giovedì 31 ottobre 2024

Intervista al Dott. Antonio Bruno, esperto in diagnostica urbana e territoriale sul temporale autorigenerante che ha colpito Valencia in Spagna

 


Intervista al Dott. Antonio Bruno, esperto in diagnostica urbana e territoriale sul temporale autorigenerante che ha colpito Valencia in Spagna

Intervistatore: Dottor Bruno, recentemente, fenomeni atmosferici estremi hanno colpito sia l’Italia che la Spagna. Come possiamo confrontare questi eventi?

Dott. Bruno: Le recenti alluvioni in Italia, come quelle in Liguria e Sicilia, sono molto simili al temporale autorigenerante che ha colpito Valencia. Si tratta di eventi in cui una massa d'aria umida e instabile si mantiene sopra una zona circoscritta, scaricando enormi quantità di pioggia in un breve lasso di tempo. Un singolo giorno può vedere l’equivalente di un intero anno di precipitazioni, come è accaduto in Spagna.

Intervistatore: Cosa caratterizza questi temporali autorigeneranti e dove si verificano?

Dott. Bruno: Questi temporali sono alimentati dalla confluenza dei venti nei bassi strati dell’atmosfera, che prelevano umidità dal mare. Per questo, il fenomeno è tipico delle aree costiere, in particolare durante l’autunno, quando il calore accumulato nel Mediterraneo crea condizioni favorevoli allo sviluppo di temporali violenti. Li chiamiamo anche “V-Shaped” poiché osservandoli dai satelliti appaiono a forma di “V”.


Intervistatore: Negli ultimi anni sembra ci sia un aumento della frequenza di questi eventi estremi. Qual è la causa?

Dott. Bruno: È vero, si osserva una tendenza all’aumento. I dati suggeriscono che il riscaldamento globale sia un fattore determinante. Temperature atmosferiche più elevate portano a un incremento del vapore acqueo, che rappresenta energia in più per i temporali e i cicloni. Più energia significa una maggiore possibilità di eventi intensi. Le alluvioni sono sempre esistite, ma oggi si verificano più spesso e con intervalli di tempo sempre più brevi.

Intervistatore: Ci sono zone in Italia più vulnerabili a questo tipo di fenomeno?

Dott. Bruno: Sì, le aree più esposte sono quelle affacciate al Tirreno, allo Ionio e al Mar Ligure, quindi parliamo di regioni come Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna, Basilicata e Puglia, soprattutto lungo le coste. Tuttavia, non si può escludere che fenomeni simili possano colpire anche altre zone, anche se con minore frequenza.

Intervistatore: Negli ultimi giorni, le temperature in Italia sono state insolitamente alte. Questo è un altro segnale del cambiamento climatico?

Dott. Bruno: Assolutamente. Il fenomeno dell’anticiclone subtropicale, che ha mantenuto temperature eccezionalmente alte per il periodo autunnale, è una chiara manifestazione dei cambiamenti climatici. Quest’anno, ad esempio, abbiamo registrato temperature tipiche di fine estate – 28 gradi in Sicilia e valori simili in Calabria e Campania, con massime di 24 gradi a Napoli e Roma. Anche negli anni scorsi, come nel 2022 e 2023, si sono rilevate anomalie simili alla fine di ottobre, a testimonianza di una tendenza ormai consolidata.


Intervistatore: Secondo le previsioni, questo anticiclone continuerà a influenzare il clima?

Dott. Bruno: Sì, è probabile che l’anticiclone rimanga stabile sull’Italia ancora per una settimana o più. Questo porterà tempo soleggiato nelle regioni del Centro-Sud e nelle zone montane, a ulteriore conferma che i cambiamenti climatici sono in atto e hanno un impatto tangibile sul nostro clima quotidiano.

Intervistatore: Dottor Bruno, grazie per queste spiegazioni. Sembra evidente che i cambiamenti climatici stiano portando a una nuova normalità, con eventi estremi e temperature anomale.

 

Il dramma della Xylella e l’appello disperato di una terra amata

 


Il dramma della Xylella e l’appello disperato di una terra amata

di Antonio Bruno

C’è un’immagine che resta scolpita nella mente di chiunque abbia avuto la fortuna di vedere gli ulivi pugliesi: il mare argenteo delle chiome secolari, distese senza fine che attraversano i millenni, la loro bellezza intatta nel tempo. Oggi, però, questo quadro immutabile scricchiola, minacciato dalla Xylella, un batterio subdolo e tenace che ha già piegato il cuore della Puglia, e rischia di cancellare per sempre uno dei simboli identitari di questa terra. Gli ulivi, custodi silenziosi di storia e tradizione, sono oggi in ginocchio, e con loro l’economia, il paesaggio e l’identità di un popolo.

In una scena che sembra uscita da un film drammatico, imprenditori, associazioni e sindaci si uniscono per chiedere aiuto a gran voce, sperando che la premier Giorgia Meloni, forte del legame che ha con questi luoghi, ascolti il grido di una comunità ferita. È una lettera aperta, una supplica collettiva che si rivolge non solo al governo italiano, ma anche alle istituzioni europee, perché quella che si gioca tra i campi aridi della Puglia è una battaglia cruciale per l'intero bacino del Mediterraneo.

