lunedì 28 febbraio 2011

Nel Salento leccese il tavolo tecnico ha prodotto due progetti sull’olivicoltura

Nel Salento leccese il tavolo tecnico ha prodotto due progetti sull’olivicoltura


di Antonio Bruno

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Produttori, istituzioni e organizzazioni di categoria a confronto a Lecce sulla crisi che attanaglia il settore olivicolo, obiettivo, elaborare progetti concreti per conquistare maggior peso sul mercato. Le crisi ricorrenti del mercato dell’olio di oliva e la necessità di incrementare la competitività rispetto agli altri Paesi del Mediterraneo stanno imponendo una forte riconversione produttiva degli oliveti, con la creazione di impianti moderni e sistemi di allevamento ad elevata efficienza, anche in termini di aumenti di resa, di riduzione dei costi e di qualità.

D’altronde, sta emergendo in parallelo e in maniera pressante l’assoluta necessità di mantenere gran parte degli impianti tradizionali, per il loro elevato valore paesaggistico.

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Bisogna elaborare un progetto immediatamente cantierabile per l’olivicoltura

Ieri a Lecce l’Assessore le Risorse Agroalimentari della Regione Puglia Dario Stefàno rappresentato dal Direttore Area Politiche per lo Sviluppo Rurale Giuseppe Ferro, i Saperi della Facoltà di Agraria dell’Università di Bari, e i Consorzi di Bonifica “Ugento e Li Foggi” e Arneo insieme con gli stakeholders cioè i soggetti sostenitori nei confronti dell'iniziativa del tavolo tecnico sull'olivicoltura, hanno affrontato i problemi del settore unitamente a quelli della trasformazione delle olive in olio, arrivando alla conclusione che è necessaria ed urgente l'elaborazione di un progetto immediatamente cantierabile per il rilancio dell’olivicoltura pugliese.



L’olivicoltura da olio in Puglia

In Puglia l’olivicoltura da olio ha un ruolo di grande rilievo nel panorama agricolo regionale. I numeri parlano chiaro infatti occupa, con circa 370mila ettari il 25% dell’intera Superficie Agricola utilizzata della Regione Puglia. La Puglia ha scelto di produrre olio extravergine d'oliva, ma le caratteristiche strutturali degli oliveti della Regione sono la causa della produzione dell’olio lampante.



L’olivicoltura nel Salento leccese

Nel Salento leccese la superficie di oliveti è di circa 86mila ettari che rappresenta quasi il 60% della superficie agraria utilizzata della Provincia di Lecce con 9 milioni di piante. C’è una densità di circa 100 piante ad ettaro. Le aziende olivicole sono circa 68mila che rappresentano il 76% delle aziende agricole della provincia. In media si producono 42 quintali di olive per ettaro da cui si ricavano mediamente 7 quintali di olio. Mentre un albero di olivo del salento leccese produce mediamente 40 chili di olive che danno circa 7 chili di olio.



Cos’è l’olio lampante

Tutti sappiamo, o crediamo di sapere, cos’è l’olio extra vergine e vergine di oliva, ma l’olio lampante cos’è?

L’olio lampante, così chiamato poiché in passato veniva utilizzato per alimentare le lampade ad olio, contiene ugualmente molte componenti naturali necessarie all’alimentazione dell’uomo; proprio per questo è necessario procedere alla sua raffinazione al fine di abbassarne l’acidità e di eliminare i componenti aromatici sgradevoli senza alterarne la struttura chimico-cromatologica.

Sottoposto agli adeguati trattamenti industriali sopra citati l’olio lampante diventa Olio di Oliva Raffinato.

Una volta raffinato, l’olio di oliva deve essere miscelato con olio extra-vergine che gli conferisca sapore e colore. La legge non stabilisce la percentuale minima di olio vergine o extra da unire al raffinato; normalmente si considera un 5-8% con punte del 30% al fine di rendere più gradito l’olio risultante che viene denominato Olio di Oliva.



La discussione del 28 febbraio 2011

Si è giunti alla conclusione che occorre sostenere l’olivicoltura attraverso i mercati degli agricoltori o le iniziative di promozione come Tipicità. Un grande importanza è stata attribuita all’informazione dei consumatori su cosa sia l’olio extra vergine di oliva per impedire truffe e concorrenza sleale, e aiutarli a riconoscere il vero prodotto tipico di Puglia.



C’è necessità di un olio extra vergine di oliva di alta qualità

Uno dei due progetti che come ha più volte ribadito il Direttore Area Politiche per lo Sviluppo Rurale Giuseppe Ferro, deve essere immediatamente cantierabile, ha il compito di proporre sul mercato un extra vergine di oliva pugliese di alta qualità che rispetti specifiche procedure di rintracciabilità, produzione e trasformazione e riconoscibile tramite un marchio affiancato dal marchio di tracciabilità voluto dall’Assessorato alle Risorse Agroalimentari della Regione Puglia Dario Stefàno denominato Prodotti Tipici di Puglia. Oltre a questo prodotto che avrà la possibilità di affermarsi sul mercato internazionale, l’olivicoltore che lo desideri deve avere l’opportunità di imbottigliare l’olio anche con un suo marchio.



Un nuovo modello distributivo dell’olio pugliese

La coltivazione dell'olivo ha un'importante valenza ambientale è può recitare un ruolo importante nell'agricoltura del futuro che dovrà però puntare su un nuovo modello distributivo. La consapevolezza che la maggioranza degli abitanti della Regione Puglia preferisce acquistare cibi prodotti sul territorio regionale deve incentivare iniziative di promozione dei prodotti del territorio.



Valorizzazione energetica dell’olio lampante

Da più parti si è invocato un progetto per l’ottenimento di energia dall’olio lampante. Da un punto di vista qualitativo, la maggior parte dell’olio d’oliva che entra in Europa appartiene alle categorie “lampante” sono più di 60mila tonnellate e “vergine” con più di 44mila tonnellate. Le rimanenti 12.028 tonnellate sono invece classificate come olio “raffinato”. Per quanto concerne l’olio di sansa, per circa il 78% è costituito da olio greggio e per la restante quota di olio di sansa raffinato. Paradossalmente per impedire una “concorrenza sleale” all’olio extra vergine secondo molti intervenuti deve essere tolto dal mercato l’olio lampante attraverso la valorizzazione energetica



L’olivicoltura del Salento si è affermata per la valorizzazione energetica dell’olio lampante

L'olio d’oliva del Salento leccese è stato quasi esclusivamente presente nella qualità cosiddetta lampante e veniva impiegato essenzialmente come combustibile per le lampade da illuminazione, sia per uso domestico che devozionale, sia per consumo interno che per esportazione ed aveva anche larghi impieghi medicinali ed industriali, specialmente nella fabbricazione dei saponi. E proprio le industrie saponiere di Marsiglia e di Genova furono, nel corso dell'Età Moderna, i principali clienti della produzione del Salento leccese e di quelli di Brindisi e Taranto, senza contare tutte le grandi metropoli europee come Londra e Parigi, che, per i loro lumi cittadini, erano ben soliti rifornirsi proprio in Salento. L'intrinseco ruolo mercantile dell'olio, ispirò la vocazione commerciale del porto di Gallipoli, tanto che l'olio lampante fu detto in breve tempo “l'oro di Puglia”, divenendo addirittura la principale garanzia per la restituzione delle anticipazioni di denaro. Si può dire a buon diritto che l’olio rivestì nel ‘700 un importantissimo ruolo nelle intermediazioni finanziarie.

Un ultimo aspetto riguarda la produzione di legna da ardere ricavata dalla periodica potatura degli alberi di olivo, nonché di bucce di olive (Buttiglieri e Nicoletti, 1995), e che garantì, nonostante la progressiva contrazione del primitivo manto forestale, il regolare rifornimento di combustibile per la città.



Le conclusioni del tavolo tecnico del 28 febbraio 2011

Siccome tutte le organizzazioni agricole sono giunte alla conclusione che vi è la necessità di elaborare progetti di valorizzazione cantierabili, sia per il lampante, che per l’olio di qualità l’assessore provinciale al Marketing Territoriale Pacella, di concerto con i Consorzi di Bonifica “Ugento e Li Foggi” e “Arneo”, convocherà a stretto giro intorno a un tavolo di lavoro sia per un progetto sull’olio lampante affrontando le ipotesi emerse della valorizzazione energetica oppure sulla sua utilizzazione da parte dell’industria conserviera, che per un progetto sull’olio extra vergine e vergine, magari con un marchio unico per avere maggior peso sul mercato, eliminando così la frammentazione di frantoi e cooperative, creando invece grandi consorzi.

domenica 27 febbraio 2011

Olivicoltura, la Puglia si dà appuntamento al tavolo tecnico interprovinciale di Lecce

Olivicoltura, la Puglia si dà appuntamento al tavolo tecnico interprovinciale di Lecce

di Antonio Bruno

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Potrei scrivere che quella dell’olio e dell’olivo è una lunga storia, parte dalla notte dei tempi e accompagna l’uomo sin dalla nascita. Ma in vista del Tavolo Tecnico Interprovinciale sull’Olivicoltura, organizzato dalla Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Bari, dal Consorzio di Bonifica Ugento Li Foggi e dal Consorzio di Bonifica dell’Arneo, in collaborazione con l’Assessorato regionale alle Risorse Agroalimentari, che si terrà lunedì 28 febbraio 2011 alle ore 10.00 presso la Sala Conferenza della Regione Puglia in Via Aldo Moro a Lecce è meglio che la mia storia abbia inizio dagli anni che seguono il 1960.

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Frantoiani e Associazioni dei produttori olivicoli del Salento leccese

Prima i frantoiani, a cominciare dal 1966, e poi le associazioni dei produttori, a partire dal 1978 sono state investite da funzioni primarie nel sistema comunitario di intervento.

I frantoiani sono i soggetti che certificano i quantitativi di olive trasformate, ed è del tutto evidente che tale funzione rafforza la loro posizione di intermediazione nei canali industriali.

Le associazioni obbligavano, anzi costringevano gli olivicoltori, ad associarsi in forza dei regolamenti comunitari poiché solo così questi ultimi potevano beneficiare dell'aiuto comunitario.



L’aiuto comunitario ai produttori olivicoli del Salento leccese

L’ aiuto comunitario era legato ai quantitativi di olio prodotto, stabilizzava i redditi degli olivicoltori, senza tenere in nessun conto la loro possibilità di stare in rapporto con il mercato. L’altro effetto si evidenziava nel sostegno all’ offerta anche quando i prezzi, per i notevoli quantitativi o per le vicende di mercato erano bassi.



La tutela degli olivicoltori del Salento leccese e dell’industria olearia

La tutela degli olivicoltori ha riguardato anche la tutela dell’industria olearia. Il governo italiano ha potuto praticare questa strada di doppia tutela fino a quando l'industria olearia è stata dipendente dalla olivicoltura italiana e di quella del salento in particolare.



Il consumo italiano di olio d’oliva prima degli anni 90

Prima degli anni 90 il consumo interno di olio di oliva era superiore alla produzione italiana di olive, questo era l’effetto della produzione della produzione di olive attraverso dazi di importazione.



Il ciclo dell’olivo determinava i prezzi dell’olio

Tutti sappiamo che l’olivo ha una produzione che si caratterizza da un ciclo biennale; infatti ad un anno di buona produzione che viene detto di “carica” in genere segue un anno di produzione inferiore al primo che viene detto di scarica e proprio questo faceva si che l'olivicoltura determinasse i prezzi alla produzione.



L’industria olearia importa olio senza pagare il dazio

In forza de i regolamenti comunitari fu consentito all’industria olearia di importare l'olio in esenzione temporanea di dazio per lavorarlo e riesportarlo come made in Italy. Ebbene l’industria dell’olio nonostante l’offerta di olive italiane non soddisfacesse l’esigenza del mercato grazie a premi all'esportazione concessi all’olio prodotto in Italia, ebbe la possibilità di beneficiare di un aiuto al consumo, sfruttando allo stesso tempo una equivoca classificazione dell'olio.



