sabato 30 novembre 2013

Direttiva uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e Piano di Azione Nazionale


Direttiva uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e Piano di Azione Nazionale

Che cos’è lo Sviluppo sostenibile?

  • 1.       E’  la capacità di soddisfare i bisogni dell'attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere alle loro
  • 2.       riconoscere il valore dei servizi ecosistemici, miltifunzionalità,
  • 3.       frenare la diminuzione della biodiversità
  • 4.       garantire al tempo stesso l’ approvvigionamento alimentare,  la sicurezza alimentare per il consumatore
  • 5.       la sicurezza alimentare, considerato bene pubblico fornito dai settori agricolo e alimentare a beneficio della società, è un obiettivo strategico della PAC 2014 - 2020


Approvvigionamento e sicurezza alimentare
Comitato Economico e Sociale Europeo sul tema "Sicurezza degli approvvigionamenti nei settori agricolo e alimentare nell'UE" (2011/C 54/04), relatore Armands Krauze,
  1. ·         la sicurezza alimentare rappresenterà nei prossimi decenni la sfida principale per i settori agricolo e alimentare a livello globale
  2. ·         secondo una previsione dalla FAO, la popolazione mondiale arriverà a quasi 9,5 miliardi di persone entro il 2050 e, per nutrirla, la produzione alimentare mondiale dovrà raddoppiare rispetto agli attuali livelli
  3. ·         nella UE 79 milioni di persone vivono ancora al di sotto del livello di povertà e che 16 milioni di cittadini ricevono aiuti alimentari attraverso enti di beneficienza.


La nuova norma
DIRETTIVA 2009/128/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO  del 21 ottobre 2009 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi (sarebbe meglio chiamarli agro farmaci)
Obiettivi
  • 1.       assicurare un elevato livello di protezione della salute umana e animale e dell’ambiente e garantire la biodiversità
  • 2.       migliorare il funzionamento del mercato interno attraverso l’armonizzazione delle norme relative all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari, stimolando nel contempo la produzione agricola
  • 3.       promuovere l’uso della difesa integrata e di tecniche alternative (non chimiche) agli agro farmaci


DIRETTIVA 2009/128/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO  del 21 ottobre 2009 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi

Piano di Azione Nazionale/Piano di Azione Regionale
  • ·         indicatori
  • ·         applicazione per aree e/o per colture


Recepimento

Decreto Legislativo n. 150 14 agosto 2012  (GU n.202 del 30-8-2012 - Suppl. Ordinario n. 177)
“Attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi”

Ambito di applicazione
  1. ·         definisce le misure per un uso sostenibile dei prodotti  fitosanitari
  2. ·         considera il principio di precauzione
  3. ·         armonizza le disposizioni  con le politiche di sviluppo rurale,  dei regimi di sostegno  e della condizionalità 
  4. ·         si applica fatte salve le norme fitosanitarie


Attuazione
Ministero delle politiche agricole, Ministero dell'ambiente, Ministero della salute, Regioni e le Provincie Autonome provvedono alla programmazione, all'attuazione, al  coordinamento e  al monitoraggio delle misure previste

Consiglio tecnico-scientifico
Viene istituito entro 60 gg dall’entrata in vigore  del decreto è costituito da 23 esperti di nomina di:
4 dal Ministero delle politiche agricole, di cui uno con funzioni di Presidente
4 dal Ministero dell'ambiente di cui uno con funzioni di vice Presidente
4 dal Ministero della salute
1 dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca
1 dal Ministero dello sviluppo economico
9 dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, di cui quattro da individuare nell'ambito del Gruppo difesa integrata

  1. ·         il Consiglio redige e propone il Piano di azione nazionale per la adozione
  2. ·         il Consiglio, per lo svolgimento delle      proprie funzioni,             può avvalersi di esperti esterni
  3. ·         il Consiglio provvede a consultare periodicamente i portatori di interesse.


Piano d’azione nazionale (PAN)

Il Piano d’azione nazionale (PAN) è approvato con decreto del MiPAAF, di concerto con il MATTM e il Ministero della salute e d’intesa con le Regioni e PA  su proposta del consiglio entro il 26 novembre 2012; definisce obiettivi, misure, modalità e tempi per ridurre i rischi e gli impatti dell'utilizzo dei prodotti fitosanitari su salute umana, ambiente e biodiversità promuove lo sviluppo e l'introduzione della difesa integrata e biologica

Puoi consultarlo qui:

Gli obiettivi del Piano riguardano i seguenti settori:
  • ·         la protezione degli utilizzatori dei prodotti fitosanitari e della popolazione interessata
  • ·         la tutela dei consumatori
  • ·         la salvaguardia dell'ambiente acquatico e delle acque potabili
  • ·         la conservazione della biodiversità e degli ecosistemi


La stesura del PAN tiene conto dell’impatto sanitario, socio-economico, ambientale ed agricolo delle misure previste e delle specifiche condizioni esistenti a livello nazionale, regionale e locale.
Nella redazione del Piano tiene conto, altresì:
  • ·         delle restrizioni d’uso in aree ed ambiti particolari,
  • ·         dell’applicazione del principio di precauzione, ove ne sussistano i presupposti;
  • ·         della definizione di indicatori per il monitoraggio e la valutazione delle misure in esso previste;


Contenuti rilevanti del PAN

  • ·         formazione per tutti gli utilizzatori professionali, i distributori e i consulenti sull’impiego dei prodotti fitosanitari 
  • ·         informazione e sensibilizzazione. Il Piano definisce programmi di informazione e di sensibilizzazione della popolazione sui rischi e i potenziali effetti acuti e cronici per la salute umana, per gli organismi non bersaglio e per l’ambiente dei prodotti fitosanitari nonché sull’utilizzo di alternative non chimiche 
  • ·         Controllo delle attrezzature  5/3 anni
  • ·         riduzione dell'uso dei prodotti fitosanitari o dei rischi in aree specifiche quali
  • ·         le aree utilizzate dalla popolazione quali parchi, giardini,  campi sportivi e le aree ricreative, i cortili e le aree verdi all’interno dei plessi scolastici, le aree gioco per bambini e le aree adiacenti alle strutture sanitarie;
  • ·         le aree protette di cui al d.lgs 152/2006, parte III, allegato 9, e altre aree designate ai fini di conservazione per la protezione degli habitat e delle specie;
  • ·         le aree trattate di recente frequentate dai lavoratori agricoli o ad essi accessibili.


Difesa fitosanitaria a basso apporto di agro farmaci
  • 1.       Difesa integrata obbligatoria, gli utilizzatori professionali di prodotti fitosanitari, a partire dal 1° gennaio 2014, applicano i principi generali della difesa integrata obbligatoria, di cui all'allegato III
  • 2.       Difesa integrata volontaria, la difesa integrata volontaria rientra  nella  produzione integrata come definita dalla legge 3 febbraio 2011, n. 4
  • 3.       Agricoltura biologica, l'applicazione delle tecniche di agricoltura biologica  disciplinata dal regolamento (CE) n. 834/2007
  •  

Compiti Aziende - Allegato III
  1. 1.       tecniche colturali adeguate
  2. 2.       varietà resistenti/tolleranti
  3. 3.       materiale di moltiplicazione sano e certificato
  4. 4.       concimazioni equilibrate
  5. 5.       prevenire la diffusione di organismi nocivi
  6. 6.       salvaguardare gli organismi utili
  7. 7.       sistemi di monitoraggio degli organismi nocivi
  8. 8.       sistemi di previsione e di avvertimento
  9. 9.       soglie d’intervento

10.   metodi di lotta alternativi
11.   utilizzo di prodotti selettivi a minore impatto sulla salute e l’ambiente
12.   strategie anti-resistenza

Compiti Aziende/PAN

  • 1.       dimostrare di conoscere le principali avversità aziendali
  • 2.       dimostrare di disporre del collegamento o poter ricevere dati meteorologici dettagliati per il territorio sul quale sono insediate
  • 3.       realizzare autonomamente o partecipare ai monitoraggi comprensoriali
  • 4.       conoscere gli esiti dei monitoraggio realizzati a carattere comprensoriale
  • 5.       conoscere eventuali soglie di intervento delle avversità oggetto dei monitoraggi
  • 6.       conoscere le strategie anti-resistenza, tenere il registro dei trattamenti



IPM obbligatoria
  • ·         tra i vincoli che si potranno introdurre per la difesa integrata obbligatoria non ci saranno limitazioni nella scelta dei prodotti fitosanitari
  • ·         attuazione dell’ allegato III
  • ·         facile da applicare e misurare
  • ·         bassa incidenza
  • ·         Condizionalità ????


