domenica 29 giugno 2014

Gli Agriturismo del Salento leccese con piscina naturale


Gli Agriturismo del Salento leccese con piscina naturale

Si criminalizzano gli Agriturismo perché costruiscono piscine olimpioniche invece sarebbe bello che ogni Agriturismo della Provincia di Lecce costruisse una PISCINA NATURALE

Come fare una piscina naturale

Quanto si vuole spendere per la costruzione di una nuova piscina?

Quando costa un piccolo tuffo di lusso.

Inoltre, se avete una coscienza ecologica, sapete bene che una piscina con acqua clorata può avere effetti negativi sia su di voi e l'ambiente locale.

 

Qui, David Pagan Butler, una delle principali autorità nel mondo delle piscine naturali che vive in Gran Bretagna a Joanna nell Sussex, ha costruito con successo una piscina naturale ad una frazione del costo di costruzione di una piscina tradizionale.

Tutti noi che viviamo nel Sud Italia sappiamo che una piscina può essere usata per più di quattro mesi l’anno, ma molti di noi desistono dal realizzare il loro sogno perché i costi sono proibitivi!

La bellezza di una piscina naturale come questa è che rimane aperta tutto l'anno. In inverno c’è la vita nella piscina, che gli da la capacità autopulente e le relazioni simbiotiche vivificanti tra piante, insetti, l'aria e l'acqua che filtra naturalmente noi costruiamo un corpo d'acqua vivente che respira.

David Pagan Butler in questi video spiega come realizzare una piscina naturale - senza prodotti chimici, piante acquatiche e basta un semplice filtro alimentato a 12 volt per pulire l'acqua - e vi mostra come fare tutto questo con materiali riciclati per una frazione infinitesimale del costo di una piscina installata da un imprenditore professionale.

David Pagan Butler costruisce le sue piscine naturali - piscine piene di piante e animali che mantengono l'acqua sana senza utilizzare sostanze chimiche - ad una frazione del costo di commissione di un imprenditore. Egli utilizza materiali riciclati ove possibile e arieggia la piscina con una piccola cella fotovoltaica e un gorgogliatore, il genere ci si aspetterebbe di trovare in una vasca con pesci. Il risultato è uno straordinario ecosistema che entrambe le persone e la natura possono godere.

 

Qui ci sono i figli di Davide che giocano nella piccola piscina che ha fatto per il suo DVD fai da te. Ha reso il film così anche voi potrete avere una piscina, anche in un relativamente piccolo giardino. Bliss!

Queste belle piscine naturali sono molto divertenti da creare e all’interno di esse possono svilupparsi diversi habitat della fauna selvatica. Il  DVD completo di David, Piscine naturali: Una guida per progettare e costruire in proprio è disponibile sul sito Green Shopping sito per un prezzo speciale di $ 17,95

Video

Il Bianco d’Alessano, da viti che sanno arrampicarsi e accontentarsi di poco


Il Bianco d’Alessano, da viti che sanno arrampicarsi e accontentarsi di poco

di Pino de Luca

I più assidui avranno capito la successione delle terre che esploriamo alla ricerca di vini che sappiano accompagnarsi alla musica. A volte odo velate accuse di preferir Polinnia ad Euterpe e financo di riservar troppo spazio a Clio. Con umiltà prendo atto ma continuerò per il tracciato. Si torna quindi in terre tarantine come accade sempre dopo Lecce e prima di Brindisi.

La seconda notizia è che questa volta non vi è lo “studio certosino del secchione” ad ispirare questa splendida fusione, ma una sorpresa, straordinaria e sorprendente come sanno essere solo le sorprese. Non sono andato io in cantina è lui che è venuto a trovarmi, una sera d’autunno inoltrato, sul mare di Porto Cesareo, vini bianchi pugliesi, da li dove le province di Brindisi e Taranto si incrociano con quella di Bari, a Nord di Martina Franca verso Locorotondo.

Terre interne, sotto la Murgia barese, Valle d’Itria. Terra di uve a bacca bianca da sempre, alla faccia di chi pensa che i vini bianchi siano un bestemmia e quelli del sud una bestemmia e mezza.

