mercoledì 3 febbraio 2021

Il mese di febbraio nelle credenze popolari leccesi

 


Illustrazione: Giornalino (Il) della Domenica, Direttore Luigi Bertelli (Vamba). Anno IV, n. 9. Firenze, 28 febbraio 1909.

Il mese di febbraio per queste province è uno dei più rigidi dell'anno, come prova la statistica metereologica e illustrano alcune credenze del popolo, le quali hanno, com'è noto, un fondamento pratico, dovuto alla lunga prova e riprova di un dato fenomeno. Senza fermarmi in considerazioni demologiche (*) generali, dirò che in gran parte questo mese non gode buona fama presso il popolo, il quale, quantunque dica: Acqua de febbraru inche la ranaru, pure mostra di non aver molta fiducia in esso. Un indizio se il tempo si rimette al buono si può trarre, secondo il popolo, notando ciò che fa il lupo il giorno 2 del mese. Il lupo esce allora dal suo nascondiglio e guarda il tempo: se questo è cattivo, esso disfà il suo letto di strame (se sconza la lettéra) prognosticando che in seguito la stagione continuerà mite; se poi è bella giornata, esso torna a rifarsi il letto (se la cconza), prevedendo che vi saranno ancora per un pezzo i rigori del verno, concetto che il popolo esprime nel detto: Candelora chiara, la lupa se spreca la tana (si prepara la tana). Il tempo, dunque, secondo tale credenza potrebbe cominciare a divenir mite e buono, il che si vedrebbe proprio da quel giorno, il giorno della Candelaia o Candelora come si dice in dialetto, epoca, che, secondo un'altra credenza, segna il principio della incubazione dei volatili : De la Candelora — ogne aceddrhu fa la coa (la cova o, come dice una variante, hae oe —ha uova), proverbio che corrisponde al A francese:  la Chandeleur-les yrandes dou-leurs, che non manca del solito spirito gallico.

Altro proverbio che accenna questo carattere dubbio del mese, è quello che suona : Se Febbraru nu febbrariscia, Marzu male penza che corrisponde al toscano: « Se febbraio non febbreggia, marzo cam-peggia », il che vuol dire che febbraio dev'essere freddo, piovoso, brumale, chè, se sarà mite, marzo, il quale del resto è d'infamato nome e d'ordinario non è mai buono, sarà cattivo.

Si noti, qui di passaggio, la bellezza del verbo febbrarisciare, il quale significa: «seguire l'indole e il carattere suo proprio, detto del mese di febbraio». Allo stesso modo diciamo: Se scennaru nu scennariscia , ecc. — il Calabrese ha pure febbrareggia, noi diciamo ancora marzu marziscia, che corrisponde al siciliano marzo marzìa; anche il provenzale ha il verbo febrerare e su questo conio, cioè su quello di trarre dal nome del mese un verbo, il toscano foggia febbreggiare e marzeggiare, poco usati in lingua.

Il carattere dubbio e incostante del mese, del resto, viene dichiarato da altri dicteria, poiché il popolo dice ancora: Febbraru: mienzu duce e mienzu maru, e altresì: De la Candelora—la ernata è fora. Tale proverbio anzi è ricordato anche cosi: De la Candelora—la ernata è fora, e se chioe acqua menuta, l'ernata fore è 'suta. Pero un'altra aggiunta al primo verso dice; se la sai bene cuntare—c'è nu buenu quarantenale; cioè; se sai bene contare quanto deve durare l'inverno, ce n'è per un'altra quarantina di giorni.

Un altro detto conferma tale carattere del mese; esso dice: O ca au o ca egnu —capu de state e cuda de jernu, oppure: capu de state sempre me tegnu (mi chiamo) e l'equinozio, che si fa cadere al 25 del mese, ne sarebbe una comprova: De santu Mattia—quantu la notte tanta la dia. Se non che invece di « Mattia » che cade in quel giorno, credo che si voglia parlare di « Matteo », forse accomodato per la rima o forse confuso per affinità di parola, e che ricorre il 21 settembre: il detto alluderebbe così all'equinozio di autunno; e credo ciò anche perché il popolo in varii proverbi, che qui non è il caso di citare, mostra di avere cognizione esatta tanto degli equinozi che dei solstizi.