IPM volontaria

·         Rispetto delle norme tecniche di coltura con  limitazione nella scelta delle sostanze attive
·         necessità di misure di accompagnamento da prevedersi nella prossima programmazione 2014-20

Cosa si potrebbe fare?
  1. 1.       Valutazione tecnico economica di programmi di confusione sessuale
  2. 2.       applicazione di modelli previsionali
  3. 3.       biobed
  4. 4.       trappole a controllo remoto
  5. 5.       valutazione di attrezzature innovative
  6. 6.       Rete di assistenza tecnica
  7. 7.       Check list di autovalutazione


IPM volontaria ipotesi
Introdurre registro trattamenti elettronico

Scenario futuro
  1. 1.       rispetto della norma
  2. 2.       necessità di una difesa soddisfacente
  3. 3.       riduzione del portafoglio dei PF
  4. 4.       necessità di formazione
  5. 5.       confronto con i portatori di interesse

Che cos'è la Lotta integrata


La lotta integrata
Nata in origine dall'esigenza di contenere i costi dei trattamenti chimici sulle colture, la lotta integrata interviene con la chimica solo quando il potenziale danno arrecato al raccolto supera il costo del trattamento stesso. In ogni caso il prodotto da lotta integrata è più "pulito" di quello convenzionale e di minor impatto ambientale. Analisi di laboratorio rilevano, infatti, quantità minime di residui di pesticidi perché i trattamenti chimici, in lotta integrata, sono ridotti in
media del 50%.
E’ una pratica di difesa delle colture che prevede una drastica riduzione dell'uso di fitofarmaci mettendo in atto diversi accorgimenti. Tra i principali, si ricordano:
•-  l'uso di fitofarmaci poco o per niente tossici per l'uomo e per gli insetti utili;
•-  la lotta agli insetti dannosi tramite la confusione sessuale (uso di diffusori di ferormoni);
• - fitofarmaci selettivi (che eliminano solo alcuni insetti);
- • fitofarmaci che possono essere facilmente denaturati dall'azione biochimica del terreno e dall'aria; ...
La lotta integrata è una tecnica di produzione agricola che consente di ridurre i residui di fitofarmaci nei prodotti agricoli che finiscono sulle nostre tavole e ridurre di conseguenza l'impatto ambientale dovuto all'uso
indiscriminato di prodotti chimici di sintesi; e ciò è possibile mantenendo gli insetti distruttori a livelli tali da non compromettere la produzione e la sua redditività.
Riconosciuta e regolamentata dall'Unione Europea, la lotta integrata è un metodo di coltivazione mista, che cioè utilizza sia la chimica che i metodi naturali di difesa dai parassiti.
Perché "lotta integrata"?
Perché gli strumenti utilizzati per combattere gli attacchi parassitari sono molteplici e combinati sapientemente fra di loro: metodi che valorizzano le risorse naturali e i meccanismi di regolazione degli ecosistemi, e metodi chimici sono accuratamente equilibrati e tengono in conto della salubrità del prodotto e della protezione ambientale.
L'obiettivo non è di eliminare bensì di mantenere gli insetti dannosi al di sotto della soglia di tolleranza.
Si tratta pertanto di un sistema di controllo degli agenti che provocano danno alle coltivazioni.
Si pensi ad esempio alla presenza di siepi o fasce di vegetazione che contribuiscano allo sviluppo di nicchie favorevoli ad animali che si nutrono degli insetti dannosi.
Così come agli interventi di tipo agronomico, quali rotazioni, sfalci, potature, diserbo, irrigazioni, possono condizionare, direttamente o indirettamente, la presenza dei nemici colturali.
Un'altra tecnica di lotta è l'introduzione di fattori di disturbo per le specie nocive, quali piante-esca che distolgano dalle varietà coltivate, oppure l'introduzione di maschi sterili che riducano l'incremento numerico degli organismi dannosi.
Quando le varie tecniche biologiche, agronomiche e fisiche non sono sufficienti a mantenere i parassiti sotto il livello di tolleranza si ricorre ai prodotti chimici di sintesi, ma in modo limitato e giudizioso.
Il risultato di questo metodo è una riduzione (rispetto al massimo ammesso per legge) del residuo di fitofarmaci sul prodotto finito, assicurando un maggiore rispetto ambientale e riducendo le fonti attuali di inquinamento agricolo dell'ambiente.
E per essere certi che tutto ciò non sia solo un'autodichiarazione del produttore è bene che la produzione integrata sia certificata da un ente terzo indipendente.
Si tratta di una certificazione di prodotto, basata su una norma volontaria (il riferimento per la lotta integrata è il DTP 021), con cui l'azienda sceglie volontariamente di assicurare un prodotto con determinate caratteristiche
qualificanti.

Garante è l'ente di certificazione che effettua i controlli sia sulle coltivazioni, sia sul prodotto finito.



Dell’Olivo - Monografia di G. Caruso Professore di Agraria della Regia Università di Pisa, Torino Unione Tipografico editrice 1883, CAPO I


Patria originaria dell’olivo domestico
La  storia dell'ulivo domestico, oscura e controversa,  si perde nella notte dei secoli; ma pare che la sua patria sia l'Asia anteriore a mezzogiorno, dove è  nobilitato per la prima volta dalle razze semitiche  di quella regione.
I Semiti portano l’olivo in Grecia, ove era quello  selvatico.
Nella parte più interna dell'Asia, l'olivo manca, perché ama il mare ed i monti  calcarei: e manca ancora, nei tempi remoti, in Egitto.
Secondo le testimonianze dei monumenti e degli storici, troviamo l'olivo di frequente in istato selvatico sulle coste greche dell'Asia Minore, nelle isole e nella Grecia stessa. È probabile, dunque, che la coltura l'abbiano i Greci ricevuta dai Semiti. La quistione è quando.
Epoca in cui l’olivo è coltivato in Grecia
All'epoca omerica (probabilmente nel IX secolo  avanti Cristo: Omero, secondo Erodoto, fiori 400 anni av. lui,  quindi 880 av. C. ) troviamo citato frequentemente l'olio, ma solamente come importazione straniera : serviva per ungere il corpo, ma non per nutrimento ed illuminazione.
Nelle parti dell’ Odissea che, secondo parecchi critici, sarebbero più recenti, c'è qualche allusione all'olivo (canto VII, versi 103 e 131). Ma  pare che si tratti di olivo ad uso di giardinaggio  anziché di coltura, e unicamente per mangiarne  le frutta. Nel canto V, verso 476, sono citate Phylìa ed Elèa. Se la prima fosse, come alcuni opinano, l'olivo selvatico, l'altra non potrebb'essere che il domestico. Ammonio spiegava la Phylìa  Schinos), che è un mastice, cioè il lentisco (Pistada lentiscus); altri vi trovavano una specie di oliva con foglie simili a quelle, del mirto. Ma, secondo Hehn (Ved. ViCT. Hehn: Kulturpflamen und Haukhiere in iJvrem Uébergange aus Asien nach Griechenland und Italim; Berlin 1874 (2* ed.), non sarebbe altro che pianta in genere, o, volendo determinarla di più, un mirto. Nell’Ilìade (canto XVII, verso 53 sino al 58) vi è una immagine, dove s'accenna a chi pianta l'olivo.
Da tutto ciò si arguisce che, nei canti omerici più moderni, c'è un principio di questa coltura. Naturalmente dobbiamo pensare alle coste joniche e alle isole, non alla terraferma.  Infatti Samos, detta da Eschilo Elaiophyios, vuol dire piantata di ulivi. Per Milelo e Chios , ne abbiamo testimonianze fin dai tempi di Talete (dal 639 al 546 avanti Cristo). Spesso è citata l’isola di Delo, pure come olivata.
Per la terraferma, la testimonianza d Esiodo, citata da Plinio (XV, 3) sulla lentezza del crescere dell'olivo, è forse spuria.
Per i Greci, Atene era la sede originaria della coltura dell'olivo (Erodoto, v, 82). E gli Epidaurensi, che domandarono agli Ateniesi gli olivi coltivati in vicinanza del tempio come cosa sacra, gli ebbero. Ciò, secondo Ottofredo Miiller, sarebbe  stato nella Olimpiade 60° (536 avanti Cristo); secondo Hehn (l.c.), nella prima metà del VI secolo avanti Cristo.
Al principio di codesto secolo, nelle leggi di Solone si parla di questa coltura; ma più specialmente si diffuse ai tempi di Pisistrato. E alla grande diffusione, ch'ebbe l'olivo presso gli Attici , accenna il doppio nome di Elèa e Kotinos.