In questa zona giungono tenui i venti marini, terreni calcarei e poveri, per viti che sanno arrampicarsi e accontentarsi di poco. Sui meno ricchi di questi terreni, anche in pendio, s’aggrappano le vigne di Bianco d’Alessano. Tipico vitigno da terra sitibonda, rustico, poco esigente, che ama il sole e non ha bisogno di grandi quantità di acqua. Terre difficili da lavorare, terre da curare molto spesso con la zappa, strumento di grande civiltà contadina e, a mio modestissimo parere, di sottovalutato valore didattico ed educativo.

Da li viene Cupa, nome che evoca pesanti cappe oscure, ma solo a chi non sa che la cupa è un dosso profondo, un avvallamento di sensibile dislivello.


E infatti il Cupa è un vino chiaro, luminoso, il colore è quello del fiore di luppolo Amarillo, molto tenue al naso, quasi silente. Ma poi lo si porta al labbro e scivola sulla lingua, incontra i 37 gradi della temperatura corporea che fanno da detonatore ed esplode fin negli occhi: prati d’aprile colorati da corolle in pieno vigore e i profumi intensi esalati da pistilli e stami a favorire il ciclo della vita. Al palato freschezza lunga, gradevole e note di susina e cuor di donna.

E torna, nel retrolfatto, con la pesca bianca e, oserei dire, anche il Lychee.

L’azienda è i Pàstini, tra Martina Franca e Locorotondo, uvaggio Bianco d’Alessano, antico e di origine tanto misteriosa quanto salentina. In purezza. Nessuno ha avuto il coraggio di farlo fino ad ora. Lo hanno fatto qui. Con loro provo a condividere il Cupa e una canzone che dice: “ …Non so se sono stato mai poeta/ e non mi importa niente di saperlo/ riempirò i bicchieri del mio vino/ non so com’è però vi invito a berlo … “

E continuerò a camminare per la mia strada, anche per il piacere di incontrare persone come Lino Carparelli, “… con un piede nel passato/ e lo sguardo dritto e aperto nel futuro!”

Son certo che a Pierangelo Bertoli sarebbe piaciuto, il Cupa e anche qualche parola difficile.

 


Bianco di Alessano

Il vitigno Bianco d'Alessano è presente in Puglia, soprattutto nella provincia di Taranto. Le prime notizie della sua coltivazione in zona sono abbastanza recenti (fine '800), e fin da allora il vitigno Bianco d'Alessano era spesso vinificato in uvaggio col vitigno Verdeca. Ha progressivamente perduto di importanza nei confronti di quest'ultimo, più fertile e produttiva e capace di trasmettere più colore (verdolino) ai vini, rispetto al giallo paglierino molto scarico del Bianco d'Alessano.

L’origine di questo vitigno autoctono è sconosciuta ma si attesta la sua presenza, nelle Murge Martinesi, dal 1870. In passato il Bianco d’Alessano, del quale non si apprezzava il colore giallo paglierino, è stato coltivato con diverse varietà locali, tra queste la Verdeca. Di grande interesse, negli ultimi anni, alcune espressioni del vitigno vinificato in purezza.

Oggi, il Bianco d’Alessano è presente nelle doc Gravina, Martina, Locorotondo, ma anche Ostuni e Lizzano.

Colore bacca:  Bianca.

 

Regione:  Puglia

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Caratteristiche varietali:

Il vitigno Bianco d'Alessano ha le seguenti caratteristiche varietali:

##Foglia: medio-grande, orbicolare

##Grappolo: medio-grande, cilindrico-conico, semplice o con un'ala, compatto.

##Acino: medio, sferico  Buccia: spessa, pruinosa, di colore giallo uniforme.

 

Caratteristiche produzione:

Il vitigno Bianco d'Alessano ha vigoria media, produzione abbondante e regolare.

Coltura ed allevamento:

Il vitigno Bianco d'Alessano dà i migliori risultati su terreni di medio impasto e mediamente profondi, con allevamento a media espansione e potatura ricca.

Caratteristiche vino:

Dal vitigno Bianco d'Alessano si ricava un vino semplice di colore giallo-paglierino. Il vitigno Bianco di Alessano spesso viene vinificato in uvaggio con il vitigno Verdeca.