Con concorrenza dell’olio proveniente dalla Spagna gli olivicoltori del Salento leccese sono rimasti senza protezione.

A metà degli anni '90 è arrivata sul mercato europeo la produzione di olio spagnolo, che dopo aver consumi interni destinava un grande quantitativo all’esportazione. Ecco perché gli olivicoltori italiani, e in particolare quelli del Salento leccese per la stragrande maggioranza di olio lampante prodotto, sono passati da una condizione protetta ad una fortemente concorrenziale.



Il Tavolo Agricolo Provinciale di Lecce sulla criticità del comparto olivicolo

Lo scorso 2 dicembre a Lecce nel corso del Tavolo Agricolo Provinciale si è preso atto che i prezzi dell’olio sono troppo bassi. Poi c’è il problema della scarsa quantità di olio di qualità che viene prodotta nel salento leccese che non è sufficiente a colmare la richiesta. Non ultime le preoccupazioni degli agricoltori, per lo più 65enni, che si chiedono quale sarà il loro futuro.

Il tavolo coordinato dall’Assessore Provinciale all’Agricoltura Francesco Pacella ha discusso e analizzato i problemi al fine di costruire sinergicamente un progetto di rilancio che possa far sopravvivere le aziende olivicole del Salento leccese, rendendole competitive sul mercato.

In particolare l’Assessore all’Agricoltura Francesco Pacella ritiene che “Occorre ridefinire una nuova politica un nuovo piano che preveda interventi significativi per l’olivicoltura del Salento. Nel corso degli anni, nonostante si siano avute le risorse necessarie, non si sono sfruttate al meglio. Al di là dei mea culpa ora dobbiamo guardare avanti”.

Il Presidente della Provincia di Lecce Antonio Gabellone ha proposto l’applicazione dell’energia rinnovabile nell’agroalimentare poiché tutto il settore sta attraversando un cambiamento radicale e le esigenze dei consumatori sono quelle di una qualità certificata, quelle della sicurezza alimentare, per questo vi è la necessità di puntare sulla qualità.



Le conclusioni del Tavolo Agricolo Provinciale di Lecce

In quell’occasione si sono conclusi i lavori tutti d’accordo sulla necessità di riprogettare l’olivicoltura nel Salento, non arrivando all’estirpazione. Inoltre sempre in quella sede per salvare il settore si chiese aiuto e sostegno alla Comunità Europea.



Il Tavolo Tecnico Interprovinciale sull’Olivicoltura di lunedì 28 febbraio 2011

Il Tavolo Tecnico Interprovinciale sull’Olivicoltura, organizzato dalla Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Bari, dal Consorzio di Bonifica Ugento Li Foggi e dal Consorzio di Bonifica dell’Arneo, in collaborazione con l’Assessorato regionale alle Risorse Agroalimentari è stato organizzato poiché la possibilità di affrontare la crisi dell'olivicoltura dipende da molti fattorie

in primo luogo una generale impreparazione nell'analisi del settore, nelle università, nelle organizzazioni professionali, nelle unioni e nel ministero. Tutto questo cercando di imitare le buone pratiche della Spagna dove esistono strutture accademiche e di ricerca che seguono permanentemente i problemi dell'olivicoltura e pubblicano i risultati; e per superare la circostanza che in Italia questa attività è casuale e saltuaria, se si eccettuano i lavori dell'ISMEA e in particolare i Rapporti annuali sulla filiera. A questo proposito sarebbe opportuno imitare il Ministero dell'Agricoltura spagnolo che raccoglie e diffonde informazioni, e sostiene finanziariamente i gruppi di lavoro. Appuntamento quindi a Lecce lunedì 28 febbraio 2011 alle ore 10.00 presso la Sala Conferenza della Regione Puglia in Via Aldo Moro per prendere parte ai lavori del Tavolo Tecnico Interprovinciale sull’Olivicoltura.

venerdì 25 febbraio 2011

Chi rappresenta i proprietari del Paesaggio rurale del Salento leccese?

Chi rappresenta i proprietari del Paesaggio rurale del Salento leccese?


di Antonio Bruno*



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Il 22 febbraio 2011 si è tenuto a Roma l'incontro fra il Ministro delle Politiche agricole, Giancarlo Galan, i rappresentanti delle Regioni, gli enti locali, le organizzazioni di categoria, sindacati e istituzioni per discutere sul futuro della Pac e porre le basi per una posizione unitaria da portare al tavolo del negoziato sulla riforma a Bruxelles. In questa nota le osservazioni e considerazioni di un Dottore Agronomo

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Il brand Italia è l’Agroalimentare

Il brand Italia ovvero il nome o segno distintivo attraverso il quale il nostro Paese contraddistingue i propri prodotti da altri dello stesso genere è tutto fatto di alimenti, olio, vino insomma sono i prodotti della terra che ci fanno conoscere nel mondo. Letteralmente l'espressione significa "marca" o "marchio di fabbrica" e proprio questo marchio di fabbrica insieme al tricolore bianco, rosso e verde accompagna sugli scaffali della Grande distribuzione di tutto il mondo cibo che l’Italia non l’ha mai vista in un insopportabile frode che si perpetua contro tutti i Proprietari del Paesaggio rurale dell’Italia.



Centralità dell’Agricoltura

Un documento unitario di tutte le Organizzazioni che hanno come soci produttori agricoli e lavoratori dell’agricoltura ha contraddistinto il Forum sul futuro della Pac che si è tenuto lo scorso 22 febbraio a Roma. In questo documento si legge che è necessario ripartire dalla centralità del territorio, dall’economia reale, caratterizzata da produzioni, da beni, da servizi certi, verificabili, misurabili, frutto di lavoro, di ricerca, di impegno. Deve ritrovare diritto di cittadinanza la capacità imprenditoriale e il prodotto.



La PAC deve porre al centro le imprese agricole

Sempre nello stesso documento si dice che la PAC deve porre al centro le imprese agricole e agroalimentari, deve premiare l’economia reale, promuovere l’innovazione ed il ricambio generazionale ed incentivare la produzione alimentare, anche facendo leva sul valore aggiunto dei territori.



I soldi solo agli agricoltori attivi

E per questo riuguarda il sistema di distribuire gli aiuti nel documento si legge che c’è piena consapevolezza che l’attuale sistema basato sul criterio storico vada superato, anche per contrastare posizioni di rendita fondiaria, e che è inoltre necessario indirizzare i benefici della PAC prioritariamente verso gli agricoltori “attivi”, vale a dire le imprese agricole che sono orientate al mercato e operano sul territorio, anche attraverso forme di aggregazione e di integrazione, che in modo professionale creano reddito e producono alimenti ed effetti positivi per la società.



La PAC che viene fuori dal Forum di Roma non aiuta l’Agricoltura del Salento leccese

La visione della Pac del Forum del 22 febbraio 2011 riguarda esclusivamente agli Imprenditori Agricoli professionali. Una visione “monotona” condivisa da gran parte degli addetti ai lavori.



In Italia meno di due milioni di aziende agricole

I dati del Rapporto Eiro sulla rappresentatività nel settore agricolo in Italia dell' European Commission, Eurostat, (Community Labour Force Survey – LFS) http://www.eurofound.europa.eu/eiro/studies/tn0608017s/it0608019q_it.htm parlano chiaro! L’ultimo censimento del settore agricolo in Italia (anno 2000) ha registrato circa 2,5 milioni di aziende agricole, con un calo di circa il 14% rispetto al 1990. Nel 2004 se ne registrano 2,2 milioni, e secondo la classificazione Europea, che esclude quelle con meno di un ettaro di Superficie Agricola Utilizzabile, o con produzione di valore inferiore ai 2.500 Euro, sono 1,9 milioni.



Solo 990mila persone sono impegnate nell’agricoltura

Il numero di aziende agricole nel 1993 era di 3 milioni e nel 2004 1,9 milioni;la Forza lavoro complessiva nel 1993 era di 1,1 milioni di persone mentre nel 2004 è scesa a solo 990mila persone.



Un lavoratore agricolo ogni 46 abitanti

Il rapporto tra lavoro agricolo e popolazione è mutato molto rapidamente nel decennio qui considerato. Nel 1994, infatti, vi erano 32 abitanti per ogni unità di lavoro agricola, mentre nel 2004 ve ne sono 46.

Infine il settore dell'agricoltura rappresenta il 2 – 3% del Prodotto interno lordo italiano.

Vi rimando alla lettura di tutti i dati per approfondire le mie affermazioni.



220mila proprietari del Paesaggio rurale del Salento leccese

Gli abitanti del Salento leccese sino circa 800mila ovvero abbiamo un proprietario di Paesaggio rurale ogni 3 abitanti e un Imprenditore Agricolo professionale ogni 46 abitanti! Insomma nel Salento leccese ci sono poco più di 15mila Imprenditori Agricoli professionali contro 220mila proprietari del Paesaggio rurale.

Chi ha la rappresentanza del 200mila proprietari del Paesaggio Agricolo che non sono Imprenditori Agricoli professionali?



200mila ecosistemi del Salento leccese

I 200mila ecosistemi del Salento leccese sostengono la vita e l'attività umana nel loro complesso.

I beni e i servizi che offrono sono vitali per il benessere e lo sviluppo economico e sociale futuro.

Le attività umane che si stanno mettendo in atto del nostro territorio stanno tuttavia distruggendo la biodiversità e alterando la capacità dei 200mila ecosistemi ancora sani grazie all’attività dei proprietari del Paesaggio rurale del Salento leccese di fornire questa ampia gamma di beni e servizi.



Chi rappresenta i proprietari del Paesaggio rurale del Salento leccese?

A Roma chi ha rappresentato i 200mila proprietari del Paesaggio rurale del Salento leccese che non sono Imprenditori agricoli professionali? Ho ascoltato l’intervento del Presidente dell’Ordine Nazionale dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali che avrebbe dovuto rappresentare le esigenze di questi nostri assistiti ma che non l’ha fatto! Noi dottori agronomi siamo i Medici della terra che danno consulenze a professionisti che si sono avventurati nell’acquisto di un pezzettino di terra o che l’hanno ereditato da un parente, a postini, impiegati, ragionieri, anziani signori in pensione che con amore e dedizione si prendono cura del Paesaggio agrario del Salento leccese.



I Dottori Agronomi e i Dottori Forestali hanno la rappresentanza della maggior parte delle persone che lavora nei campi ed è per questo motivo che a Roma nel Forum sul futuro della PAC del 22 febbraio 2011 qualcuno avrebbe dovuto dare voce e quindi rappresentanza a queste persone. Oggi devo prendere atto che queste donne e questi uomini devono finanziare “di tasca loro” i servizi ecosistemici all’intera società. Il cibo è uno dei servizi ecosistemici ed è allo stato attuale l’unico servizio che ha una rappresentanza e un contributo economico dalla Politica Agricola Comune. E ai servizi ecosistemici resi dai 200mila proprietari del Paesaggio rurale del Salento leccese che non sono Imprenditori agricoli professionali chi ci pensa?



I servizi ecosistemici che nessuno riconosce

Chi ristora i servizi di approvvigionamento, che forniscono i beni veri e propri, acqua, legname e fibra? Chi paga i servizi di regolazione, che regolano il clima e le precipitazioni, l'acqua (ad es. le inondazioni), i rifiuti e la diffusione delle malattie? Chi si mette le mani in tasca per tirare fuori i soldi necessari ai servizi culturali, relativi alla bellezza, all'ispirazione e allo svago che contribuiscono al nostro benessere spirituale? E chi paga i servizi di supporto, che comprendono la formazione del suolo, la fotosintesi e il ciclo nutritivo alla base della crescita e della produzione?