Secondo Pausania (II, 6, 2), Sicione aveva di molti olivi (Sicyonias baccas).

Diffusione dell’olivo in Sicilia e Sardegna.
Quando nel primo secolo delle Olimpiadi (dal 776 al 676 avanti Cristo) le colonie greche si estendono sulle coste d'Occidente (Penisola italiana, Sicilia, Gallia), l'olivo ha maggior campo.
Lo troviamo nelle isole e nell'Italia meridionale nel VI e certo poi nel VII secolo avanti Cristo; ma forse il primo seme venne dai Fenici, come oscuramente ce lo mostrerebbe il mito di Aristeo.
Aristeo, soggiunge Hehn (l.c.), antico Dio pastorale degli Arcadi, dei Tessali e dei Beoti, fu portato dai primi coloni in Sicilia; e, presso i successori, passò come inventore dell'oliva e dell'olio (Cicero in Verr., IV, 57; De Natura deorum, III, 18; Plinio, VII, 199; Diodoro Siculo, IV, 81, 2).
Ma Aristeo, al dire di Pausania (x, 17), prima di venire in Sicilia, era stato signore di Sardegna, e vi aveva portato la coltura dei campi. Dalla Sardegna egli viene in Sicilia, e inventa, oltre a diverse altre industrie campagnuole, la fabbricazione dell'olio.
È probabile che i Greci trovassero in Sicilia una divinità libico-fenicia, che essi tramutarono in quella di Aristeo. Ora, questo Dio dev'essere venuto in Sardegna dall'Africa, e quindi in Sicilia. Così opina Hehn; ma a noi pare più verisimile che dall'Africa dovesse questo Dio arrivare più presto in Sicilia anziché in Sardegna. Sul tempo, le tradizioni tacciono; e resta quindi dubbio se i Greci abbiano o no trovato in Sicilia oliveti piantati dai Fenicii. Più tardi , quando nella madre patria greca l'olio ebbe la maggiore importanza, s'incontrarono in Sicilia le due correnti: la cartaginese e quella imitatrice dell'Attica.

Diffusione dell'olivo nella terraferma.
Veniamo alla terraferma italiana. Qui troviamo un dato cronologico. Plinio, citando Lucio Fenestella, sa che ai tempi di Tarquinio Prisco, cioè all'anno 139 di Roma (615 av. Cr.), non c'erano olivi (Plinio, XV, 1). Se questa affermazione non è un'eco del luogo citato da Erodoto (e il sospetto cresce, pensando che, oltre all'Italia, aveva citato la Spagna e l'Africa) , dobbiamo conchiudere che nel tempo dei Tarquinii, fra i molti legami che i latini avevano coi Greci di Campania, vi appresero anche l'arte di coltivare l'olivo. Forse questa notizia deriva da una fonte Cumana. Che poi la coltura venisse direttamente dai Greci, lo provano le parole oliva ed oleum, derivate certo dal greco; ed alcune altre, che si riferiscono alla coltura della pianta ed alla fattura dell'olio, sono greche leggermente tramutate in Latino, come, ad esempio, orehis, cercites o cìrcites, drupa , trapetum, amurca,
La coltivazione dell'olivo cominciò di certo sulle coste, e poi dentro terra, quando cessava l'antipatia per l'olio. Varrone ed Orazio magnificano i vegeti olivi che vedevansi in gran copia nella Sabina (Rieti), nel Sannio (Campobasso), nella Messapia o Japigia (Lecce), nella Peucezia (Bari), nella Daunia (Capitanata), nella Campania (Napoli , Salernitano e Terra di Lavoro), nella Lucania (Basilicata), e in molti luoghi del littorale tirreno e adriatico. Celebrato è l’olio di Venafro e di Thurii (antica Sibari); poi abbiamo l'oliva di Calabria (Olea calabrica) detta anche Oleastella (Columella, XII, 51); la Salentina, citata da Catone (VI) e da Varrone (i, 24); la Lieiniana, in Campania; quella del monte Taburnns, tra Capua e Nola (Virgilio, Georg. , II, 38); poi di molt'olio nei monti Sabini. L'oliva Sergia era la più resistente al freddo e ricca d'olio, ma non
fina e gentile (Plinio, xv, 3; Columella, v, 8; Palladio, m, 18).

Troviamo anche l'olivo nel Piceno, ora Marca di Ancona, ma ci avverte Marziale (i, 43, 8; v, 78, 19 ; XIII, 36) che al di là dell'Appennino non reggeva. E, secondo l'affermazione di Plinio (xv, I), la coltura era molto diffusa in Italia un secolo avanti Cristo.

Dell’Olivo, Monografia di G. Caruso Professore di Agraria della Regia Università di Pisa, Torino Unione Tipografico editrice 1883, CAPO I