 

 

Denominazioni in cui il vitigno è presente:

DOC

Puglia: - Lizzano DOC - Locorotondo DOC - Martina o Martinafranca DOC - Ostuni DOC

IGT

Puglia:- Daunia IGT - Murgia IGT - Puglia IGT - Salento IGT - Tarantino IGT - Valle d'Itria IGT

sabato 28 giugno 2014

Negramaro


Negro Amaro può essere tradotto in “nero nero”, probabilmente ad indicare l’eccezionale pigmentazione delle uve e dei vini, caratteristica peculiare del vitigno, o anche “nero e amaro” in riferimento al gusto amaro dovuto all’abbondante dotazione di tannini tipica della varietà. Nella prima ipotesi l’etimologia del nome, dalla fusione del termine latino niger = nero e greco antico melas = nero, rimanderebbe ad un’origine molto antica, secondo alcuni, l’arrivo nel Salento dei colonizzatori greci nell’VIII secolo a.C. Nell’800 la grande diffusione in Salento dell’ormai introvabile vitigno Negro dolce, per contrapposizione dei termini, avvalorerebbe invece la seconda ipotesi. Il vitigno, come affermano i Prof. Antonio Calò ed Angelo Costacurta nell'ottima ed approfondita ricerca storica sulla varietà (in Dei vitigni Italici, 2004), era in passato diffuso ben oltre i confini del Salento e della Puglia prendendo nomi differenti a seconda della località Storicamente in bibliografia, in citazioni, descrizioni ampelografiche, informazioni sulla coltivazione del vitigno e sulla viticoltura salentina, sono stati citati ed associati al vitigno almeno 13 diversi nomi: Abruzzese, Albese, Albese nero, Arbese/Orbese, Jonico, Negro Amaro, Negramaro, Negroamaro, Vernaccia, Lacrima, Lagrima, Purcinara, Uva olivella. A questi se ne aggiungono almeno altri56 (Mangiaverde a Martina Franca, Nero Leccese, Nicra amaro, Niuru maru, Negro Minitillo) variamente riportati in articoli e pubblicazioni recenti.

Tutti i nomi citati possono essere distinti in categorie; Abruzzese, Jonico, Nero Leccese sono sicuramente toponimi abbastanza generici attribuiti in funzione della possibile provenienza o diffusione del vitigno; Nicra amaro e Niuru maru sono locazioni dialettali tutt’ora utilizzate e direttamente riconducibili al nome italiano Negro amaro. Dalle informazioni disponibili non è possibile avanzare ipotesi sulla etimologia e possibile origine dei nomi Albese/Arbese/Orbese, Mangiaverde, Purcinara, e Minitillo, peraltro sinonimi alquanto incerti e citati solo sporadicamente. Il nome Uva olivella è forse riconducibile alla forma ellittica ed oblunga degli acini (appunto a forma di prugna o oliva) che caratterizza la maggior parte dei biotipi del vitigno. Per Lacrima/Lagrima e Vernaccia, nomi nel passato attribuiti a più varietà diffuse in diverse regioni, a causa della mancanza di descrizioni ampelografiche precise risulta difficile la verifica delle sinonimie. Nella pratica tra gli operatori della filiera vitivinicola regionale sono attualmente utilizzati come sinonimi solo i termini Negro Amaro, Negramaro, Negroamaro e Nero Amaro.

Il sinonimo Negramaro, nel 1916, è per la prima volta riportato dal Montefiori il quale, descrivendo l’andamento del germogliamento delle viti a Mesagne (BR), segnala fenomeni di arricciamento su viti delle varietà Moscatellone e Negramaro. Il sinonimo Negroamaro è largamente utilizzato dal Prof. Michele Vitagliano il quale, nella pregevole e dettagliatissima opera “Storia del vino in Puglia”, ripercorre nel tempo la storia dei vitigni, dei vini e dell’enologia pugliese. Infine il nome Nero Amaro, nel 1893, è per la prima volta riportato dal Bianchi ad indicare il vitigno importato dalla Puglia in Basilicata.

Fonte:  RELAZIONE TECNICA “Negroamaro” , “Negramaro” e “Nero amaro” sinonimi della cv Negro Amaro (cod. cv n. 163), utilizzati in Puglia, proposti per l’iscrizione al Catalogo Nazionale delle Varietà di Vite. Centro di Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura "Basile Caramia" Via Cisternino, 281 - 70010 Locorotondo (BA) Tel. 080/4313071- Fax 080/4310007- E-mail: crsa@libero.it AREA RICERCA E SPERIMENTAZIONE - SETTORE VITICOLTURA ED ENOLOGIA



Antonio Massafra, Romanzo da Bere sulla storia del "Five Roses"





Nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, nel feudo “Cinque Rose” a Salice Salentino (LE), nasce ad opera della Cantina Leone de Castris il “Five Roses”, il primo vino rosato ad essere imbottigliato e commercializzato in Italia. Novanta per cento di Negroamaro, dieci per cento di Malvasia Nera.

