venerdì 27 maggio 2016

Ecologia, ecosistemi e agricoltura

La parola ecologia è oggi sulla bocca di tutti. Nei più svariati contesti questo termine viene usato ora per rappresentare una visione romantica di un modo di vivere più vicino alla natura, ora per fare catastrofiche previsioni sulle conseguenze delle varie attività dell'uomo. L'agricoltura è sul banco degli imputati. Ma è possibile lo sviluppo senza un'agricoltura adeguata? Nelle prossime pagine verranno lanciate alcune proposte, a cominciare dalla necessità di una conoscenza scientifica del problema.
In qualunque luogo della Terra, a parte poche eccezioni, le piante costituiscono una componente immancabile del paesaggio molto più evidente e percepibile di qualsiasi presenza animale. Perché tutto ciò? Qual è la funzione che le piante svolgono nell'ambiente?
Per rispondere a queste due semplici domande si può eseguire uno studio d'ambiente in un luogo facilmente accessibile, nel quale si possa far ritorno anche in periodi diversi dell'anno per poter raccogliere dati relativi alle stagioni successive.
Ecosisterna
Generalizzando i dati raccolti durante uno studio d'ambiente si evidenzia che in un determinato luogo è sempre presente una varietà di comunità animali e vegetali, definite nell'insieme biocenosi; l'habitat di queste biocenosi è di solito indicato col termine biotopo.
L'insieme di una biocenosi e del relativo biotopo costituisce un ecosistema, termine introdotto per evidenziare l'interazione che si viene ad instaurare tra un ambiente fisico e le forme viventi che lo popolano.
Si definiscono elementi abiotici di un ecosistema tutti quei fattori che dipendono dall’ambiente fisico quali il clima, la diponibilità idrica, la composizione del suolo, la quantità di energia solare ricevuta e così via.
Sono invece elementi biotici tutte le diverse forme viventi che popolano un determinato ambiente il comportamento che esse assumono e le modificazioni che realizzano per sopravvivere.
Catene e reti alimentari
Analizzando un ecosistema, il primo aspetto che ci colpisce è il fitto intreccio di rapporti esistenti fra le varie componenti, e soprattutto fra gli esseri viventi che lo popolano.
Osservando  le comunità animali si nota che ogni essere per procurarsi il cibo indispensabile per vivere, dipende da un altro vivente sia esso animale o vegetale; proprio per questo fatto che gli animali sono definiti  erotrofi (che si nutrono di altri viventi). Tale termine viene esteso anche a tutte quelle forme viventi incapaci di organicare autonomamente gli elementi minerali. Gli animali vengono poi suddivisi in base alla propria fonte di cibo; alcuni si nutrono di altri animali e sono detti carnivori  altri si nutrono di organismi vegetali, e sono  erbivori, ed infine ne esistono alcuni ad alimentazione mista (onnivori) come la specie umana.
Lo studio delle relazioni trofiche permette di evidenziare che ogni animale si nutre di un altro vivente, e a sua volta sarà il nutrimento di un terzo; un erbivoro viene mangiato da un carnivoro, mangiato a sua volta da un altro carnivoro, definito in genere predatore. L'insieme degli organismi collegati fra loro in questo modo viene definito catena alimentare poiché ognuno di essi è paragonabile ad un anello di una catena, legato cioè strettamente sia all'anello che lo precede che a quello che lo segue.
In qualunque catena alimentare si può notare come il primo anello sia sempre costituito da una pianta, che viene mangiata da un erbivoro, a sua volta nutrimento di un carnivoro, e così via fino all'ultimo anello.
Proprio per questo motivo le piante vengono definite produttori; esse infatti, mediante la fotosintesi, riescono a trasformare acqua ed anidride carbonica in glucosio, una sostanza nutritiva che poi esse stesse utilizzano per il loro metabolismo.. Per la stessa ragione le piante vengono definite anche organismi autotrofi (che fabbricano da soli il proprio nutrimento ).
Gli anima i vengono detti consumatori in quanto si nutrono della  sostanza organica già prodotta dagli altri organismio. E si limitano quindi a trasformarla.