Report del Convegno tenutosi a Sannicola (Lecce) il 28 novembre 2013


Imperdibile convegno tenutosi giovedi, 28 novembre a Sannicola dal titolo Ulivi. Cura o Tortura? Presenti al convegno: Giuseppe Altieri, Agro-ecologo, docente ordinario di Fitopatologia, Entomologia, Agricoltura Biologica, Agroecologia, presso l’Istituto agrario di Todi (PG); Antonio Andrani, Istituto agrario di Maglie; Prisco Piscitelli, ISBEM (Istituto Scientifico Biomedico Euro Mediterraneo); Giulio Sparascio, CIA (Confederazione Italiana Agricoltori); Ivano Gioffreda, portavoce Spazi Popolari; Onorevole Adriano Zaccagnini, vicepresidente della XIII commissione (agricoltura);a moderato Margherita D’Amico, fitopatologa. L’incontro tra esperti, cittadini e addetti ai lavori ha consentito verifiche e riflessioni di quanto già il buon senso comune andava delineando dal 21 settembre scorso (apertura ufficiale dell’attacco di panico da Xylella) ad oggi. Fonte inesauribile di riflessioni gli interventi dei professori Andrani e Altieri e di Ivano Gioffreda, pioniere dell’Agricoltura organica in Salento, proprio a Sannicola con Spazi Popolari, e promotore dell’incontro. Il Prof Andrani dipana attraverso il suo intervento la risposta ad una domanda cruciale per il futuro della nostra civiltà e del patrimonio agricolo: “Quale relazione intercorre tra pratiche dell’Agricoltura e Salute Umana?” La preoccupazione maggiore deriva dal fatto che “non abbiamo mai avuto un rapporto ecologico con la nostra terra e ad ogni scelta compiuta non ci siamo mai chiesti…cosa succede dopo?”. L’agricoltura va condotta con “metodo scientifico”, bisogna rispettare l’origine delle piante e il loro naturale habitat. Scellerate ad esempio le pratiche di ridurre l’abero, la coltura, e la terra alle nostre comodità, ad esempio impiantare in Salento varietà di olive che vengono da altri sistemi ecologici espiantando le varietà autoctone per poi constatare che hanno bisogno di continui trattamenti chimici e non per poter sopravvivere in un ambiente a loro ostile. Si ricorda la moda della Nociara con frutto polposo e legno fragile che voleva soppiantare la cellina, con pessimi esiti: la mosca, la presenza di rodilegno e la siccità pian piano hanno fatto desistere i suoi estimatori. Anche le tecniche di cura del manto terroso nel tempo si sono piegate alle logiche di un’apparente efficienza. L’attenzione si è spostata su come raccogliere più velocemente le olive, perdendo di vista come coltivare l’albero affinché le produca. La terra è morta, fossile, rullata, immobile, con disseccanti e diserbanti (se ne usano in quantità spaventose, e vengono costantemente consigliate) abbiamo sterminato persino i preziosi lombrichi, digestori instancabili. Abbiamo una terra senza materia organica, senza organismi. Abbiamo praticamente estinto l’humus dal Salento. E “humus” vuole dire capacità del terreno di trattenere l’acqua, di evitare alluvioni e di rilasciare alle piante sostanze nutritive che costuiscono le loro difese immunitarie. La tecnica del sovescio per ossigenare la terra è stata rimossa dalla nostra memoria rurale. Il Salento, rincara Gioffreda, è diventato un’immensa aia. Si aggiunga poi il fenomeno riscontrato negli ultimi anni di effettuare potature profonde, vere e proprie menomazioni, provocate troppo spesso dai guadagni della vendita di legna. Potature fatte in pieno agosto, esponendo la pianta al nostro caldo intollerabile. Potature senza grazia, i contadini di una volta curavano la superficie di taglio come fosse una ferita, con il solfato di rame ed altre sostanze simili, benigne. Il Prof. Giuseppe Altieri con il suo intervento ha creato un ponte necessario tra le premesse di Andrani e Gioffreda e l’effetto. La Xilella fastidiosa viene infatti presentata per quel che è: non causa del disseccamento ma conseguenza del disseccamento. Naturale deriva della pianta martoriata da tecniche di coltura feroci. La colpa è del “vuoto ecologico che abbiamo creato”. La colpa è di un’olivicoltura anaffettiva, potremmo dire, perchè vogliamo umanizzare il rapporto uomo-natura, invece di alimentarne la separazione in nome di una supposta superiorità che finora ha procurato solo danni all’uomo stesso. Un albero come l’olivo dalle radici poco profonde da 60 centimentri a un metro che non trovi nutrimento nella terra ma glifosate in quantità da far inorridire esperti di guerre chimiche; che non peschi nell’humus, che non abbia terreno organico ricco di fosforo azoto e potassio con cui sostenersi, è un albero che presto azzera le sue difese immunitarie, e presto diventa preda di qualunque batterio, fungo, insetto esista in quell’ecosistema. “E’ inutile questa corsa allo sterminio dei batteri. I batteri sono vita e vivono, non ce la farete ad ucciderli, morirete prima voi”. Il senso è che in un ecosistema esistono molti microrganismi endemici, che possono diventare patogeni solo perchè uno squilibrio del sistema ha consentito loro di prendere il sopravvento. La corsa folle dell’Uomo Tecnologico verso un uso sempre minore delle nude mani, sempre minore del senno e del metodo scientifico, sempre maggiore della chimica e dei veleni, non solo secca gli Ulivi del Salento ma, spiega il Dott. Prisco Piscitelli con dati alla mano, comincia a seccare uomini donne e bambini. I pesticidi, disseccanti, diserbanti che ogni anno in quantità centuplicate si utilizzano nel mondo rispetto agli anni Settanta, e nelle nostre terre se ne abusa senza freno (probabilmente fidandosi di agronomi con troppa fiducia e pochi scrupoli sul progresso) questo modo di agire provoca malattie incurabili, soprattuto cancro. Basti pensare che l’Italia ha il triste record mondiale di tumori nell’infanzia. In questo superiamo persino l’America. E’ intervenuto dal pubblico anche il Dott. Luigi De Bellis, Università del Salento, Direttore Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali sottolineando il silenzio totale e inaccettabile finora sostenuto dall’equipe incaricata di effettuare analisi, e l’esclusione dalla ricerca proprio dell’Università pertinente per territorio. L’Onorevole Adriano Zaccagnini, vicepresidente della XIII commissione (agricoltura) rassicura la platea e il Salento tutto, che non vi sarà alcun azione azzardata come eradicazione di massa più volte sbandierata dai cosiddetti esperti senza le dovute analsi di patogenicità che spesso richiedono molti mesi. E che questo patrimonio verrà salvaguardato tentando di immaginare, istituzioni e popolazione locale, un modello nuovo (niente altro che un ritorno alle origini) di convivenza con queste piante per scambiare con loro nell’ecosistema che ci ospita. Da più parti si ribadisce che è necessario approcciare all’emergenza del disseccamento tenendo presente gli Ulivi, la civiltà che rappresentano e la vocazione che chiede di essere tramandata per mantenere identità e preservare una fonte di ricchezza in termini di ECONOMIA REALE, di beni reali. L’ultimo baluarado contro il vuoto dissennato del mondo finanziario. Dunque i finanziamenti UE che servano per l’agricoltura agroecologica più che per la ricerca di batteri sempre esistiti o per la guerra chimica agli insetti vettori. Ricordiamo che sono stati stanziati per questo motivo già 7 milioni di euro UE. Non facciamoci disseccare da questo patogeno… chiamato denaro. Pensiamo innanzitutto alla Terra e alla vita che essa per millenni ci ha garantito e ancora oggi ci offre, se glielo permettiamo.
Stefania Tundo
fonte:
Report del Convegno tenutosi a Sannicola (Lecce) il 28 novembre 2013