Una storia, avvincente, quella di questo vino in cui un imprenditore di tempra eccezionale, l'Avv. Piero, nonno dell'attuale proprietario, riesce a volgere a proprio vantaggio le innumerevoli e spaventose difficoltà di produrre vino di qualità, a cavallo di una delle pagine più sanguinose della storia d'Italia, l'Armistizio dell' 8 settembre. Nella Puglia occupata della fine del 43, tra, bombardamenti, Generali onnipotenti e Borsa Nera, l'eroe della storia riesce a produrre un vino eccellente e innovativo per una nuova generazione di consumatori, ponendo le basi per l'espansione delle esportazioni in tempo di pace. La storia, che arriva fino ad oggi attraverso tre generazioni, si svolge come un Romanzo da Bere che tiene desta l'attenzione del lettore, raccontando di vigne e vini.

Antonio Massafra, Romanzo da Bere sulla storia del "Five Roses"

Leone de Castris che  produce vino dal 1665 a Salice Salentino, è una delle aziende di maggior respiro storico nel panorama vitivinicolo mondiale. Di generazione in generazione cura, tra gli altri, centinaia di ettari di Negroamaro e Malvasia,  i cui frutti si evolvono all’interno della storica cantina. Il suo “Five Roses” giunto alla 63ma edizione è uno dei vini italiani meglio conosciuti nel mondo. Per dar luce a questo squarcio della storia della sua centenaria azienda, Piernicola Leone de Castris ha deciso di affidarsi alla letteratura, strumento ideale per la narrazione di una storia vera,  densa di umanità e di lavoro, d’amore e dedizione, caratteristiche centrali della storia della sua famiglia.

venerdì 27 giugno 2014

Il metodo delle olle in terracotta. Irrigare l’orto senza usare plastica nè energia


Fate parte dei fortunati che possiedono un orto e cercate un metodo ecologico di irrigazione? Ve ne propongo uno vecchio di migliaia di anni ad impatto praticamente zero: non servono nè plastica nè energia.

 
 
 
 


Si tratta di usare le olle, panciuti recipienti di di terracotta non verniciata: interrate ad intervalli regolari fino all’imboccatura e riempite d’acqua, grazie alle pareti porose le olle mantengono umido il terreno per circa una settimana. Poi bisogna provvedere al rabbocco.

 

Per evitare di acquistare le olle (i recipienti ad hoc sono in vendita solo in negozi e siti internet ultra specializzati e questo ha un prezzo anche se la materia prima è vile), c’è modo di realizzarle col fai-da-te spendendo poco.

 

Il metodo e i vantaggi, innanzitutto. Li spiega bene l’edizione italiana di Grow the Planet: le olle mantengono il terreno umido ma non bagnato e questo scoraggia la proliferazione di male erbe; inoltre l’acqua è distribuita direttamente al livello delle radici, evitando il dilavamento superficiale e la dispersione dei fertilizzanti. Rispetto all’irrigazione tradizionale e a parità di resa delle colture, le olle consentono di risparmiare fino al 70% di acqua.

 

irrigazione con le olle olla per irrigazioneResta il problema di procurare le olle, che vedete a lato nella versione classica: un recipiente da poco più di mezzo litro arriva a costare nei negozi specializzati quasi 10 euro, e ogni olla (guardate le tabelle in fondo a questa pagina e il disegnino qui di fianco) mantiene umida un’area con un diametro pari all’incirca a tre volte il suo.

 

Il blogger di Three Forks ha risolto brillantemente il problema. Basta acquistare vasi in terracotta e sottovasi in terracotta di pari imboccatura. Poi sigillare il sottovaso sopra al vaso, come se fosse un coperchio, con colla a prova d’acqua tipo quella al silicone. Capovolgere in modo che il foro del vaso sia in alto, interrare e riempire d’acqua.

