domenica 10 aprile 2016

Il cotone coltivato nel Salento leccese nel 1327 reintrodotto dal Prof. Ferdinando Vallese nel 1905


Il cotone coltivato nel Salento leccese nel 1327 reintrodotto dal Prof. Ferdinando Vallese nel 1905
di Antonio Bruno*


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Nel 1810 Lecce fu sede di un Orto botanico, fondato a seguito dell’l’istituzione delle Società di Agricoltura in ogni provincia del Regno di Napoli. L’uomo a cui più di ogni altro furono legati lo sviluppo e la gestione della struttura fu Gaetano Stella; sotto la sua direzione, infatti, l’estensione dell’orto si ampliò fino a raggiungere la superficie di circa tre ettari e mezzo, si costruirono i locali per il ricovero invernale delle piante più delicate e delle specie tropicali, furono arricchite le collezioni vive già esistenti. Il catalogo delle piante dell’orto, pubblicato nel 1857, elencava ben 570 taxa subgenerici, di cui oltre 100 varietà di alberi da frutto. Dopo quasi un secolo di storia, il decadimento della struttura si compì definitivamente nel primo dopoguerra con la costruzione, sul suolo di sua pertinenza, di alcuni edifici pubblici ovvero il Consorzio Agrario e il Palazzo degli Uffici Finanziari in Viale Gallipoli.
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Ferdinando Vallese nel 1905 descriveva le colture erbacee che venivano praticate nell'Orto Botanico di Lecce e affermava che le piante che hanno un ciclo vegetativo invernale o che si prolunga sino alla Primavera, vegetavano benissimo, invece le colture erbacee che hanno un ciclo estivo oppure che si prolungano sino all'autunno vegetavano stentatamente poiché in quel periodo non era disponibile l'acqua dei pozzi e delle cisterne presenti nell'orto botanico di Lecce in quanto si stava provvedendo alla loro ristrutturazione.
Il prof. Vallese riferisce che si erano introdotte delle piante nuove come il cavolo di Bruxelles, la cicoria di Treviso; i pomodori Cristoforo Colombo, Mikado, Umberto I, Ponderoso; le patate Earlyrose, Iuval, Manhattan, Prince de Galles, Belle de Iullet, Fiocco d'oro d'Erfurt, Geant de l'Ohio, Agnelli ma che queste non avevano destato alcun interesse nei coltivatori che visitano l'orto botanico.
Nel 1904 nell'orto era stata introdotta la pianta del piretro di cui ho già scritto nel mio articolo http://centrostudiagronomi.blogspot.com/2010/03/conviene-coltivare-il-fiore-che-uccide.html le cui infiorescenze hanno azione insetticida. Le piante giunsero a Lecce direttamente dalla Dalmazia dove in quegli anni si coltivava nei terreni asciutti e ben esposti. Secondo il Prof. Ferdinando Vallese ogni agricoltore dovrebbe avere nei suoi terreni qualche piccolo appezzamento coltivato a piretro perché, anche se non potesse dare luogo a grandi coltivazioni, l'agricoltore potrebbe raccoglierne i fiori e bruciarli nelle abitazioni per procurarsi, durante l'estate, sonni tranquilli senza ricorrere ai costosi coni fumanti che si usavano allora.
Nel 1905 il Prof. Ferdinando Vallese scrivendo del cotone riferendo che era stato largamente coltivato nella Terra d'Otranto e che, a seguito del rialzo dei prezzi di quel periodo, gli agricoltori del circondario di Taranto e di Brindisi erano interessati a una reintroduzione.
Comunque le oscillazioni dei prezzi del mercato cotoniero, provocate da speculazioni e manovre commerciali, secondo il Prof. Vallese erano talmente frequenti da non riuscire a instillare grande fiducia nell'animo dei coltivatori.
La coltivazione del cotone nella Terra d'Otranto, secondo il responsabile della Cattedra Ambulante dell'Agricoltura, era sostenibile. Il Prof. Ferdinando Vallese sottolinea che nei terreni adatti, essendo il cotone una pianta che non intralcia affatto e non richiede modificazioni nell'avvicendamento delle piante erbacee, si presta per lo sfruttamento delle terre a maggese (Maggese viene dal latino “Maius” maggio. Era, infatti, in quel mese che in epoca medievale si era soliti dissodare il campo ed è la parte di un campo lasciato a riposo o a pascolo, senza alcuna coltivazione) che attendono la semina del frumento. Nel 1905 le varietà di cotone in uso erano due e cioè quella a fibra bianca e quella a fibra avana, nota con il nome di cotone barbaresco. Nel 1905 l'Orto Botanico di Lecce aveva sperimentato alcune varietà di cotone i cui semi erano stati forniti dalla Casa Vilmorin et Andrieux di Parigi e cioè: Cotone d'Egitto Mit-Afifi, Cotone della luigiana (corta fibra), Cotone di Georgia (lunga fibra), Cotone d'Egitto Abassy, Cotone sea Island (lunga fibra), Cotone choice Upland, Cotone d'Egitto Iannovich.
La cotonicultura fra '700 ed '800, era molto diffusa. Le prime notizie sulla coltura del cotone risalgono al 1327, ma solo dal XVII secolo il suo peso economico iniziò a crescere in maniera sensibile.
Tra la fine del '700 e gli anni '60 dell' 800 la coltura si diffuse enormemente ma la concorrenza delle coltivazioni americane e asiatiche la fece ridimensionare e scomparire negli anni che seguirono. Il cotone era coltivato secondo due modalità. La coltura estensiva era inserita nel ciclo agrario quadriennale e che completava il ciclo vitale fra primavera ed estate, copriva il maggese nei mesi immediatamente precedenti la semina del grano. Condotta a secco, doveva essere approvvigionata d'acqua dalle piogge primaverili, la resa era scarsa e il prodotto meno pregiato.
La coltura intensiva rispondeva alle elevate esigenze idriche della pianta in fase vegetativa, per cui erano particolarmente indicati pantani, lame e terre sommerse per periodi più o meno lunghi dell'anno, ma anche saline dismesse. In questi terreni, infatti, il periodo di carenza idrica era considerevolmente più breve.
Il cotone alimentava anche un diffuso artigianato domestico. Verso la fine del Settecento comparvero, tuttavia, alcuni grossi imprenditori del settore tessile, che attrezzarono officine con decine di telai, ai quali serviva mano d'opera femminile.
La raccolta avveniva in estate quando le bacche si schiudevano e appariva un batuffolo di cotone che veniva separato dai semi con il “TORNU TE LA CAMMACE (bambagia)”. La “cammace” (bambagia) che si raccoglieva veniva filata con il fuso e il filo ottenuto raccolto per mezzo di “lu matassaru” (arcolaio). Il cotone veniva poi sistemato sulla “macinnula” (attrezzo usato anticamente per filare la lana) e con “lu tornu te le canneddhe” veniva avvolto in rulli di canne “le canneddhe”.
L'attività tessile rimase, tuttavia, a lungo attiva, seppure limitatamente all'originale ambito familiare.
Un'ultima annotazione sull'uso di cotone Bt bacillus thurigensis che all'inizio sembrava davvero che funzionasse: in Cina il passaggio alla coltivazione di cotone Bt (Bt sta per bacillus thurigensis, bacillo che produce una certa tossina letale per alcuni parassiti e in particolare per la «bolla del cotone», un vermetto capace di distruggere interi raccolti) aveva avuto l'effetto di aumentare la produzione e ridurre in modo notevole la quantità di pesticidi, cioè insetticidi agricoli, irrorata sui campi. Ora però anche questo beneficio si rivela effimero: uno studio della Cornell University dice che 7 anni dopo, i coltivatori cinesi di cotone Bt bacillus thurigensis sono costretti a usare pesticidi in quantità identica a quelli utilizzati da chi coltiva cotone senza Bt bacillus thurigensis.
Insomma la natura è così potente che ciò che noi facciamo per condurla verso i nostri scopi viene aggirato dalla sua sapienza. Basta osservare i terreni incolti che dopo non molto iniziano a divenire pseudosteppa e poi gariga, macchia e infine bosco. Come quell'albero d'olivo di fronte a casa mia dopo la furia distruttrice di un finto potatore ora risorge a nuova vita.

