venerdì 15 gennaio 2010

Elegia al Grano


ELEGIA DEL GRANO

Il pane si pu anche buttare ma se manca il frumento sono guai. Storia di un alimento mitico e mistico I poveri del mondo non hanno voce. E la Fao, l'agenzia Onu che dovrebbe essere la loro stanza di compensazione, è un baraccone La battaglia del grano di Mussolini non è pura propaganda. Il Duce sa che ki rivalutazione delki lira vi è strettamente collegata Il protezionismo è tornato afarda padrone. Dalla Russia all'estremo oriente i produttori hanno rispolverato le loro 1ttaglie frumene La crisi del grano ha preceduto e accompagnato il collasso finanziario del 2008. Oggi le cose vanno un p0' meglio di Stefano Cingolani Quanto è antico il grano. Nessuno lo sa con esattezza. Certo pi antico dell'uomo da quel seme nutrito e fatto crescere. a diecimila anni e forse pi . Le tombe dei faraoni sono piene di pagnotte o persino di chicchi ancora in grado di germogliare; a dimostrare la magia, il fiato divino che alberga in quel minuscolo miracolo della natura. Nel passaggio dal paleolitico al neolitico, lo si trova in Europa e non solo nella fertile mezzaluna che dalla Mesopotamia arriva fino in Palestina. Grazie al riscaldamento climatico. Gerico, la prima città conosciuta, impasta farina per il pane. Il codice di ammurabi è il primo esempio scritto in cui appare il grano. Il fango del Nilo ne moltiplica la produzione. La Sicilia, ancora greca, viene convertita dall'orzo al frumento e con Roma diventa il granaio della Repubblica. L'impero sposta gli approvvigionamenti verso l'Egitto e l'Africa del nord allora rigogliosa di ulivi, vigne e cereali. Non sono ancora arrivati i popoli nomadi, dai vandali agli arabi, che non conoscono l'agricoltura o la aborrono come fatica da schiavi non da uomini liberi dediti alla caccia, al commercio, alla guerra. Quanto è moderno il grano. Anche questo non possiamo definirlo con precisione. Certo è che, insieme al petrolio, regola ormai i prezzi delle materie prime, quindi buona parte dell'economia mondiale. Si scambia in Borsa, si compra con i future, quei calcoli delle probabilità che predicono l'avvenire come un tempo le viscere del capro espiatorio e gli uccelli dei vaticini etruschi, scommesse basate sulla matematica invece che sulle stelle. Del resto, Dio parla con i numeri dicevano Galileo e Newton. La crisi del grano ha preceduto e accompagnato il collasso finanziario del 2008. Oggi le cose vanno un po' meglio. Le scorte mondiali non sono pi ai minimi, la produzione è cresciuta, anche se la Fao avverte che nei prossimi anni la domanda è destinata a superare di nuovo l'offerta. Di qui altre tensioni. Barilla, l'azienda che ne consuma di pi al mondo, si è appena premunita, stringendo un accordo con i coltivatori padani. Il triticum (questo il nome scientifico) è un mostro genetico. Tanto pi il tvitini t'ìirtI'ìini n rnn lnnnin .p *** modificarne i chicchi. La sua produttività non pu essere accresciuta allo stesso livello del mais, del riso e della soia. Ci ha fatto sì che per la prima volta dall'età della pietra la superficie coltivata si sia ridotta, trasformando il frumento in bene raro e prezioso pi degli altri cereali. Le specie pi diffuse sono esaploidi, cioè hanno sei coppie di geni, a differenza della maggior parte delle creature viventi che ne hanno due. Il Dna possiede 16 miliardi di basi, 40 volte pi del riso, sei pi del mais e cinque pi dell'uomo. Forse, è proprio in questa specificità la fonte inconsapevole del suo potere. Il grano che conosciamo non è puro, ma fin dalle origini un meticcio, ibridazione di ben tre razze diverse. E anche questo, in fondo, si radica nell'inconscio, diventando una ne- mesi archetipica: noi che dobbiamo il nostro sviluppo a un metissage organico, inseguiamo ancora la fola della purezza. Il primo incrocio si suppone sia avvenuto in Siria dieci millenni orsono. Il secondo sul mar Nero, producendo un tipo a chicchi grandi e saldamente legati alla spiga, tanto da dover essere staccati e seminati dall'uomo. Furono, dunque, le popolazioni indoeuropee che dall'Asia centro meridionale si spingevano verso ovest, ad aver