseguenza l’inoculo. In una chiacchierata il collega Giuseppe Romano mi ha riferito di aver letto da tempo di un altro predatore potenzialmente efficace, l'anagrus  atomus che però non è stato ancora preso in considerazione perché sembrerebbe che il problema sarebbero le autorizzazioni.


A tale proposito riporto il riassunto di uno studio:
Intorno agli anni ’60, si sono verificate per la prima volta in California estese infestazioni ad opera di cicaline in vaste aree a monocoltura di vite. Tali attacchi, attribuiti ad Erythroneura elegantula Osborn risultavano più intensi nelle zone interne dei vigneti rispetto a quelle marginali in cui vi era la presenza di Rubus spp. (Doutt and Nakata, 1965).
Si ritenne che ciò fosse dovuto al fatto che in quest’ultime zone l’Imenottero Mimaride Anagrus epos Girault giungesse nei vigneti abbastanza presto in primavera fuoriuscendo dalle uova di Dikrella cruentata su Rubus spp., importante ospite per lo svernamento e il naturale mantenimento dell’ooparassitoide (Doutt & Nakata, 1973). L’attività di controllo dell’Anagrus nel vigneto poteva effettuarsi anche per alcune miglia di distanza dal rovo. Studi più approfonditi (Antolin & Strong, 1987) a tale riguardo, hanno evidenziato che gli Anagrus hanno un raggio di dispersione molto grande, ma che a distanza maggiore riduce la loro efficacia. Si è quindi evidenziato che l’Anagrus è un efficace fattore di mortalità dell’ Erythroneura se i rovi crescono nelle vicinanze del vigneto, se esiste una sincronizzazione tra Dikrella e Anagrus e se la quantità di rovi è sufficientemente grande da garantire una forte popolazione in primavera (Williams, 1984). A seguito di queste osservazioni è stato consigliato d’interrompere la stretta monocoltura del vigneto e di associarla con siepi di rovo nelle aree marginali. Sulla base di tale esempio, numerosi autori hanno enfatizzato l’importanza della biodiversità negli agroecosistemi (Altieri, 1994).
Per quanto riguarda l’Europa, il ruolo delle piante spontanee quali ospiti d’antagonisti utili di cicaline della vite è stato per prima approfondito in alcuni vigneti del Cantone Ticino (Svizzera) (Cerrutti et al., 1991); dove l’Empoasca vitis GÖthe rappresenta un importante problema fitosanitario. In tale contesto è stato messo in evidenza in particolare il ruolo di Anagrus atomus (Linneaus) e quello delle piante spontanee e coltivate dell’agroecosistema, quali ospiti alternativi di uova di cicaline e di ooparassitoidi nel  periodo invernale. Tra tali piante sono state ritenute di maggiore importanza il Rubus spp., Lonicera spp., Malus domestica, Corylus avellana, rosa coltivata e Betulla pendula.
In Italia nella Friuli Venezia Giulia è stato indagato sul ruolo del Rubus spp. nel ciclo biologico di due cicaline della vite, Zygina rhamni Ferrari e E. vitis (Pavan, 2000), specie molto dannose in tale areale. Da tali studi, è emerso che entrambe le cicaline possono completare il loro ciclo biologico su rovo, e che la Z. rhamni sverna su piante del genere Rubus sia come adulto che come uovo. Inoltre, sono stati osservati in primavera, stadi giovanili di quest’ultima specie su Rubus spp. prima che gli adulti migrassero su vite. Pertanto è stato affermato la Z. rhamni possa presentare un ciclo dioico fra Rubus spp. E vite. Per quanto concerne, invece, l’E. vitis, il Rubus spp. rappresenta semplicemente, un’ulteriore ospite durante il periodo primaverile.
Da alcuni anni (Viggiani et. al., 2004) sono iniziati gli studi sulle cicaline che si riproducono sul rovo negli ambienti italiani meridionali, per i quali, in particolare, si disponeva solo di qualche dato di cattura d’adulti. Per molte specie mancano ancora conoscenze sui caratteri distintivi degli stadi giovanili e sulla fenologia.
In ogni caso, le attuali conoscenze sono largamente insufficienti per dare indicazioni attendibili a vari livelli (coltivazioni aziendali e territoriali) che, possano contribuire a rendere più efficace il controllo naturale delle cicaline dannose.


Fonte: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II” D.E.Z.A. - Dipartimento di Entomologia e Zoologia Agraria “Filippo Silvestri” Corso di Dottorato di Ricerca in: AGROBIOLOGIA E AGROCHIMICA XX Ciclo Indirizzo: Entomologia generale e applicata Aspetti bio-etologici delle cicaline del rovo (Homoptera: Cicadellidae) e di altri ospiti alternativi di ooparassitoidi (Hymenoptera: Mymaridae, Trichogrammatidae) Tutore: Coordinatore: Ch.mo Prof. Gennaro Viggiani Ch.mo Prof. Antonio Violante Candidata:  Dott. Annalisa Di Luca

Un predatore contro il vettore: «Così si sconfigge la xylella»


INTERVISTA di Maria Claudia MINERVA del Quotidiano di Puglia ALL’ENTOMOLOGO PROF. FRANCESCO PORCELLI
[omissis]

Al di là degli interventi meccanici insetticidi, i ricercatori stanno studiando quella che si annuncia come una grandissima novità: un predatore efficace contro il vettore della Xylella. È già stato individuato e si chiama “Zelus renardii”. «Si tratta di un predatore incontrato casualmente a Bari - spiega Francesco Porcelli, entomologo del Disspa, che coordina il progetto sul campionamento dei vettori - originario del Nord America, segnalato per la prima volta in Grecia e poi arrivato autonomamente fino in Spagna.
Io l’ho osservato studiando lo psillide “Macrohomotoma gladiata”, introdotta in Europa qualche anno fa e originaria dall’Estremo Oriente.

Ebbene ho osservato lo Zelus predare gli psillidi sui rami dei Ficus ornamentali - aggiunge l’entomologo - Abbiamo provato ad offrirgli Philaenus adulti constatando, in pochi secondi, l’aggressione letale dello Zelus. Ulteriori numerosi esperimenti e osservazioni sistematiche, ancora in corso, dimostrano l’appetito feroce di questo predatore e la sua attitudine a uccidere grandi numeri della preda, anche senza nemmeno nutrirsene. Per l’allevamento massale abbiamo ottenuto discrete performance utilizzando diete a base di fegato frullato e gelificato. Ora - conclude - siamo impegnati a capire se lo Zelus può essere allevato in massa, e soprattutto, su dieta completamente sintetica, facilmente conservabile e dispensabile. In prospettiva, se riuscissimo a mettere a punto una buona tecnica di allevamento massale, c’è una biofabbrica». L’idea è di allevare popolazioni consistenti di Zelus renardii da utilizzare per il controllo dei fitofagi dell’olivo, e non solo, comprese le sputacchine: riducendo efficacemente la trasmissione della Xylella da pianta infetta a pianta sana.
[omissis]