domenica 24 novembre 2013

1880 ANALISI CHIMICA DEI VINI DELLA PROVINCIA LECCESE


ANALISI CHIMICA DEI VINI DELLA PROVINCIA LECCESE
dal Dott. RAFFAELE VERIS
Nel presente scritto espongo l'analisi di 18 qualità di vini diversi venuti tutti dalla provincia di Lecce. I vini provengono da località differenti, ma i metodi di viticoltura e di vinificazione sono abbastanza uniformi in tutta la Terra d' Otranto. Dirò prima brevemente quali siano questi metodi.
Viticoltura — Si fa il divelto generale del terreno alla profondità di 50 centimetri a un metro; vi si piantano quindi i maglioli. Non vi è scelta di vitigni, o è fatta senza criteri enologici. Le varietà di vitigno sono molte, troppe forse, perchè nella grande confusione di nomi diversi
in diverse località, è difficile distinguere e classificare le varietà medesime. Questa confusione è uno degli ostacoli primi alla produzione di vini di tipo costante. I maglioli si piantano in filari alla distanza di un metro. Si è soliti concimare la vigna con letame di stalla, o col sovescio dei lupini. In gennaio si fa la zappatura, e la potatura col sistema
detto pugliese, le viti essendo tenute basse nella coltura ordinaria, ed a pergolato nei giardini. La solforazione si fa spesso due volte, ed in qualche caso, tre volte all'anno. Altre operazioni di minor conto si eseguono più o meno accuratamente a seconda della solerzia del proprietario. Si vendemmia alla fine di Settembre, ed, in talune località, ove si hanno terreni freddi, alla metà di Ottobre. La maturità dell'uva per la vendemmia si giudica dalla colorazione dell'acino, e, nel caso dei vini più scelti, dall'incominciato appassimento dell'uva; inoltre, si osserva se, staccando il chicco dal grappolo, rimanga aderente al peduncolo una porzione della polpa.
L'ammostatura si fa coi piedi dentro i palmenti, che sono vasche fabbricato con pietra calcarea. Si fa uso ancora delle pile, che sono vasche cavate in un masso di pietra leccese, calcare abbondante in alcune località (Lecce, Melpignano, Cursi, Zollino, ecc.). Il mosto si fa passare durante la mostatura in una seconda vasca, anch'essa di calcare, detta pilaccio. Finita l'ammostatura, il mosto si travasa nuovamente dal pilaccio nel palmento, dove si mescola nuovamente coi graspi e colle bucce. Due o tre, ed anche più, uomini entrano nel palmento, ed, immersi fino al ginocchio nel liquido, mantengono il mosto quasi continuamente agitato per uno spazio da 24 a 48 ore. Dapprima i graspi e le bucce si tengono sospesi: più tardi, quando è cominciata la fermentazione, si mantiene sommersa la pasta o cappello. Questa operazione chiamasi «camminare il mosto-». Si sviluppa intanto anidride carbonica (forza del mosto), il liquido si riscalda sensibilmente, e prende una colorazione rosso-cupa, quasi nera. Finito di camminare il mosto, si permette che si formi il cappello, lasciando il liquido in riposo per 3 o 4 ore; poi, per mezzo del foro nel fondo del palmento, si travasa nuovamente nel pilaccio. Le vinacce si torchiano, ed il liquido spremuto si mescola col resto del mosto. Il liquido limpido, raccolto nel pilaccio, si passa senza perdita di tempo nelle botti da trasporto, e si porta nelle cantine, dove si versa nelle botti, di capacità variabile dai 5 ai 15 ettolitri. Queste botti, ordinariamente di castagno, sono accuratamente nettate dal tartaro, asciugate col fuoco, ed, in ultimo, prima di versarvi il mosto, purificate coli' abbruciarvi del solfo. Versato il liquido, non si chiude, o si tappe imperfettamente, il cocchiume delle botti. Queste si riempiono finché, ponendo le dita nel cocchiume, si possa toccare appena il livello del liquido; e, dove i mosti subiscono una fermentazione molto tumultuosa, il livello si suol lasciare più basso. Col procedere della fermentazione, e coll'abbassarsi del liquido, si ha cura di ripristinarne il livello coll'aggiunta di nuova quantità di mosto. Cessata la fermentazione tumultuosa, si chiude il cocchiume con un tappo di sughero ravvolto in tela, e si lascia che incominci la fermentazione lenta.
« A S. Martino ogni mosto è vino ». Infatti, in quel giorno (11 Novembre) è uso nel Leccese fare il saggio del vino nuovo. Questo vino, benché non ancora ben formato, si vende nelle cantine pubbliche; coloro che possono aspettare per avere un vino migliore, non bevono
il vino nuovo se non alla fine dell'anno.
I vini della Terra d'Otranto invecchiano bene. Volendo conservare lungamente un vino, s'imbottiglia, dopo averlo tenuto almeno 3 anni nelle botti, e le bottiglie si conservano in cantine fresche.
Tutti i vini, le analisi dei quali presento nel quadro che segue, sono stati preparati nel modo descritto, ad eccezione del vino lacrima.
Questo è preparato da uva che si ammosta imperfettamente coi piedi, il mosto prodotto passa dal palmento al pilaccio senza che sia camminato, e si porta direttamente nelle botti, in modo che la fermentazione ha luogo senza il contatto dei graspi e delle bucce. Questo vino si conserva molto male.
Ho distinto le analisi in due quadri : il primo comprende i vini del 1879, e l'altro quelli vecchi. Si noti che l'anno 1879 fu poco favorevole alla buona maturazione delle uve, e quindi alla qualità del vino, a causa delle piogge frequenti e prolungate.

I metodi analitici usati sono i soliti. Nel determinare il Tannino ho fatto uso del metodo di Grassi. Il Cremor tartaro fu dosato col metodo di B e r t h e l o t e F l e u r i e u. Nelle seguenti analisi l’ alcool è calcolato in volumi, per cento volumi di vino. Tutte le altre determinazioni sono espresse in grammi per ogni litro di vino. L'acidità è calcolata sotto forma di acido tartarico, C4 H6O6.









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