La narrazione del Paesaggio rurale che si è fatta nel Forum sul futuro della PAC è incompleta

Nessuno degli intervenuti a Roma nel Forum sul futuro della PAC del 22 febbraio 2011 ha risposto a queste domande, tutti hanno preso parte ai lavori partendo dall’assunto che l’unico sevizio ecosistemico reso dal Paesaggio rurale sia quello degli Imprenditori Agricoli Professionali che si concretizza nella produzione del cibo. Ma mi permetto di obiettare che le cose non stanno così, che il Paesaggio rurale non è solo quello che si è narrato a Roma nel Forum sul futuro della PAC del 22 febbraio 2011. Il Paesaggio rurale è molto, ma molto di più!

domenica 20 febbraio 2011

La battaglia dei Parlamentari europei per l’olio extra vergine d’oliva del Salento leccese è un pesce d’aprile?

La battaglia dei Parlamentari europei per l’olio extra vergine d’oliva del Salento leccese è un pesce d’aprile?

di Antonio Bruno



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Ho letto con grande attenzione una nota di Roberto La Pira dal titolo “La bufala della legge europea che tutela l'olio extra vergine dilaga sui giornali. E' vero il contrario, l'olio taroccato è diventato legale”. E da quella nota sono scaturite le mie opinioni e proposte che potete leggere qui di seguito.

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La battaglia solitaria di Paolo Carmignani

Alla sola lettura del titolo della nota siamo immediatamente consapevoli di ciò che pensa l’opinionista de “il fatto alimentare” http://www.ilfattoalimentare.it/ della battaglia guidata dal Dottore Agronomo Paolo Carmignani e portata alla vittoria dalla delegazione Italiana del Parlamento Europeo capeggiata da un Europarlamentare salentino ovvero Raffaele Baldassarre e dal salentino pure lui Presidente Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo Paolo De Castro. In pratica per Roberto La Pira questo impegno è stato velleitario perché non ha prodotto alcun beneficio all’olio extra vergine del Salento leccese.



La confusione per la enorme differenza di prezzo dell’olio extra vergine di oliva

Tutti sappiamo che i prezzi delle bottiglie di olio extra vergine di oliva esposte sugli scaffali dei supermercati oscillano da 2,5 a 8-9 € al litro e più. Lo stesso Roberto La Pira ammette che tale situazione crea molta confusione tra i consumatori che non sono consapevoli di ciò che scelgono. In pratica come può essere che una bottiglia d’olio extra vergine sia di costi così diversi? E che differenza c’è tra la bottiglia che costa 2 Euro e quella che costa 10 Euro?

Per fare chiarezza l’Unione Europea ha adottato un regolamento che entrerà in vigore il 1 aprile 2011 (un pesce d’aprile?). Questo regolamento autorizza la vendita di olio extra vergine di oliva con un quantitativo massimo di alchil esteri pari a 150 milligrammi per chilo.



La quantità di alchil esteri in un chilo d’olio secondo l’Agenzia Regionale per l’Ambiente delle Marche

Ernesto Corradetti dell'Arpa di Ascoli Piceno rende noto che i dati analitici ottenuti in tre anni di indagini hanno evidenziato che gli oli extra vergini di oliva ottenuti da olive sicuramente conservate bene, non sono riscontrabili quantità significative di alchil esteri. In qualche caso i livelli arrivano a 1 - 2 milligrammi per chilo.



La quantità di alchil esteri secondo la delegazione italiana nel Consiglio oleicolo internazionale

Carlo Mariani della Stazione oli e grassi di Milano afferma “In sede di dibattimento presso il Consiglio oleicolo internazionale (Coi) a Madrid per mettere a punto la norma l’Italia era contraria ai nuovi limiti per gli alchil esteri perché un buon olio al massimo ne contiene da 10 a 30 mg/kg”



La proposta di Giovanni Lercker del Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna

Giovanni Lercker del Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna afferma: "Per evidenziare le differenze qualitative si dovrebbe introdurre una nuova categoria, quella dell’olio extravergine di oliva di alta qualità, con un valore di alchil esteri inferiore a 30"



E se la quantità di Alchil Esteri è superiore a 30?

I produttori di olio del Salento leccese ora sanno che se il valore di alchil esteri è superiore a 30 è fortemente probabile che le olive prima della spremitura hanno subito “maltrattamenti” (schiacciature, ammaccature oppure sono rimaste molto tempo nei piazzali sotto il sole in attesa della spremitura) e l’olio ha un odore cattivo e risulta difettoso e che tale difetto è stato “corretto” attraverso la chimica che mette in atto un processo noto come deodorazione mild. Se a questo si accoppia un prezzo di 2 – 3 Euro al litro ecco che la probabilità si trasforma in certezza!



Da problema ad opportunità



Siccome l'etichettatura di un prodotto alimentare ha, per il consumatore, una importante funzione di tutela, informandolo sul prodotto che sta acquistando e consentendogli di scegliere quello che è maggiormente rispondente alle proprie esigenze io propongo ai produttori di olio extra vergine del Salento leccese di inserire sull’etichetta la quantità di Alchil Esteri contenuta nell’olio!



Il marchio d’area “Prodotti di Puglia” solo all’olio extra vergine d’oliva con meno di 10 milligrammi di alcil esteri per chilo di olio extra vergine d’oliva

La Regione Puglia e' la prima regione in Italia ad aver scelto di segnalare esplicitamente l'indicazione territoriale dei propri prodotti, proprio per garantire provenienza e qualita' dei prodotti agroalimentari, legando il proprio marchio alla rintracciabilita' della filiera. Io propongo che il marchio d’area “Prodotti di Puglia” sia concesso solo all’olio extra vergine d’oliva in cui sono riscontrabili quantità di alchil esteri inferiori a 10 milligrammi per chilo di olio extra vergine d’oliva e che tale dicitura sia chiaramente leggibile sull’etichetta.



L’appuntamento del 2012 per arrivare con un olio extra vergine del Salento leccese di straordinaria competitività.

Il tutto dovrebbe essere pronto per l'appuntamento del 2012, dopo le adesioni al Marchio Prodotti di Puglia in maniera tale da portare nel paniere di prodotti e nella griglia di produttori solo quelli che producono olio extra vergine di oliva con una quantità di alchil esteri inferiori a 10 milligrammi per chilo che cioè hanno sposato la filosofia della tracciabilità come asset strategico, che è la variabile che farà acquisire una competitività straordinaria ai produttori di olio extra vergine di oliva del Salento leccese .

Conviene coltivare il Kaki Mela (Diospyros kaki) nel Salento leccese?

Conviene coltivare il Kaki Mela (Diospyros kaki) nel Salento leccese?


di Antonio Bruno*



“…vi è uno stretto rapporto tra bosco, campo e giardino: in fondo il giardino, non è altro che il prolungamento degli altri…”.



Le rivelazioni di Vincenzo Castellano

Ieri sera con il mio amico e collega Vincenzo Castellano è venuto fuori un discorso sull’albero e sul frutto del Cachi oppure Kaki. Mi ha raccontato che ha acquistato il frutto di una cultivar che si chiama “Caco mela” al prezzo di 1 euro a frutto. In pratica a 3 euro e 50 centesimi al chilogrammo. Mi ha detto che aveva anche acquistato degli alberi di questo frutto che aveva messo nel pezzetto di Paesaggio rurale che possiede qui a San Cesario di Lecce. Mi ha detto che gli è piaciuto molto mangiare il Caco mela, i cui frutti hanno le stesse caratteristiche del caco tipo vaniglia, ma che rispetto a quest’ultimo hanno sapore e consistenza che ricordano vagamente la mela.



La mia esperienza con i kaki

Ho frequentato l’Istituto Tecnico Agrario “Giovanni Presta” di Lecce e ricordo le ore in cui con l’insegnante d’Azienda prof. Polimeno passeggiavamo lungo il viale con cui si raggiungeva la stalla dell’Agrario. Oggi laddove c’era la stalla è stato ottenuto un Istituto Alberghiero. Io e gli altri ragazzi negli anni 1970 – 1976 abbiamo fatto grandi scorpacciate di kaki che cadendo tappezzavano la proiezione sotto le chiome di quel bel filare di alberi. C’è la leggenda che dice che quando si dicono le bugie nel raggio di tre metri c’è un albero di cachi quest’ultimo fa cadere tutti i frutti. Infatti c’è il detto “Ma fai cadere i cachi dagli alberi!”. Certamente in quel tempo noi ragazzi ne abbiamo dette di bugie ai prof! Sono tornato più volte all’Agrario di Lecce per rivedere quegli alberi che hanno vita lunga, più di 50 anni. Dal 1970 ai giorni nostri ne sono passati 40 di anni ma degli alberi di cachi dell’Agrario di Lecce non è rimasta traccia. Peccato! Forse le bugie dei ragazzi che si sono succeduti in questi ultimi 40 anni oltre che a far cadere i frutti di cachi hanno anche provocato la mattanza degli alberi dell’Agrario di Lecce?



Cosa significa Diospyros kaki?

L'etimologia del nome scientifico DIOSPYROS parola formata da dios che significa dio, e da pyros che significa frumento, sottolinea l'importanza di questo frutto nell'alimentazione infatti la polpa contiene molte vitamine e proteine ed è ricca di zuccheri apportando 65 calorie per cento grammi.

La parola Cachi (kaki) è l’equivalente del suono in lingua giapponese con il quale si designa l’albero ed il frutto; con tale nome pervenne in Inghilterra e così si diffuse.



Perché il caco è anche detto loto?

Omero cita i litofagi che sono appunto i “mangiatori di loto” ricordate che questi offrivano agli ospiti questo frutto e questi ultimi assaggiandolo perdevano la memoria? Quel frutto non era il caco ma il giuggiolo (Zizyphus vulgaris L.) o al massimo del bagolaro (Celtis australis L.). E non è nemmeno il loto degli egiziani (Nymphaea lotus) da cui ricavavano i rizomi per l’alimentazione. Il cachi allora fu detto loto perché i greci e poi i romani con lotos indicavano diverse piante esotiche. Insomma siccome a chiamarlo cachi furono per primi gli inglesi in Europa snobbarono questo nome anglofono e preferirono ribattezzare il cachi “loto”, in memoria di ciò che facevano greci e romani.



L’albero di cachi sopravvissuto alla bomba atomica

L'albero del kaki è oggi considerato "l'albero della pace", perché al devastante bombardamento atomico di Nagasaki, dell'agosto 1945, sopravvissero soltanto alcuni alberi di Kaki. Tutto questo è accaduto nonostante quanto ha affermato Johnathan Shell, giornalista che dice “La bomba atomica non solo ruba la vita umana, ma distrugge anche la catena vitale di qualsiasi creatura che si alterna in un ciclo naturale di vita e di morte. La bomba atomica è la ‘morte della morte, che pone fine al fenomeno della morte.’”



I kaki mela hanno i semi



Tutti ricordiamo l’aspro in bocca dei cachi non maturi. Bisognava aspettare per avere la completa maturazione prima di assaggiare un caco!

Invece i kaki mela hanno i semi, e si possono mangiare anche quando sono ancora duri; se però i semi sono pochi, la polpa commestibile è solo quella che si trova a diretto contatto con loro.



Come coltivare i kaki mela

Nella preparazione del terreno bisogna fare attenzione al drenaggio e alla presenza di nematodi perché l’albero è molto sensibile. Non bisogna mai piantare l’albero di kaki su un terreno che è stato già utilizzato per questa coltivazione perché non tollera il reimpianto.