A guidare questa iniziativa è Alessandra Testa, una donna che si è innamorata di questa terra e che ha avuto il coraggio di dire "Basta". Non ci si può arrendere alla devastazione, non si può accettare l’idea che questa malattia sia il destino inesorabile degli ulivi. Con lei, sono tanti a voler alzare la testa: "Serve unità – dice Alessandra – perché solo insieme possiamo avere una speranza."

E in effetti è un coro unanime, quello che si leva da Ostuni, Carovigno, Fasano e tutti gli altri comuni pugliesi. Amministratori locali, imprenditori, semplici cittadini, gridano la loro amarezza. Ogni ulivo che cade sotto l'attacco della Xylella è un pezzo di storia che scompare, un frammento di bellezza che si sgretola. Gli ulivi non sono solo alberi, sono testimoni silenziosi di un passato glorioso, della fatica e della perseveranza di generazioni. Come si può pensare che il mondo resti indifferente?

Questa lettera non è solo un grido di dolore; è anche un’invocazione alla responsabilità. Chi può aiutare a fermare la Xylella? Chi ha i mezzi per farlo? Certamente lo Stato, certamente l’Europa, e il messaggio è chiaro: non c’è più tempo. Le parole del sindaco di Carovigno sono definitive: “Mai come in questo momento abbiamo bisogno di chiarezza e tempi certi, non di promesse.” La produzione di olio extravergine è un’eccellenza italiana conosciuta nel mondo, un “biglietto da visita” che parla di autenticità e qualità. E perdere questa risorsa non significherebbe solo danneggiare l’economia, ma privare il nostro Paese di una delle sue identità più profonde.

La realtà, però, è dura. Ci sono voluti anni per arrivare a questa consapevolezza, e nel frattempo la Xylella si è fatta strada, inesorabile. Le istituzioni hanno forse reagito tardi, e questo è uno dei punti dolenti, ma oggi non è il tempo delle polemiche. Oggi, la priorità è salvare ciò che è rimasto. Il mondo della ricerca sta studiando metodi di intervento, le nuove tecnologie agrarie offrono soluzioni, ma le risorse scarseggiano.

Questa è una battaglia per il presente e il futuro. Come sarà la Puglia fra dieci anni, se non si agisce subito? Cosa resterà da ammirare, da raccontare ai nostri figli? Ogni ulivo abbattuto è una memoria persa, ogni pianta secca è una ferita aperta. La rassegnazione, parola pesante e dolorosa, aleggia su questi luoghi, ma i firmatari della lettera dicono "No". C’è ancora speranza, c’è ancora voglia di lottare. Non ci si può arrendere davanti a un patrimonio inestimabile, davanti a un’identità costruita nel corso dei secoli. Perché, come ricorda Carlo Capasa, presidente della Camera della Moda e firmatario della petizione, “rassegnarsi significa perdere la propria storia.”

Questa lettera, dunque, è molto di più di un appello. È un atto di amore verso una terra generosa che, come una madre, ha dato tutto senza chiedere mai nulla in cambio. I suoi figli, ora, le devono la vita.

Dopo aver assistito all’incapacità dei contadini e degli imprenditori agricoli di affrontare questo flagello, che ha portato al fallimento di un intero territorio, è opportuno chiedere loro di farsi da parte e lasciare spazio a chi può e sa risolvere il problema: i giovani tecnici agricoli assunti dallo Stato, che, con adeguati mezzi finanziari, potranno affrontare e risolvere definitivamente la questione.

Non c’è tempo da perdere, Signora Presidente del Consiglio Giorgia Meloni: istituisca subito l’Ente pubblico per la gestione del paesaggio rurale!

Antonio Bruno

 

mercoledì 30 ottobre 2024

Intervista con il dottore agronomo Antonio Bruno sulla crisi agricola e la Xylella in Puglia


 Intervista con il dottore agronomo Antonio Bruno sulla crisi agricola e la Xylella in Puglia

Intervistatore: Dottor Bruno, la citazione di Einstein “Follia è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi” sembra ben applicarsi alla situazione agricola pugliese e alla crisi dell'olivicoltura colpita dalla Xylella. Da anni lo Stato e l'Unione Europea investono milioni di euro nel settore agricolo, eppure i risultati sono deludenti. Cosa ne pensa?

Dottor Antonio Bruno: È proprio così. In agricoltura abbiamo assistito a un lungo periodo di assistenzialismo che, pur animato da buone intenzioni, ha fallito nel rendere il settore autonomo e sostenibile. I contadini hanno ricevuto sostegni finanziari, ma spesso mancano i mezzi o le competenze per tradurli in innovazione concreta. L’uso di fondi pubblici senza un cambio di paradigma non porta a nulla di duraturo: è come cercare di riempire un secchio bucato. Il problema è strutturale e richiede una soluzione radicale, e la crisi della Xylella in Puglia lo ha reso ancora più evidente.

Intervistatore: A proposito della Xylella, sembra che non si riesca a contenere questa emergenza fitosanitaria. Cosa sta sbagliando il sistema?

Dottor Antonio Bruno: La Xylella è un nemico micidiale, e la mancanza di interventi rapidi e coordinati l’ha resa una piaga per l’olivicoltura pugliese. La disorganizzazione istituzionale e la carenza di investimenti consistenti nella ricerca scientifica hanno permesso al batterio di espandersi senza freni. Come evidenziato dalle amministrazioni locali, dai sindaci e dagli imprenditori della Piana dei Millenari, serve una strategia di contrasto robusta e mirata, che punti alla rigenerazione e alla tutela del patrimonio olivicolo, e che preveda anche il coinvolgimento delle istituzioni europee. Senza un intervento deciso e tempestivo, gli effetti economici e paesaggistici potrebbero essere devastanti. Negli ultimi dieci anni, contadini e imprenditori agricoli non sono riusciti, né come singoli né attraverso le loro associazioni, a risolvere il problema.