L’EFSA emana un parere urgente sul batterio delle piante Xylella fastidiosa

L’EFSA emana un parere urgente sul batterio delle piante Xylella fastidiosa

L'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha concluso che esercitare particolare sorveglianza sul commercio delle piante destinate alla messa a dimora e sulla presenza di insetti infetti contenuti nelle spedizioni di vegetali sarebbe il modo più efficace di limitare la diffusione del batterio Xylella fastidiosa, recentemente riscontrato nel Sud Italia, primo focolaio del genere nell'Unione europea.
Trasmesso da alcuni insetti noti come “sputacchine e cicaline”, che si nutrono di linfa grezza, il batterio X. Fastidiosa è stato individuato durante l’attuale focolaio della malattia che ha colpito 8 000 ettari di piante di olivo nella regione Puglia, nel sud dell’Italia. Il batterio può essere ospite di un’ampia gamma di piante tra cui il mandorlo, il pesco, il susino, l’albicocco, la vite, gli agrumi, la pianta del caffè e l’olivo ma anche la quercia, l’olmo, il Ginko e il girasole.  E’ importante sottolineare che le piante possono essere portatrici del batterio senza mostrare segni di malattia.  X. Fastidiosa, in  quanto organismo nocivo, è oggetto di regolamentazione nell’Unione europea (UE) e ne è vietata l’introduzione e diffusione in tutti gli Stati membri.
Visto il focolaio infettivo in atto, la Commissione europea ha chiesto all'EFSA di fornire consulenza scientifica urgente, specificare l’elenco delle specie vegetali note che possono fungere da ospite, individuare le varie modalità con cui le specie vegetali infette e gli insetti vettori possono entrare nell’UE e  individuare nonché valutare le possibili misure di profilassi.
Gli esperti di salute delle piante dell'EFSA hanno concluso che la X. fastidiosa nell’UE ha  una vasta gamma di piante ospiti note, molte delle quali coltivate per la produzione agricola, ma anche specie selvatiche autoctone comuni in Europa. Vi è inoltre un gran numero di specie che potrebbero venire infettate dal batterio, ma che non vi sono mai state esposte, il che rende difficile stabilire quale sarà il suo impatto probabile su di esse. È importante sottolineare come le sputacchine e cicaline che si nutrono di linfa grezza presenti  nell’UE, potenziali portatrici della malattia,  possono avere abitudini e modelli alimentari diversi .
Poiché l’unico mezzo naturale di diffusione della X. fastidiosa sono le sputacchine e cicaline che si nutrono di linfa grezza, che in genere possono volare per brevi distanze fino a 100 metri, il modo più efficace di diffusione a lunga distanza di X. Fastidiosa  è la movimentazione delle piante infette per la messa a dimora. Inoltre il trasporto degli insetti eventualmente portatori del batterio nella movimentazione commerciale dei vegetali viene considerato  motivo di preoccupazione.
La principale fonte di introduzione nell’UE di X. fastidiosa è dunque il commercio e subito dopo la movimentazione di vegetali destinati alla messa a dimora. Sono state inoltre valutate altre potenziali fonti di infezione tra cui frutta, legno, fiori recisi, semi e piante ornamentali,  ritenute però trascurabili o poco efficaci come possibili vie di introduzione del batterio.
Non è nota alcuna strategia precedente che abbia avuto successo nell'eradicazione di X. Fastidiosa , una volta insediatasi all'aperto. L'EFSA raccomanda pertanto che le strategie preventive per il controllo dei focolai si concentrino sulle due principali vie di infezione (piante da messa a dimora e insetti infetti presenti nelle partite di vegetali) e si fondino su un approccio basato su sistemi integrati.
Dopo questa valutazione rapida il gruppo di esperti dell’EFSA sulla salute dei vegetali  condurrà una valutazione completa del rischio dal batterio Xylella fastidiosa per le colture e le piante dell’UE.

Note per i redattori:
L'introduzione e la diffusione di organismi nocivi ai vegetali quali funghi, batteri, virus e insetti tra le colture alimentari è una grave minaccia che può avere profonde ripercussioni economiche, sociali e ambientali. Gli organismi nocivi alle piante sono spesso introdotti in aree mai colpite prima mediante l’importazione di vegetali.
In Europa le misure di protezione contro l'introduzione di nuovi organismi nocivi ai vegetali si basano sui controlli di legge effettuati sulla circolazione dei vegetali e dei prodotti vegetali. La valutazione della probabilità che organismi nocivi ai vegetali vengano introdotti e poi diffusi in una zona e la valutazione delle potenziali conseguenze contribuisce a informare il processo decisionale sulle misure di difesa fitosanitaria. Il compito principale del gruppo di esperti dell’EFSA sulla salute dei vegetali (gruppo PLH) è quello di valutare i rischi da organismi esotici nocivi ai vegetali (provenienti da Paesi extracomunitari) utilizzando una vasta gamma di competenze specialistiche e le conoscenze scientifiche più recenti in materia, per fornire consulenza scientifica alla Commissione europea.
Per informazioni i giornalisti possono rivolgersi al servizio:
Relazioni Stampa EFSA 
Tel. +39 0521 036 149
E-mail: Press@efsa.europa.eu

venerdì 29 novembre 2013

Buona e sana domenica

Gent.me Amiche, carissimi Amici,

qualcuno di voi se ne sarà sicuramente accorto ma ora vogliamo uscire allo scoperto e dichiarare chiaramente che da alcuni mesi il giovane staff di Repubblica Salentina crea, movimenta e realizza attività ed iniziative con il logo “Pro_Salento”, il cui nome la dice lunga sulla sua natura e sulle sue intenzioni. Naturalmente “Pro” sta per “a favore” ma nelle nostre intenzioni è anche un’abbreviazione di “promozione” e, se nel tempo ce lo meriteremo, anche di “professionale”. Una promozione del Salento a 360°, quindi, prevedendo principalmente quattro macro aree: Turismo – AgroAlimentare – EcoSostenibilità – Arti & Cultura.


E oggi è proprio della promozione del comparto Agroalimentare che vogliamo parlarvi in quanto i giovani promotori della “Dieta Med-Italiana”, per incentivare la conoscenza della bontà, della qualità e, soprattutto, della salubrità di alcuni nostri prodotti hanno inventato un nuovo format di eventi a cui hanno dato il nome di “Buona (e sana) Domenica – il buongusto della salute”.

 Nelle “Buone (e sane) Domeniche” saranno presi di mira, a turno, alcuni prodotti salentini che hanno la peculiare caratteristica di essere sia buoni (di gusto) che sani (nel senso che il loro consumo consapevole apporta benefici al benessere e alla salute), parliamo di olio extravergine, vino rosso, miele, vincotto, pesce, melagrana, pansorriso e altri dolci realizzati con prodotti naturali, etc. L’evento si svolgerà direttamente presso l’azienda del produttore o altra location affine e prevedrà degustazioni, incontri con esperti nutrizionisti e medici, abbinamenti con altri cibi e bevande, piccoli momenti di spettacolo, offerte promozionali e, ove possibile, piccoli omaggi a chi si recherà presso l’evento in bicicletta (…perché Dieta Med-Italiana è anche movimento, attività fisica ed ecosostenibilità!).



E proprio questa domenica, 1 dicembre, è di scena uno dei nostri migliori prodotti: l’Olio Extravergine d’Oliva Novello della pluripremiata Azienda Agricola Adamo di Alliste.



Questo il programma della mattinata:



ore 10.30: Incontri con gli esperti

Il nutrizionista Dr. Cristian Manni illustrerà tutte le proprietà salutistiche, terapeutiche e nutrizionali dell'olio EVO (extravergine d'oliva)
Il produttore Cosimo Adamo illustrerà i rudimenti dell'assaggio dell'olio e aprirà una discussione su come riconoscere gli oli di qualità sfatando alcuni luoghi comuni.

ore 12.00: Momento di spettacolo

Balletto di pizzica dei ragazzi della scuola di ballo "Sylphide" di Melissano

dalle 10.30 alle 13: ...previsti anche

Degustazione dell'Olio EVO Novello 2013 "Adamo"
Degustazione del famosissimo dolce della salute, il "PanSorriso" offerta dal pasticciere Giovanni Venneri del "Cafè dei Napoli"
Omaggio di una bottiglia di 100ml di Olio Extravergine "Adamo" a coloro che raggiungeranno il frantoio in bicicletta (…perché la Dieta Med-Italiana è anche movimento, attività fisica ed ecosostenibilità!)
Offerta promozionale unica, con uno sconto del 25% per l'acquisto di una bottiglia di Olio EVO Novello 2013 "Adamo"
Offerta promozionale del 25% di sconto per l'acquisto del "PanSorriso"
Esposizione e possibilità di acquisto dei "Doni ...di Gusto", un'idea per i regali di Natale a parenti ed amici

ROSSI RUSCIULI, GUSTO E BELLEZZA

ROSSI RUSCIULI, GUSTO E BELLEZZA. Dalla macchia mediterranea, gusto e bellezza con i rossi “rusciuli”. La storia dei corbezzoli e il loro intreccio con la cultura salentina sono raccontati nella rubrica Salentoverde, curata dal dottore agronomo salentino Antonio Bruno. Di mese in mese, seguendo l’evolversi delle stagioni, si passano in rassegna i principali prodotti della terra del Salento.