Le distanze e i costi di impianto di un ettaro di alberi di Kaki

Le piante ritirate dal vivaio devono essere messe a dimora in autunno-inverno usando astoni, che poi possono essere allevati a vaso, piramide, palmetta ricordando che quest'ultima forma avvantaggia l'ingresso in campo di carri a piattaforme laterali per la raccolta e la potatura. Le distanze tra gli alberi devono essere di 5,5 metri tra albero e albero e tra le file se si alleva l’albero a vaso e di 4,5 metri tra le file e 4 metri sulla fila se si alleva a palmetta. Quindi vi sono 22 file di palmetta per ettaro e 25 alberi di kaki mela per fila per un totale di 550 alberi di kaki mela per ettaro. Sapendo che una pianta in vaso di 2 anni viene venduta a € 24,00 si avrà una spesa per l’acquisto delle piante per ettaro di circa € 13.000.



Impollinatori

La presenza di impollinatori è indispensabile per ottenere i kaki-mela che non sono astringenti per la presenza dei semi in quento questa cultivar produce frutti gamici eduli al momento della raccolta.



Potatura

È doverosa un'adeguata potatura di allevamento mentre quella di produzione è sommaria dato che le piante mantengono una buona attività vegetativa. Siccome poi la pianta produce sui brindilli e i rami misti, nella potatura di produzione, gli interventi sono volti al rinnovo annuale dei rami a frutto in modo da avere un equilibrio produttivo.



Concimazioni

Il diospiro si avvale di concimazioni N non eccessive (40% in autunno per favorire l'accumulo di sostanze di riserva necessarie per il completamento della differenziazione delle gemme riproduttive alla ripresa vegetativa).



Raccolta

La raccolta rappresenta l'operazione più onerosa nella coltivazione; i frutti staccati manualmente sono posti in plateaux o cassette dove vengono mantenuti sia per la conservazione che per la commercializzazione.



Produzione di cachi per ettaro

Nel periodo 2001-2006 la resa media in Italia (circa 19 tonnellate ad ettaro) è stata più alta che in

Corea e Giappone (circa 10 tonnellate) e Israele (8,5 tonnellate).Nell’agro romagnolo si possono

superare rese anche di 50 tonnellate ad ettaro in impianti specializzati condotti a palmetta, applicando idonee pratiche colturali (concimazione, fertilizzazione e potatura). Un caco può pesare ben 250 - 300 grammi e quindi in media quattro frutti di cachi pesano un chilo. Un albero produce circa 140 frutti di cachi e quindi un ettaro di alberi di cachi produce circa 76mila frutti!

Con 19 tonnellate di kaki mela per ettaro sapete a quanto ammonterebbe la produzione lorda vendibile ai prezzi rilevati dal collega Vincenzo Castellano? Ebbene considerando il prezzo di 3 euro al chilo un ettaro di kaki mela darebbe una PLV di € 57.000 per ettaro. Ma anche volendo dimezzare tale dato avremmo una PLV di circa € 30.000. Che ne dite, vale la pena tentare la coltivazione?



Bibliografia



Fabio Di Gioia, Salvaguardia e coltivazione delle varietà antiche di kaki

Fratelli Ingegnoli Catalogo PIANTE DA FRUTTO KAKI MELA - NOVITA' 2011 - http://www.ingegnoli.it/negozio/index.php/piante-da-frutto/kaki-mela-novita-2011.html

Comitato Esecutivo del Progetto dell’ Albero di Cachi “Rinascita del Tempo” 8-5 Otogo, Moriya-shi, Ibaraki, 302-0123 Japan Fax: +81 (0) 297-20-6543 Email kaki@bolero.plala.or.jp http://www6.plala.or.jp/kaki-project/

ELVIO BELLINI ed EDGARDO GIORDANI, Marketing e nuove varietà per il rilancio del kaki

Fabio Gori, Frutta d'autunno

Italo Arieti, Cachi o Kaki

sabato 19 febbraio 2011

L’agricoltura del Salento, il Paesaggio e la tutela dell’ambiente

L’agricoltura del Salento, il Paesaggio e la tutela dell’ambiente

di Antonio Bruno

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La tutela del paesaggio e dell'ambiente, la valorizzazione dei prodotti tipici e la sinergia fra agricoltura e turismo che sono settori vitali per l’economia del Salento leccese; settori ricchi di opportunità di sviluppo.

L’agricoltura partecipa all’offerta di ospitalità del Salento leccese con l’agriturismo e sostiene la tutela del paesaggio e dell'ambiente naturale.

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Stanno distruggendo il territorio del Salento leccese

Assistiamo a una costante sottrazione di suolo all’agricoltura che oltre ad essere un limite alla potenzialità produttiva del settore primario espone il territorio distratto dalla destinazione agricola a modificazioni urbanistiche che negano la tutela del paesaggio e la tutela dell'ambiente, bruciando ogni anno preziose risorse utili allo sviluppo del turismo nelle zone rurali.



Nel Salento leccese a rischio la genuinità e la qualità molte produzioni agricole tradizionali

E’ allarmante la rapidità con cui si contaminano con nuove costruzioni preziosi paesaggi e ambienti naturali , frutto del lavoro di secoli, in nome di necessità contingenti, come le entrate assicurate ai bilanci comunali dalle licenze di edificazione a dall’ICI. Anche le misure di emergenza rese necessarie dalla assenza di una ordinata programmazione, come nel caso dello smaltimento dei rifiuti, mettono a rischio la genuinità e la qualità molte produzioni agricole tradizionali, talvolta già riconosciute a denominazione d’origine protetta, che hanno fin qui validamente contribuito a caratterizzare l’offerta enogastronomica italiana.



Il Salento leccese ha più impianti fotovoltaici della Cina

Il Salento leccese è letteralmente coperto da sproporzionati impianti fotovoltaici, in nome di un primato italiano infatti sul Quotidiano di Lecce del 15 febbraio 2011 vi è riportato un dato enorme a livello mondiale, in campo internazionale il Salento leccese batte addirittura la Cina per potenza degli impianti installati. Infatti nel Salento leccese sono stati installati 235 MegaWatt contro i 160 dell’itera Cina. Questo è il fenomeno della diffusione selvaggia di impianti energetici, soprattutto eolici e fotovoltaici. Sono stati ubicati una miriade di impianti che hanno compromesso non solo il paesaggio agricolo, ma anche gli equilibri naturali come suolo, fauna e microclima, che sono alla base di una agricoltura di qualità.



Italia Nostra ha bloccato l’impianto di 45 ettari di pannelli a Scorrano, Botrugno e Sanarica,

Italia Nostra ha portato in tribunale per mancanza di VIA (valutazione di impatto ambientale) una delle ormai tante fattorie di impianti fotovoltaici che sostituiranno tra breve in tutto il Salento leccese i campi di grano e gli uliveti. Al TAR della Puglia Italia Nostra ha ottenuto ragione contro la società SCHUCO International Italia e i comuni di Scorrano, Botrugno, Sanarica, che a fianco di una masseria tipica del Salento vorrebbero installare una centrale fotovoltaica che si estenderebbe su una superficie di 45 ettari (450.000 mq) per una potenza di 16 Mega Watt.



La dichiarazione di Ruggero Martines Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia

Ruggero Martines , Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia ha dichiarato: “Gli interventi di impianti fotovoltaici in Puglia, se da una lato producono energie rinnovabili, stanno producendo un grave danno a un bene che rinnovabile non è: il paesaggio”. Fra 20 anni chi potrà demolire queste istallazioni e come potranno essere smaltiti i materiali inquinanti. Intanto gli agricoltori impoveriti vendono e affittano anche i terreni più pregiati e l’agricoltura sparisce.



Linee Guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili

Siccome era necessario stabilire una più stretta sinergia fra le politiche di sviluppo dell’agricoltura e del turismo, riaffermando con forza il ruolo dello Stato nella tutela del paesaggio e della tutela dell'ambiente, che sono risorse di interesse nazionale sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 18 settembre 2010, le Linee Guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.



In Puglia tutto on line

La regione Puglia, partendo dalle Linee guida nazionali ha individuato le aree non idonee all’installazione degli impianti, in attesa del decreto che assegnerà alle Regioni la quota minima di produzione di energia da fonti rinnovabili. La novità principale è rappresentata dal fatto che il tutto sarà completamente informatizzato. È stato infatti studiato un sistema che comprende il procedimento amministrativo e i dati di carattere territoriale, attraverso due portali, quello dell’Area Politiche per lo Sviluppo, il Lavoro e l’Innovazione e il SIT, il Sistema Informativo Territoriale, che contiene mappe e informazioni di carattere territoriale accessibili anche da chi intende proporre l’installazione di un impianto. Tutta la documentazione prevista sarà quindi generata dal Sistema Puglia per quanto attiene la parte amministrativa e dal Sit per quella cartografica, tutto in formato digitale e via posta elettronica certificata.



Cosa fare del Paesaggio agrario del Salento leccese?

Preso atto della frammentazione del Paesaggio Agrario del Salento leccese si tratta di stabilire come produrre e cosa bisogna fare per produrre, lavorare, confezionare e vendere prodotti agricoli in piccola o piccolissima scala.

Sinteticamente la situazione media del possessore di Paesaggio rurale del Salento leccese è rappresentata da una proprietà di circa 8000 metri quadrati di terreno. Su questa superficie potrebbero essere presenti 65 alberi di olivo, 11 filari di vite, una bella radura da dedicare a orto, 25 alberi da frutta, una piccola produzione di miele ( 4-5 arnie), un po' di piante micorrizate con tartufo e la coltivazione di funghi.

Questa estensione di terreno è troppo piccola per inquadrare l’attività come Impresa Agricola ecco perché deve essere spiegata a chiare lettere la maniera legale per poter vendere i prodotti di questa azienda. La questione potrebbe riguardare soprattutto il VINO infatti in questa realtà si potrebbe avviare una produzione di stile biodinamico Triple AAA per una produzione di 1000 bottiglie. In tal caso volendo imbottigliare il vino, etichettare le bottiglie per poi venderle si deve avere ben chiaro come ciò possa essere fatto. Stessa cosa per l'olio, il miele, i funghi e i tartufi.



Valorizzazione dei prodotti agricoli del Salento leccese attraverso la Cooperazione

E’ di fondamentale importanza, ai fini del raggiungimento degli obiettivi della valorizzazione dei prodotti agricoli del Salento leccese, la componente di “servizio” legato alla produzione e vendita di tali prodotti e servizi, inteso soprattutto come rapporto con gli utenti, i clienti ed i fornitori in termini di disponibilità programmata di prodotti, di sistemi di tracciabilità delle materie prime, di gestione di reclami e comunicazioni con l’utente finale, di monitoraggio della soddisfazione e della qualità percepita. Tale servizio dovrebbe essere fatto attraverso l’Associazione tra i piccoli proprietari anche sotto forma cooperativa e l’azione di tale struttura dovrebbe riguardare processi di valorizzazione dei prodotti tipici e di promozione del territorio per avere un risultato trasversale dell’attivazione di sistemi di concertazione tra le istituzioni nazionali e locali, le associazioni di produttori, le ONG, le agenzie di sviluppo locale e i produttori del territorio. Inoltre valorizzando e promuovendo i prodotti tradizionali di pregio del Salento leccese, si favorirebbe lo sviluppo di forme di turismo responsabile nelle aree rurali.

giovedì 17 febbraio 2011

La fragola del Salento leccese Fragaria vesca

La fragola del Salento leccese Fragaria vesca

di Antonio Bruno



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Le fragole di bosco (Fragaria vesca) sono le uniche fragole selvatiche europee, a differenza di quelle a grossi frutti derivate da varietà di origine americana e arrivate in Europa verso la fine del XVIII secolo.

Queste fragoline crescono spontaneamente nella maggior parte delle nostre regioni, ma sono anche molto facili da coltivare in terra piena ogni pianta produce in media grammi 100/150 di frutti.