Intervistatore: Molti, come Alessandra Testa e l’associazione Amo Puglia, invocano un cambio di rotta e misure urgenti per salvaguardare il paesaggio e il patrimonio olivicolo. Cosa suggerisce?

Dottor Antonio Bruno: Serve un piano di gestione diretta e una collaborazione interistituzionale, con la creazione di un ente pubblico che ripensi il territorio anche in termini di biodiversità, magari incentivando piantagioni diversificate e più resistenti ai patogeni. Non possiamo più fare affidamento esclusivamente sulla monocultura dell’olivo. Il territorio pugliese è unico al mondo, e la sua salvaguardia è una responsabilità nazionale, non solo regionale. Abbiamo bisogno di un ente pubblico a cui affidare le risorse per la ricerca e per sperimentare tecniche di innesto, sovrainnesto e reimpianto con varietà resistenti. La mobilitazione delle associazioni e dei cittadini ci mostra che questa non è solo una crisi agricola, ma anche culturale e identitaria. Il fallimento di contadini e imprenditori agricoli ci spinge a chiedere loro di farsi da parte, lasciando agire chi ha le competenze e i mezzi per farlo.

Intervistatore: Molti sostengono che servano nuovi modelli economici e che lo Stato debba “prendere in mano” il paesaggio agrario. Cosa ne pensa?

Dottor Antonio Bruno: Questa è, a mio avviso, l’unica soluzione praticabile. È giusto che lo Stato o enti regionali abbiano un ruolo di gestione del paesaggio agrario. La soluzione può venire esclusivamente dall’alto, poiché i contadini e gli imprenditori agricoli, dopo trent'anni di Politica Agricola Comune e finanziamenti, non hanno generato né occupazione né ricchezza per il territorio; di conseguenza, ci sono moltissimi terreni incolti. Lo Stato deve sostenere il settore con politiche chiare e con l’assunzione di giovani tecnici agricoli, in grado di sfruttare l’innovazione per garantire la sostenibilità a lungo termine del paesaggio agrario. Perché ciò accada, è necessario istituire un ente statale che gestisca gli incentivi per la formazione professionale e investa in strumenti tecnologici avanzati.

Intervistatore: Siamo alla vigilia di una decisione storica. Quale futuro vede per l’agricoltura pugliese?

Dottor Antonio Bruno: Siamo di fronte a un bivio: continuare a tamponare le emergenze con i contadini e gli imprenditori agricoli o adottare un approccio lungimirante e integrato con un ente statale. La rigenerazione del paesaggio non può prescindere dal coinvolgimento dei giovani, dal sostegno alla ricerca e dallo sviluppo di nuove filiere produttive. O si inizia a investire in soluzioni sostenibili, o il rischio di desertificazione economica e culturale diventerà una realtà. Bisogna agire ora, perché la nostra agricoltura e il nostro patrimonio paesaggistico non sopravvivranno a un’altra generazione di immobilismo.

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martedì 29 ottobre 2024

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno su come lo Stato debba affrontare i cambiamenti climatici


 

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno su come lo Stato debba affrontare i cambiamenti climatici

Intervistatore: Dottor Bruno, da anni si parla di crisi e declino del paesaggio rurale nel Sud Italia, ma sembra che gli interventi non abbiano portato miglioramenti. Qual è la sua visione su quanto accaduto?

Dott. Antonio Bruno: Purtroppo, da oltre sessant’anni, assistiamo a un meccanismo di assistenzialismo che ha fortemente danneggiato il nostro paesaggio rurale. I proprietari delle terre hanno percepito fondi pubblici, spesso senza impiegare questi contributi per migliorare le proprie aziende o generare posti di lavoro per i giovani. Questo ha portato a una situazione di stallo e progressivo abbandono delle aree rurali.

Intervistatore: Quindi, secondo lei, i fondi pubblici non sono stati usati per innovare o migliorare la situazione nelle campagne?

Dott. Antonio Bruno: Esattamente. Quei contributi avrebbero potuto trasformare il settore agricolo, modernizzando le strutture e creando una base economica sostenibile per le nuove generazioni. Ma non è stato così. Le aziende agricole restano inadeguate, incapaci di raggiungere un equilibrio economico autonomo. Questi fondi, destinati al sostegno e allo sviluppo, sono stati gestiti con una logica di sopravvivenza, piuttosto che di crescita, portando all’assistenzialismo cronico.

Intervistatore: Quali sono le conseguenze più gravi di questo approccio assistenziale?

Dott. Antonio Bruno: Le conseguenze sono enormi: il paesaggio rurale è stato abbandonato e, con il tempo, questa trascuratezza ha influenzato negativamente anche altre attività economiche. Le terre incolte, la mancata gestione delle risorse idriche e il degrado del suolo limitano la produttività e minano il potenziale economico di intere comunità. Inoltre, il cambiamento climatico, con temperature sempre più elevate e periodi di siccità prolungata, amplifica le difficoltà. Abbiamo visto quest’estate temperature che hanno superato i 47 gradi, devastando le colture, le specie boschive e anche le falde acquifere, che diventano sempre più salinizzate.