mercoledì 27 novembre 2013

La filiera florovivaistica della Puglia


In base ai dati del Censimento Agricoltura del 2010 il settore florovivaistico (fiori e piante ornamentali, piantine e vivai) regionale si compone di 1.977 aziende, quasi equamente suddivise tra aziende votate al vivaismo (748) e aziende dedite alla produzione di fiori e piante ornamentali (725). In numero sempre rilevante, ma leggermente inferiore, sono quelle attive nella produzione di piantine (504). La superficie impiegata dalle aziende che definiscono questo settore produttivo ammonta in complesso a circa 3.070 ettari (0,2% della SAU pugliese al 2010), dei quali poco più del 44% riconducibili alle aziende vivaistiche, mentre il restante 56% si ripartisce tra gli altri due ambiti produttivi. Si tratta di aziende molto piccole, in cui quelle vivaistiche detengono la dimensione media maggiore, che resta comunque inferiore ai 2 ettari di SAU.
La caratterizzazione provinciale delle informazioni evidenzia specializzazioni differenti. I territori maggiormente vocati alla produzione di fiori e piante ornamentali sono Bari e Lecce, dove si concentrano complessivamente l’83% delle aziende e il 67% della SAU riconducibili a questa categoria produttiva. Segue, seppur con un certo distacco, la Provincia di Barletta-Andria-Trani, in particolare per quanto riguarda la superficie dedicata. La produzione di piantine è un’attività che caratterizza soprattutto le Province di Foggia, Bari e Brindisi, che congiuntamente detengono i 3/4 della SAU regionale; tuttavia, il maggior numero di aziende impegnate in questa produzione fanno riferimento a Lecce. Infine, l’attività vivaistica risulta prevalente soprattutto nel territorio barese, leccese e tarantino dove si concentrano il 66% delle aziende e il 74% della SAU di settore.
 - Il settore florovivaistico pugliese - 2010

Fonte: ISTAT.
L’evoluzione che ha contraddistinto il settore in ambito regionale nell’ultimo decennio (2010-2000) mette in luce andamenti simili a quelli registrati a livello nazionale, anche se l’intensità delle variazioni risulta differente.
- Evoluzione di aziende e SAU per orientamento produttivo[1]

Font Fonte: ISTAT.
Sia a livello regionale che italiano le aziende risultano in calo, mentre la superficie produttiva in aumento. Emerge dunque un processo di ricomposizione fondiaria, con ampliamento delle strutture produttive. In dettaglio, le aziende agricole della Regione Puglia dedite alla produzione di fiori e piante ornamentali sono calate del 20% rispetto al 2000 (in Italia del 26%), mentre la SAU è cresciuta del 48% (a livello nazionale è risultata praticamente stabile, 0,2%). Questo scenario, che segnala comunque una tenuta relativa del settore regionale rispetto alle evoluzioni nazionali, risulta comune a quasi tutte le Province pugliesi, anche se con alcune eccezioni; infatti, per quanto riguarda le aziende queste risultano in aumento a Barletta-Andria-Trani (54%) e a Bari (24%), mentre la SAU si riduce a Foggia. La superficie produttiva risulta in forte aumento a Barletta-Andria-Trani (336%) e a Taranto (111%); questo ha consentito al territorio di Barletta-Andria-Trani di passare da penultima Provincia per estensione nel 2000 a terza nel 2010, subito dopo Bari e Lecce.
L’attività vivaistica mostra evoluzioni simili, anche se in questo caso le aziende della Regione Puglia sono diminuite in misura più ampia (-25%) di quelle italiane (-8%) e la SAU regionale è aumentata molto meno (2%) di quanto verificato in Italia (28%). La contrazione delle unità produttive riguarda tutte le Province, ad eccezione dell’incremento di Foggia (53%). La superficie produttiva è cresciuta quasi ovunque (ad eccezione di Taranto e Foggia) e in misura significativa a Bari (46%), che passa da terza Provincia per estensione del 2000 a prima nel 2010.
Per quanto riguarda invece le modalità di vendita praticate dalle aziende con produzioni florovivaistiche emerge come due canali rivestono un ruolo di primo piano, sia a livello regionale che italiano (tabella 2.3.49). Si tratta della vendita diretta (che può essere sia in azienda che fuori azienda) e ad imprese commerciali, che in complesso caratterizzano oltre i 2/3 delle aziende pugliesi e nazionali. Un'altra modalità di vendita che registra un peso significativo riguarda la vendita/conferimento ad organismi associativi, che in Puglia coinvolge il 16% delle aziende florovivaistiche (l’11% in Italia) e lascia emergere una maggior propensione all’azione collettiva rispetto al dato medio nazionale. Gli ultimi due canali per importanza sono rispettivamente la vendita ad altre aziende agricole e ad imprese industriali; in questo caso le aziende regionali mostrano una maggior preferenza, rispetto alla media italiana, per le aziende industriali mentre sono relativamente meno concentrate nel vendere ad altre aziende agricole.
Il dettaglio provinciale delle informazioni evidenzia situazioni molto diversificate, probabilmente condizionate dalle specializzazioni produttive florovivaistiche e dalla presenza (o meno) di strutture aziendali intermedie e di supporto alla commercializzazione.
- Importanza percentuale delle diverse modalità di vendita di prodotti florovivaistici per Provincia, Regione e totale Italia - 2010

Gli aspetti economici e il commercio internazionale
Il valore complessivo della floricoltura in Puglia nel 2011 si è attestato intorno a circa 120 milioni di euro (il 3,3% della produzione agricola regionale), con una flessione del 4,5% rispetto all’anno precedente. Il trend negativo (seppur con qualche ripresa) ha caratterizzato il settore negli ultimi 10 anni e ha subito una accelerazione a partire dal 2008-2009; l’evoluzione di lungo periodo (2011-2001) conferma questo andamento, registrando una perdita pari a -11,2% .
I valori registrati dal settore nel 2011 sono in controtendenza rispetto alla produzione agricola regionale; infatti, tra il 2010 e il 2011 l’agricoltura regionale ha registrato una crescita della produzione a valore del 6,3%, attestandosi a circa 3,6 miliardi di euro. L’azione combinata di questi andamenti ha ridotto l’incidenza della floricoltura sul comparto agricolo pugliese, che è passata dal 3,7% del 2010 al 3,3% del 2011.   
- Andamento della produzione agricola ai prezzi di base del settore agricolo e florovivaistico in Puglia (valori correnti, 2000 = 100)

Fonte: ISTAT.
Le vendite sui mercati internazionali di prodotti florovivaistici pugliesi mostrano un doppio scenario: tra il 2000 e il 2007 si registrano dati costantemente in crescita, con un valore delle esportazioni che è passato da circa 8 milioni di euro del 2000 ad oltre 13 milioni del 2007, con una crescita del 63,5%. Nel 2008 e 2009 invece le vendite sui mercati esteri sono crollate, fino ad attestarsi a poco più di 3,6 milioni di euro nel 2009. Nel 2010 si registra invece una ripresa delle esportazioni di prodotti florovivaistici, che registrano un valore dell’export di quasi 8 milioni di euro, un valore comunque inferiore a quello del 2000. Nell’arco temporale di riferimento, la variazione percentuale media annua è leggermente negativa, pari a -0,19%.
- Trend delle esportazioni di prodotti del florovivaismo dalla Puglia (migliaia di euro)

Fonte: INEA.
Il settore florovivaistico pugliese ha conosciuto nell’arco intercensuario un processo di ristrutturazione aziendale, particolarmente evidente per fiori e piante ornamentali. D’altra parte, la dimensione media aziendale resta tuttora polverizzata e ciò, sebbene accomuni la regione al dato nazionale, costituisce un punto di debolezza strutturale che ancora stenta a trovare soluzione.  
La dinamica della produzione ricalca in buona parte quella del settore primario, con andamenti decrescenti nel periodo considerato. Segnali positivi provengono invece da una accresciuta capacità di ovviare a queste debolezze strutturali attraverso meccanismi di aggregazione dell’offerta che, sempre più viene avviata ai canali commerciali attraverso formule associative.
Sul fronte dei mercati esteri, dopo 7 anni di buone performance di esportazione, si registra una flessione consistente, attenuata solo da una leggera ripresa nell’ultimo biennio.



