domenica 11 aprile 2010

Il vino del Salento leccese profondo come la psicologia, è una lama a doppio taglio


Il vino del Salento leccese profondo come la psicologia, è una lama a doppio taglio
di Antonio Bruno*

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A Lecce nel 1918, in un infuocata Assemblea ella Società degli Agricoltori Italiani il vibrante discorso del Principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas nella sua qualità di Capo Console della Società Centrale e di promotore della Sezione leccese in cui pur difendendo la viticoltura della Puglia produttrici dai vitigni Primitivo e dal Negroamaro di “vini grevi” ammette la necessità di ristrutturare i vigneti e l'industria enologica. Lui stesso aveva iniziato a produrre direttamente vini per il consumo con ottimi risultati e riconoscimenti internazionali.
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Vino a Vinitaly 2010, se ne parla come se non se ne fosse mai parlato prima, dimentichi dei dibattiti che appassionarono i nostri padri. Primitivo e Negroamaro erano vitigni da cui si vebdemmiava l'uva che poi serviva per produrre nel Salento leccese quei vini da taglio tanto discussi.
Nel 1882 Pellegrini, dopo aver riferito molto succintamente sullo stato della viticoltura del medìridione, afferma che "il metodo di fabbricazione del vino è purtroppo infelice (...). L'agricoltore seguita a seguire le orme del bisavo calcando quella via che giammai lo condurrà al miglioramento economico della propria famiglia e del proprio paese (...). Si credono da molte mille stregonerie sulle malattie del vino e sui modi di ripararvi. Insomma l'enotecnia è disgraziatamente troppo arretrata".
A tre anni di distanza, Perelli Minetti, al congresso degli enofili tenutosi a Roma nel 1885, si oppone decisamente alla tesi di Pellegrini, sostenendo invece che "il vino da taglio rappresenta l'artiglieria, nerbo degli eserciti, che ben diretta decide la vittoria e protegge la ritirata" e per motivi connessi alle notevoli diversità climatiche delle regioni italiane
C'è un libro di Mario Soldati“vino al vino” . Un libro scritto in tre fasi di viaggio per l'Italia alla scoperta di vino genuino.
Dalla fine dell'Ottocento esiste in Italia una legge che impone a chi commercia il vino, una gradazione di almeno 10%. Molti vini del nord non arrivano a questa gradazione ed è vietato aggiungere dello zucchero (in Francia non è vietato) durante la fermentazione per aumentare la gradazione. Alla fine degli anni '40 e poi nei '50, vagoni e vagoni di mosto partivano dalle stazioni ferroviarie del Salento leccese per andare al nord. Il nostro mosto veniva utilizzato per “tagliare” il vino del nord di bassa gradazione alcolica e cquello era il lavoro con cui molti contadini del Salento leccese campavano.
La cultura del vino nel Salento leccese si è persa in questo modo. Per avere una gradazione maggiore si raccoglievano le uve in ritardo e quasi più nessuno vinificava vino di qualità. Addirittura un vino veniva considerato di “qualità” se aveva un'alta gradazione alcolica.
Comunque il mercato del vino sfuso e di bassa qualità non esiste più, ad esempio nei vini siciliani da taglio in solo cinque anni l’export è passato da quasi due milioni di ettolitri nel 1999 a poco più di 150 mila, con una perdita del 90%. La Francia (dove lo sfuso è usato come vino da taglio: per intenderci, per correggere la gradazione alcolica e il colore di un Bordeaux), che era il mercato principale fino agli anni ‘90, oggi compra vino spagnolo, più economico di quello italiano.
Ma per tornare al libro di Mario Soldati leggiamo direttamente le sue parole:

(…) Bisogna sapere che, alla base di tutta la produzione enologica italiana, esiste una disgraziata legge della fine dell'Ottocento: legge che proibisce, sotto pene severissime, di vinificare mediante l'aggiunta di qualsiasi quantità di zucchero, e che, contemporaneamente, impone che il vino tocchi almeno i dieci gradi di alcool. (…) molti vini della Val Padana, delle Prealpi, dell'Appennino ligure, sono squisiti senza che raggiungano i dieci gradi: specialmente quelli prodotti sul luogo e consumati sul luogo e dalla gente del luogo: vini che non devono necessariamente “viaggiare” e che, quindi, non hanno nessun bisogno di un'alta percentuale di alcool per essere protetti da fermentazioni secondarie sgradevoli. Tanto a lungo e con tanta severità fu applicata la legge, che ancora oggi, in tutta Italia, è diffusa la falsa credenza che l'aggiunta di zucchero durante la vinificazione sia nociva alla salute, e che la legge abbia, appunto, questo obbiettivo igienico: mentre l'aggiunta di zucchero è assolutamente innocua, e la legislazione francese, così meticolosa in questo campo, la permette. Lo scopo della nostra legge era ben altro: era, molto semplicemente ma non altrettanto esplicitamente, quello di aiutare i baroni viticoltori dell'Italia meridionale, e in particolar modo delle Puglie e di Sicilia, a vendere i loro mosti, provenienti da terre bruciate dal sole e non irrigate: ricchi cioè di zucchero generatore di alcool.