Tra i consumatori si possono distinguere: consumatori primari, rappresentati dagli erbivori, consumatori secondari, rappresentati dai carnivori, e così via, fino a giungere all'ultimo anello della catena. Studiando attentamente una catena alimentare non si può fare a meno di notare che un singolo individuo può nutrirsi di più organismi diversi, e può essere cibo per più di un predatore. Ciò porta a concludere che in uno stesso ecosistema esistono più catene alimentari porta alla formazione della cosiddetta rete alimentare. Entro una catena alimentare è presente un continuo trasferimento di materia organica da un anello a quello successivo fino all'ultimo consumatore, il cui corpo, dopo la morte, fungerà da nutrimento per una fitta rete di microrganismi, definiti decompositori. Questi ultimi hanno l'importante compito di trasformare la materia organica in materia inorganica, restituendo in tal modo all'ambiente fisico le sostanze che i produttori avevano sottratto. Grazie all'importante ruolo svolto dai decompositori la materia compie un ciclo continuo entro gli ecosistemi (ciclo della materia).
Piramide alimentare
Le catene e le reti alimentari danno solo un'idea qualitativa del tipo dei rapporti trofici presenti in un ecosistema; per poter eseguire anche un'analisi quantitativa si devono definire due nuovi termini: biomassa, cioè la quantità di materia organica presente in un dato livello trofico, e produttività, cioè la velocità, riferita all'unità di superficie (ettaro, m.q.), con cui la biomassa viene prodotta. Esistono vari tipi di produttività, ognuno riferito ad un determinato livello trofico, come per es. la produttività primaria e la produttività secondaria. Se si va a riportare su un grafico la biomassa o la produttività di ciascun anello della catena alimentare, si ottiene la piramide alimentare, strumento utile per evidenziare come, passando da un livello trofico ad un altro, gran parte della biomassa (circa il 90% in media) venga perduta. Ciò dipende dal fatto che un organismo trae dal cibo di cui si nutre non solo i materiali per costruire e mantenere funzionale il proprio corpo, ma anche l'energia necessaria al proprio metabolismo. In altre parole ogni organismo trasforma buona parte della biomassa in energia; l'energia una volta prodotta non può più essere riciclata ma solo dispersa, sotto forma di calore o di lavoro, in perfetta sintonia con le leggi della termodinamica.
Il processo attraverso il quale avviene tale trasformazione è la respirazione cellulare, che utilizza come materiale di partenza proprio il prodotto finale della fotosintesi, il glucosio, e lo trasforma in sostanze inorganiche, quali acqua ed anidride carbonica, liberando energia. Si può notare, quindi, che in una catena alimentare l'energia presente nella biomassa si riduce drasticamente via via che si passa da un livello trofico a quello successivo; proprio per questo motivo non si può parlare di ciclo bensì solamente di flusso dell'energia.
Ancora una volta sono le piante gli unici organismi in grado di rifornire continuamente di energia gli ecosistemi, e ciò è possibile solo grazie al processo di fotosintesi clorofilliana, attraverso il quale l'energia luminosa di provenienza solare viene trasformata in energia chimica. Una volta eseguita questa trasformazione, l'energia risulta disponibile per qualunque tipo di organismo: in primo luogo per le piante stesse, che la utilizzano per le esigenze del proprio metabolismo, in secondo luogo per gli erbivori, che si nutrono dell'energia che le piante conservano sotto forma di strutture cellulari, successivamente per i carnivori, che si nutrono degli erbivori, e così via.
L'uomo non è escluso da questi meccanismi, anzi, in quanto onnivoro, è al vertice di ogni piramide.
Uomo e agricoltura
Fin dalla sua comparsa sulla Terra, l'uomo è entrato in un rapporto del tutto peculiare con l'ambiente. Finché le attività umane furono limitate alla caccia e alla raccolta dei frutti selvatici, in un contesto di esistenza nomade, al seguito delle migrazioni dei grossi mammiferi, la presenza dell'uomo non interferì nei delicati equilibri dell'ambiente. Le cose cambiarono in modo determinante quando egli scoprì che, ponendo nel terreno alcuni semi, poteva riprodurre quel ciclo naturale che vedeva ripetersi di anno in anno. Da quel momento nell'ambiente furono provocati cambiamenti di immensa portata, quasi più grandi di tutti i naturali sconvolgimenti climatici e geologici che per quattro miliardi di anni si erano ripetutamente abbattuti sulla Terra.
I luoghi di origine dell'agricoltura vanno individuati in aree geografiche fra loro molto distanti, nel cosiddetto Medio Oriente e probabilmente in Asia centrale e in Centroamerica. Non a caso per moltissimo tempo, prima dell'avvento dei commerci su vasta scala e dei relativi traffici, il principale alimento energetico a base glucidica fu sempre un cereale: il frumento in Europa, Nord Africa, Asia occidentale; il riso in Asia; il mais in America; il sorgo e il miglio in molte zone dell'Africa. Si potrebbe, in altri termini, parlare di civiltà del frumento, del riso, del mais, tanto è stata l'importanza di queste colture per lo sviluppo delle società umane, pur tra loro diverse e lontane.
