giovedì 30 novembre 2023

Rusciuli del Salento leccese (Corbezzolo Arbutus unedo L.): ne mangio uno! Uno e basta!

 

Rusciuli del Salento leccese (Corbezzolo Arbutus unedo L.): ne mangio uno! Uno e basta!

di Antonio Bruno*


Il corbezzolo (rusciulu per il Salento leccese) è un arbusto o alberello sempreverde che può presentare una ruvida corteccia scura. Le foglie, lunghe 4-5 cm, sono di colore verde scuro, con la pagina inferiore più chiara, ellittiche, lucide e dal margine seghettato. I fiori, piccoli e raggruppati, variano dal bianco al roseo. I frutti, simili alle fragole, sono sferici, grandi fino a 2 cm, con una superficie verrucosa e ruvida.

In questa nota, condivido informazioni su questo frutto tipico del Salento leccese.

"Rusciuli russi, chi vuòle rusciuli?"

 

Canta una bella ragazza che passa e dice:

 

"Rusciuli russi, chi vuòle rusciuli?"

 

O Lecce, t'amo tanto e sono felice.

 

Traduzione

 

Corbezzoli rossi, chi vuole corbezzoli?

 

Canta una bella ragazza che passa e dice:

 

Corbezzoli rossi, chi vuole corbezzoli?

 

O Lecce, ti amo tanto e sono felice.

 

Sarà il loro colore che mi fa pensare al bel rosso delle labbra di questa donna, o forse è perché li offre con spensieratezza, ma questi frutti mi mettono allegria e sono stati a lungo un piacere per padri e madri del Salento leccese. Adesso, purtroppo, sono difficili da trovare!

Gianni Ferraris, in "Spigolature Salentine - Autori e pagine sul Salento e per il Salento," scrive: "Terra di profumi e colori è il Salento. Il cielo è di un azzurro intenso, il mare cambia dal verde al bianco, al nero. La campagna è caratterizzata dal rosso della terra e dal verde intenso della vegetazione. In queste terre ho assaporato per la prima volta, nella mia lunga vita, i corbezzoli raccolti dall'albero (rusciuli in dialetto), e ho raccolto anche rucola spontanea. La trovi ovunque qui. E ho visto ballare la pizzica. Pizzica e taranta, ritmi simili con contaminazioni africane e l'ossessivo suono dei tamburelli."

Il Corbezzolo (Arbutus unedo L.) è un arbusto sempreverde tipico del Salento leccese, appartenente all'ordine delle Ericales, alla famiglia delle Ericaceae e al genere Arbutus. Gli antichi lo associavano alla dea Carna, protettrice del benessere fisico, raffigurata con un rametto di corbezzolo tra le mani, con cui scacciava gli spiriti maligni.

La pianta è stata descritta da Aristofane, Teofrasto, Virgilio, Plinio, Ovidio e Columella, che ne hanno descritto l'uso attribuendo il nome latino "unum edo" (Arbutus unedo). Se Virgilio nelle Georgiche la indica semplicemente come "arbustus," Plinio il Vecchio, pur entusiasta delle bacche rosse o arancioni, raccomandava un consumo moderato. Plinio diceva "unum tantum edo," traducibile come "uno e basta." Questo nome latino, Arbutus unedo, è stato determinato dai Romani, che suggerivano cautela nel consumo dei corbezzoli. La pianta contiene una discreta quantità di alcol quando i frutti, chiamati "rusciuli," sono maturi. Si consiglia di raccoglierli quando sono completamente rossi e morbidi al tatto.

Un detto locale suggerisce di raccogliere i frutti con la frase: "Ane! bba cuegghi rusciuli!! E poi dammeli tutti a mie!" che significa "E vai a raccogliere corbezzoli! E poi dammeli tutti a me!"

Originario dell'Irlanda, dove si trova ancora oggi, il corbezzolo potrebbe essere stato introdotto nel Salento leccese dai Romani. Nonostante sia quasi estinto, si racconta che abbia ispirato i colori della bandiera italiana: bianco, rosso e verde. Il bianco rappresenta i suoi fiori, il rosso i frutti e il verde intenso le foglie. Durante il Risorgimento Italiano, il corbezzolo divenne un simbolo patriottico, richiamando i tre colori della bandiera che guidava l'unità italiana. Questo ha portato il corbezzolo ad apparire anche nello stemma della città di Madrid.

