domenica 13 ottobre 2019

Serve un piano nazionale a tutela dei paesaggi storici redatto dai tecnici agricoli insieme agli archeologi


Serve un piano nazionale a tutela dei paesaggi storici redatto dai tecnici agricoli insieme agli archeologi

Con tutto il rispetto per Salvatore Settis autorevole autore dell’articolo apparso oggi sul Sole 24 ore nel quale lo stesso afferma che a occuparsi di Paesaggio Rurale Storico debba essere la Direzione generale del Ministero dei Beni Culturali  (ora in capo a Federica Galloni Direttore Generale per le Arti, l'Architettura e il Paesaggio) la Soprintendenza locale (tenuta da Maria Piccarreta), la Regione e i Comuni e che questi ultimi debbano redigere un piano nazionale a tutela dei paesaggi storici, io ritengo che tale condizione sia sicuramente necessaria ma, allo stesso tempo, gravemente insufficiente.
Che tutte queste istituzioni debbano affrontare l’emergenza pensando al futuro del paesaggio storico del Salento con piena cognizione del suo passato e che a tutto ciò debba contribuire l’Università del Salento con sede a Lecce, dove operano archeologi di grande competenza ed esperienza su questi temi sembra davvero una impostazione che non prevede che il Paesaggio Rurale oltre che la sua funzione storica debba essere fornitore di cibo per le persone.
Se così prevede la visione del prof. Salvatore Settis certamente allo stesso tempo avrà previsto l’esproprio di quel territorio per consentire allo Stato la sua gestione che sia finalizzata esclusivamente alla tutela del paesaggio storico a spese dell’intera collettività.
Forse l’Archeologo Salvatore Settis non è a conoscenza che sempre l’Università del Salento con sede a Lecce ha istituito un Corso di Laurea in Agraria ed è solo per questo che non pensa che possa essere di qualche utilità alla redazione di un piano che oltre alla conservazione e alla tutela e quindi alla sostenibilità culturale, possa contribuire al tentativo di definire una sostenibilità economica per i proprietari di quel paesaggio.
Il Paesaggio Storico del Salento leccese è certamente un Bene Culturale che può essere conservato e valorizzato solo come tale ricorrendo all’esproprio e con l’istituzione di un Parco nazionale gestito interamente dallo Stato con le conseguenti spese a totale carico della collettività.
Oppure insieme con i proprietari di questo territorio si potrebbe mettere in campo la progettazione partecipata per far si che tale tutela possa essere compatibile con la produzione agricola e quindi con la sostenibilità economica di chi si occupa quotidianamente di quel paesaggio e quindi dei proprietari.
Per fare questo oltre ai proprietari ci vogliono il corso di Laurea in Agraria dell’Università del Salento, insieme ai Periti Agrari, gli Agrotecnici e i Dottori Agronomi del territorio perché le competenze in tema di produzione agricole non mi sembra che siano degli archeologi, se sbaglio il prof Settis me lo farà presente ed io farò ammenda di quanto scritto.

