“Il vino pugliese e l’arte di raccontarsela”
di Antonio Bruno
Ogni anno la stessa storia: vendemmia “straordinaria”, qualità “ottima”, prospettive “entusiasmanti”. Poi, appena si scende dal carro della festa, ecco che ci si ritrova con le stesse facce scure e gli stessi problemi. Come direbbe mia nonna: il vino è buono, ma il racconto sa di tappo.
Si esulta per la tramontana che salva l’uva dal marciume, si brinda all’annata felice, si cita la parola magica “qualità”. Ma intanto le cantine sono piene, i prezzi delle uve vanno giù, i consumi calano e i giovani scelgono altre bevande. Siamo di fronte a un paradosso: il vino pugliese ha una storia meravigliosa, vitigni unici, paesaggi che potrebbero incantare il mondo… eppure continua a essere trattato come vino da massa, da sfuso, da prezzo stracciato.
E allora bisogna dirlo chiaro: non basta confidare nel vento o maledire i dazi americani. Il problema è più profondo. Qui serve una strategia, non una narrazione da sagre di paese. Bisogna imparare a vendere, raccontare e differenziare. Bisogna uscire dall’idea che il vino pugliese sia solo quantità: oggi, se non hai un marchio forte e una storia da offrire, il mercato ti tritura.
Gli esempi non mancano: Rioja, Napa, Mendoza. Tutti territori che hanno preso la loro debolezza e l’hanno trasformata in forza. Hanno saputo unire produttori, ridurre le rese, raccontare al mondo un’identità. In Puglia invece ognuno va per conto suo: cooperative, piccoli produttori, grandi cantine. Una frammentazione che rende tutti più fragili.
E poi la comunicazione: oggi il vino si vende anche su Instagram, non solo al Vinitaly. Bisogna parlare alle nuove generazioni con linguaggi nuovi, senza paura di spiegare che il vino non è sballo, ma cultura, paesaggio, convivialità.
Non basta più ripetere “la vendemmia è ottima”. Perché se poi il bicchiere resta pieno, la qualità serve a poco. Il vino pugliese deve smettere di raccontarsela e iniziare a raccontarsi davvero. Con coraggio, con visione, e soprattutto con meno alibi.
Di seguiti un’analisi critica del testo pubblicato da un giornale locale, con confronto con la letteratura scientifica e con dati internazionali, segnalando imprecisioni ed elementi potenzialmente fuorvianti, seguita da esempi di casi studio mondiali che possono offrire spunti alternativi.
? Analisi e verifica delle informazioni
1. Vendemmia 2025 in Puglia: qualità buona, quantità incerta
I produttori intervistati (Maci, Cantele, Coppi) sottolineano una qualità ottima delle uve grazie a clima favorevole (tramontana, assenza di umidità eccessiva, buone riserve idriche accumulate in inverno).
Precisione scientifica: la tramontana riduce davvero il rischio di marciumi (Botrytis cinerea), come confermato dalla ricerca viticola (es. Ribéreau-Gayon, 2006).
Limite: viene enfatizzato il ruolo positivo del vento, ma non si menzionano rischi legati a cambiamenti climatici più estremi (ondate di calore improvvise, precipitazioni intense, grandine), che negli ultimi anni in Puglia hanno inciso fortemente sulla produttività (Moriondo et al., 2015).
? Imprecisione: la narrazione rischia di dare un quadro troppo ottimistico rispetto alla realtà complessiva pugliese, dove la variabilità climatica e la siccità sono fattori di rischio costante.
2. Produzione pugliese e classificazione dei vini
Il testo indica che la Puglia produce circa 11 milioni di hl/anno, seconda dopo il Veneto. Questo è in linea con i dati ISTAT e OIV (media 10-12 mln/hl negli ultimi anni).
Tuttavia, sottolinea che troppo vino è ancora da tavola o IGP, con quota Doc/Docg limitata. È vero: la Puglia ha una quota inferiore al 20% in DOC/DOCG, contro il Veneto che supera il 40% (soprattutto grazie a Prosecco).
Effetto fuorviante: il testo sembra imputare solo al “mercato” la svalutazione, ma la letteratura (es. Anderson & Pinilla, 2018) evidenzia che la bassa incidenza di DOC è legata anche a strategie produttive orientate storicamente alla quantità e al vino sfuso.
3. Mercati e dazi
Viene segnalato il dazio USA del 15% sul vino europeo: notizia corretta, fa parte delle tensioni commerciali UE-USA degli ultimi anni.