Oltre ai frutti ampiamente consumati, la pianta sta guadagnando popolarità per la presenza simultanea di fiori bianchi, frutti rossi e arancioni e foglie verdi durante l'inverno. La pianta di corbezzolo può raggiungere dimensioni notevoli, con un diametro di 2,5 metri e un'altezza di 5-8 metri. Le infiorescenze terminali, con 15-30 fiori, pendono dalla pianta. La fioritura avviene da settembre a marzo successivo. Il frutto, una bacca da 5 a 8 grammi, ha una polpa ambrata ricca di sclereidi (parti che formano il guscio di molti semi) e contiene un numero variabile di semi, oltre a essere ricco di zuccheri e vitamina C.

Gli uccelli sono ghiotti di rusciuli e contribuiscono alla diffusione della pianta consumandone i frutti. La pianta può riprodursi anche dopo un incendio, rigenerandosi abbondantemente, rendendola adatta all'uso forestale nelle zone a macchia mediterranea, spesso soggette agli incendi estivi.

 

*Dottore Agronomo

 

Bibliografia

 

Pizzi - Gentile: Lecce Gentile Gianni Ferraris: La torre del Serpe Federico Valicenti: C'era una volta il Corbezzolo Nieddu, G.; Chessa, I. : Il corbezzolo [Arbutus unedo L.] Chessa, I.;

 

 

 

 

 

 

mercoledì 29 novembre 2023

Riscoprendo i Colori di Aranciopoli: Una Fiaba Agrumata e la Sfida dell'Agricoltura in Terra di Lecce




"Ecco cosa proposero 14 anni fa nel 2009,  gli alunni delle classi seconde della DIREZIONE DIDATTICA STATALE 3° CIRCOLO "A. DIAZ" - LECCE, via E. Reale n° 59 - tel. e fax: 0832 306011, a proposito del progetto “Cancro, io ti boccio”…

In un castello terrificante viveva una perfida strega di nome Aniraca, conosciuta e temuta da tutti gli abitanti di Aranciopoli. Un brutto giorno, la strega malvagia, sentendo dire da alcuni passanti che Aranciopoli era una città coloratissima, in cui gli abitanti erano felici e tanto amici, decise di intervenire con i suoi poteri. Così, approfittando del profondo buio della notte, rubò tutti i colori di Aranciopoli.

Al mattino, gli abitanti appena svegli si guardarono intorno e si accorsero che il loro meraviglioso mondo era diventato grigio e piansero disperati. Persino gli aranceti, vicino alla città, avevano perduto i loro bei colori dorati. Alcune arance si nascosero, per cui non furono colpite dal terribile incantesimo e seguirono Aniraca fino al suo castello.

La strega entrò nella sua dimora, rinchiuse i colori in uno scrigno e rise: - Ah, ah, ah! - sfregandosi le mani per la cattiveria compiuta. Intanto, le arance erano riuscite a penetrare nel castello e, percorrendo dei corridoi bui e stretti, giunsero nella stanza dei malefici. - Come faremo a trovare lo scrigno dei colori? – esclamarono le arance. Sembrava proprio un'impresa difficile, quando, all’improvviso, sentirono delle voci disperate: - Aiuto! aiuto! Qualcuno venga a salvarci!

Le arance seguirono le voci, arrivarono fino allo scrigno e tentarono di aprirlo, ma inutilmente perché bisognava trovare l'antidoto. Così, i dorati frutti aprirono il librone della strega e lessero che bisognava farle bere una spremuta d’arancia. In un baleno prepararono una gustosa spremuta e la versarono nel calice di Aniraca. Appena la strega bevve il dolce succo, cambiò aspetto e la sua immagine e il suo brutto nome si trasformarono in ARANCIA.

Lo scrigno, d'incanto, si aprì e i colori tornarono a far risplendere la città di Aranciopoli. In Terra di Lecce è ora che tornino a risplendere i colori, così come auspica questa bella fiaba inventata dai bambini della nostra terra.