Antonio Bruno Ferro

L’Articolo del prof Settis sul Sole 24 ore del 13 ottobre 2019
Flagello Xylella
Serve un piano nazionale a tutela dei paesaggi storici
Salvatore Settis
«Un bel paesaggio
una volta distrutto
non torna più, e
se durante la
guerra c’erano i campi di sterminio,
adesso siamo arrivati allo sterminio
dei campi: fatti che, apparentemente
distanti fra loro, dipendono
tuttavia dalla stessa mentalità». Sono
parole profetiche di un grande
poeta, Andrea Zanzotto, in un’intervista
del ‑‑. Nessun angolo
d’Italia lo testimonia oggi meglio
del Salento, dove l’epidemia da xylella,
avanzando implacabile come
una peste medievale, sta distruggendo
il millenario paesaggio di
ulivi con le loro chiome dagli indimenticabili
riflessi d’argento. Zanzotto,
pensando al suo Veneto invaso
da asfalto e capannoni, voleva
suggerire con le sue parole durissime
che la violenza sul paesaggio è
il rovescio e l’identico della guerra,
della violenza dell’uomo sull’uomo:
si consuma a spese dei paesaggi
storici e delle generazioni future.
Il batterio xylella fastidiosa, che sta
uccidendo qualcosa come nove milioni
di ulivi, non è certo opera dell’uomo,
ma è nostra colpa se non si
sono messe in atto per tempo appropriate
strategie di contenimento
di questa che resta «la peggior
emergenza fitosanitaria del mondo
» (così l’accademico francese Joseph-
Marie Bové). E sarà nostra
colpa se l’epidemia si allargherà
progressivamente ad altre aree della
Puglia e d’Italia, e se l’armonioso
paesaggio del Salento verrà per
sempre annientato. È qui che la visione
profetica di Zanzotto colpisce
più a fondo. Quale che sia l’origine
e la natura delle devastazioni paesaggistiche,
infatti, resta sempre
vero quel ch’egli disse : le modificazioni
violente del paesaggio generano
«l’assenza stessa di orizzonti,
il colore dello spaesamento, lo
smarrimento interiore che assale
chi tenti di guardare oltre il fragile
paravento del paesaggio» per ritrovarvi
i colori dell’anima, la forza
della memoria, l’energia per sentirsi
se stessi e per costruire il futuro.
Di xylella, si dirà, si parla anche
troppo, fra opposte teorie che portano
più alla paralisi delle istituzioni
che a un’efficace lotta al batterio.
Ma se ne parla, ed è questo oggi il
maggior rischio, secondo ottiche
economiche o agronomiche, accantonando
quasi sempre un tema
egualmente centrale: la salvaguardia
del paesaggio storico. Una volta
estirpati gli ulivi uccisi dal batterio,
che cosa accadrà di quei suoli preziosi,
dove la coltivazione dell’ulivo
ha quattromila anni di età? Già si
vedono segnali inquietanti: qua e là
campi di ulivi lasciano il posto a distese
di pannelli solari; altri, specialmente
in aree di piccola proprietà,
vengono abbandonati, e le
aziende agricole sono costrette a
vendere le loro attrezzature (per
esempio gli scuotitori di olive) ad
altri Paesi produttori, dalla Grecia
al Marocco; altri ancora ospitano,
per sopravvivere, culture o attività
estranee alla tradizione e alla storia
dei luoghi. Ci sono, è vero, altre
specie olivicole che sono, a quel che
pare, immuni all’infezione da xylella,
e qua e là si progetta di impiantarle
in luogo degli ulivi defunti:
ma quanto ci vorrà per ricostituire
la forma del paesaggio storico? E
quali specie olivicole sono davvero
compatibili con il ripristino di un
paesaggio degno del Salento? E
quanto ai tronchi d’albero espiantati,
non sarebbe il caso di prevederne
le modalità di riuso e una filiera
artigianale per utilizzarne il
legno pregiato? Per giungere a risultati
visibili e plausibili sotto il
profilo dei paesaggi storici, non ci
vorrebbe un piano complessivo,
guidato dalle istituzioni in sintonia
con le aziende agricole?
Situazione paradossale, in un
Paese che ha scolpito la tutela del
paesaggio tra i principi fondamentali
della propria Costituzione (art.
). E doppiamente paradossale in
Puglia, che con la Toscana è una
delle pochissime Regioni che hanno
adempiuto all’obbligo di redigere,
in sintonia con il Ministero dei
Beni Culturali, un dettagliato piano
paesaggistico (art.  del Codice
dei Beni Culturali e del Paesaggio).
Angela Barbanente, a lungo assessore
al Territorio della Puglia, è stata
anzi attiva anche sul piano nazionale,
e per questo fra i relatori
più in vista degli Stati generali del
Paesaggio (Roma ‑). Ma allora
come mai una dimensione essenziale
come quella del paesaggio
storico viene così spesso dimenticata,
anche quando si scatena un
flagello come la xylella?
Intanto piovono le domande di
espianto degli ulivi condannati o di
nuovi reimpianti, ma solo quelle
relative alle aree vincolate dovrebbero
passare attraverso chi ha il
compito di tutelare i paesaggi storici,
la locale Soprintendenza “Archeologia
Belle Arti Paesaggio”. Su
circa .‑‑ proprietari in tutto, circa
metà operano su aree vincolate,
ma a quel che pare solo un decimo
di queste (cioè il  % dell’insieme) si
è rivolto alla Soprintendenza. Anche
perché nel frattempo l’ex ministro
dell’Agricoltura, il leghista
Centinaio, aveva vanificato la procedura
liberalizzando gli espianti.
E come sempre accade chi richiama
le norme a tutela del paesaggio,
dalla Costituzione al Codice al Piano
paesaggistico regionale, viene
accusato sull’istante di volersi opporre
a un qualche malinteso “progresso”.
E i conflitti che ne nascono
contribuiscono a impedire un efficace
intervento sulle orrende ferite
che l’epidemia di xylella ha inferto
a uno dei paesaggi più caratteristici
d’Italia, anzi d’Europa.
Un intervento concertato delle
istituzioni, dalla Direzione generale
del Ministero (ora in capo a Federica
Galloni) alla Soprintendenza
locale (tenuta da Maria Piccarreta),
alla Regione, ai Comuni, dovrebbe
dunque concentrarsi, superando
contrasti e conflitti di competenza,
sulla creazione di un piano lungimirante,
che affronti l’emergenza
pensando al futuro del paesaggio
storico del Salento con piena cognizione
del suo passato. Una cognizione
a cui dovrebbe contribuire
l’Università di Lecce, dove operano
archeologi di grande competenza
ed esperienza su questi temi.
Anche perché, a meno che non si
adotti per tempo quella strategia di
contenimento dell’epidemia che
nel Salento non è stata purtroppo
tentata, il dilagare della xylella obbligherà
ad affrontare questa peste
del nostro tempo anche in altre
aree. In ogni caso, il Salento è e sarà
nei prossimi anni una (gigantesca)
cartina di tornasole di quel che le
istituzioni pubbliche e la buona volontà
dei cittadini vorranno o non
vorranno fare per salvaguardare i
paesaggi storici. Una tutela che,
non dimentichiamolo, in Italia non
è solo questione di gusti o di estetica.
È un problema di legalità, anzi
di legalità costituzionale.

Salvatore Settis è un archeologo e storico dell'arte italiano. Dal 1999 al 2010 è stato direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa. Wikipedia
Nascita: 11 giugno 1941 (età 78 anni), Rosarno

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