 

olla fai-da-teIncollare due vasi sarebbe l’ideale, ma resta il problema del buco che ciascuno porta sul fondo. Un foro – ovvio – deve affiorare dal terreno; l’altro non deve esistere proprio per evitare che l’acqua vada dispersa. Il blogger di Three Forks dice di aver provato a tapparlo con toppe di plastica e colla al silicone, ma non è rimasto completamente soddisfatto del risultato. Se volete provare anche voi, o se avete un’idea migliore…

 

Ovviamente il periodico rabbocco d’acqua va effettuato con un imbuto ed è necessario porre un sasso – o qualcosa del genere – sul foro dell’olla, per evitare evaporazione e insetti. Per chi non ha l’orto ma solo il balcone, c’è la possibilità di mettere un’olla al centro di un grande vaso: tutt’attorno potranno prosperare erbe aromatiche ed insalata

 

La foto grande è di Sustainable Scientist

In edicola quiSalento del 1°-15 LUGLIO - L'estate di festa del Salento

In edicola quiSalento del 1°-15 LUGLIO - L'estate di festa del Salento
La "menunceddha", regina della frutta d'estate sulle tavole dei salentini, è in primo piano nelle pagine di Salento Verde, rubrica curata da Antonio Bruno, che svela anche come il miglior diserbante possa rivelarsi l'aceto.

Lettera all'Informatore Agrario del collega Antonio Giaccari dell'Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali della Provincia di Lecce


sabato 14 giugno 2014

Il mastro oleario


Il mastro oleario è il responsabile della conduzione tecnica del frantoio e, di norma, coincide con il titolare dell’impresa. Nell’ipotesi di persona diversa dal titolare dell’impresa, questa si adegua alle direttive del titolare, operando nei limiti delle deleghe conferitegli.

LEGGE REGIONALE 24 marzo 2014, n. 9

“Norme sull’impresa olearia”.

IL CONSIGLIO REGIONALE
HA APPROVATO

IL PRESIDENTE
DELLA GIUNTA REGIONALE

PROMULGA LA SEGUENTE LEGGE:

Art. 1
Impresa olearia

1. L’impresa olearia è l’unità produttiva artigiana in cui si procede all’estrazione dell’olio dalle olive in conformità alle normative vigenti e, in particolare, a quelle relative all’igiene degli alimenti, alla sicurezza del lavoro e alla tutela dell’ambiente, al fine di fornire le necessarie informazioni sull’identità, la qualità e la tracciabilità del prodotto.

2. Nell’impresa artigiana olearia deve essere collocato il frantoio, la centrifuga per il processo estrattivo, idonei contenitori per lo stoccaggio e, quindi, conformemente alle norme vigenti, l’adeguata attrezzatura per la collocazione dell’olio in contenitori, oltre alle macchine per l’imbottigliamento e il confezionamento, ai fini della commercializzazione del prodotto.

3. Le caratteristiche tecniche dei locali adibiti alla lavorazione delle olive e degli oli sono stabilite con decreto dell’Assessore regionale alle risorse agroalimentari, di concerto con l’Assessore regionale alla sanità.

Art. 2
Mastro oleario

1. Il mastro oleario è il responsabile della conduzione tecnica del frantoio e, di norma, coincide con il titolare dell’impresa. Nell’ipotesi di persona diversa dal titolare dell’impresa, questa si adegua alle direttive del titolare, operando nei limiti delle deleghe conferitegli.

2. Il mastro oleario coordina:
a) la gestione del magazzino e dei registri;
b) la fase di molitura;
c) la fase di confezionamento;
d) la gestione, l’utilizzo e lo smaltimento dei sottoprodotti della lavorazione: acqua di vegetazione e sansa.

3. Presso l’Assessorato regionale alle risorse agroalimentari è istituito e tenuto l’Albo regionale dei mastri oleari.

Art. 3
Formazione dei mastri oleari

1. La Regione Puglia favorisce la formazione dei mastri oleari e cura lo svolgimento di specifici corsi di formazione.

2. I corsi sono a carattere propedeutico per i possessori di un diploma di istruzione media di secondo grado e carattere tecnico-pratico per coloro che hanno ottenuto l’attestato finale di frequenza del corso propedeutico o che siano in possesso di uno dei titoli di studio indicati dalla legge regionale 5 agosto 2013, n. 23 (Norme in materia di percorsi formativi diretti all’orientamento e all’inserimento nel mercato del lavoro), a esclusione del diploma della scuola dell’obbligo.

3. La durata dei corsi, le modalità di svolgimento e i relativi programmi sono stabiliti con deliberazione della Giunta regionale su proposta dell’Assessore alle risorse agroalimentari di concerto con l’Assessore alla formazione professionale.