Nei banchi degli ipermercati, nuovi mercati sotto il tetto, e nelle cassette sui camion dei venditori di frutta agli incroci delle nostre città, sono presenti i frutti di un bel colore arancione che arrivano sulle nostre tavole in questa prima quindicina di novembre, seguiti poi dagli altri: sono i mandarini (Citrus reticolata) che annunciano l’arrivo delle oramai imminenti festività natalizie. Arriveranno nei prossimi giorni le arance.

Gli agrumi sono originari del sud-est asiatico, zone nelle quali la coltivazione iniziò circa quattro mila anni fa. In Italia, le notizie sugli agrumi arrivano attraverso il CEDRO (Citrus Medica L.), di cui si hanno segnalazioni nei testi classici a partire dal III secolo avanti Cristo. Con ogni probabilità, sono stati i Greci che l’hanno fatto giungere nelle coste della penisola oppure il popolo ebraico, sempre in cammino, che potrebbe essere stato l’artefice dell’introduzione da queste parti del primo agrume.

Ma chi ne ha parlato per primo è stato la guida in quel viaggio all’interno di se stesso dello scrittore Dante Alighieri, ossia quel Virgilio che nelle Georgiche, scritte nel 30 avanti Cristo, descrive il Cedro chiamandolo “Melo della Media”. Chi invece ha portato quel bel frutto di un arancione intenso che campeggerà presto sulle nostre mense e che si chiama Arancia? Sono stati i Crociati, ma hanno procurato non pochi segni sulle facce perché portarono l’arancio amaro tra l’XI e il XII secolo. Immaginate il crociato che vede un bambino del Medioevo, un piccolo bambino che assaggia l’arancia amara (Citrus aurantium L.), e immaginate che faccia possa fare! È la faccia dell'inasprimento!

E l’arancio dolce (Citrus sinensis Osbeck)? Arriverà da noi grazie ai navigatori negli anni del 1500; saranno i genovesi e portoghesi, infatti, da noi in Terra di Lecce, le arance le chiamiamo Portucalli. Il limone (Citrus limon (L.) Burm. F.) era conosciuto dai Romani, ma chi l’ha diffuso sono stati i crociati e gli arabi che lo chiamavano “limunha”. E il mandarino (Citrus deliciosa Ten.)? È stato introdotto proveniente da Malta nel 1805 dall’inglese Hume, e solo nel 1810 a diffonderlo è stato l’Orto Botanico di Palermo.

La varietà di cui parliamo è la famosa AVANA che, oltre a produrre un anno sì e uno no (alternanza di produzione), ve la ricorderete per la presenza di moltissimi semi che riempivano la nostra bocca, oltre al gioco che facevamo con le bucce quando strizzavamo in faccia dei nostri compagni di classe gli spruzzi dell’odoroso olio essenziale presente nella buccia. Oggi tutti quei semi del mandarino avana l’hanno ridotto al nostro suolo natio perché gli stranieri non lo vogliono e quindi non possiamo esportarlo; ecco perché oggi coltiviamo le cultivar prive di semi, come il clementine.

Tutti sappiamo che la frutta, prima che giungesse a noi dai banconi degli ipermercati, arrivava sulle tavole dei nostri nonni nell’800 dai Giardini che circondavano i nostri comuni e che avevano l'aranceto e l'agrumeto che in questo periodo forniva la frutta che poi allietava le tavole dell’inverno.

All’inizio, la riproduzione degli agrumi avveniva attraverso il seme, e questa pratica della semina ha comportato la creazione in quegli anni di moltissime varietà, alcune delle quali sono andate perdute, e altre sono ancora presenti e alcune di esse sono state catalogate e conservate nell’Orto Botanico della Università di Lecce, ad opera del competente, paziente e attento lavoro di raccolta e catalogazione del Dott. Francesco Minonne, collaboratore scientifico presso l’Orto Botanico dell’Università di Lecce. Nella Terra di Lecce, ci sono ville, casini, casine, giardini di dimore storiche che hanno all’interno aranci, limoni, mandarini ed altre rarità agrumarie che continuano ad essere coltivate dai proprietari di queste realtà abitative immerse nella campagna della nostra penisola, immersa nel mare verso l’Est.