*Dottore Agronomo

Bibliografia

L'Agricoltura Salentina 1905
La coltivazione del Cotono http://www.cresciamoinsieme.org/docs/index.shtml?A=cotone
Paola Desai: Il cotone Bt non riduce l'uso di pesticidi Il manifesto 2 agosto 1992
Perieghesis Viaggio nella storia del Paesaggio Agrario del Tarantino http://www.perieghesis.it/cotone.htm
V.A. Greco: Vicende della cotonicoltura nell’economia del Tarantino, in Umanesimo della Pietra-Verde 9, Martina Franca, (1994), pp 98-126.
V.A. Greco: Masserie e massafresi, Manduria, 2005,pp. 34-35.
M.A.Visceglia: Lavoro a domicilio e manifattura nel XVIII e XIX secolo. Produzione, lavorazione e distribuzione del cotone in Terra d’Otranto, in AA.VV.: Studi sulla società meridionale, Napoli, 1978, pp. 233-271.
C. Chirico: Gabelle e onciario: due sistemi di prelievo fiscale nella Taranto economica del ‘700, in Cenacolo, XI-XII (1981-1982), pp. 119-138.

M. De Lucia: Il ruolo della coltivazione e della manifattura del cotone in Terra d’Otranto nel secolo diciannovesimo, in Annali del Dipartimento di Scienze Storiche e Sociali dell’Università di Lecce, 1988.

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