Intervistatore: La situazione è davvero critica. C’è una soluzione?

Dott. Antonio Bruno: Serve un cambiamento radicale. Credo che l’agricoltura debba essere gestita dallo Stato. Gli attuali fondi pubblici che finiscono nelle casse degli imprenditori agricoli privati potrebbero essere indirizzati verso politiche occupazionali a beneficio dei giovani. Con un piano di gestione statale, potremmo finanziare interventi mirati per l’adattamento climatico e incentivare pratiche sostenibili, come il risparmio e il riuso delle acque. Pensiamo a quanti posti di lavoro si potrebbero creare per i giovani, impegnandoli nella salvaguardia e nella valorizzazione del nostro paesaggio.

Intervistatore: In che modo potrebbe lo Stato intervenire per migliorare la situazione agricola?

Dott. Antonio Bruno: Lo Stato potrebbe, ad esempio, guidare progetti di recupero delle acque,  attraverso l’uso di acque reflue e meteoriche. Potrebbe promuovere l’uso di specie agricole più resistenti al caldo e alla siccità. Abbiamo tecnologie e pratiche efficienti per irrigare e per combattere il depauperamento della falda, ma non sono sufficientemente implementate. È essenziale, inoltre, che ci sia una gestione del Paesaggio rurale per indirizzare la produzione agricola verso colture che siano sostenibili e resistenti ai cambiamenti climatici.

Intervistatore: E per quanto riguarda l’aspetto economico e il ritorno occupazionale?

Dott. Antonio Bruno: Il sistema attuale ha mostrato che non garantisce posti di lavoro stabili e, spesso, nemmeno profitti adeguati agli agricoltori. Una gestione pubblica dell’agricoltura potrebbe portare a un reinvestimento dei fondi in progetti che assicurino un ritorno sia economico che occupazionale. Se lo Stato gestisse queste risorse, potrebbero nascere opportunità di formazione e occupazione per i giovani, riportando vitalità nelle zone rurali e creando un ciclo virtuoso che faccia crescere tutta l’economia locale.

Intervistatore: Pensa quindi che ci sia l’urgenza di abbandonare il vecchio modello?

Dott. Antonio Bruno: Assolutamente. Questo è il momento di agire: il cambiamento climatico e la crisi idrica sono campanelli d’allarme che non possiamo ignorare. Continuare a finanziare un’agricoltura che non investe nel futuro significa perdere l’opportunità di garantire un ambiente, un paesaggio e un’economia rurale che siano sostenibili.

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lunedì 28 ottobre 2024

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sulla crisi ecologica in Puglia e le prospettive future

 


Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sulla crisi ecologica in Puglia e le prospettive future

Intervistatore: Dottor Bruno, il rapporto Ecosistema Urbano di Legambiente ha evidenziato come le città pugliesi siano ancora in fondo alla classifica delle green cities italiane, con Lecce che si posiziona al 58esimo posto, perdendo 18 posizioni rispetto all'anno scorso. Qual è il suo parere?

Antonio Bruno: Purtroppo, il rapporto di Legambiente conferma una situazione che molti di noi hanno percepito già da tempo. Le città pugliesi stanno ancora lottando per adattarsi alle nuove esigenze di sostenibilità e vivibilità. Lecce, per esempio, è sì il capoluogo pugliese con i risultati migliori, ma ha perso parecchie posizioni, un chiaro segnale di come la strada verso un cambiamento reale sia ancora lunga. Il miglioramento c’è, ma procede troppo lentamente rispetto alle necessità imposte dall’emergenza ambientale. La Pubblica amministrazione dovrebbe riflettere ed intervenire immediatamente.

Intervistatore: Perché secondo lei il Mezzogiorno, e in particolare la Puglia, fatica così tanto rispetto alle città del Nord?

Antonio Bruno: La questione è complessa. Al Nord, ad esempio, c’è un investimento maggiore in infrastrutture, politiche ambientali avanzate e, soprattutto, una continuità nelle strategie adottate per la sostenibilità urbana. In Puglia, invece, spesso manca una visione d’insieme e, soprattutto, un supporto adeguato per i comuni. Senza una strategia nazionale che supporti anche i centri del Sud, i nostri territori restano isolati nel fronteggiare problemi enormi come la qualità dell’aria, il trasporto pubblico inefficace e il consumo di suolo.

Intervistatore: E come si potrebbe migliorare la situazione?

Antonio Bruno: Bisognerebbe puntare su un "green deal" che valorizzi il nostro territorio, senza lasciare soli i comuni. C’è bisogno di una strategia chiara che affronti temi urgenti come la crisi climatica, la rigenerazione urbana, l’inquinamento e il sovra-turismo. Quest’ultimo è un fenomeno crescente che sta mettendo in difficoltà molte città pugliesi. Inoltre, serve una maggiore promozione delle energie rinnovabili, che in Puglia potrebbero rappresentare una risorsa straordinaria, ma necessitano di un vero sostegno politico ed economico per essere sviluppate in maniera efficace.

Intervistatore: Un aspetto in cui Lecce ha comunque ottenuto un buon risultato è la raccolta differenziata, posizionandosi al 12esimo posto nazionale con l’81,5%. Un esempio positivo da replicare?