Questo fatto comporta che si è costituito negli anni un vero e proprio patrimonio varietale di grande valore storico e botanico. Alcuni possono essere ammirati nelle Masserie che sorgono nelle nostre campagne. Come per ogni frutto, non esiste un solo sapore di mandarino o di arancia; piuttosto, esistono tante varietà con sapori diversi. Questa opera dei saperi della nostra terra ha portato alla riscoperta di questi mille gusti dell’arancia.

La Puglia produce mediamente 2 milioni di quintali di agrumi l’anno, una produzione di ottima qualità di “clementine” e arance che stenta ad affermarsi sul mercato. In Terra di Lecce, gli agrumi vengono coltivati in un'area ridotta al riparo dei venti dell'Adriatico: Gallipoli, Taviano, Ràcale, Alliste, Ugento, Nardò, Squinzano, Lecce, Surbo, Copertino, Leverano, Galatina, Cutrufiano, Lequile, Casarano, Matino e Monteroni. In questa area trovano le condizioni ideali i mandarini: clementine e mandarino Avana, Tangelo Mapo. Il clima sembra meno idoneo per la coltivazione dell'arancio e del limone.

La concorrenza agguerrita, di altre regioni italiane ed europee, ha messo in ginocchio il settore. I produttori, infatti, a fronte della drastica riduzione del prezzo di vendita degli agrumi, non riescono più a sopportare gli elevatissimi costi di produzione. I costi di produzione che si aggirano intorno a 0,25 euro al Kg, rispetto a un prezzo di vendita del prodotto in azienda che è di circa 0,15-0,20 euro al Kg. Si stima perciò una perdita complessiva del settore. È paradossale la mancanza del nostro prodotto anche sugli scaffali della Grande Distribuzione pugliese, che preferisce approvvigionarsi e vendere agrumi provenienti da fuori regione.

Ma torniamo alla fiaba dei bambini del Diaz di Lecce: per far tornare i colori alla città è necessario revisionare il piano agrumi regionale, tenendo conto delle varietà raccolte dall’Orto Botanico dell’Università di Lecce, al fine di allungare il periodo di commercializzazione e diversificare l’offerta, incontrando le esigenze dei consumatori. Un approfondimento a parte meriterebbe il successo registrato dal liquore che si ottiene dagli agrumi e che sta facendo rinascere l’industria dell’alcol a San Cesario di Lecce, ma di questo scriverò un’altra volta."

 

lunedì 27 novembre 2023

Lo Stramonio: L'Innocua Ornamentale che Nasconde un Pericoloso 'Sballo' dalla Natura

 







 Le foto sono di Mario Cazzato

Salve a tutti, sono Antonio Bruno, e oggi vi parlerò di un curioso e pericoloso fenomeno legato a una pianta che, sebbene possa apparire innocua come ornamentale nei giardini, cela in sé potenziali rischi assai gravi. Parliamo dello stramonio, conosciuto anche come "erba del diavolo" o "erba delle streghe".

Questa pianta è stata portata in Europa nel XVI secolo perché era considerata decorativa, e presto si è diffusa ovunque. Ogni pianta produce da 500 a 10.000 semi, che possono rimanere fertili nel terreno per più di 30 anni. È una pianta che cresce bene in terreni leggeri, acidi e ricchi di azoto. Può ospitare alcuni batteri e virus dannosi per le piante come quelli che causano malattie nei pomodori e nella lattuga, e può anche diffondere i parassiti delle patate. Inoltre, la presenza di questa pianta può indicare la presenza di suoli contaminati.

Questa volta, la storia non ci porta nei meandri della chimica o in laboratori sofisticati, ma ci conduce nelle campagne appena fuori Conegliano, in provincia di Treviso, dove tre giovani veneti si sono imbattuti in questa pianta in modo del tutto inaspettato. Senza pusher né drug designers, ma solo immensi campi di granturco e vigne, hanno trovato ciò che cercavano: lo stramonio.

Questa pianta, apparentemente comune, appartiene alla famiglia delle Solanacee ed è nota per la sua alta tossicità. Le foglie dello stramonio contengono una concentrazione elevata di potenti alcaloidi, il che la rende non solo velenosa ma anche una potenziale fonte di "sballo", come lo chiamano i giovani avventurosi. Ecco come una decina di anni fa, il 7 ottobre 2013 tre ragazzi si sono trovati di fronte a un'erba che, senza alcuna elaborazione particolare, può trasformarsi in una droga.