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Significato del nome

Il nome fragola deriva dal latino “fragrant”, cioè fragrante, per la sensazione gustativa che ci ricorda il frutto mentre “vesca” nella lingua latina significa molle.



Le fragole di Luigi XIV di Francia il Re Sole

Il Re Sole faceva coltivare le fragole nei giardini di Versaille e usava le fragoline di bosco e quando passeggiava nei giardini della Reggia le raccoglieva. Il Re sole mandava i suoi uomini nei boschi a caccia di piantine di fragole che venivano estirpate per poi essere piantate nei giardini della reggia.



La fragola strumento di seduzione

Questa diventò una vera e propria moda perché le dame per essere seduttive nei confronti degli uomini mangiavano fragole che si diceva avessero proprietà conturbanti.



Le virtù magiche delle fragole

Nel medio evo c’era la credenza popolare che le fragole possedessero virtù magiche. Se si raccoglievano le foglie di fragola il 24 di giugno che è la notte di San Giovanni, notte magica per antonomasia e se queste foglie dopo essere state raccolte quella notte venivano essiccate e intrecciate in una cintura che poi doveva essere indossata quando gli uomini o le donne ecco che quando andavano poi a passeggiare nel bosco, che all’epoca era la mensa e la farmacia sempre aperta, i serpenti che dimorano nel bosco, sentendo il profumo di queste foglie intrecciate di fragola, si allontanavano proteggendo chi indossava quella cintura.



Fragole ed Eros

Le fragole vengono sempre accoppiate all’eros per il colore rosso passione e poiché nel medio evo di pensava che il cuore fosse il depositario dei sentimenti. Ma la fragola è un cibo afrodisiaco perché se accompagnata con la panna oppure con il cioccolato la fragola mangiata con la persona amata in un’atmosfera particolare esprime una magia senza limiti



Mangiare le fragole per curare il “Mal d’amore”

Siccome la fragola ha una forma che è simile a quella del cuore vi è la credenza che chi soffre di “Mal d’amore” riesca ad alleviare quel grande dolore, che se non l’avete mai provato non sapete cosa vi siete perso, mangiando tante fragole.



La pianta

La fragola è una pianta erbacea perenne che si propaga per stoloni (è un ramo laterale che spunta da una gemma ascellare vicino alla base (colletto) della pianta, definita appunto stolonifera, e che si allunga scorrendo sul suolo, o appena sotto il terreno, emettendo radici e foglie dai nodi da cui si generano nuove piantine) ed è caratterizzata dalla presenza di un breve fusto per lo più interrato rizoma (da rizo-, radice, con il suffisso -oma, rigonfiamento) che è ingrossato, sotterraneo con decorso generalmente orizzontale. su cui sono inserite foglie e infiorescenze; dalla base del fusto partono anche radici primarie e secondarie che formano un apparato radicale fascicolato.



I fiori

I fiori, riuniti in infiorescenze, hanno cinque petali bianchi. L’impollinazione è di tipo anemofilo (vento) ed entomofilo (insetti pronubi).



Il frutto

Botanicamente il frutto è un falso frutto: infatti il vero frutto è rappresentato dagli acheni, cioè da

quei “semi” inseriti più o meno profondamente sulla superficie dell’epidermide.

A seconda della varietà esistono forme e colori diversi del frutto, che può presentarsi più o meno

arrotondato o conico con variazioni di colore dal rosso aranciato al rosso scuro.



Che varietà scegliere?



Reine des Vallées: frutti rossi con polpa bianca e molto profumati. È una varietà che non produce stoloni, cosa che le permette di garantire un migliore rendimento, ma non di assicurare la sua eventuale moltiplicazione.

Blanche de bois o Golden Alpine: ha frutti bianchi avorio molto dolci.

Capron: è una piccola fragola selvatica che fa parte di un'altra specie, la Fragaria moschata, altrettanto deliziosa, profumata e produttiva. È anche conosciuta con il nome di fragola delle quattro stagioni: si tratta di un'esagerazione, infatti produce frutti solo da maggio alle prime gelate.



Come coltivarla?



Scegli un posto poco assolato durante le ore calde e lavora bene il terreno, togliendo tutte le erbacce.

Se serve, aggiungi compost maturo e terriccio per abbassare il livello del ph (deve rimanere tra 5,5 e 6,6).

Compatta leggermente la superficie passando un rullo.

Tenendo conto della natura del terreno, pianta in piano se non ci sono ristagni di acqua o in pendenza se il posto prescelto è molto umido in inverno.

Lascia un metro tra un filare e l'altro di fragole e circa 40 centimetri tra una piantina e la successiva. Il colletto delle piante deve sempre affiorare dal terreno.

Distribuisci della pacciamatura per proteggere il terreno dal sole e dalla pioggia: la paglia sminuzzata è perfetta così come l'erba del prato tagliata e fatta seccare, o ancora le foglie che si stanno decomponendo. Annaffia con regolarità, soprattutto se non piove.

Se vuoi coltivare la fragola in vaso, utilizza un mix leggero fatto di torba e piccoli pezzi di corteccia decomposta. Ricorda che tutti i mesi devi dare concime completo del tipo 8/5/15. Prevedi un sistema di annaffiatura automatica, goccia a goccia, e metti il vaso a mezz'ombra.



Le proprietà medicinali della fragola

Come erba medicinale la fragola di bosco può essere impiegata per alleviare disturbi gastrointestinali.

I principi attivi contenuti nella pianta sono olii essenziali, tannino e flavone.

Contiene buone dosi di vitamina C, di iodio, di ferro, di calcio, di fosforo. Da non sottovalutare la presenza, nel frutto, di acido salicilico. Le sono attribuite proprietà depurative e diuretiche. È indicata nelle infammazioni del cavo orale.

mercoledì 16 febbraio 2011

L’acqua del Salento leccese: minaccia e risorsa

L’acqua del Salento leccese: minaccia e risorsa
di Antonio Bruno*
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Il 15 febbraio a Roma c’è stato un Convegno dell’Associazione Nazionale Bonifiche in cui è stata resa nota l’Indagine nazionale sulla percezione dell’acqua come minaccia e quale risorsa con particolare riferimento al ruolo svolto dai Consorzi di bonifica per la difesa idraulica e la conservazione del suolo nonché per la gestione delle acque. In questa nota la sintesi dei risultati di tale sondaggio
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La testimonianza di Eleonora Daniele
Nubifragi, straripamenti e alluvioni, ma anche scosse telluriche. Emergenze che hanno colpito il nostro Paese, da Nord a Sud, causando danni e disagi ingenti e, in alcuni casi, anche vittime. La situazione più critica è stata nel Veneto, soprattutto nelle zone di Vicenza, Verona e Padova.
La paura, di questo ha parlato Eleonora Daniele l’ha fatto attraverso l’espressione delicata del suo viso delicato e con lo sguardo sperduto di chi ha vissuto la trepidazione dell’attesa di notizie di parenti e amici che potevano perdere la vita. L’ha fatto nella Sale delle Conferenze di Piazza Monte Citorio 123/A davanti a tutti i rappresentanti dei Consorzi di Bonifica d’Italia convenuti a Roma. E’ stato davvero coinvolgente il racconto di Eleonora Daniele che riguardava le popolazioni venete che sono state duramente colpite dalle pesanti avversità atmosferiche, in particolare dalle abbondanti piogge che il 31 Ottobre e nella prima settimana di Novembre 2010. Eleonora ha ricordato a tutti che hanno causato morti, migliaia di sfollati e centinaia di migliaia di persone danneggiate in vario modo con gravi danni (argini, strade, case, aziende...) nei territori di oltre un centinaio di comuni.
Eleonora ha concluso affermando che questi eventi impongono accanto all'impegno solidale e ai doverosi interventi da parte delle istituzioni, l'esigenza di riconsiderare e potenziare le politiche di gestione territoriali e ambientali, sia a livello centrale che a livello locale.

La percezione del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”
A Roma per discutere dell’acqua, della sua percezione come minaccia e risorsa. Faccio questo lavoro e devo dire che più volte mi sono chiesto se gli abitanti del Salento leccese percepissero il ruolo che svolge il Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”. Mi è venuta in aiuto la SWG una delle agenzie di sondaggi più importanti del nostro paese http://www.swg.it/ che ha studiato scientificamente la percezione degli italiani sul ruolo dei Consorzi di Bonifica. Già la percezione che è definibile come il processo psichico che opera la sintesi dei dati sensoriali in forme dotate di significato. Che significato hanno i Consorzi di Bonifica per gli italiani.

La metodologia attuata
La SWG ha fatto un campione di 800 soggetti maggiorenni residenti in Italia stratificati su base territoriale. I metodi utilizzati per l'individuazione delle unità finali sono stati di tipo casuale, come per i campioni probabilistici. Tutti i parametri sono uniformati ai più recenti dati forniti dall'ISTAT. I dati sono stati ponderati al fine di garantire la rappresentatività rispetto ai parametri di sesso, età, zona di residenza.

L’utilità del consorzi di Bonifica
L’Italia sempre più è un Paese a rischio dal punto di vista della sicurezza ambientale. L’ indagine condotta per l’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni e presentata a Roma da Roberto Weber, presidente dell’istituto di ricerca SWG, fotografa la situazione di un territorio in crescente pericolo: 3 italiani su 4 sostengono che il Paese si trova a dover fronteggiare una crescente emergenza ambientale.
Disboscamento (58%), abusivismo edilizio (52%), cementificazione dei letti dei fiumi (38%), costruzione incontrollata di infrastrutture (32%), sono – secondo la popolazione - alcune delle cause alla base dei problemi di carattere idrogeologico (frane, smottamenti, inondazioni).
Circa 6 italiani su 10 si sono trovati almeno una volta a dover affrontare qualche disastro legato a fenomeni naturali e il 43% della popolazione ha dovuto affrontare alluvioni, esondazioni o frane/smottamenti, i cui danni, se non evitati, potevano essere senz’altro limitati, intraprendendo un’opportuna opera di prevenzione e manutenzione idrogeologica attraverso una specifica e dedicata attenzione agli alvei dei fiumi, agli argini e ad una generale cura territoriale.
Il rischio di disastri idrogeologici rispetto alla zona di residenza preoccupa quasi la metà della popolazione, che richiede a gran voce un attento e costante monitoraggio territoriale finalizzato ad un’attività di prevenzione.
In questo clima di emergenza acquista quindi più valore l’operato dei consorzi di bonifica, che da sempre si adoperano per la difesa del suolo e la gestione delle risorse idriche la cui presenza sul territorio è riconosciuta dal 67% della popolazione.
I cittadini chiedono oltre all’intervento delle Istituzioni (Ministero, Regioni, Comuni) anche quello di organismi specifici come i consorzi di bonifica. Laddove la presenza dei consorzi è più forte e quindi più conosciuta l’attività svolta, viene maggiormente richiesta la loro opera di prevenzione.
Mai come ora la popolazione si dimostra cosciente dell’importanza di un utilizzo consapevole delle risorse naturali, prime tra tutte l'acqua, e della necessità dell’opera dei consorzi di bonifica, la cui presenza viene considerata indispensabile non solo nelle zone agricole, ma anche in quelle urbanizzate.
E anche se non tutte le attività svolte dai consorzi di bonifica risultano conosciute dalla popolazione , non sembrano esserci dubbi sull’importanza del doppio ruolo, cui sono chiamati i consorzi: limitare i danni provocati dai fenomeni alluvionali (93%) e rimettere in sicurezza idrogeologica i territori colpiti (92%).