Antonio Bruno: Assolutamente sì. La raccolta differenziata è uno dei pochi settori in cui Lecce sta facendo bene, e potrebbe servire da modello per altri comuni pugliesi. Si tratta di un risultato che dimostra come, con il giusto impegno e il coinvolgimento della comunità, sia possibile fare progressi concreti. Tuttavia, restano altri campi in cui siamo ancora in ritardo, come il trasporto pubblico e l’offerta di spazi verdi, che sono indispensabili per migliorare la vivibilità complessiva della città.

Intervistatore: E a proposito del trasporto pubblico? Anche in questo settore Lecce è scesa in classifica.

Antonio Bruno: Il trasporto pubblico in Puglia è uno dei punti deboli principali. I cittadini hanno ancora difficoltà ad accedere a un sistema di mobilità urbana che sia efficiente e sostenibile. Lecce, per esempio, ha visto un calo nella frequenza dei passeggeri sui mezzi pubblici e un’offerta che non è sufficiente per le necessità della città. Per fare un salto di qualità, servono investimenti massicci e una gestione coordinata che permetta a tutti i pugliesi di muoversi in modo più rapido e sostenibile.

Intervistatore: Per concludere, crede che in Puglia ci siano possibilità di riscatto ambientale?

Antonio Bruno: Credo di sì, ma solo se ci sarà un impegno più forte da parte delle istituzioni e un approccio a lungo termine. La Puglia ha un potenziale straordinario: pensiamo al sole e al vento, che offrono un'opportunità unica per sviluppare le energie rinnovabili. Ma abbiamo bisogno di una politica che sia determinata e coraggiosa nel sostenere un cambiamento. Questi numeri di Legambiente sono un campanello d’allarme: dobbiamo ascoltarli e agire con urgenza. Solo così potremo ambire a una regione più verde, vivibile e in linea con i tempi.

 

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sulla siccità nel Salento leccese


 

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sulla siccità nel Salento leccese

Giornalista: Buongiorno, Dottor Bruno, e grazie per essere qui con noi oggi. La Puglia sta vivendo una situazione di siccità preoccupante. Qual è la situazione attuale dal punto di vista agronomico?

Dott. Antonio Bruno: Buongiorno, grazie a voi per l’opportunità. La situazione è critica, non solo per l'assenza di precipitazioni significative ma anche per il perdurare di temperature più alte della media stagionale. Questa combinazione rischia di compromettere l’approvvigionamento idrico regionale, con conseguenze gravi sia per le colture sia per le riserve d'acqua potabile. Ad esempio, l'Acquedotto Pugliese ha già iniziato a ridurre la pressione dell’acqua, e ci saranno probabilmente ulteriori interventi, fino ad arrivare – in caso di estrema necessità – a perforare pozzi profondi, con i relativi rischi di una probabile intrusione salina.

Giornalista: Quindi, si rischia di dover utilizzare l'acqua salmastra? Quali sarebbero le implicazioni per l'agricoltura?

Dott. Antonio Bruno: Esatto, e le conseguenze sarebbero disastrose. L’irrigazione con acqua salmastra introduce sodio nel terreno, che è estremamente dannoso per le piante e accelera il processo di desertificazione del suolo. Inoltre, una coltivazione su larga scala di piante richiede comunque molta acqua, e il rischio è di esaurire ulteriormente le nostre falde acquifere. Si tratta di una situazione delicata che, se non gestita con attenzione, potrebbe portare a danni irreparabili.

Giornalista: Sappiamo che la Xylella è un’altra grave minaccia per il territorio pugliese. Come si incrocia questa problematica con l'emergenza idrica?

Dott. Antonio Bruno: La Xylella ha già devastato la nostra "foresta" di ulivi, che si estende dal Gargano fino a Leuca. La soluzione prospettata per contrastarla è il reimpianto delle coltivazioni, ma c’è un costo idrico molto elevato: queste nuove piantagioni richiedono molta più acqua rispetto agli ulivi secolari. Se abbiniamo questo al problema della siccità e all’uso eccessivo di pozzi artesiani, abbiamo un circolo vizioso che può portare a un impoverimento irrimediabile del terreno e, alla lunga, alla desertificazione.

Giornalista: Quali strategie potrebbero aiutare a gestire l'emergenza idrica senza compromettere l'ambiente?

Dott. Antonio Bruno: È fondamentale mettere in campo una serie di strategie integrate ma per farlo dobbiamo prendere atto della inadeguatezza di chi ha la responsabilità del Paesaggio rurale perché nella maggior parte dei casi si disinteressa portando alla situazione di tante terre incolte e chi si interessa, ovvero gli imprenditori, non avendo alcuna possibilità di ottenere un equilibrio economico sono assistiti con l’erogazione di enormi risorse finanziarie da parte dei cittadini. Solo lo Stato può prendere in mano la situazione gestendo direttamente e solo in tal caso sarebbe possibile in primis valorizzare la depurazione delle acque reflue e il loro recupero, riducendo l’acqua scaricata in mare e si potrebbe lavorare per creare un coordinamento tra agronomi, ingegneri, geologi e urbanisti, per affrontare la questione in modo multidisciplinare. Ognuno può dare un contributo specifico, ma deve esserci un’azione coordinata che solo lo Stato può garantire.

Giornalista: C'è il rischio che l’agricoltura intensiva comprometta ulteriormente il bilancio idrico?