diffuso quella coltura che non apparteneva ai popoli delle steppe. Qualsiasi triticum, dal dicoccum (farro) all'aestivum (tenero), contiene pi proteine del riso o del mais. Ma niente complessi di superiorità. Non per questo noi mangiatori di grano fin dalla oreistoria siamo oi grandi. oi for ti pi belli degli altrY Prenàete un pugliese e un manci , o un provenzale e un somalo. Senza dubbio, per , il grano ha un potere mitico e mistico che manca a tutti gli altri prodotti della terra. Ges si paragonava a un chicco che muore per rinascere in mille altri chicchi. Il suo corpo è nel pane che viene spezzato durante l'Ultima cena. Ecco perché viene considerato un peccato sprecarlo, anche se per ragioni economiche sarebbe conveniente. Il mercato ha le sue leggi ferree, ma non è tutto. La rivoluzione neolitica, come la chiamava Gordon Childe, non consiste solo nel levigare la pietra, ma nel coltivare cereali. Da allora, l'uomo ha applicato il proprio ingegno a cercare i modi migliori per produrre di pi con minor fatica. Il primo grande salto tecnologico è dovuto all'aratro circa seimila anni fa, il secondo al giogo per buoi e il terzo al collare per cavalli, in tempi molto pi recenti, appena tre secoli prima di Cristo. L'espansione di Roma non sarebbe stata possibile senza ilfrumentum che placava la fame plebea e rassicurava l'aristocrazia guerriera. Nei primi secoli eroici tra i sette colli, l'alimento del popolo è il plus, una sorta di p0- lenta di cereali misti. Nel 150 avanti Cristo viene aperto il primo forno per cuocere il pane di farro. Con i viaggi in Egitto arriva anche la lievitazione e su tutti i dipinti e i mosaici romani si possono vedere le pagnottine dorate, rotonde e gonfie, divise in petali come una rosa o a forma di fuso. Le rosette e le ciriole, si chiamano oggi. In Magna Grecia predomina l'orzo, soprattutto in Sicilia che poi si trasfor *** nemesi p0lenta ma nel granaio della Repubblica, mentre l'impero punterà a sud sull'Africa, a nord sulla Gallia (la Francia ancor oggi resta il pi grande produttore europeo) a est sulla Siria. Il medioevo non sarà un'epoca buia come ci ha insegnato Jacques Le Goff. ma certo è il periodo in cui il triticum decade, quasi scompare. Si mangia pane nero e tanta polenta. I feudatari si ingozzano di cacciagione. Con la peste del 1318 la produzione frumentaria s'arresta addirittura. Ricompare soltanto insieme alla fioritura delle arti e delle scienze. Il grano è progressivo. Il grano è rinascita. Ed è Rinascimento. Il grano è illuminista. Maria Antonietta voleva dare ai sanculotti le brioche, ma la vasta campagna sulla quale si reggeva la ricchezza della Francia, chiedeva grano a buon prezzo da seminare, per trasformarlo in bianca farina e pane profumato. Le frumentationes, distribuzione gratis al popolo dell'urbe, erano l'arma escogitata nell'antica Roma per mantenere la pace sociale. Bloccare le forniture alla capitale divenne lo strumento di tutti gli usurpatori. I re di Francia non hanno letto abbastanza i classici. E sono scalzati dagli allievi degli enciclopedisti che invece li avevano tradotti e meditati. Nello stesso anno in cui Napoleone viene sconfitto a Waterloo, una gigantesca eruzione vulcanica in Indonesia oscura il sole. E scompare l'estate. In Francia l'agosto 1815 è freddo come l'inverno, il New England addirittura ghiaccia. Il prezzo del grano sale alle stelle, il raccolto crolla negli abissi. E Robert Malthus vede realizzarsi le sue fosche previsioni elaborate nel 1798, quando ha calcolato che l'umanità non sarebbe mai riuscita a raccogliere tanti cereali sufficienti a nutrire i nuovi bambini. a torto come tutti i catastrofisti, i profeti (di sventure), i futurologi e gli economisti. Perché poi viene il guano di uccello, arrivano i nitrati dal Cile, e l'ammoniaca da azoto di Carlo Bosch che lavora per la Basf. E tutto ci rende il terreno fertile come non mai. Vengono sistemi di semina innovativi e vengono le macchine. Malthus finisce sepolto dal trattore, anche se il buon pastore anglicano trova interpreti geniali come John Maynard Keynes e un po' meno intelligenti come i tanti