[1]Allo stato attuale non è disponibile il dato relativo alle aziende impegnate nella produzione di piantine, in quanto l’ISTAT non ha ancora rilasciato i dati di confronto. In particolare, essendo cambiato il campo di osservazione rispetto al Censimento del 2000 l’Istituto di statistica sta ricalcolando tutti gli aggregati in modo da rendere possibile il confronto intercensuario.

La filiera zootecnica da carne della Puglia


Il settore zootecnico regionale, considerato nel suo complesso, si compone di poco più di 9.000 allevamenti. Dal punto di vista della rilevanza dei capi allevati, il contributo della regione alla zootecnia nazionale è marginale per tutte le tipologie di allevamento: il peso risulta più significativo nell’allevamento ovicaprino e degli equini, per i quali l’incidenza sul comparto nazionale è superiore al 4% .
- Aziende zootecniche e i capi allevati in Puglia - 2010

Fonte: ISTAT.
Peraltro, nel corso dell’ultimo decennio la consistenza dei capi allevati si è evoluta in controtendenza rispetto a quanto avvenuto a livello nazionale. Infatti, per tutte le tipologie di animali considerate (ad eccezione della sostanziale stabilità dei caprini), in Puglia si sono registrati aumenti anche significativi nelle consistenze: +5,9% per bovini e bufalini (contro un -4,5% intervenuto complessivamente in Italia), +54,8% per i suini (+8,5% Italia), +25,2% per gli ovini (-0,1% Italia), -0,6% per i caprini (-5% in Italia), +33,6% gli equini (18,6% in Italia) e +62,4% gli avicoli (0,5% in Italia). Tuttavia, a fronte di tali incrementi, le dimensioni medie degli allevamenti permangono modeste.
Più in particolare, l’analisi delle evoluzioni (2000-2010) che hanno caratterizzato le diverse tipologie di allevamento mostra alcuni caratteri comuni: riduzione di aziende (ad eccezione di quelle con equini), incremento del numero dei capi allevati e conseguente aumento delle dimensioni medie di impresa in termini di capi allevati.
Nel caso dell’allevamento bovino-bufalino le aziende attive sono poco meno di 3.700, cui fanno riferimento 167.604 capi per una dimensione media di impresa di 45 capi (+27,1% rispetto al 2000), in linea con il dato medio nazionale. Le Province a maggior vocazione sono Foggia, Bari e Taranto, dove si concentrano oltre il 90% dei capi bovini e bufalini e in cui si registrano anche le dimensioni di impresa maggiori in termini di capi/azienda.
- Aziende con allevamenti bovini e bufalini

Aziende agricole
Capi (num.)
Capi/Azienda (num.)

2010
Var. %
2010-2000
2010
Var. %
2010-2000
2010
Var. %
 2010-2000
Foggia
   936
2,5%
  45.093
23,9%
48
20,8%
Bari
1.303
-22,3%
  62.122
-1,0%
48
27,4%
Taranto
  771
-24,1%
  44.496
2,8%
58
35,4%
Brindisi
  206
-18,9%
    7.207
16,3%
35
43,4%
Lecce
  434
-19,3%
    7.096
-12,4%
16
8,6%
BAT
    41
24,2%
    1.590
2,9%
39
-17,2%
PUGLIA
  3.691
-16,7%
167.604
5,9%
45
27,1%
ITALIA
 126.645
-27,3%
5.952.991
-4,5%
47
31,4%
Fonte: ISTAT.
Evoluzioni simili hanno riguardato il comparto suinicolo, anche se in questo caso l’intensità delle variazioni risulta maggiore rispetto a quanto verificato per i bovini e bufalini, in particolare per quanto riguarda il numero dei capi, che sono cresciuti del 54,8% nei confronti del 2000. Questo ha fatto si che i capi per azienda passassero da 22 del 2000 a 56 del 2010, con un incremento percentuale di oltre il 150%. I territori con una specializzazione per l’allevamento suino sono Foggia (con circa il 46% dei capi regionali) e soprattutto BAT, dove ad un ridotto numero di aziende (7) corrisponde un numero di capi molto elevato.
- Aziende con allevamenti suinicoli

Aziende agricole
Capi (num.)
Capi/Azienda (num.)

2010
Var. %
2010-2000
2010
Var. %
2010-2000
2010
Var. %
2010-2000
Foggia
  149
-63,2%
  19.269
106,2%
   129
460,5%
Bari
  286
-26,5%
    6.522
-7,9%
     23
25,3%
Taranto
  157
-27,6%
    4.409
77,9%
     28
145,9%
Brindisi
    71
-11,3%
    1.764
93,4%
     25
117,9%
Lecce
    74
-33,9%
    2.534
-52,7%
     34
-28,4%
BAT
      7
40,0%
    7.282
299,9%
1.040
185,6%
PUGLIA
           744
-38,4%
   41.780
54,8%
     56
151,3%
ITALIA
      26.197
-83,3%
 9.331.314
8,5%
   356
549,3%
Fonte: ISTAT.
Anche per l’allevamento ovino lo scenario è lo stesso verificato in precedenza: calano il numero di aziende (specie a Foggia e Bari), i capi sono invece in aumento (per tutte le aree regionali) così come le dimensioni medie di impresa, che registrano un valore di 132 capi/azienda (+40% tra 2000 e 2010), praticamente identico a quanto registrato a livello italiano. Dal punto di vista della specializzazione territoriale, Foggia e Bari sono le province in cui si concentrano la maggioranza dei capi ovini (rispettivamente il 38,6% e 23,8% del totale regionale).
- Aziende con allevamenti ovini

Aziende agricole
Capi (num.)
Capi/Azienda (num.)

2010
Var. %
2010-2000
2010
Var. %
2010-2000
2010
Var. %
2010-2000
Foggia
            743
-20,0%
            105.119
7,5%
            141
34,4%
Bari
            529
-11,1%
               64.752
48,4%
            122
66,9%
Taranto
            340
-3,7%
               31.080
32,7%
               91
37,8%
Brindisi
            169
-0,6%
               16.995
22,2%
            101
22,9%
Lecce
            223
13,2%
               38.537
56,6%
            173
38,3%
BAT
               61
-6,2%
               15.925
12,7%
            261
20,1%
PUGLIA
         2.065
-10,6%
            272.408
25,2%
            132
40,0%
ITALIA
      51.096
-42,7%
        6.782.179
-0,1%
            133
74,3%
Fonte: ISTAT.
Nel caso dell’allevamento caprino il quadro di riferimento risulta diverso; infatti, ad una riduzione di aziende a livello regionale (ad eccezione di Lecce dove sono in aumento del 34,8%) corrisponde una leggera contrazione del numero di capi (-0,6%), dovuta alle evoluzioni che hanno interessato Bari, Foggia e Brindisi, poiché per le altre Province si segnalano capi in aumento rispetto al 2000. In ambito regionale l’effetto di tale evoluzioni è complessivamente positivo, in quanto aumentano il numero di capi mediamente allevati per azienda (+17,3%) e si attestano su 46, un valore superiore a quello medio nazionale. Unica eccezione attiene la Provincia di Lecce, dove il consistente incremento delle aziende non è bilanciato dalla crescita dei capi, per cui si ha una diminuzione del numero medio di caprini per azienda.
- Aziende con allevamenti caprini

Aziende agricole
Capi (num.)
Capi/Azienda (num.)