Art. 4
Corsi di formazione

1. Ai bandi per la realizzazione delle attività formative di cui all’articolo 3 possono partecipare consorzi di imprese e/o loro associazioni professionali, temporaneamente associate con enti di formazione accreditati, nel rispetto della vigente normativa in materia, con specifiche e documentate competenze nella trasformazione dei prodotti agricoli e dotati di laboratori e apparecchiature per le attività formative di cui all’articolo 3.

2. Lo svolgimento della parte tecnico-pratica dei corsi deve, comunque, essere effettuata presso le imprese olearie.

3. La presentazione delle domande per la partecipazione ai corsi, l’accertamento del possesso dei requisiti previsti e il rilascio degli attestati di qualifica sono regolati dalle norme regionali sulla formazione professionale.
4. L’attestato rilasciato al termine del corso tecnico-pratico costituisce titolo per la iscrizione nell’Albo regionale dei mastri oleari.

Art. 5
Norme transitorie

1. Per un periodo di due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge possono chiedere l’iscrizione all’Albo regionale dei mastri oleari coloro che dimostrino di aver svolto negli ultimi cinque anni precedenti i compiti attribuiti al mastro oleario ai sensi dell’articolo 2.

La presente legge è pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione ai sensi e per gli effetti dell’art. 53, comma 1 della L.R. 12/05/2004, n° 7 “Statuto della Regione Puglia”. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e farla osservare come legge della Regione Puglia.

Data a Bari, addì 24 marzo 2014

VENDOLA

Ricerca dei colleghi dottori agronomi Nino Buttazzo e Giovanni Melcarne

I colleghi dottori agronomi Nino Buttazzo e Giovanni Melcarne (quest'ultimo titolare dell'Azienda Olearia Forestaforte) hanno pubblicato una interessante ricerca. Complimenti ai colleghi e soprattutto un grazie a nome del territorio che ha bisogno di ricerca in agricoltura





Lu “piseddhu cucìulu te Vitiglianu” pisello secco di vitigliano


Il pisello secco di Vitigliano, detto anche “piseddhu cucìulu” identifica una particolare varietà locale di pisello coltivato da tempo immemore nel territorio di Vitigliano (frazione di Santa Cesarea Terme) il cui seme e le relative tecniche colturali vengono tramandate da generazioni di agricoltori-custodi che con la loro passione hanno permesso la sopravvivenza di questo prodotto. Il termine “cucìulu” sta ad indicare il fatto che sia di facile cottura non avendo necessità di essere messo precedentemente in ammollo. Tale caratteristica è dovuta alla presenza, nell'agro di Vitigliano, di alcuni particolari terreni che gli anziani contadini del luogo chiamano “Terre Duci”. Il prodotto giunge a maturazione nel mese di giugno. La mietitura viene eseguita a mano utilizzando il “farcione” nelle prime ore mattutine, quando la rugiada permette che il baccello ormai senescente rimanga comunque attaccato al resto della pianta. Successivamente le piante vengono arrotolate in “rosci”, fasci di forma tondeggiate di un metro di diametro circa. I “rosci” vengono trasportati in aia e lasciati qualche ora esposti al sole prima di passare alla fase successiva: la battitura. Con questa operazione si ottiene l’apertura dei baccelli e quindi la separazione del prodotto dal resto della pianta. L’operazione più affascinante di tutto il processo è “U ientulare“ (il ventilare) che consiste nell’ulteriore separazione del prodotto dalle scaglie sfruttando l’azione del vento. La lavorazione del pisello in aia rappresentava un momento molto importante della vita sociale di questa comunità, soprattutto in tempi non troppo lontani, quando le diverse famiglie di agricoltori si aiutavano a vicenda nelle operazioni colturali rinsaldando amicizie e consolidando uno spirito di solidarietà che permetteva di affrontare meglio il duro lavoro dei campi in un territorio dall'agricoltura spesso avara di soddisfazioni. I legumi a Vitigliano, ed il pisello in modo particolare, entrano profondamente nella vita quotidiana della comunità, basti pensare ai tanti proverbi ed ai detti ad essi legati; addirittura l'elezione del Priore della Confraternita avveniva abbinando ad ognuno dei candidati un legume (pisello, fagiolo, lupino…) ed ognuno dei confratelli esprimeva la propria preferenza ponendo nell'urna il legume associato al candidato prescelto.