Tuttavia, il mercato USA rappresenta solo il 7-8% delle esportazioni pugliesi (dati ICE), quindi l’impatto, seppur grave per alcune aziende, non è strutturalmente devastante come per Francia o Spagna.
Fuorviante è il tono catastrofico: la vera criticità strutturale resta la dipendenza eccessiva dal mercato interno e dai vini da fascia bassa.
4. Consumi in calo
Il testo parla di contrazione dei consumi in Italia e all’estero: confermato dai dati OIV 2024, che riportano un calo del consumo mondiale del 2,6% e una riduzione in Italia da 42 a 39 litri pro-capite in 10 anni.
Viene attribuito il calo a prezzi, inflazione, salute e campagne anti-alcol: interpretazione corretta, ma un po’ semplificata. La letteratura sottolinea anche il cambiamento culturale delle giovani generazioni, più attratte da bevande low-alcohol, craft e alternative (birra artigianale, RTD).
5. Comunicazione e percezione
Il testo denuncia una comunicazione inefficace e una percezione del vino pugliese come “di massa”. Questo è coerente con la letteratura sul marketing del vino (Lockshin & Corsi, 2012), che mostra come le regioni che hanno investito sulla narrazione identitaria (es. Borgogna, Napa, Cile) abbiano ottenuto premi di prezzo.
Viene proposta la valorizzazione dell’enoturismo e dei vitigni autoctoni: la ricerca conferma che questo è un driver chiave per regioni meno conosciute (Hall & Mitchell, 2008).
⚠️ Errori, imprecisioni e aspetti fuorvianti
Eccessivo ottimismo climatico → il ruolo benefico della tramontana è reale, ma manca la contestualizzazione del rischio climatico globale (siccità, calore, eventi estremi).
Dazi USA sovrastimati → sono un problema, ma non il principale per la Puglia.
Produzione DOC sottovalutata → non è solo colpa del mercato, ma di scelte produttive storiche che hanno privilegiato quantità e vino sfuso.
Consumi → spiegazione parziale: ridotti non solo da prezzi e campagne, ma anche da evoluzione culturale dei consumatori.
? Casi di studio mondiali per soluzioni alternative
1. Spagna (Rioja e Castilla-La Mancha)
Problema simile: eccesso di produzione e basso valore dei vini da tavola.
Soluzione: investimenti nella certificazione di qualità, invecchiamento regolamentato e branding territoriale (Rioja DOCa).
Risultato: aumento del prezzo medio all’export del +40% in 15 anni.
2. California (Napa Valley)
Crisi climatica e incendi devastanti.
Soluzioni: tecniche agronomiche innovative (irrigazione di precisione, selezione clonale, sensoristica IoT), e narrazione esperienziale (wine tourism di lusso).
Risultato: mantenuto alto valore anche in annate difficili, con prezzi premium.
3. Cile e Argentina
Mercati emergenti negli anni ’90, con crisi interne.
Soluzioni: puntare su vitigni autoctoni (Carménère, Malbec) e mercati esteri non tradizionali (Asia, Canada, Brasile).
Risultato: forte riconoscimento internazionale e prezzi medi saliti.
4. Francia (Champagne, Bordeaux)
Problemi di eccedenze e calo dei consumi interni.
Soluzioni: rigida regolazione delle rese, comunicazione legata al lusso e all’identità territoriale.
Risultato: protezione del valore anche con calo di volumi.
5. Australia
Conflitto commerciale con la Cina (dazi fino al 218%).
Soluzione: diversificazione dei mercati (ASEAN, UK, Canada) e riduzione della dipendenza da un unico sbocco.
Risultato: riduzione delle perdite strutturali e adattamento più rapido.
✅ Conclusioni operative per la Puglia
Riduzione rese e gestione eccedenze → seguire modello francese, puntando sulla qualità.
Narrazione identitaria → valorizzare Negroamaro, Primitivo e Susumaniello come elementi distintivi, non solo come “vino da massa”.
Diversificazione mercati → guardare a Brasile, Corea del Sud, Sud-Est Asiatico, seguendo modello sudamericano.
Innovazione e adattamento climatico → adottare tecniche di irrigazione di precisione e ricerca su portinnesti resistenti alla siccità.
Enoturismo ed esperienze → trasformare il vino pugliese da prodotto a “esperienza culturale”, sul modello Napa o Rioja.

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