uccellacci e uccellini che teorizzano la fine dello sviluppo, la morte del capitalismo, l'economia lenta o addirittura la decrescita. Il gran guru degli apocalittici, Jared Diamond, nel suo best seller Collasso rispolvera pari pari l'equazione malthusiana e descrive il declino delle civiltà come provocato dallo squilibrio tra risorse e popolazione. Per il grande pensatore inglese e i suoi piccoli seguaci, vale quel che scriveva Ralph Waldo Emerson: Affermando che le bocche si moltiplicano geometricamente e il cibo solo aritmeticamente, Malthus dimentic che la mente umana era anch'essa un fattore dell'economia politica e che i crescenti bisogni della società sarebbero stati soddisfatti da un crescente potere di invenzione . Forse non sarà sempre e comunque crescente, come sperava il filosofo americano con la sua gaia scienza (la definizione è di Nietzsche che per tutta la vita lesse e rilesse Emerson). Magari andrà avanti per prove ed errori, cicli ascendenti e discendenti, ma la storia del grano ci porta fino alla fon *** dazione Rockefeller e alla scoperta che frutta il Nobel a Norman Borlaug. Nel 1955, l'agronomo americano crea un incrocio tre volte pi fertile di quelli fino ad allora in uso. E' l'inizio della rivoluzione verde che ha moltiplicato per sei la produzione messicana e per tre quella indiana, mettendo fine alle carestie. Il cibo comincia a crescere pi della popolazione. Malthus ha perso ancora. Se avesse posseduto quel chicco, Mussolini non avrebbe dovuto lanciare la prima delle grandi sfide per cambiare l'economia della nazione: la battaglia del grano, seguita da quella sulla lira a quota 90 con la sterlina e da quella demografica. C'è poco da ridere sul Duce a torso nudo che taglia le spighe armato di falcetto. Si è trattato di una scelta difficile, importante, uno dei momenti definitori del ventennio fascista, della sua capacità di comando, delle sue volontaristiche illusioni. 1114 giugno 1925, l'agenzia Stefani annuncia con un messaggio in perfetto stile militaresco che il grande esercito dei contadini è pienamente mobilitato. Sei giorni dopo, Mussolini parla: Io ho preso formale impegno per condurre la battaglia del grano e ho già preparato lo stato maggiore. Il quale dovrà agire sui quadri rappresentati dai tecnici dei consorzi agrari, delle cattedre di agricoltura, delle camere agrarie provinciali e costoro dovranno manovrare l'esercito, le truppe degli agricoltori . 1127 giugno il capo del governo in persona arriva a Borgo Pasubio nel cuore dell'Agro pontino in via di bonifica, si reca nel podere 1.316, sale su una trebbiatrice e comincia a separare i chicchi dalla paglia. Alle nove la sirena chiama alla colazione. Sotto il porticato è stata imbandita una grande tavolata per trebbiatori e macchinisti. Tutti si avvicinano ma Mussolini li ferma: prima bisogna fare la conta dei sacchi. La gente scatta entusiasta nel saluto romano. Chiede un discorso, ma Lui risponde: Oggi si lavora, non si parla . Per anni l'Istituto Luce andrà avanti a riprendere le incursioni ducesche sui campi per seguire di persona i risultati. E' una posa, ma non solo. Mussolini ci crede e sa che l'esito di quella battaglia è strettamente collegato alla rivalutazione della lira. Perché tutto comincia nei primi anni Venti con le conseguenze della guerra, anzi della pace, quella iniqua di Versailles, come ha scritto Keynes pensando alla Germania sconfitta, ma anche all'Italia, vincitrice, eppur prostrata. La bilancia commerciale è in rosso profondo e il 15 per cento almeno di questo deficit è provocato dall'importazione di grano. Il paese non era mai stato autosufficiente dagli anni dell'Unità in poi. Ma questa volta la differenza tra produzione e consumi diventa insostenibile. Come finisce? Il raccolto compie un balzo notevole: da 52 milioni di quintali del periodo 1921-25 ai 75 milioni del quadriennio finito nel 1940. L'acquedotto pugliese trasforma la piana di Foggia nel cuore della produzione granaria. Ma l'autonomia non viene mai raggiunta. Non solo. I dazi costano cari ai consumatori i quali non possono usufruire della discesa dei prezzi americani. Non