Per quanto concerne la nostra civiltà "occidentale", le prime tracce di agricoltura sono state trovate in Medio Oriente, nella cosiddetta Mezzaluna fertile, ove tuttora crescono spontaneamente orzo e frumento selvatici. Fra i resti archeologici di alcuni villaggi sono stati rinvenuti semi tostati, che hanno evidenziato come l'uomo fosse in grado di sfruttare le piantagioni e conservare deliberatamente il raccolto. Le prime specie di cereali coltivate furono due frumenti, il Triticum monococcum e il Triticum dicoccum, e l'orzo, Hordeum vulgare disticum .
La sostituzione dell'economia di caccia con una di tipo agricolo non avvenne improvvisamente, ma in modo progressivo, fra il IX e il V millennio a.C.. Con la fine delle glaciazioni i cambiamenti climatici trasformarono, anche se lentamente, i territori dove vivevano le antiche popolazioni: le fredde steppe divennero foreste ricche di vegetazione, non più in grado di ospitare i grossi mammiferi migratori, al seguito dei quali si era svolta fino a quel momento l'esistenza umana, mentre con buona probabilità la stessa "mezzaluna fertile" divenne siccitosa e poco produttiva. Un altro aspetto va individuato nella crescita della popolazione umana che era divenuta tale da alterare l'equilibrio tra il numero degli individui e la possibilità di alimentazione attraverso la raccolta di vegetali selvatici.
Gli antichi cacciatori impararono a diffondere i semi delle piante selvatiche di cui si erano nutriti e a selezionare quelli che erano in grado di dare origine a piante più rigogliose o resistenti. In questo modo privilegiarono lo sviluppo delle prime varietà, utilizzando anche le mutazioni che di tanto in tanto apparivano, come processo naturale, fra i ceppi selvatici. E' noto, ad esempio, che la specie coltivata Triticum monococcum, a spiga dura e indeiscente e quindi trasportabile a distanza senza che se ne perdano i semi, è derivata dalla specie spontanea Triticum boeoticum, che presenta spiga tenera e spighette facilmente deiscenti.
Si stabilì così un nuovo rapporto, più attivo, con la natura. La monotonia del lavoro, che costrinse ad una attività confinata in luoghi ben definiti e stabili nel tempo e ad una occupazione sedentaria, diede il via alla nascita di società basate sulla distribuzione dei compiti e sul rafforzamento dei nuclei familiari.
Ricercando una sempre maggiore produzione agricola furono apportate notevoli modifiche all'ambiente, come il disboscamento, la rimozione del terreno per l'irrigazione e il drenaggio, la manutenzione e la reintegrazione delle sostanze nutritive del terreno. Tali modifiche ambientali richiedevano capacità progettuale e di proiezione nel tempo futuro. Così il pensiero dell'uomo, legato alla terra e al villaggio, acquistò astrazione; l'individuo prese sempre più coscienza di sè e di ciò che lo circondava, rendendosi sempre più artefice del cambiamento della natura. La maggior disponibilità di cibo ebbe come conseguenza immediata e diretta un aumento della popolazione, una progressiva limitazione degli ambienti naturali, la nascita dei villaggi stabili e poi delle città. Oggi, uno dei problemi maggiori con cui deve fare i conti l'umanità, è quello della sovrappopolazione e dello stato di fame e denutrizione in cui si dibatte più di un terzo di essa. All'agricoltura di sussistenza, che fornisce materie di prima necessità, si è sostituita un'agricoltura commerciale. La ricerca di maggior produzione ha privilegiato la tecnica della monocoltura, mediante la quale notevoli estensioni di terreno sono coltivate per ottenere un solo tipo di raccolto. Ciò facilita lo sviluppo di una tecnologia avanzata, che ricorre ad una maggiore meccanizzazione ed all'uso di prodotti chimici artificiali per la fertilizzazione e la lotta contro infestanti e parassiti. Il rapido incremento attuale della popolazione mondiale, rende le richieste alimentari sempre più pressanti. Nasce l'esigenza di una produzione agricola ancor più estesa, più intensiva ed industriale, ma essa, a sua volta, pone non pochi problemi, primo fra tutti quello della tutela dell' ambiente naturale, che rischia di essere completamente alterato dagli ecosistemi artificiali creati dall'uomo.
