venerdì 25 ottobre 2019

Il Paesaggio Rurale non può essere affidato al libero mercato ma ad un Ente Pubblico che produca esternalità ambientali e cibo per tutta la comunità.



Gli organismi viventi nascono, di norma, in un ambiente già dato. Ambiente nel quale devono semplicemente trovare l’adattamento ottimale. Ma gli stessi organismi, nel corso del tempo, interagiscono con l’ambiente che propone istante dopo istante, delle perturbazioni che determinano nell’organismo una trasformazione ed un adattamento. E questo adattamento agisce a sua volta sull’ambiente che a sua volta di trasforma. Tutto questo fa dire che gli organismi, istante dopo istante, imparano a sviluppare una strategia di sopravvivenza inedita.
Il Mondo cambia e gli organismi viventi cambiano, cambiando il Mondo attorno a sé, e in alcuni casi rendendolo migliore anche per gli altri.
Un esempio è il castoro. Il castoro costruisce la propria diga e così facendo modifica l’habitat che lo circonda, creando le condizioni che consentono ad altre specie di vivere. Nel linguaggio tecnico diciamo che il castoro è un costruttore di nicchie.
Nella condizione attuale del Salento leccese, potremmo sostenere che i proprietari del Paesaggio Rurale del Salento leccese dovrebbero essere come il castoro. Dovrebbero costruire nicchie.
Se fino ad oggi i proprietari del Paesaggio Rurale del Salento leccese erano visti come complemento utile ma non necessario, leggerlo attraverso la metafora del castoro permette di comprendere la sua capacità generativa per l’intero ambiente che ci circonda.
Dal Settecento a oggi, ogni qual volta si è realizzata una rivoluzione industriale questa ha determinato il passaggio di lavoratori e di coloro che operavano in un certo settore ad un altro settore. La prima rivoluzione industriale ha spinto alla fuoriuscita di forza lavoro dall’agricoltura alle fabbriche. Il sovrappiù generato dalla rivoluzione industriale è andato così a creare il secondario, ossia il settore industriale. La seconda rivoluzione industriale, agli inizi del Novecento, ha invece creato il settore dei servizi, il terziario. Oggi viviamo nel tempo di una nuova rivoluzione industriale e dobbiamo chiederci dove finirà il sovrappiù sia di lavoro sia di produttività che le nuove tecnologie del digitale e dell’intelligenza artificiale stanno per determinare.
Dobbiamo chiederci dove andremo ad allocare questo sovrappiù di forza lavoro e di produttività.
C’è chi avanza una prospettiva di neoconsumismo: si dovrebbe spingere affinché questo sovrappiù diventi un volano per la domanda pagante, con lo svantaggio di deumanizzare la società. Ci basta? Non credo proprio. C’è infatti un’altra prospettiva che fa entrare in gioco il Paesaggio Rurale, pensato come luogo che genera valore sociale nella forma di beni ambientali e del cibo.
Proprio perché le nuove tecnologie consentono un avanzamento rispetto ai bisogni elementari, dobbiamo usare questi avanzamenti per aumentare la fruibilità di beni ambientali e del bene cibo.
Beni di cui c’è un bisogno estremo. Ma per far questo torniamo al punto di partenza: ci vuole un soggetto capace di innovazione ambientale ed alimentare e questo soggetto possono essere i proprietari del Paesaggio Rurale del Salento leccese?
La mia risposta non può essere che negativa.
Gli imprenditori agricoli iscritti alla camera di Commercio di Lecce sono circa seimila e solo mille di questi sono vere e proprie aziende che producono per il mercato.
L’azione di questa Aziende agricole incide sul 20 o al massimo 30 per cento dei 200mila ettari della Provincia di Lecce quindi su 40mila o al massimo 60 mila ettari. Ed i restanti 140mila ettari?
Come sappiamo tutti sono abbandonati perché i proprietari hanno un’età che sfiora gli 80 anni oltre che per la dimensione della proprietà che per il 60% non raggiunge l’ettaro e che nella stragrande maggioranza non supera i due ettari e mezzo.
C’è chi afferma che la strada per questi ultimi sarebbe la cooperazione. Francamente non credo che persone che sfiorano gli ottant’anni abbiano tra le loro priorità quelle di costituire cooperative agricole.
Allora bisogna pensare in prospettiva. E soprattutto dobbiamo cominciare a immaginare un Paesaggio Rurale che dia prosperità.  
La prosperità deve essere inclusiva, non escludere. E proprio le sfide della “Prosperità inclusiva” aprono quella dei beni comuni, che comprende i digital commons, le piattaforme, le infrastrutture e le reti.
E se cominciassimo a pensare il Paesaggio Rurale del Salento leccese nella sua qualità di bene comune? Ecco vi propongo di farlo, facciamo questo gioco, ovvero pensiamo per un istante che il nostro Paesaggio Rurale non è più proprietà di alcuni privati ma diventa un bene comune ovvero proprietà della Comunità. E’ chiaro che subito vengono fuori delle domande.
Quale tipo di governance vogliamo dare a questi nuovi beni comuni?
A tal riguardo, voglio fare riferimento alla Commissione sulla Giustizia Economica ha diffuso un discussion paper titolato The Digital Commonwealth. È un documento significativo, ma anche rivelatore.
Rivela che tutti avvertiamo l’esigenza di una governance per i digital commons, ma su quale debba essere il modello di governance per gestire i digital commons c’è ancora molta incertezza.
La mia proposta è che, su questo fronte, proprio i cittadini del Salento leccese e le loro associazioni dovrebbero buttarsi a capofitto, occupandosi della definizione di questa governance.
Un’altra area di costruzione di nicchia riguarda le intelligenze artificiali. L’intelligenza artificiale, oggi, o è sviluppata in una modalità market driven o in una modalità state driven: o è guidata dalla logica del profitto o da una logica statale (il modello cinese, per intenderci).
Per quanto riguarda il Paesaggio rurale secondo me la logica del profitto che è stata applicata in tutti questi decenni non ha funzionato. Basta fare una passeggiata nel nostro territorio per accorgercene.
Ieri ho avuto uno scambio di opinioni su questo che vorrei riportare qui di seguito:

Antonio Bruno:
Dopo stasera (dopo l’esposizione della ricerca del collega Donato Ratano presso Masseria Stali) sono convinto ancora di più che il neoliberismo economico non può essere applicato al Paesaggio Agrario

Piero Triggiani:
Anche tu non puoi essere libero di girare con quella barba e quei baffi.
Sembri uno del vecchio testamento.
Non puoi essere neo liberale.
Non puoi essere dei miei.

Antonio Bruno:
Non sia mai che io approvi una cultura che esclude, che si fonda sugli standard delle Aziende. Io parto dal presupposto che IL CIBO E' UN DIRITTO.

Piero Triggiani:
 Esclude?
CREA
Si un diritto illimitato.

Antonio Bruno:
Guarda io penso che la squadra più importante è quella che perde. E lo sai perché? Perché se una squadra non perde come fa un'altra squadra a vincere?

Piero Triggiani:
Antonio Bruno tifoso del Lecce capisco.
Domani voglio un punto dalla tua squadra

Alessandro Panico:
Finalmente! Sono pienamente d'accordo!

Antonio Bruno:
Il Neoliberismo ha già prodotto come risultato l'abbandono dei campi che sono nella maggior parte incolti o, nella migliore delle ipotesi il Paesaggio è caratterizzato dall'incuria e dal pressapochismo. Le proposte che ho ascoltato non mi convincono. È da decenni che si attuano e il risultato è quello che abbiamo tutti sotto gli occhi.
Mille persone che fanno gli Imprenditori Agricoli in Provincia di Lecce che invece è popolata da poco più di 800mila persone. Ma anche se fossero i 6mila iscritti alla Camera di Commercio, sarebbero sempre una piccolissima, infinitesima e insignificante parte della popolazione della Provincia. Se li mettessimo tutti insieme sarebbero poco meno degli abitanti del Comune di Alliste.
Come fanno 6mila persone a gestire 180mila ettari?

Donato Caroppo:
Tutti vogliono vendere e nessuno produce

Antonio Bruno:
Giusto Donato Caroppo, questo è il problema della concorrenza e della rivalità che è propria del liberismo economico

Donato Caroppo:
Preferisco i mille che i Benetton

Antonio Bruno:
Anch'io preferisco i mille. Ma i mille non sono riusciti a coltivare tutti quegli ettari di terreno abbandonato. I mille non sono riusciti a fare in modo di avere un Paesaggio non trascurato. Hanno curato gli ettari di loro proprietà. Quanti? Un terzo del totale. E i due terzi? Quelli fatti da tanti pezzettini microscopici? Per quelli tutti di proprietà di vecchietti di 80 anni non hanno potuto fare nulla.

Donato Caroppo:
Sono pagati per non produrre

Antonio Bruno:
Caro Donato Caroppo lo sappiamo. Quindi lo Stato comunque ha una spesa. Pensa che la spesa dell'Agricoltura è quella più consistente dell'Unione Europea. Ecco perché è bene che ci siano tecnici e salariati pagati dalla Collettività, da tutti noi, che si prendono cura del paesaggio agrario producendo cibo che sarà dato in cambio ai cittadini.
In questo modo si dà lavoro pagato a norma del contratto collettivo e nello stesso tempo si ottiene un Paesaggio Agrario ben curato e sano oltre che cibo italiano da dare agli italiani.
Ma per fare tutto questo il CIBO DEVE ESSERE UN DIRITTO PER TUTTI E NON UN BENE ECONOMICO SUGLI SCAFFALI DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA CHE PAGA A PREZZI STRACCIATI IL CIBO AGLI AGRICOLTORI. Per questo tutti vogliono vendere e nessuno vuole produrre.

Sandro Montagna:
Una su mille la dici giusta....perche' il resto?

Antonio Bruno:
Sandro Montagna secondo me il Neoliberismo economico NON E'UMANO perché esclude.

Sandro Montagna:
Antonio Bruno stai parlando con un Sovranista che non compra dai Supermercati

Angelo Perniola:
Non deve essere applicato a nulla(riferendosi al neoliberismo economico). Male supremo

Domande cruciali, che attendono risposte.
Attendono risposte perché hanno oggi bisogno costitutivo di un’etica. Ma di un’etica nuova.
La mia tesi è che non è possibile affidarsi al mercato per il bene comune “Paesaggio Rurale del Salento leccese”.

Ci vuole un castoro Ente Pubblico che produca esternalità ambientali, culturali, turistiche e cibo per tutta la comunità.
L’immagine del castoro rende bene l’idea del passo che dovremmo fare: il castoro crea la diga, la diga crea un ecosistema e in quell’ecosistema vivono specie che prima non vivevano.
Il castoro produce esternalità positive a favore della biodiversità. Senza nulla togliere ai compiti “tradizionali”, che devono continuare, oggi il mondo dell’Agricoltura del Salento leccese non è in grado di mettere in atto un agire per ottenere il perfezionamento o l’ottimizzazione di ciò che ha fatto sinora. Se ci limitiamo a razionalizzare l’esistente crolla l’innovazione sociale.


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