Prevenzione, Informazione e Pianificazione
I consorzi di Bonifica svolgono una corretta opera di manutenzione lungo i corsi d’acqua perché sono consapevoli che tale attività è l’arma contro il rischio idrogeologico. Prevenzione, Informazione e Pianificazione a questo contribuisce l’azione del Consorzio di Bonifica “Ugento e li foggi”. Noi del Consorzio facciamo la nostra parte affinché non si arrivi più all’emergenza, affinché la prevenzione, la buona gestione del territorio, il monitoraggio e la segnalazione alle autorità competenti di situazioni di illegalità e di rischio lungo la rete idrografica del Salento leccese, diventino attività ordinarie e quindi strategie vincenti.

domenica 13 febbraio 2011

A San Valentino 2011 regalo i fiori del Salento leccese

A San Valentino 2011 regalo i fiori del Salento leccese

di Antonio Bruno

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C’è un settore importante per l’economia del Salento leccese questo è il florovivaismo. La produzione florovivaistica delle Puglie ha un’ incidenza sul comparto florovivaistico nazionale pari a circa l’11,4%. Sono 680 gli ettari di superficie pugliese occupata a florovivaismo e la produzione vendibile si attesta sui 185 - 220 milioni di Euro all’anno. Un settore che va però sostenuto in un momento in cui i mercati registrano una forte presenza di produzioni provenienti dall’Africa. Il florovivaismo pugliese costituisce l’11% della produzione nazionale, subito dopo Liguria e Campania, testa a testa con la Sicilia.

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Innamorato perdutamente/Senza mentire ...niente/scalare montagne/spegnere fuochi/restare distante/ridere delle tragedie/fare cose segrete/Non c'è più la mente/Senza presente, ...Incosciente/Completamente assente/Innamorato, non sente/Sincero, sbadato, prudente/Troncato da quell'incidente/Senza un ricordo/Ridotto, silente...Per chiudere quella ferita /Sparita, sfuggita di mano/Nulla di strano/Promettimi che andrai a far baldoria/Senza più storia/Senza memoria/Solo quel viso, ...la voce tua ora/ripete per sempre/….illudimi ancora...



I fiori delle serre del salento leccese

Tutti sappiamo che possiamo ottenere produzioni di fiori a patto di farlo nelle serre e come tutti sanno le serre hanno bisogno di essere riscaldate ma, nel Salento leccese, il clima particolarmente favorevole consente un notevole contenimento dei costi di energia e da questo nasce un vantaggio concorrenziale.



Il settore del florovivaismo nel Salento leccese

In Italia secondo l’ultimo censimento dell’agricoltura risultano attive più di 33mila aziende florovivaistiche per una superficie coltivata di quasi 39mila ettari. Il 48% di queste aziende sono specializzate per la floricoltura, mentre il 43% è dedito al vivaismo e solo il 9% a entrambe le attività.

Il florovivaismo in Puglia trova la sua massima espressione soprattutto nel Salento, sui mercati di Taviano e Leverano e nell’area di Terlizzi, nella provincia di Bari. Sono un migliaio le aziende pugliesi del settore florovivaistico, 5mila gli addetti ed un fatturato complessivo di 150 milioni di euro.



I fiori e le piante coltivate in Puglia

Le principali tipologie produttive del settore florovivaistico pugliese sono:

• FIORI RECISI (garofano – rosa – anthurium – gerbera – crisantemo – lilium – fresie – alstroemeria – gladiolo – iris);

• PIANTE IN VASO (viola – petunia – vinca – celosia – geranio);

• FOGLIE, FRONDE VERDI e FIORITE (aralia – monstera – asparagus e asparagus plumosus – aspidistria – gypsophila);

• PIANTE ORNAMENTALI MEDITERRANEE DA ESTERNO (olea europea – phoenix canariensis – cycas – cocus – whashingtonia – thritrinax – beucarnea recurvata).



La concorrenza dei Paesi terzi e l’esportazione

Vi è un incremento delle importazioni da Paesi terzi ma anche una corrente di esportazioni verso i Paesi ex-balcanici (Bosnia Erzegovina, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia, Slovenia), che interessa soprattutto i garofani. Altalenante l’andamento delle rose ha indotto la riconversione di diversi roseti verso coltivazioni più remunerative e richieste dal mercato quali gerani, stelle di Natale, ortensie, ecc.

Si registra la crescita la coltivazione di foglie e verde per decorazione ed addobbi floreali.



Il paradosso del Salento leccese

Il florovivaismo pugliese produce eccellenze ma non le commercializza in maniera adeguata. Piante e fiori raccolti dalle serre del Salento leccese, spesso, vanno sui mercati del Nord Italia e in Olanda, e poi ritornano indietro sui nostri scaffali.



Il papà di Anna Maria negli anni 50 da Taviano va a Sanremo

A Taviano la capitale del florovivaismo del Salento leccese. Alla fine degli anni 60 molti agricoltori ritornarono in Puglia dopo aver trascorso un lungo periodo in Liguria e precisamente a Sanremo. Anna Maria Palma è uno dei produttori dei fiori del Salento leccese.

Il papà di Anna Maria negli anni 50 – 60 è andato a Sanremo per imparare a coltivare i fiori. La coltivazione dei fiori era assente a Taviano del Salento leccese e nell’intera Puglia.



La floricoltura del Terzo Millennio a Taviano

Nella serra di Anna Maria Palma i fiori non li raccoglie lei, le sue dolci e delicate mani sono state sostituite da un Robot! E’ una macchina che taglia i fiori lasciando intatte le radici! La serra di Anna Maria Palma è super tecnologica! Dagli anni 60 ai nostri giorni sono avvenuti molti cambiamenti a Taviano del Salento leccese.



Si sa già il giorno in cui raccogliamo i fiori

Le serre che poi sono l’unità produttiva delle aziende florovivaistiche, sono totalmente meccanizzate e nei cicli di coltivazione possiamo pianificare tutto. Le aziende floricole sono delle vere e proprie aziende ibride a metà strada fra le aziende agricole e industriali perché i cicli produttivi sono ormai standardizzati. Anna Maria Palma oltre che a conoscere con precisione il giorno in cui trapianta le piantine dei fiori in serra, conosce anche con esattezza il giorno in cui raccoglierà i fiori ed è questa la differenza tra Anna Maria Palma ed i proprietari del Paesaggio rurale che lavorano sotto il cielo del Salento, esposti a tutte le intemperie e alla precarietà delle condizioni meteorologiche.



La tecnologia per la produzione dei crisantemi tutte le stagioni

Questa differenza è una conseguenza degli interventi che si possono fare sotto la protezione dei teli della sera sui fattori climatici che determinano la fioritura. Anna Palma decide anche quanto deve crescere la pianta e di che dimensioni deve essere il fiore che produce. In particolare Anna Palma produce il “crisantemo programmato” perché normalmente il crisantemo fiorisce in novembre per il noto fotoperiodismo breve, per fiorire in pratica il crisantemo ha bisogno di poca luce e tutti sappiamo che a novembre le giornate sono davvero corte nel senso che ci sono poche opre di luce solare.

Anna Maria Palma nella sua serra crea artificialmente le condizioni per l’induzione a fiore attraverso l’oscuramento della serra che riproduce il giorno corto di novembre in qualunque mese noi desideriamo che si verifichi.

Nelle fase iniziali quando il giorno è corto si fa l’interruzione della notte attraverso l’illuminazione artificiale. Il buio invece si ottiene attraverso la copertura delle serre con i teli neri ed in questo modo si ottiene l’induzione a fiore.



A Taviano Chloris arte in fiore

C’è un atteso appuntamento di arte e cultura ispirato ai fiori e promosso dal Comune di Taviano e specificamente dall’Assessorato alla promozione Taviano Città dei Fiori che si chiama Chloris arte in fiore che rappresenta una vera e propria azione di marketing, di promozione del territorio. I fiori sono il filo conduttore di un percorso artistico e culturale da godere passeggiando nel Centro storico di Taviano, ricco di caratteristici vicoli, piazze e case a corte.



Il Distretto Florovivaistico di Puglia

In data 6 ottobre 2009 con la Legge Regionale n. 23 del 3 agosto 2007, “Promozione e riconoscimento dei distretti produttivi”, è stato ufficialmente riconosciuto il “Distretto Florovivaistico di Puglia” Il principale obiettivo è quello di creare in Puglia un unico mercato con l’unificazione di quelli di Taviano – Leverano – Terlizzi, considerati fra i più significativi a livello nazionale. Vi è una grande importanza economica dei tre mercati, i quali, pur assorbendo in media il 55-60% della rispettiva produzione, sono il punto di riferimento per più di mille florovivaisti e formano un volume di affari di circa 60 milioni di euro (15-18 milioni Leverano, altrettanti Taviano

e almeno 30 Terlizzi).



Cosa fare per il florovivaismo Pugliese?

Il settore florovivaistico dovrebbe spingersi all’aumento della cooperazione e l’associazionismo tra gli operatori, a una efficiente organizzazione commerciale, al prolungamento della shelf life (durata di conservazione) dei fiori recisi, all’utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili e alla riduzione della chimica impiegata per la crescita e la difesa delle piante da fiore

Il Peperone del Salento leccese Capsicum annuum L

Il Peperone del Salento leccese Capsicum annuum L

di Antonio Bruno*

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Ieri sera, dopo aver preso parte ai lavori del seminario avente per tema l’Agricoltura nel parco di Ugento, insieme al mio amico Rori siamo andati a trovare un altro amico a Presicce.

Ho detto a Rori che dovevamo andare a mangiare http://www.trattorialanticapietra.com/ all’Antica Pietra. Bellissima serata in compagnia di nuovi amici tra i quali spicca Luigi Turi “all’anima dei tubi!”.

Tanti antipasti e tra questi l’immancabile peperonata che a Presicce “fa commuovere!”. Come dici? Non capisci cosa faccia commuovere in una peperonata? Se è piccante da far venire le lacrime vedrai che capirai!

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Origini

Originario, secondo De Candolle, del Brasile e secondo altri studiosi della Giamaica, noi sappiamo invece che il peperoncino piccante era usato come alimento fin da tempi antichissimi. Dalla testimonianza di reperti archeologici sappiamo che già nel 5500 a.C. era conosciuto in Messico, presente in quelle zone come pianta coltivata, ed era la sola spezia usata dagli indiani del Perù e del Messico. In Europa il peperoncino giunse grazie a Cristoforo Colombo che lo portò dalle Americhe col suo secondo viaggio, nel 1493.

La sua diffusione fu velocissima: nel 1542 se ne conoscevano già tre varietà, nel 1640 tredici, alla fine del 1600 trentacinque. In Italia è segnalato, per la prima volta, nel 1551.



Le superfici di compensazione ecologica

Prima di decidere di coltivare il peperone o qualunque altra coltivazione ricordati di mantenere nel tuo pezzetto di paesaggio rurale superfici di compensazione ecologica. Ho capito! Non sai che cavolo sono! Adesso te lo spiego io. Le superfici di compensazione ecologica sono quelle parti del tuo pezzo di paesaggio rurale che non devono ricevere apporti di fertilizzanti e fitofarmaci, e che devono essere almeno il 3% della superficie agricola totale. Io ti sto consigliando questo per rafforzare la biodiversità sia nel tuo pezzetto di territorio che in tutto il resto del paesaggio rurale. Cosa ti consiglio di fare? Nel tuo pezzo di paesaggio rurale devi prevedere almeno un’opzione naturale od ecologica, tra le seguenti:

- presenza di siepi;

- gestione razionale delle superfici improduttive;

- mantenimento di muretti a secco;

- impiego di insetti utili.



Rotazione

Ti suggerisco una rotazione almeno biennale. Significa che l’anno successivo alla coltivazione del peperone, su quello stesso pezzetto di terreno l’anno successivo non dovranno essere coltivate altre solanacee (patata, melanzana, pomodoro).



Lavorazioni

I lavori preparatori del terreno per l’impianto della coltura consistono in un’aratura principale alla profondità di 40-50 cm seguita da una accurata frangizollatura.