I tre ragazzi, di età compresa tra i 19 e i 23 anni, hanno pagato cara la loro curiosità, finendo con un ricovero urgente in ospedale. Fortunatamente, siccome non erano in gravi condizioni né a rischio di vita, si sono salvati ma il pericolo che hanno corso era concreto. Dopo aver raccolto alcune foglie, hanno preparato un infuso, bevendolo come tisana. L'effetto è stato immediato e sgradevole, costringendoli a chiedere aiuto al 118 e a subire cure disintossicanti in ospedale.

Lo stramonio, noto anche come "erba del diavolo" o "erba delle streghe", possiede proprietà narcotiche, sedative e allucinogene. Alcune tribù indiane facevano uso di questa pianta, ma il suo impiego è estremamente rischioso a causa degli alcaloidi allucinogeni presenti, come la scopolamina e l'atropina. Gli effetti possono variare dalla paralisi muscolare al coinvolgimento del sistema respiratorio, con il rischio di morte.

È interessante notare che in passato, lo stramonio è stato utilizzato, insieme ad altre erbe medicinali, in alcune sigarette per alleviare la bronchite asmatica. Tuttavia, la gravità delle conseguenze ha portato presto a un abbandono di questa pratica. Quindi, la prossima volta che vedrete questa pianta nei giardini o nelle campagne, ricordatevi di trattarla con la dovuta cautela, perché dietro la sua facciata innocente si nasconde un potenziale pericolo.

Ora, passiamo alle cure e alla coltivazione. La Datura richiede posizioni soleggiate, terreno soffice e ben drenato, e annaffiature regolari. Ma attenzione, teme il marciume radicale a causa del ristagno idrico.

Interessante notare che esiste un gruppo musicale che ha preso il nome Datura, ispirato dalla spiritualità mistica legata a questa pianta, come descritta nelle letture di Carlos Castaneda e nei fumetti di Tex Willer.

Tuttavia, dobbiamo affrontare una questione cruciale: la Datura è velenosa. Considerata una delle piante più tossiche al mondo, la parte potenzialmente letale è il seme, contenente alcaloidi come iosciamina, atropina e scopolamina.

Ma non finisce qui, cari telespettatori. La Datura ha anche proprietà allucinogene, utilizzate in alcuni rituali mistici dagli stregoni Yaqui per avvicinarsi alla conoscenza.

Infine, la Datura assume un significato simbolico nei linguaggi dei fiori: misterioso, magico, incognito. Una pianta che ci svela la sua bellezza e pericolosità, un enigma della natura che continua a intrigare scienziati e appassionati di botanica.

Concludiamo qui la nostra esplorazione della Datura. Grazie per essere stati con noi e ricordate sempre di trattare con rispetto la bellezza e la potenza della natura.

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lunedì 20 novembre 2023

La Zucca e la Cucuzza Genovese a Supersano (LE) è la “Cucuzza paccia”: Delizie Salentine Ricche di Proprietà e Benefici

 

La Zucca e la Cucuzza Genovese a Supersano (LE) è la “Cucuzza paccia”: Delizie Salentine Ricche di Proprietà e Benefici