Dott. Antonio Bruno: Sì, assolutamente. Le colture intensive richiedono quantità elevate di acqua e spesso non rispettano i principi dell’agricoltura biologica, che prevede un uso più parsimonioso delle risorse. Le falde acquifere pugliesi sono già sotto pressione a causa di anni di prelievi indiscriminati. Continuare con un approccio non sostenibile porta a problemi di salinizzazione e, alla lunga, desertificazione dei suoli.

Giornalista: La riduzione della vegetazione causata dalla Xylella e dalla siccità potrebbe avere conseguenze su altri settori?

Dott. Antonio Bruno: Assolutamente. Il nostro paesaggio e la bellezza del territorio pugliese attraggono investimenti, specialmente nelle aree rurali. Già oggi vediamo un calo nell’acquisto di immobili storici e trulli da parte di stranieri, in parte a causa del degrado ambientale. Un paesaggio impoverito rischia di perdere valore e attrattiva, con ripercussioni non solo sull’economia agricola, ma anche sul turismo e sugli investimenti immobiliari.

Giornalista: Qual è il suo messaggio finale per affrontare l’emergenza idrica e la crisi ambientale?

Dott. Antonio Bruno: Serve consapevolezza da parte di tutti e soprattutto degli agricoltori che dovrebbero prendere atto della loro azione velleitaria degli ultimo 60 anni da quando hanno avuto ingenti somme di danaro dalla Pac e non sono riusciti in nulla di ciò che si erano proposti. Dopo un fallimento di 60 anni si deve passare la mano a chi sa e può fare. Ogni cittadino deve comprendere che l’acqua è una risorsa limitata e che non possiamo continuare a sprecarla e che per farlo ci vuole una gestione dello Stato. Bisogna adottare un approccio sostenibile e integrato, riducendo l’uso dell’acqua, rispettando il territorio e facendo fronte comune per salvaguardare il nostro futuro.

 

Intervista al Dottor Antonio Bruno, Agronomo su olivi e olio di Puglia

 


Intervista al Dottor Antonio Bruno, Agronomo su olivi e olio di Puglia
Esperto di gestione sostenibile delle risorse agricole in Puglia.


Intervistatore: Dottor Bruno, quest'anno la raccolta delle olive in Puglia è iniziata in anticipo, ma con previsioni di produzione in netto calo. Qual è la causa principale di questo fenomeno?

Dott. Antonio Bruno: Purtroppo, il clima ha giocato un ruolo determinante. La siccità e il caldo record, con temperature sopra la media già dalla scorsa primavera, hanno messo a dura prova gli oliveti pugliesi. Questo fenomeno ha portato a una riduzione media della produzione di olive del 40% rispetto allo scorso anno. L'assenza di piogge e la scarsità d’acqua negli invasi pugliesi hanno colpito duramente, e anche il suolo risente di una costante mancanza di umidità.

Intervistatore: Cosa comporta questo calo per le province più produttive della regione?

Dott. Antonio Bruno: La situazione è piuttosto critica in province come Bari e la BAT, dove il caldo anomalo ha colpito i raccolti già a partire da aprile e maggio. La zona di Foggia e il Salento mostrano anch'esse un sensibile calo, e in alcune aree di Taranto e Brindisi la situazione è molto simile, aggravata anche da costi di produzione triplicati e dalla carenza di manodopera. Per esempio, a Taranto e Brindisi la produzione si è quasi azzerata in alcune zone, come il sud del brindisino e parte del tarantino, dove la siccità ha reso le condizioni particolarmente difficili.

Intervistatore: Davvero una situazione difficile. Secondo lei, ci sono delle soluzioni che possano migliorare la situazione idrica e garantire la produttività delle colture?

Dott. Antonio Bruno: Assolutamente sì, ma richiedono una gestione mirata e scientifica delle risorse. La gestione dell’irrigazione potrebbe essere migliorata con tecniche come l'irrigazione in deficit idrico controllato, che consente di ridurre l’uso d’acqua del 30-40% senza compromettere la salute della coltura. L’istituzione di un Ente statale per la gestione del Paesaggio rurale realizzerebbe l’impiego di agronomi esperti sul campo, sensori e strumenti di supporto alle decisioni, e l’uso dell’acqua depurata dai vari impianti presenti in Puglia potrebbero contribuire significativamente. La scienza ci offre già strumenti per una gestione idrica ottimizzata e sostenibile, ma è fondamentale coinvolgere tecnici specializzati per pianificare e ottimizzare queste risorse.

Intervistatore: Anche le associazioni di categoria hanno sollecitato il decreto di stato di calamità naturale. Qual è la sua opinione in merito?

Dott. Antonio Bruno: La richiesta di calamità naturale è un passo fondamentale per garantire un sostegno economico immediato agli agricoltori colpiti dalla siccità. Tuttavia, è essenziale che tali risorse non vengano disperse alle Aziende Agricole già molto assistite con il denaro dei cittadini italiani ed europei e incapaci di ottenere il riequilibrio economico con le loro sole forze ma darle ad un Ente Statale che sia in grado di pianificare un intervento di più ampio respiro per l’olivicoltura pugliese. Servirebbe un piano strategico per sostenere il paesaggio agrario quasi totalmente abbandonato per incentivare il recupero degli uliveti abbandonati e migliorare le infrastrutture idriche, cruciali in una regione come la nostra dove l'acqua è una risorsa preziosa e sempre più limitata.