Successivamente, nel caso il terreno sia ben strutturato è sufficiente una fresatura, con eventuale erpicatura. Il trapianto dovrà essere effettuato su terreno ben livellato e privo di flora infestante. Inoltre si dovrà evitare la compattazione del terreno stesso e la formazione di suole di lavorazione.



Trapianto

In pieno campo il trapianto va fatto dalla fine aprile ai primi di maggio si utilizzano piantine provviste di pane di terra, allevate in appositi contenitori, di circa 35-40 giorni di età, con apparato radicale ben sviluppato e con 3-4 foglie vere.

Normalmente la densità è compresa tra 25.000 - 40.000 piante per ettaro che di solito si ottiene disponendo le piante ad una distanza di 40 - 50 cm sulla fila e circa 70-100 cm tra le file.

Concimazione

Si provvede a una buona concimazione di fosforo e potassio.

Per la distribuzione dei concimi azotati è generalmente preferibile la forma frazionata: 30% somministrata in pre-trapianto, la quota rimanente in copertura, suddivisa in due interventi, all’inizio della fioritura e all’inizio della maturazione dei frutti.

Le dosi massime, per una produzione di circa 50 t/ha di bacche e per un terreno di media fertilità e di medio impasto, sono:

150 kg/ha di Azoto;

120 kg/ha di Fosforo (P2O5);

200 kg/ha di Potassio (K2O);

In caso di applicazione della fertirrigazione le U. F. sopracitate si possono ridurre del 30%.



Irrigazione

Si può considerare un volume di adacquamento per turno di 200 - 300- metri cubi di acqua per ettaro, per 15-20 interventi, con un turno irriguo di una volta ogni 4 – 5 giorni.



Maturazione

Benché esistano varietà che conservano il colore verde per l’intero ciclo della maturazione, nella

maggior parte dei casi i peperoni verdi sono soltanto i frutti acerbi delle varietà che diventeranno

poi rosse o gialle.

Gialli, verdi o rossi, i peperoni cambiano gusto proprio a seconda del loro colore: quelli verdi vengono raccolti quasi sempre appena prima della maturazione ed hanno un gusto leggermente amaro; quelli rossi hanno un contenuto più elevato di zuccheri e di carotene, la polpa è croccante e il sapore fruttato; quelli gialli, infine, sono la varietà più succosa e più tenera e, spesso, costituiscono la versione matura di quelli inizialmente verdi.



Bibliografia

Iris Fontanari, UN ORTAGGIO COLORATO E PICCANTE: IL PEPERONE DOLCE DA TAVOLA

Regione Puglia/ Osservatorio per le Malattie delle Piante Linee Guida di Difesa Integrata Reg. 2078/Aggiornamento2004, DISCIPLINARE DI AGRICOLTURA INTEGRATA DEL PEPERONE

venerdì 11 febbraio 2011

L'agricoltura nel Parco di Ugento del Salento leccese


L'agricoltura nel Parco di Ugento del Salento leccese
di Antonio Bruno*
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Nell'ambito del progetto "Viviamo il Parco" finanziato dalla Fondazione per il Sud, l'Ente di gestione del Parco Naturale Regionale "Litorale di Ugento" l’11 febbraio 2011 presso il NUOVO MUSEO DI ARCHEOLOGIA cittadino si è tenuto il seminario tematico “ L'agricoltura nel Parco”
Nel corso degli anni la trasformazione degli habitat a macchia, caratteristici dell’area di Ugento, ha lasciato il posto alla coltivazione dell’oliveto intensivo, incentivato anche da politiche agricole comunitarie (PAC).
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Com’è fatto il territorio del Comune di Ugento del Salento leccese
Il comune di Ugento si estende lungo la costa sud occidentale della provincia di Lecce con una superficie territoriale complessiva di 99 kmq e con una densità (120 ab/kmq) pari a circa la meta di quella provinciale.
L’agricoltura interessa quasi il 60% del territorio comunale, con una SAU di quasi 6.000 ha ed oltre 3.600 aziende, caratterizzate da dimensioni medie estremamente contenute (1,6 ha); inoltre 2400 aziende che rappresentano l’80% del totale possiedono circa 2900 ettari ovvero il 40% della Superficie Agraria Utilizzata. Le restanti 1200 aziende possiedono 3100 ettari con una superficie media di 3 ettari circa.

Le criticità dell’Agricoltura di Ugento
Sono sotto gli occhi di tutti i cambiamenti nelle scelte dei consumatori e dei cittadini riguardo il ruolo dell’agricoltura e dei suoi prodotti, che si traduce in una nuova domanda di servizi relativi alla salute,all'ambiente e al paesaggio.
A Ugento del Salento leccese abbiamo a che fare con un’area caratterizzata da forte antropizzazione,dall’invecchiamento degli agricoltori, dall’insufficienza del turn-over nella conduzione di aziende agricole e dalle difficoltà legate al livello di istruzione.
Problemi che, presi insieme, portano a farci ipotizzare che la sostenibilità dell’agricoltura in questa zona del Salento debba essere ancora raggiunta.

La crisi del mercato agricolo e le nuove opportunità per l’agricoltura

I costi ed i prezzi sul mercato dell’olio e dei prodotti della terra sono diventati così bassi che si è reso necessario, a livello comunitario, un rilancio dell’agricoltura in chiave multifunzionale, dando la possibilità ai conduttori agricoli di non essere più soltanto dei produttori di beni alimentari di consumo, bensì di consentire loro l’accesso a mercati più ampi, come ad esempio il turismo sostenibile legato ai piccoli centri rurali, o gli alimenti biologici.

Il settore turistico di Ugento
Decisamente più dinamico appare il settore turistico caratterizzato da una recettività alberghiera che ha superato, nel 2006, i 7.400 posti letto, che rapportato al numero di residenti, supera il 63% (7% a livello provinciale).
L’accoglienza si basa soprattutto su villaggi turistici (circa 4000 posti letto) che vedono una decisa prevalenza di clientela tedesca.

L’oliveto che monopolizza l’entroterra con la conversione del “seminativo” e la sottrazione di aree naturali a macchia mediterranea.

Uno studio di Dadamo ed altri ha analizzato l’uso del suolo nel litorale di Ugento tra gli anni 1943–2005, evidenziando le principali linee direttrici di cambiamento seguite dall’area in questione. Ai fini di una analisi qualitativa dell’uso del suolo nell’area di studio, è stata ricostruita una cartografia tematica attraverso le informazioni ed i dati presenti nella cartografia storica dell’IGM e nei dati delle statistiche murattiane del 1811. Tali osservazioni hanno permesso di comprendere come fino al XIX secolo, il litorale ugentino fosse interamente ricoperto da paludi lungo la costa,
mentre l’entroterra era occupato da aree a macchia e pineta, lasciando ancora pochi spazi per un utilizzo agricolo dello stesso. Allontanandosi dalla costa, l’oliveto rappresentava la principale coltura della zona.


Il Parco per ottenere prodotto di qualità
L'olivicoltura di Ugento, nonostante le favorevoli condizioni pedoclimatiche, la consolidata esperienza e la presenza di operatori della fase di trasformazione, presenta notevoli elementi di criticità riconducibili alla rilevante quantità di oli di scarsa qualità (lampante).
In questa situazione la presenza del Parco può e deve rappresentare un incentivo all'adozione di sistemi di produzione rispettosi dell'ambiente, ma sicuramente deve innescare un meccanismo di valorizzazione delle produzioni locali per le quali la compatibilità ambientale sia punto di forza per l'ottenimento di un apprezzamento adeguato del prodotto.

Il disciplinare di produzione dell’olio extra vergine bio del parco di Ugento
Una prima ipotesi é sicuramente l’adozione di un disciplinare di produzione che porti al riconoscimento di un marchio collettivo, che richiami l’origine e la scelta di metodi di produzione fortemente miranti alla riduzione degli impatti ambientali.
Con questo presupposto sarà possibile intraprendere azioni di promozione e valorizzazione commerciale dei prodotti non solo del Parco ma dell'intero territorio comunale, facendo affidamento sulla "disponibilità a pagare" per prodotti o servizi che, proprio in virtù della loro origine (Parco o area immediatamente adiacente), siano dotati di particolari caratteristiche di tipicità, salubrità, oltre che ottenuti con metodi di produzione rispettosi dell‘ambiente.
Nel lungo periodo, anche grazie alla attività di promozione presso i turisti stranieri, potranno essere valutate ipotesi di realizzazione di interventi di promozione all'estero.


Bibliografia
G. De Blasi, A. De Boni, R. Roma, Redditività delle produzioni biologiche e sostenibilità ambientale nelle aree protette. Il caso dell’olio d’oliva nel Parco litorale di Ugento (LE)
Dadamo Marco, Simone Zecca, Nicola Zaccarelli e Giovanni Zurlini, TRAIETTORIE EVOLUTIVE DELLA FASCIA COSTIERA: IL CASO DEL LITORALE DI UGENTO (PROV. LECCE)
Simone Zecca, Irene Petrosillo, a Nicola Zaccarelli, a Giovanni Zurlini, Dinamica territoriale nel Parco Regionale di Ugento (Prov. di Lecce)
Riccardo VALLINI, L’AGRICOLTURA COME BASE PER LO SVILUPPO E LA SOSTENIBILITÀ DELLE AREE PROTETTE: IL CASO DEL PARCO DI VEIO
Luigi Stanca, IL RUOLO DELL’AGRICOLTURA E PROBLEMATICHE GESTIONALI NEL PARCO NATURALE REGIONALE ‘LITORALE DI UGENTO

mercoledì 9 febbraio 2011

La Masseria Bellimento del Parco naturale della Regione Puglia di Portoselvaggio e Palude del Capitano


La Masseria Bellimento del Parco naturale della Regione Puglia di Portoselvaggio e Palude del Capitano
di Antonio Bruno*

La presentazione di Vincenzo Presicce

La presidente Elisabetta Dolce me lo presenta e mi dice che debbo assolutamente scrivere della sua esperienza. Io stimo molto Elisabetta, la ritengo un tecnico agricolo e ambientale di valore e grazie a lei conosco un uomo dal sorriso pulito con un paio di baffi che fanno simpatia, è Vincenzo Presicce che insieme a suo fratello Giuseppe sono i proprietari della Masseria Bellimento.
Parto presto dalla mia San Cesario di Lecce e percorro la strada che mi porta a Copertino, poi da li in fondo passando dalla Masseria Pendinello della mia adolescenza sono arrivato a Sant’Isidoro e da questa spiaggia che ha accompagnato i miei ozi giovanili mi sono diretto verso Santa Caterina e li ho trovato la Strada Cucchiara dove al civico 177 ho potuto ammirare la Masseria.

Il sito della Masseria
Nel sito http://bellimento.spaces.live.com/ ho letto che Bellimento è storia, tradizione, tipicità, genuinità, ricercatezza.
Bellimento è passione di chi ha creato un paradiso da vivere ed è amore smisurato di chi continua a tener alta la volontà di far durare un sogno.
Parco Marino, Parco Terrestre, Macchia Mediterranea, Palude Del Capitano, fanno da degno sfondo ad una famiglia da sempre dedita alla ricerca di gusti e sapori nuovi e pungenti…
Il nome Bellimento è paradossale, come tutto quanto accade nella vita. Era il luogo più brutto che ci potesse essere in agro di Nardò e , proprio per questo motivo è stato chiamato luogo di bellezza ovvero “Bellimento” o meglio Abbellimento.

La Masseria Bellimento
La Masseria è estesa 20 ettari che vengono seminati con le foraggiere Loietto, Avena e Favino, ma Vincenzo e Giuseppe prendono in comodato dai proprietari dei dintorni delle terre per altri ei 50 - 60 ettari. Li aiutano 2 operai uno dei quali si occupa delle mucche e l’altro delle capre.