2010
Var. %
 2010-2000
2010
Var. %
 2010-2000
2010
Var. %
2010-2000
Foggia
 381
-20,6%
21.886
-9,4%
57
14,1%
Bari
 181
-30,7%
3.862
-21,4%
21
13,3%
Taranto
 224
-15,5%
10.808
12,2%
48
32,7%
Brindisi
 129
-17,3%
5.993
-1,6%
46
19,0%
Lecce
 182
34,8%
7.975
27,7%
44
-5,2%
BAT
   23
-8,0%
1.058
22,7%
46
33,4%
PUGLIA
1.120
-15,3%
51.582
-0,6%
46
17,3%
ITALIA
22.759
-44,6%
861.942
-5,0%
38
71,7%
Fonte: ISTAT.
Nel caso degli allevamenti equini, si assiste ad un parallelo processo di accrescimento del numero delle aziende e della relativa dimensione media: infatti, non solo i capi risultano in crescita (33,6%), ma anche il numero di aziende (10%); si tratta di andamenti comuni a tutte le aree provinciali (ad esclusione delle riduzione di aziende in Provincia di Foggia) e tendono a rafforzare il profilo dell’allevamento equino in ambito regionale, in quanto la dimensione media è cresciuta del 21,4% e risulta superiore al dato medio nazionale. Dal punto di vista della specializzazione territoriale, Bari è la provincia in cui sono allevati il maggior numero di equini (36,9% del totale regionale), seguita da Taranto e Foggia, tre territori in cui ricadono l’84,4% del totale equini allevati in regione.
- Aziende con allevamenti equini

Aziende agricole
Capi (num.)
Capi/Azienda (num.)

2010
Var. %
2010-2000
2010
Var. %
2010-2000
2010
Var. %
2010-2000
Foggia
 165
-39,1%
1.822
23,7%
11
103,2%
Bari
 487
8,2%
3.720
29,7%
8
19,8%
Taranto
 317
24,8%
2.969
54,7%
9
24,0%
Brindisi
 169
50,9%
  697
44,9%
4
-4,0%
Lecce
215
48,3%
  765
5,8%
4
-28,6%
BAT
 17
30,8%
  116
36,5%
7
4,4%
PUGLIA
1.370
10,0%
10.089
33,6%
7
21,4%
ITALIA
45.363
-6,8%
219.159
18,6%
5
27,3%
Fonte: ISTAT.
Infine, anche per l’allevamento avicolo si registrano diminuzioni di aziende (-21%) e aumento del numero di capi allevati (62,4%); rispetto allo scenario nazionale le aziende pugliesi mostrano una tenuta maggiore, così come i capi allevati che, a livello nazionale, sono risultati praticamente stabili (0,5%). La lettura territoriale dei dati evidenzia come le aziende siano calate in tutte le Province (ad eccezione della crescita che ha interessato Lecce e BAT), mentre per quanto riguarda i capi, questi crescono ovunque tranne che a Taranto e BAT. Anche le dimensioni medie aziendali sono risultate in aumento (105,6%), seppur l’unica area in linea con il numero medio di capi allevati a livello nazionale è Foggia, dove ricadono il 65% del totale capi allevati in Puglia.
 - Aziende con allevamenti avicoli

Aziende agricole
Capi (num.)
Capi/Azienda (num.)

2010
Var. %
 2010-2000
2010
Var. %
 2010-2000
2010
Var. %
 2010-2000
Foggia
 294
-53,5%
2.054.456
94,1%
6.988
317,3%
Bari
 566
-12,9%
   333.661
32,0%
   590
51,6%
Taranto
 244
-23,5%
   129.929
-34,5%
   532
-14,3%
Brindisi
 120
-14,3%
    301.733
52,9%
2.514
78,4%
Lecce
 259
76,2%
    269.866
71,0%
1.042
-3,0%
BAT
   20
33,3%
      85.787
-5,3%
4.289
-29,0%
PUGLIA
1.503
-21,0%
         3.175.432
62,4%
2.113
105,6%
ITALIA
23.953
-87,3%
   167.512.019
0,5%
6.993
691,8%
Fonte: ISTAT.
Nel territorio regionale, Foggia rappresenta la provincia zootecnica più vocata a livello generale, evidenziando la maggior concentrazione di capi allevati per quasi tutte le tipologie. Fanno eccezione le vacche da latte che, come ricordato precedentemente, risultano principalmente diffuse nelle province di Bari e Taranto, dove si riscontrano contestualmente anche il maggior numero di capi equini allevati . Nel comparto avicuniculo opera una importante organizzazione di produttori, AVIPUGLIA, alla quale afferiscono 6 soli soci, ma che raggiunge un valore di produzione commercializzata pari a € 21.776.457. 
- Localizzazione provinciale degli allevamenti - 2010



Fonte: ISTAT.
La regione assume invece una rilevanza più consistente in ambito nazionale in tema di macellazione e in particolare per alcune tipologie di animali. Se per bovini e suini l’incidenza dei capi macellati sul totale nazionale resta marginale, come per i capi allevati, d’altra parte la Puglia incide per oltre l’11% nella macellazione di ovicaprini e per quasi la metà degli equini.
- Capi macellati in Puglia per tipologia - 2010

Fonte: ISTAT.
Analogamente a quanto segnalato per la filiera lattiero-casearia, anche in quella zootecnica da carne l’associazionismo tra gli allevatori regionali rappresenta una prerogativa di poche aziende: appena il 2%, contro una media nazionale che, pur essendo a sua volta estremamente bassa, coinvolge l’8% delle aziende zootecniche italiane. Superiori alla media nazionale sono invece le quote di prodotto vendute ad imprese industriali o commerciali, quasi a segnalare una sorta di dipendenza delle aziende agricole zootecniche dalle fasi a valle.
- Importanza percentuale delle diverse modalità di vendita di animali vivi da parte degli allevatori pugliesi - 2010
ANIMALI VIVI
Vendita
diretta
Vendita ad altre aziende agricole
Vendita ad imprese industriali
Vendita ad imprese commerciali
Vendita/conferimento ad organismi associativi
Puglia
12%
6%
14%
65%
2%
ITALIA
20%
8%
11%
53%
8%
Gli aspetti economici e il commercio internazionale
Nel 2011, il valore delle carni prodotte in Puglia a livello agricolo è stato di 172 milioni di euro, in crescita dell’8% rispetto all’anno precedente e di quasi il 9% se paragonato a dieci anni prima.
Rispetto all’andamento seguito dal settore primario nel suo complesso, il comparto delle carni sembra aver registrato un trend positivo e in netta controtendenza. Soprattutto a partire dal 2006, non solo il valore della produzione a livello agricolo inizia una crescita progressiva, ma anche le esportazioni di carni lavorate e prodotti trasformati a base di carne si avviano lungo un percorso di sviluppo delle vendite oltre frontiera che arriverà a raggiungere il valore di 27,3 milioni di euro nel 2010, per poi arretrare leggermente fino a 25 milioni nel 2011. Nell’arco del decennio, tuttavia, il tasso di variazione media annua dell’export si mantiene su valori pari al 2,3%.
- Andamento della produzione agricola ai prezzi di base del settore agricolo e delle carni in Puglia (valori correnti, 2000 = 100)

Fonte: ISTAT.


 - Trend delle esportazioni di carni lavorate e prodotti a base di carne dalla Puglia (migliaia di euro)

Alcune considerazioni di sintesi
Analogamente a quanto rilevato per la filiera lattiero-casearia, anche quella zootecnica da carne esprime soprattutto criticità legate alle ridotte dimensioni delle aziende che non permettono, nella generalità dei casi, l’ottenimento di economie di scala in grado di ammortizzare gli incrementi di costo che da qualche anno si stanno pesantemente scaricando sugli allevatori in merito all’acquisto dei mangimi. Contestualmente, la ridotta organizzazione produttiva e la scarsa diffusione della cooperazione e dell’associazionismo tra gli allevatori non permette l’ottenimento di quei margini di redditività in grado di mitigare ulteriormente l’aggravio dei costi. Il tutto nell’ambito di uno scenario evolutivo che vede i consumi di carne in generale crescita, trainati dal cambiamento delle diete alimentari delle popolazioni delle Grandi Economie. Uno scenario che, paradossalmente, rischia di riversarsi in maniera negativa sugli allevatori pugliesi i quali, se non organizzati in maniera efficiente, potrebbero subire solamente gli effetti collegati all’ulteriore aumento dei costi determinati dall’incremento della domanda (e dei relativi prezzi) dei mangimi a livello internazionale e non beneficiare invece degli impatti positivi legati al crescente consumo di carni.