Intervistatore: Molti esperti suggeriscono che l’utilizzo dell’acqua depurata potrebbe essere una soluzione. Crede sia fattibile?

Dott. Antonio Bruno: Sì, sarebbe una mossa estremamente vantaggiosa e percorribile. Utilizzando acqua depurata per l’irrigazione, potremmo aumentare del 20% la superficie irrigabile della Puglia, riducendo la pressione sui bacini idrici naturali. Questa pratica consentirebbe di mitigare i danni da siccità e ottimizzare l’uso delle risorse idriche disponibili, un aspetto cruciale nel contesto climatico attuale. Siamo il primo importatore di olio d’oliva a livello mondiale e, paradossalmente, rischiamo di perdere la capacità produttiva delle nostre coltivazioni se non interveniamo.

Intervistatore: Infine, per quanto riguarda il futuro dell'olivicoltura pugliese, ci sono prospettive positive?

Dott. Antonio Bruno: Sì, e questa è una buona notizia. La qualità dell’olio pugliese rimane eccellente, e le aree del Salento interessate dai reimpianti torneranno a essere produttive grazie al lavoro continuo di rigenerazione con varietà resistenti e alle misure di supporto regionali e del PNRR, che mirano a modernizzare le strutture di trasformazione. Occorre continuare su questa strada, istituendo un Ente Statale per promuovere pratiche sostenibili e incentivare i giovani a lavorare nel settore, magari per un periodo prima di laurearsi. In poche parole, dobbiamo vedere questi cambiamenti climatici come un’opportunità per innovare, non solo come un ostacolo da superare.

Intervistatore: Grazie, Dottor Bruno, per la sua analisi e per le proposte concrete.

Dott. Antonio Bruno: Grazie a voi. Spero che queste riflessioni possano contribuire a sensibilizzare sull'importanza di un'agricoltura sostenibile e di una gestione più consapevole delle nostre risorse.

 

venerdì 25 ottobre 2024

La voce del Dottor Antonio Bruno: Urgenza di un’azione statale per salvaguardare il paesaggio rurale




La voce del Dottor Antonio Bruno: Urgenza di un’azione statale per salvaguardare il paesaggio rurale

Il paesaggio rurale italiano, elemento identitario del nostro Paese, versa in una situazione di abbandono preoccupante, e secondo il Dottor Antonio Bruno, agronomo e profondo conoscitore delle dinamiche agricole, è ora più che mai necessario che lo Stato intervenga con decisione per preservarlo. Questa negligenza verso i terreni rurali non riguarda solo l’aspetto paesaggistico, ma rappresenta anche una perdita di risorse preziose e opportunità per le comunità locali, specialmente per i giovani imprenditori.

Un esempio virtuoso di ciò che può essere fatto arriva dalla Diocesi di Nardò-Gallipoli, dove da cinque anni è attivo il progetto “Opera Seme Farm”. Questo progetto nasce con un duplice scopo: da una parte, recuperare i terreni agricoli abbandonati, spesso distrutti dalla Xylella, e dall’altra fornire un sostentamento alimentare alle famiglie indigenti della zona. Come spiega lo stesso Dottor Bruno, si tratta di un esempio concreto di come un’economia circolare, se ben gestita e supportata, possa coniugare la valorizzazione del territorio con il benessere della comunità.

“Opera Seme Farm” coinvolge circa 15 aziende agricole locali, cantine, frantoi e laboratori artigianali, con una produzione che spazia dall’olio extravergine d’oliva ai vini Igp Puglia, dai legumi alle conserve artigianali, dai prodotti da forno alla pasta e ai sughi. Grazie all’accordo con la Diocesi, i terreni abbandonati nella zona di Galatone sono stati concessi in comodato d’uso gratuito, permettendo la ripiantumazione di oltre 500 alberi di ulivo leccino, di cui quest’anno verranno raccolti i primi frutti per la produzione di olio extravergine.

Il Dottor Bruno evidenzia come questa iniziativa rappresenti un chiaro esempio di “filiera agroalimentare etica”. Non solo questi prodotti arrivano sulle tavole delle mense Caritas della zona, ma sono anche venduti sotto il marchio “Opera Seme”, attraverso una piattaforma online che consente di spedire in tutta Italia e in Europa. Questo canale di vendita supporta la cooperativa Ipso facto, prevalentemente composta da giovani e donne, sostenendo così l’occupazione locale e promuovendo un modello di economia di comunione.

Don Giuseppe Venneri, direttore della Caritas diocesana di Nardò-Gallipoli, sottolinea l’importanza di un’economia che mette al centro la persona e la giustizia sociale: “Stiamo dimostrando che si può fare un’economia differente, mantenendo alta la qualità dei prodotti, e che esistono imprenditori per bene, che pagano al giusto prezzo i lavoratori”. E questo aspetto si lega proprio alla riflessione del Dottor Bruno: quando acquistiamo un olio extravergine a un prezzo troppo basso, dovremmo chiederci da dove provengano quelle olive e se siano stati rispettati i diritti dei lavoratori.

In conclusione, il Dottor Antonio Bruno ribadisce l’urgenza di un intervento statale per replicare modelli virtuosi come quello di “Opera Seme Farm” in tutto il Paese, prima che il nostro patrimonio agricolo e paesaggistico vada perso definitivamente. Un’azione statale non solo contribuirebbe alla valorizzazione dei territori e alla lotta contro la povertà, ma permetterebbe anche a una nuova generazione di agricoltori di restituire valore e dignità a un paesaggio che è il cuore pulsante della nostra cultura e della nostra identità.