L'agricoltura salentina si distingue per la sua varietà di prodotti, tra cui spiccano la zucca e la Cucuzza Genovese, ortaggi che non solo soddisfano il palato ma offrono anche numerosi benefici per la salute e la bellezza.
La Versatilità delle Zucche Salentine: Cucurbita Maxima, Cucurbita Pepo, Cucurbita Moschata
Le zucche della Cucurbitaceae, come la Cucurbita maxima, la Cucurbita pepo e la Cucurbita moschata, arricchiscono l'agricoltura salentina con la loro varietà di forme e sapori. La Cucurbita maxima, imponente e adatta alla conservazione, trova spazio nelle zuppe e nei purè. La Cucurbita pepo, regina da tavola, offre polpa succulenta ideale per molteplici preparazioni. La Cucurbita moschata, con la sua dolcezza delicata, è protagonista di zuppe, risotti e dolci.
La Misteriosa Cucuzza Genovese e la Storia dell'Agricoltura Salentina
Nel ricco panorama agricolo salentino, la Cucuzza Genovese emerge come una figura affascinante. Consumabile sia verde che matura, questa cucurbitacea dalla forma bizzarra ha conquistato le tavole salentine. L'origine dell'appellativo "genovese" potrebbe risalire a secoli fa, durante i traffici tra Liguria e Puglia. Documenti storici confermano la sua presenza già nel XIX secolo, e un antico Codice ebraico di Parma del 1072 menziona la "cucuzza longa", termine ancora in uso per identificarla.
Proprietà e Benefici della Zucca: Un Alleato per la Salute
Oltre al suo ruolo nelle ricette e nelle tradizioni, la zucca si distingue per le sue proprietà salutari. Povera di calorie ma ricca di fibre, la zucca è un ortaggio dalle qualità antiossidanti, diventando un alleato per la salute del cuore. La presenza di carotene, vitamina A, vitamina C e vitamina B1, unitamente a minerali come calcio, fosforo, sodio e potassio, rendono la zucca un alimento nutriente e benefico per il nostro organismo.
I Benefici della Zucca nella Dieta e nella Cosmesi
La zucca, con il suo contenuto di acqua elevato e la bassa presenza di zuccheri, è un elemento consigliato nelle diete per la sua alta digeribilità e capacità di stimolare la diuresi. Contribuisce alla riduzione del colesterolo, proteggendo il cuore e le arterie. Inoltre, i suoi semi, ricchi di cucurbitina, sono utili nella prevenzione di disfunzioni dell'apparato urinario.
La zucca non è solo una delizia culinaria; le sue proprietà benefiche si estendono anche alla cosmesi. Amica della pelle, la zucca è utilizzata in maschere nutrienti per il viso e nelle creme fai-da-te per lenire le infiammazioni cutanee, particolarmente adatte al periodo autunnale.
Valori Nutrizionali della Zucca: Un Regalo dalla Natura
La tabella dei valori nutrizionali della zucca, riconosciuta da CREA, il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l'Analisi dell'Economia Agraria, conferma la ricchezza di questo ortaggio. Con soli 18 kcal per 100 grammi, la zucca offre un concentrato di sostanze benefiche, tra cui vitamine, minerali, aminoacidi e fibre.
Conclusioni: Celebrare la Zucca e la Cucuzza Genovese nelle Tradizioni Salentine
In conclusione, la zucca e la Cucuzza Genovese si rivelano non solo delizie per il palato ma veri e propri elisir di salute. Da protagonisti nelle cucine salentine a alleati per la bellezza della pelle, questi ortaggi rappresentano un patrimonio agricolo e culinario da celebrare. Che siano utilizzati in zuppe, risotti, creme viso o maschere nutrienti, la zucca e la Cucuzza Genovese aggiungono colore e benessere alle tradizioni salentine, rendendo ogni boccone e ogni trattamento un omaggio alla ricchezza della terra e alla saggezza delle antiche tradizioni.
La foto è del profilo Facebook BIODIVERSO

Il Ruolo Centrale delle Cime di Rapa nella Tradizione Gastronomica Pugliese e il Beneficio per il Microbioma Intestinale

 Il Ruolo Centrale delle Cime di Rapa nella Tradizione Gastronomica Pugliese e il Beneficio per il Microbioma Intestinale