L'agroecosistema
Accanto agli ecosistemi naturali esistono anche ecosistemi artificiali, creati dall'uomo per far fronte alle proprie necessità alimentari, di studio e di svago: ne sono un esempio i campi coltivati, le serre, gli orti botanici, i giardini, i parchi, ed anche le città stesse. In termini ecologici il campo coltivato viene definito agroecosistema ager, e rispetto ai corrispondenti ecosistemi naturali si mostra estremamente semplificato. Risulta chiaro, infatti, come la ricca fitobiocenosi naturale venga sostituita da un'unica specie, scelta in base a motivi di carattere economico e produttivo, tanto che le poche piante naturali che riescono a sopravvivere nell' ager sono considerate infestanti, e quindi combattute e distrutte attraverso il diserbo. Anche le biocenosi animali risentono di questa semplificazione, pur se in maniera molto meno evidente. In una agricoltura che privilegia poche specie, o addirittura una sola (monocoltura), pochi Insetti vegetariani Fitofagi)prendono ben presto il sopravvento su qualunque altra presenza animale compresi i loro predatori naturali, divenendo in breve tempo numerosissimi. Gli operatori agricoli sono, così, costretti a proteggere la produzione ricorrendo a sostanze tossiche, che distruggono anche gli Insetti utili: la biocenosi risulta sempre più semplificata e la produzione agricola sempre più esposta ad attacchi di fitofagi sopravvissuti ed ulteriormente resistenti. Si verifica una tipica selezione artificiale o chimica, operata dagli stessi prodotti usati per sterminare i fitofagi.
In questa situazione le catene e le reti alimentari vengono enormemente ridotte e limitate a pochi anelli, poiché diminuisce il numero di carnivori e predatori, gli unici in grado di controllare il proliferare eccessivo dei fitofagi. Questi dovranno perciò essere ancora combattuti per mezzo di un ulteriore ricorso ai pesticidi.
Nell'ager anche il ciclo della materia subisce una netta modificazione, in quanto solo una parte minima della biomassa vegetale ritorna all'ambiente attraverso la catena dei decompositori; infatti la maggior parte della produzione primaria viene prelevata dall'agricoltore ed utilizzata per i fabbisogni umani, spesso in luoghi a volte molto distanti dalla zona di produzione. In questa realtà sarebbe meglio parlare non di ciclo, bensì di flusso della materia, dato che, a lungo andare, il continuo prelievo di biomassa determina un impoverimento dell'ambiente stesso. Il continuo sfruttamento dell'ager deve quindi essere compensato artificialmente mediante apporti di sostanze minerali ed organiche di sintesi, i concimi.
Uno degli inconvenienti maggiori dell'ager consiste nel fatto che l'uomo per mantenere una elevata produttività deve continuamente intervenire, modificando e a volte sovvertendo la naturale evoluzione dell'ambiente stesso. Il concetto di evoluzione è importantissimo per l'ambiente, in quanto ogni biocenosi tende ad adattarsi alle condizioni che via via si instaurano in un territorio in modo da giungere ad un reciproco equilibrio. In un agroecosistema, invece le condizioni devono essere sempre mantenute costanti, ricorrendo a volte anche a pratiche colturali che possono danneggiare l'ambiente stesso, come una eccessiva irrigazione, con conseguente dilavamento del terreno, oppure una concimazione massiccia, e così via. In queste condizioni, per cause artificiali, le piante perdono la loro naturale capacità di adeguarsi alle disponibilità dell'ambiente e diventano sempre più dipendenti dall'uomo; si giunge, così, al caso limite di cultivar incapaci di disseminazione autonoma, come accade ad esempio, per il mais o per certe varietà di frumento.
Un'agricoltura più equilibrata
L' agroecosistema, pur presentando caratteristiche generali proprie degli ecosistemi naturali, se ne differenzia per alcuni importanti aspetti. Tutto ciò permette una buona produttività, ma al tempo stesso costi ambientali ed indiretti piuttosto elevati: l'inquinamento delle falde, la rarefazione degli organismi utili, la dispersione nelle catene alimentari di sostanze chimiche pericolose, la contaminazione degli stessi prodotti ortofrutticoli, rappresentano solo alcuni tra i più macroscopici aspetti di una tale situazione. Per ovviare a questi inconvenienti, o per lo meno per ridurli al più basso livello di impatto ambientale, l'agricoltura dovrebbe essere:
Polifunzionale, producendo beni alimentari, ma al tempo stesso realizzando una sostanziale protezione dell'ambiente. Non si dimentichi, infatti, che in molte zone fortemente antropizzate gli agroecosistemi risultano gli unici ecosistemi presenti.