Oltre di questi proverbi, il popolo ne ha altri che attribuiscono al mese un carattere assolutamente cattivo. Febbraru — dice un proverbio — curtu e maru; un altro: Febbraru è mulu, perché non è figlio legittimo dell'anno, come gli altri mesi, avendo esso ventotto giorni, e perché « tira sempre calci », per dirla con frase volgare, cioè: è freddo e tempestoso anch'esso, anzi tanto è freddo, giunge a dire il popolo in un altro proverbio, che se li giurni soi li aìa tutti — facìa quagghia lu mieru intra le utti, farebbe coagulare il vino! Tale carattere mi sembra sia il vero del mese, il quale, come dicevo a principio, per queste regioni è davvero uno dei mesi più freddi, se non il più freddo, dell'anno. E sì che esso non ha tutti i giorni che, come gli altri mesi, dovrebbe avere, e che è mulu, o, come pur si dice, è muzzu, è mozzo!

Ma come va che febbraio è il più corto mese dell'anno?

Tale domanda ha dovuto il popolo rivolgere a sé stesso, e per spiegarsi la cosa ha creato questo racconto.

Una vecchia pastora, negli ultimi giorni di gennaio, credendo che il tempo cattivo fosse terminato, trasse fuori a pascolare il suo gregge, esclamando tutta allegra:

Alla facce de scennaru e de febbraru, le pecureddhe mei tutte alla atu;

l'ultimo verso ha questa variante:

le pecureddrhe mei le le tegnu paru, volendo dire con ciò che il freddo non gliele aveva decimate.

Indispettito Gennaio, che allora aveva ventotto giorni, corse dal fratello Febbraio che ne aveva trentuno, e gli chiese alcuni giorni in prestito per vendicarsi della vecchia insolente, dicendogli:

Uei me dài do' tre giurni te li toi, quantu bidi a sta ecchia cee ni fazzu?

 — E quando me li restituirai? — domandò Febbraio che era pur disposto a darglieli essendo anche lui stato offeso dalla vecchia.

— Mai gli rispose Gennaio.

Il povero Febbraio udì crai (domani) invece di mai e non trovò alcuna difficoltà ad accontentare il fratello.

Allora in quei tre giorni Gennaio tirò fuori tanto freddo e vento, tanta pioggia e neve, che le pecore della vecchia morirono quasi tutte assiderate, perché ne scamparono solo quelle che essa potè riparare sotto la gonnella.

Ecco perché Febbraio conta ventotto giorni e gli ultimi tre di Gennaio sogliono chiamarsi li giurni de la ecchia e sono perciò ventosi e rigidi.

Queste leggenda, oltre ad avere varianti nella nostra stessa provincia, é comune ad altre località; la trovo, per esempio, in Capitanata e in Sicilia, dove si racconta. che Aprile impresta qualche giorno a Marzo, del quale si vuol far risaltare la perfidia per il rincrudimento della stagione solito a verificarsi in detto mese.

In Provenza si racconta qualche cosa di simile: la vecchia insulta il mese di Febbraio diendo:

Adieu, Febriè ! 'Mè ta febrerado

m'as fa ni pèu ni pelado,

cioè: <<addio Febbraio! Coi tuoi freddi non mi hai toccato nè pelo né pelle ».

Adirato Febbraio, s'imprestò tre giorni di Marzo e fece morire le pecore della vecchia, la quale però comprò delle vacche e alla fine del mese ripetè lo stesso insulto.

Marzo ferito dalle sue parole, si rivolse ad Aprile chiedendogli tre giorni, che ebbe e con le brinate fece sciupar l'erba, e la vecchia vide morire di nuovo le sue bestie.

Tutte queste leggende non fanno che confermare il fatto che in febbraio e in marzo può incominciare la buona stagione, ma che d'ordinario però l'inverno continua ancora crudo e inclemente. Venti, piogge, brinate, nevi non ne mancano; ma quando noi abbiamo la, neve, la stagione è migliore di quella in cui non si hanno, che piogge; il popolo lo sa per prova, poichè dice: Sutta la nie, pane; sutta l'acqua fame, proverbio che ha la seguente variante: Cu l'acqua fridda la fame; cu la nie rossa la pane ; concetto questo che si conferma con altro detto: Chiange lu pecuraru quandu fiocca, rite qiuandu se mangia la recotta ; cioè la neve apparentemente sembra un danno, perocchè i raccolti saranno poi abbondanti, il che è provato anche da ragioni scientifiche.

Lecce 25 febbraio 1909, FRANCESCO D' ELIA

 

(*) Demologia: Studio della cultura popolare. Il termine d. viene utilizzato in alcune nazioni europee di lingua neolatina (per es., Francia, Spagna, Portogallo) in alternativa alla parola inglese folklore. In Italia tale settore disciplinare è in buona parte coincidente con la storia delle tradizioni popolari e con gli studi del folclore, ed è stato inteso anche in senso peculiare come studio delle culture subalterne in quanto contrapposte alla cultura egemonica.






 


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