La cucina pugliese, ricca di tradizioni e sapori autentici, trova il suo culmine in piatti emblematici come le orecchiette con le cime di rapa. Questa coltivazione, diffusa e caratterizzata da una vasta variabilità, rappresenta un pilastro della tradizione agroalimentare della regione. La sua resistenza alla modernizzazione agricola e la sua diffusione basata sulla semina a spaglio testimoniano della sua importanza nella cultura culinaria locale.
Le varietà di cime di rapa, identificate in base al periodo di maturazione, al luogo di coltivazione e al ciclo colturale, sono tramandate attraverso una ricca nomenclatura che riflette la connessione tra la semina e le celebrazioni religiose. Questa pratica testimonia l'importanza della trasmissione orale delle conoscenze, che ha guidato i contadini nella coltivazione di ogni varietà in armonia con i ritmi naturali e culturali.
Galatina, celebre per la sua produzione di cime di rapa, ha attirato l'attenzione fin dal 1931, quando il fotografo Giuseppe Palumbo dedicò un articolo alle specialità gastronomiche salentine. Le rape di Galatina, esportate in quantità notevoli anche fuori provincia, sono elogiate non solo per il loro sapore delizioso ma anche per lo sviluppo perfetto di ogni pianta, un risultato della dedizione degli agricoltori locali alla coltivazione di qualità.
Oltre alla loro importanza nella tradizione culinaria, le cime di rapa hanno un legame profondo con la spiritualità e la ritualità dei giorni di magro, specialmente nelle vigilie dell’Immacolata Concezione e del Natale. Questi piatti, sebbene considerati poveri, rappresentano un'eccellenza della cucina locale e incarnano l'identità stessa della Puglia.
Ma c'è di più nella storia delle cime di rapa oltre al loro impatto sulla cultura gastronomica. La recente ricerca scientifica ha evidenziato il ruolo cruciale del consumo di verdure, come le cime di rapa, nel favorire il benessere umano attraverso il nutrimento del microbioma intestinale. Il microbioma, un complesso ecosistema di microrganismi che risiede nel nostro intestino, svolge un ruolo fondamentale nella salute generale dell'organismo.
Le cime di rapa, ricche di fibre, vitamine e minerali, forniscono un nutrimento prezioso per i batteri intestinali benefici. Consumare regolarmente verdure come le cime di rapa contribuisce a mantenere un equilibrio sano nel microbioma, supportando la digestione, rafforzando il sistema immunitario e influenzando positivamente la salute mentale.
In conclusione, le cime di rapa non sono solo un piatto delizioso che incarna la tradizione e l'identità pugliese, ma sono anche un alleato prezioso per il benessere intestinale. L'unione di gusto e salute nelle cime di rapa riflette la profonda connessione tra la cultura alimentare e il mantenimento della salute, dimostrando che ciò che è buono per il palato può anche essere benefico per il corpo, in particolare per il nostro prezioso microbioma intestinale.

Salvatore Martella
Una ripassata alle nostre origini fa sempre bene , i nostri genitori e nonni in particolare che che facevano largo consumo di legumi , fagioli , piselli , ceci , ( anche perche li producevano ) era molto in uso la mattina prima di andare al lavoro fare , "" la mpanata "" con i legumi del rimasti del giorno prima , i piselli legano più di tutti , in una padella olio friggere pezzi piccoli di pane aggiungere i legumi e il pezzo forte "" le rape "" fare la crosticina sul fondo senza farli bruciare , un bicchiere di vino rosso ( uno perche si doveva andare al lavoro ) e il contadino iniziava la giornata di lavoro . Sembra che in ristoranti sia tornato di moda "" la mpanata "" con nomi diversi .
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Antonio Bruno
Salvatore Martella è affascinante esplorare le tradizioni culinarie delle generazioni passate e come certi piatti abbiano resistito al tempo, ritornando addirittura di moda in contesti gastronomici contemporanei. La "mpanata" con legumi come fagioli, piselli e ceci, arricchita dalle rape, rappresenta un piatto che va oltre il suo valore nutrizionale, portando con sé la storia e le abitudini quotidiane di un tempo.
La scelta oculata del cibo è una pratica che sta guadagnando sempre più importanza, non solo per il benessere individuale, ma anche per sostenere l'ambiente e le economie locali. Optare per produttori del Salento leccese, oltre a garantire ingredienti freschi e di qualità, contribuisce a preservare le tradizioni locali e a sostenere l'agricoltura locale.
Riscoprire piatti come la "mpanata" con nomi diversi nei ristoranti indica un ritorno alle radici culinarie, promuovendo la valorizzazione degli ingredienti locali e la creatività nella reinterpretazione di piatti tradizionali. Questa attenzione alla provenienza degli alimenti non solo arricchisce l'esperienza gastronomica, ma è anche un passo verso un approccio più sostenibile e consapevole nei confronti del cibo.
In un mondo in cui la globalizzazione ha reso disponibili una vasta gamma di prodotti, riscoprire e promuovere le tradizioni culinarie locali è un modo prezioso per preservare la diversità culturale e culinaria.
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