La famiglia Presicce
La famiglia Presicce intuisce qualcosa; dalla vecchia palude, dove d'estate soggiornava con la famiglia, Mario Presicce sentiva odori inebrianti di polline portato dal vento.
Timo, Mirto, Lentisco, avevano riempito la sua vita di sapori nuovi.
Così continua il racconto letto sul sito
Il timo, il mirto, il lentisco... Vaste distese di colori e profumi portati in groppa dal vento che sussurravano nel cuore di Maria Grazia,Vito, Annarita, Francesca, Enzo e Giuseppe, ancora bimbi, una piacevole, fresca cantilena.

La Masseria viene portata avanti solo da Vincenzo e Giuseppe
Il primo ricordo di Vincenzo sono i tuffi nella paglia. Nel fienile da un buco la trebbia fissa faceva depositare la paglia e al pula dove facevano il bagno i ragazzi della famiglia Presicce. Nel pagliaio dove venivano nascosti i regali della befana che loro da bambini la mattina del 6 gennaio andavano a cercare.

I salinieri del Salento leccese
Lo stesso fienile dove si nascondevano i salinieri inseguiti dalla Guardia di Finanza. Come dici? Non sai chi erano i salinieri? Vediamo cosa ci dice il vocabolario Treccani:
salinière s. m. [der. di salina1]. – 1. (f. -a) Operaio che lavora nelle saline; in partic., chi provvede all’immissione e alla raccolta delle acque madri (v. madre, n. 8 b) nelle vasche delle saline. 2. Anticam., nella Repubblica di Venezia, l’ufficiale preposto all’imposizione sul sale.

Le famiglie di salinieri della Masseria Bellimento
Dovete sapere che c’era la palude che venne bonificata con una delle grandi opere che avvennero negli anni 1904-05. A quel punto i Presicce presero quella terra che divenne la Masseria Bellimento con circa 40 ettari di estensione e i due o tre furnieddhi presenti all’interno della Palude, una volta luoghi di villeggiatura per salinieri con le loro famiglie. Sono i SALINIERI ovvero i COLTIVATORI DEL SALE, mestiere dalle radici antiche, che dall'alba al tramonto in tutte le stagioni dell'anno accompagnavano con semplici gesti, giorno dopo giorno, ora dopo ora l'acqua di mare che diventerà dopo un lungo e meraviglioso cammino "madre". I salinieri che sapienti e vigili, non abbandonavano per un solo istante la loro creatura. Il "saliniere", proprio come il coltivatore della terra, si alzava prima del levar del sole, il suo primo sguardo era al cielo ed il suo primo pensiero era il sale. Solo che il sale era Monopolio di Stato e i salinieri della Masseria Bellimento erano dei contrabbandieri!

I salinieri nelle parole di Maria Grazia Presicce
Queste cose sono state raccontate da Maria Grazia Presicce, la sorella di Vincenzo e Giuseppe che abitò la masseria Bellimento e di cui sono le parole che seguono ” La zona era in genere frequentata da pescatori in inverno e da salinieri d’estate, che vi giungevano a piedi o, i più fortunati, in bicicletta. Erano sempre gli stessi e perciò conoscevamo i loro nomi e soprannomi; alcuni di loro poi, in estate, occupavano abusivamente i furnieddhi, presso la scogliera al limite della macchia, poco distanti dalla masseria”
Erano nei furnieddrhi famiglie intere di salinieri contrabbandieri che dalle buche raccoglievano il terriccio buono per la coltivazione e le raccoglievano in cumuli vicino a questi rifugi per coltivare.

Senza strada
Non c’erano strade per arrivare alla Masseria Bellimento e quando Mario Presicce portava la moglie incinta sul calesse per andare a Nardò questa gli diceva di fermare per scendere dal calesse perché preferiva camminare a piedi.

Le capre che abbandonano i capretti
C’è la moglie di Vincenzo che mi racconta dei loro primi tempi con gli animali, soprattutto le capre. Lei aspettava a casa mentre Vincenzo era con le capre al punto che la moglie lo andava a trovare per chiudergli se fosse sposato con lei o con le capre.
Gia le capre! Quelle che nella stalla partorisce i capretti e li abbandona, non se ne prende cura. Ma la stessa capra se è al pascolo e partorisce nei pressi di un arbusto ecco che si prende cura del suo capretto o della sua capretta. Non vuole stare insieme alle altre capre, quando accade è frastornata tanto che Vincenzo è costretto a tenerla costretta per quattro, cinque giorno con il capretto dopo di che si prende cura di lui.

La capra secondo Vincenzo Presicce
Per Vincenzo la capra è pulita, non puzza, è selvatica, si arrampica per mangiare e soprattutto pascola mentre cammina, non si ferma! Gli occhi di Vincenzo di illuminano perché le sue capre gli danno soddisfazione ripagando i suoi sforzi. La responsabilità delle capre è tutta di Vincenzo che però condivide al 50% le mucche della Masseria. Ha 250 capre nella masseria e loro durante l’anno partoriscono 300 capretti e caprette di cui 40, le più robuste, vengono tenute nell’azienda, mentre le restanti sono vendute come capretti per la carne. Quando raggiungono i 10 chili di peso vengono ammazzati per essere venduto come carne. Non vivono più di 8 anni le capre di Vincenzo, ma quegli anni li vivono bene, in armonia con la natura e immerse nella macchia mediterranea! Il timo, il mirto, il lentisco... compagni di gioco, compagni di vita. “Il timo, il mirto, il lentisco, un mix stravolgente, che ha fatto da padrone nella storia della famiglia Presicce, che ha dominato ogni momento della loro vita e che continua ad avere ancora un ruolo rilevante.”

La produzione di latte di capra
Il parto coincide con l'inizio della produzione di latte: una capra d'allevamento produce circa 2,5 l di latte al giorno per 305 giorni (tanto dura l'allattamento), anche se tale quantità può variare a seconda del numero di parti e della razza di capra (in casi eccezionali si arriva ad oltre 7 l di latte giornalieri). Sono 250 capre che producono 625 litri di latte al giorno.


Le mucche della Masseria Bellimento che pascolano e danno latte più salutare
Sono 30 le mucche della Masseria, tutte meticcie. I trenta vitelli che nascono ogni anno i Presicce vogliono venderli subito, vogliono liberarsene al più presto perché non c’è richiesta. Le mucche della Masseria Bellimento pascolano 365 giorni all’anno e una ricerca del Harvard School of Public Health (sezione Dipartimento di Nutrizione), diretta dal professor Hannia Campos e pubblicata dal "American Journal of Clinical Nutrition" sostiene che il latte più salutare e quello delle mucche che pascolano liberamente. Tale prodotto è ricco di acido linoleico coniugato (CLA) e potenzia il cuore in maniera maggiore rispetto a quello delle mucche sottoposte ad allevamento intensivo ed alimentate a "croccantini".

Il pascolo delle capre e delle mucche della Masseria Bellimento
Nelle stagioni fredde le mucche e le capre vengono prima munte e poi fatte uscire non prima delle 9 perché più tardi escono e meglio è in quanto deve essere evitato che mangino erbe bagnate. Tornano in stalla alle 16 e vengono munte di nuovo con le mungitrici meccaniche.
Nei mesi estivi vanno al pascolo dopo la mungitura alle ore 7 e stanno li sino alle 11 e per evitare il caldo eccessivo vengono riportate in stalla, poi alle 16 vengono fatte uscire e lasciate al pascolo e al ritorno si procede alla mungitura.

La macchia mediterranea della Palude del Capitano non si è mai incendiata
“Il timo, il mirto, il lentisco... papà Mario sempre pronto a custodirli gelosamente da chi, col fuoco, voleva portar via, quanto di bello la natura nei secoli aveva creato.”
Prima il padre Mario e sino a pochi anni fa i figli Vincenzo e Giuseppe grazie alla loro azione di prevenzione hanno scongiurato il pericolo che la macchia si incendiasse. Il risultato è stato ottenuto grazie alle “cinte” o “stagghiatore” che sono delle arature di 12 metri di larghezza. Oggi gli operatori del parco provvedono a fare lo stesso lavoro ma utilizzando al posto dell’aratro i decespugliatori.

Le api e il miele della Masseria Bellimento
Anche il miele rappresenta parte dell’economia aziendale complessiva e si caratterizza come produzione di mieli tipici degli ecosistemi della Parco. I metodi artigianali tradizionali di estrazione, maturazione e confezionamento, aggiornati e migliorati tecnologicamente.
I mieli sono sostanzialmente millefiori, e con varie prevalenze a seconda dell'andamento climatico stagionale, dell'ecosistema particolare dell'apiario e della tempistica con la quale viene eseguito il prelievo dei melari.

Arriva Gigi De Mitri
Abbiamo finito di parlare e mentre stavo per andarmene ecco che Giuseppe chiama Vincenzo per dirgli che c’è una presona. Arriva GINO L. DI MITRI per gli amici Gigi e mi dice che lui il formaggio lo prende da Vincenzo e Giuseppe e si schernisce quando usa l’aggettivo “squisito” perché narra un anedotto di un signore che si era tanto raccomandato quando aveva acquistato il formaggio che doveva regalare a una persona di riguardo. Quest’ultima quando ha assaggiato il formaggio ha subito detto che era “squisito” parola che al nostro eroe era sembrata offensiva al punto di indurlo a lamentarsi con chi glielo aveva venduto!

La telefonata di Orazio Muratore
Ma proprio mentre Gigi finiva di parlare è giunta la telefonata del Dott. Orazio Muratore, per gli amici Rori grande amico di Vincenzo, cacciatori entrambi. Cordialità e tanta simpatia, ma le sorprese non finiscono ecco che scopro la parentela con Armando Polito e tante altre cose!

La produzione e l’accoglienza
Vincenzo e Giuseppe trasformano tutto il latte in formaggio che vendono direttamente in azienda. Hanno una struttura ricettiva e fanno ristorazione e agriturismo e grazie al parco e in armonia con la natura vivono bene.
Mi è molto piaciuto leggere questa recensione “Quante volte il caos del mondo, la frenesia della società, la confusione della città ci ha travolti, svuotandoci completamente, facendoci perdere la voglia di sorridere, di andare avanti e lasciandoci solamente un mucchio di domande alle quali non riusciamo a rispondere e un insopportabile senso di malinconia?
In questi casi ci si sente stanchi e afflitti e non si sa cosa fare, ci si guarda in giro speranzosi di trovare qualcuno che sappia ritirarci su di morale e soprattutto che sia in grado di rispondere ai mille interrogativi che assillano continuamente la nostra testa. Iniziamo così una disperata ricerca senza accorgerci che forse questo qualcuno siamo proprio noi, che la nostra malinconia è dovuta al fatto che non siamo più in grado di ascoltarci e di rapportarci con il meraviglioso mondo che ci circonda e allora l’unica cosa da fare è partire per un viaggio con noi stessi,” Ecco questo ho fatto quando sono andato a passare un pomeriggio nella Masseria Bellimento nel Parco naturale regionale di Portoselvaggio e Palude del Capitano, mettendomi in contato con la natura così come fanno ogni giorno da sempre Vincenzo e Giuseppe Presicce e le loro famiglie.

Bibliografia
sapore... mediterranea http://bellimento.spaces.live.com/blog/cns!94E596C91C417C6A!173.entry
M.G.Presicce, Sogno e Risveglio di Lisa, Ed.Besa, Nardò
Vocabolario Treccani voce saliniere
Emanuele Raganato, Serra Cicora, I Quaderni del Capitano, riflessioni e immagini sulle zone protette del Salento
Liesbeth A Smit, Ana Baylin, and Hannia Campos, "Conjugated linoleic acid in adipose tissue and risk of myocardial infarction", Am. J. Clinical Nutrition 2010, doi:10.3945/ajcn.2010.29524