sempre le importazioni sono male, dai cereali agli involtini primavera. Gli incentivi al frumento finiscono *** per aumentare il divario tra nord e sud. Nel settentrione, infatti, si intensifica l'uso di fertilizzanti e attrezzature, con gran vantaggio della Montecatini o dei produttori di macchine agricole, a cominciare dalla Fiat. Nel sud, invece, i sostegni statali favoriscono ancor pi l'agricoltura estensiva e un uso non efficiente dei terreni. Violare il mercato alla fine è pi costoso che seguirne le regole. Le campagne mussoliniane, dal grano in poi, smentiscono la tesi di un fascismo liberale in economia. Ci sono anche altre prove (come la chiusura delle frontiere ai produttori stranieri di auto, cosa che non riuscì neppure a itler). Ma l'esito della battaglia del grano è la dimostrazione pi evidente. Eppure, sembra che la storia non riesca a impartire le sue lezioni. Dopo l'impennata dei prezzi, tra il 2006 e il 2008, il protezionismo è tornato a far da padrone e dalla Russia all'estremo oriente i paesi produttori hanno rispolverato le loro battaglie frumentane. Mentre si è diffusa l'idea che gli squilibri tra produzione e consumi siano opera delle forze del male, trascinate dal famigerato Cartello del grano, infausto e perverso quasi quanto le sette sorelle del petrolio. Guidato dalle big three, Adm (Archer Daniel Midlands), Cargill e Bunge y Born, statunitensi le prime due, argentina quest'ultima; accompagnato dai colossi degli ogm e dei fertilizzanti come Monsanto e Dupont; finanziato e consigliato da Goldman Sachs, la Spectre della finanza globale. Fin dagli inizi dello scorso decennio ha puntato sui cereali, consigliando i clienti a operare in massa con i future su questa commodity importante quanto il greggio o il rame. La Borsa di Chicago è stata sottoposta a ondate massicce di speculazione. Poi è arrivato il Big Crash. Goldman è l'unica banca d'affari sopravvissuta al grande crollo finanziario, anzi ne è uscita vincitrice. Il mondo, per fortuna, è pi vasto e complesso di qualsiasi filosofia complottista. Sul mercato del grano ope rano in modo massiccio grandi paesi. Gli Stati Uniti, innanzitutto, ma anche l'Unione europea e al suo interno l'Italia, quarto produttore dopo Francia, Germania, Spagna. Poi l'Australia, l'Argentina, la Russia, il Kazakistan. I loro interessi non coincidono, anzi spesso sono in conflitto, e si scontrano anche con le multinazionali e la Borsa di Chicago. Fino al 2005, la produzione è cresciuta in sintonia con la maggiore domanda asiatica e dei paesi usciti dalla fame. Dall'anno successivo è cominciata la discesa. Catastrofi naturali innanzitutto: la siccità in Australia o la diffusione della peste frumentaria, una muffa distruttiva che dall'Iran ha infettato l'Etiopia e altri paesi. Catastrofi umane, come la politica europea che ha finanziato la distruzione dei raccolti per non alimentare un eccesso produttivo. Cecità ed errori come la febbre del bioetanolo che ha portato a usare grano ancor pi del mais per fabbricare carburanti che sostituiscano la benzina. E il cambiamento climatico? Sì, for se. Non ci sono ancora prove provate, ma è molto probabile che sia uno dei fattori che hanno influenzato la riduzione dei terreni coltivati. Perenne o no, c'è stato un riscaldamento negli ultimi anni e c'è una desertificazione nell'Africa subsahariana. Ma la crisi del cibo è pi urgente e ben pi grave di quella del clima. Non ce ne vogliamo rendere conto perché non c'è convergenza di interessi, non esiste l'equivalente della lobby verde o del complesso ecologico-industriale che muove governi e miliardi di dollari. I poveri del mondo non hanno voce. E la Fao, l'agenzia Onu che dovrebbe essere la loro stanza di compensazione, è un baraccone. Il grano, questo dono così mitico e così mistico, finisce anch'esso sotto il tallone del calculemus, l'ideologia alla quale tutti, volenti (se ci tiriamo fuori un profitto) o nolenti (se ci tocca pagare caro il solo fatto di essere al mondo) siamo sottoposti. E lo saremo ancora a lungo.
FonteIl Foglio del 16 gennaio 2010

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