Risparmiatrice, limitando al minimo essenziale il flusso di energia fossile costosa inquinante  presente in quantità limitata favorendo invece l'energia solare che non costa nulla, non inquina e durerà fino alla morte del sistema solare.
Sana, cioè capace di dare prodotti naturali non solo privi di residui di antiparassitari o altre sostanze estranee, ma dotati di un particolare equilibrio fra le sostanze nutritive, con particolare riferimento ad elementi minerali e vitamine. Volendo riunire in una sola parola questi concetti si parla di un'agricoltura equilibrata.
Per attuare una conversione dall'agricoltura tradizionale degli ultimi decenni ad un nuovo modo di produrre che assecondi i cicli energetici naturali sono state intraprese strade diverse.
Un primo approccio al problema nacque negli anni '70 con il nome di lotta guidata, poi evolutosi in difesa integrata, mentre negli ultimi anni ci si sta indirizzando verso una produzione integrata. Questo progetto, essenzialmente basato sulla razionalizzazione degli interventi antiparassitari, è stato in seguito allargato ad altri aspetti agronomici, quali concimazioni, scelta di varietà più resistenti, ricorso a lotta biologica (cioè ad Insetti ed Acari utili) e microbiologica (batteri entomoparassiti). Questa strategia diffusa essenzialmente nelle zone ortofrutticole più fertili, particolarmente in vaste aree del Trentino-Alto Adige e dell'Emilia-Romagna, ha permesso una diminuzione sensibile dei trattamenti, producendo frutta e verdura certificata e garantita. Una seconda strada, percorsa in una direzione di maggiore rispetto ambientale, anche se molto minoritaria rispetto alla precedente, è rappresentata dall'agricoltura biologica, con numerose varianti e scuole di pensiero (organici, biodinamici ...); essa viene detta anche compatibile o sostenibile, con riferimento all'integrità dell'ecosistema. In questo caso l'approccio al problema appare diverso: qui non si modifica lentamente e gradualmente il sistema produttivo tradizionale, ma si determina una conversione rapida eliminando da subito pratiche e prodotti ritenuti incompatibili con la salubrità dell' ager. Principi dell'agricoltura biologica sono l'eliminazione di fertilizzanti di sintesi, che vengono sostituiti con quelli naturali, meglio se di origine animale, l'esclusione di antiparassitari chimici, fatta eccezione per quelli minerali a base di zolfo e rame, e l'eliminazione degli erbicidi, sostituiti con diserbo meccanico o pirodiserbo.
Altre pratiche importanti riguardano la reintroduzione dell'allevamento di animali, con ripristino del secondo livello della catena trofica, la consociazione, per meglio sfruttare l'energia solare e trarre beneficio dai rapporti favorevoli tra diverse specie, la riduzione delle lavorazioni del suolo, per favorire la naturale formazione di un orizzonte organico naturale o lettiera.
In tale tipo di agricoltura viene inoltre praticato l'inerbimento, per ridurre l'erosione superficiale, e si limitano gli interventi solo a quelli di soccorso. Vengono inoltre favoriti sia gli organismi superiori che gli Artropodi utili (Insetti ed Acari), predisponendo all'interno dell'azienda agraria alcune aree di rifugio e di riproduzione per questi organismi, quali boschetti e siepi, i quali esplicano inoltre un'importante funzione frangivento e di protezione nei confronti di sostanze inquinanti.
Entrambe le strade accennate, pur partendo da concezioni e necessità diverse, rappresentano importanti risultati produttivi, che riscoprono "l'agricoltura di un tempo" alla luce delle moderne tecnologie e di un nuovo equilibrio con la natura.

Analizzando la struttura di un ecosistema si è evidenziato come gli organismi dipendono per la loro sopravvivenza da un continuo rifornimento di materia organica e di energia. Le piante sono gli unici viventi in grado di rifornire gli ecosistemi di entrambe, e quindi svolgono un ruolo essenziale ed insostituibile. Ogni essere vivente dunque dipende dalle piante, sia direttamente, come gli erbivori, che indirettamente, come i carnivori. Anche l'uomo, nella sua qualità di organismo onnivoro, non può sottrarsi a questa dipendenza, per cui lo studio della Botanica è indispensabile in un periodo in cui la gestione dell'ambiente sta diventando ,una questione di sopravvivenza, non solo delle varie specie animali e vegetali in via di estinzione, ma di noi stessi e delle nostre società

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