 


Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno: la convivenza con il lupo in Salento

 


Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno: la convivenza con il lupo in Salento

Intervistatore: Buongiorno, Dottore Bruno. Oggi vorremmo approfondire il ritorno del lupo nel territorio salentino e il ruolo della Comunità locale per la gestione di questa specie. Qual è il quadro attuale della popolazione di lupi in Salento?

Antonio Bruno: Buongiorno. Preciso che le informazioni in mio possesso derivano dalla consultazione dei mezzi di informazione. Sì, il monitoraggio recente ha confermato che in Salento ci sono circa dieci coppie di lupi, con le rispettive cucciolate. Tuttavia, a causa di fattori come incidenti stradali e altre cause di morte precoce, solo un paio di questi giovani lupi riescono a sopravvivere e raggiungere l’età adulta. Quindi, possiamo dire che la popolazione di lupi si è stabilizzata dopo una fase di aumento.

Intervistatore: Qual è stato l’approccio adottato per monitorare il lupo e quali sono stati gli strumenti utilizzati?

Antonio Bruno: Dalla stampa ho appreso che la Provincia di Lecce, con il biologo Giacomo Marzano alla guida, ha realizzato un monitoraggio capillare grazie a foto-trappole, analisi di escrementi e segnalazioni da privati e istituzioni come l’ASL, il Corpo Forestale e la Polizia Provinciale. Questi dati sono cruciali per capire non solo il numero di lupi ma anche le loro abitudini, le aree di spostamento e la loro interazione con l’ambiente e le altre specie. Si tratta di un lavoro complesso e interdisciplinare, essenziale per promuovere la coesistenza con i lupi in aree densamente popolate.

Intervistatore: La convivenza tra l’uomo e il lupo non è sempre semplice, specialmente per chi possiede animali domestici o da reddito. Che linee guida sono state proposte?

Antonio Bruno: Il vademecum (*) presentato offre consigli pratici per prevenire conflitti con i lupi, mirati sia ai proprietari di animali da reddito sia agli appassionati di attività all’aperto. Ad esempio, è consigliato recintare gli animali, evitare di lasciare cibo per strada e rispettare i siti riproduttivi dei lupi. Questo è importante per evitare che i lupi si abituino troppo alla presenza dell’uomo. Sono suggeriti anche comportamenti da adottare in caso di incontro diretto: è meglio non fuggire ma farsi sentire e mantenere una postura sicura.

Intervistatore: Secondo il monitoraggio, il lupo ha dimostrato un’ottima capacità di adattamento. Come si inserisce questa specie in un ambiente così fortemente antropizzato?

Antonio Bruno: Il lupo è un super-predatore che, grazie alla sua capacità di adattamento, ha trovato nel Salento un habitat favorevole, nonostante l’alta presenza umana. Infatti, contribuisce anche a mantenere l’equilibrio ecologico: contenendo la proliferazione di cinghiali, volpi e cani randagi, il lupo svolge un ruolo importante nell’ecosistema. Tuttavia, la presenza di tante attività umane richiede un monitoraggio continuo e una sensibilizzazione che aiuti la popolazione a rispettare e convivere con questo animale.

Intervistatore: Qual è il valore di un’iniziativa come quella del progetto “Hic Sunt Lupi” per il territorio e per la conoscenza scientifica?

Antonio Bruno: “Hic Sunt Lupi” è fondamentale per ampliare la conoscenza della specie e promuovere azioni di gestione sostenibile del lupo. Questa iniziativa, in collaborazione con il CNR e l’Università La Sapienza, permette di monitorare i comportamenti dei lupi in tempo reale, informando le amministrazioni e sensibilizzando la popolazione. Grazie a questi studi, si può garantire una gestione più consapevole della biodiversità locale, proteggendo sia l’uomo che la fauna selvatica.

Intervistatore: In conclusione, quale messaggio possiamo trarre sul ritorno del lupo?

Antonio Bruno: Il ritorno del lupo in Salento può essere visto come un’opportunità per ristabilire un equilibrio ecologico naturale, oltre che per rieducarci a una convivenza rispettosa con le specie selvatiche.

(*) Queste le BUONE PRASSI da seguire, evitando di attirare i lupi nei pressi degli abitati ed abituarli alle presenza umana:

Animali da reddito: Non abbandonare resti di animali macellati in azienda; chiudere i capi durante la notte all’interno della stalla o in recinti con cani da guardia; per la custodia del bestiame dotarsi di cani da guardia adeguati nella razza e nel numero.

Animali da compagnia: non fornire cibo a cani o gatti, né in ambiente selvatico né urbano e periurbano; non lasciare animali da compagnia incustoditi, in particolare dal tramonto in poi. Il lupo è capace di oltrepassare muri di recinzione di oltre 2 mt. di altezza, e dotarsi di recinti metallici chiusi anche nella parte superiore.

Attività all’aperto: non frequentare i siti riproduttivi dei lupi, per evitare che si crei assuefazione alla presenza umana; nelle passeggiate nei boschi tenere il cane al guinzaglio; alla vista di un lupo non fuggire, parlare ad alta voce aspettando che si allontani ed eventualmente agitare le braccia.Fine modulo