(…) Nacque il famoso “taglio”, che tanta parte ha nella decadenza dei nostri vini e, soprattutto, delle nostre capacità di gustare il vino. Una vera rovina: sia per i vini settentrionali e centrali, che nel taglio si alteravano: sia per gli stessi vini meridionali che, fatalmente, cominciarono ad essere conosciuti ai consumatori del Nord solo attraverso l'impiego che se ne faceva nel taglio, mentre vinificati sui loro posti e con uve vendemmiate non così tardi avevano tutt'altro sapore, erano tutt'altra cosa: molto più secchi, gradevoli, leggeri. La tradizione meridionale, infatti, voleva che le uve fossero raccolte non come accadde dopo la promulgazione della legge, e cioè preoccupandosi prima di tutto del raggiunto grado di dolcezza: ma vendemmiate prima, a tempo giusto, quando non sono ancora così cariche di zucchero. (...)

Il libro "Vino al vino", ed. Oscar Mondadori 1981 ha visto la sua prima edizione nei Libri Illustrati Mondadori Editore a Milano nel 1977. Ma pur con tutto il rispetto per Mario Solati, lo scrittore della gioia di vivere quella che non rifugge nulla e nessuno e che contempla l’universo e lo esplora in ogni sua miseria e lo assolve, 60 anni prima, nel 1917 una grande uomo del Salento leccese il Principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas aveva già fatto qualcosa per la viticoltura salentina e per cercare di risolvere ciò che il compianto Mario Soldarti denunciò.

A Lecce nella sede della Società Operaia nel 1918 si svolse l'Assemblea dei soci della Società degli Agricoltori Italiani costituita proprio in quell'anno. In quella occasione il Principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas nella sua qualità di Capo Console della Società Centrale e di promotore della Sezione leccese, pronuncia un discorso sulla legge 12 aprile 1917 n.729 che fece scaturire il regolamento n. 316 del 21 febbraio 1918 che era una norma concepita a danno della produzione vinicola pugliese.
La legge doveva servire a vietare le adulterazioni. Inoltre stabiliva che si dovevano determinare le caratteristiche del vino di ciascun territorio fissando quali siano tutte le qualità organolettiche e di conseguenza la gradazione alcolica, l'acidità, le materie estrattive e quant'altro.
La conseguenza di questa norma erano ad esempio che, fissate le caratteristiche del vino di Squinzano, se una partita di questo vino non avesse avuto corrispondenze con i caratteri del vino di quel territorio comunale fissati dal Governo per quel Comune, il vino sarebbe stato dichiarato “non genuino” con conseguenze di sanzioni amministrative e penali per il produttore.
Inoltre questa legge consentiva la produzione del vinello ma lo stesso non poteva superare i cinque gradi e non poteva essere miscelato con il vino.
Insomma una legge che istituiva la Denominazione di Origine Comunale e questo quasi 100 anni fa! E' interessante adesso capire per quale motivo si fosse riunita solennemente un'Assemblea degli Agricoltori del Salento leccese per discutere del danno che avrebbe comportato questa definizione delle caratteristiche organolettiche di tutti i vini per ogni Comune d'Italia.
Nel 1918 a circa 40 anni da quel famoso 1870 che sancì lo sviluppo della viticoltura Salentina in conseguenza della distruzione, ad opera della fillossera, dei vigneti francesi, il vino che produceva il Salento leccese era da taglio e in quel periodo questo vino penetrava in tutti i mercati, superava tutte le cinte daziarie ed esercitava una grande concorrenza all'interno del Paese e all'Estero a qualsiasi qualità di vino.
Il Principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas in quel discorso gridò ad alta voce che i vini pugliesi non potevano essere bevuti in quanto tali perché li definì “troppo grevi, troppo carichi di sostanze estrattive, di colore, di alcol” ecco perché i nostri vini di allora erano adoperati come materia prima da cui si ricavava il vino che poi sarebbe stato consumato.
Il Principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas afferma inoltre che l'aggiunta di acqua e di sostanze naturali al vino pugliese non possono essere ritenute “adulterazione” perché sono un mezzo che rende “bevibile” il vino greve da taglio.
Per la verità la legge di allora consentiva che il vino da taglio si potesse miscelare con altri vini, ma questo non stava bene al Principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas definì questa norma prepotente e tirannica perché sottoponeva i viticoltori pugliesi al capriccio dei produttori delle altre regioni. Il ragionamento del Principe non fa una grinza perché i produttori delle altre regioni avrebbero fatto ricorso al taglio con i nostri vini solo quando ne avessero avuto la necessità, ma se ciò per una qualunque sopraggiunta ragione non si dovesse verificare ecco che la produzione pugliese di allora sarebbe rimasta invenduta poiché non si sarebbe potuto fare ricorso all'uso dell'acqua e delle altre sostanze in grado di rendere il nostro vino da taglio bevibile.
Per quella legge il vino non poteva raggiungere i 12 gradi e non poteva essere miscelato con il “vinello” ottenuto dalle vinacce che a quel punto non sarebbe potuto più essere prodotto.
Insomma all'epoca il vino della Puglia era utilizzato o per essere venduto alle altre regioni e nazioni come vino con cui si tagliava la produzione vinicola di quei territori oppure con l'aggiunta di acqua o di vinello ottenuto dalle vinacce veniva utilizzato per il consumo diretto.
Dopo questa legge iniziò un acceso dibattito nel Salento leccese scaturito da una questione posta dal Commendatore Carlucci che metteva all'ordine del giorno del nostro territorio il tema della trasformazione dell'uva e cioè se convenisse proseguire con il produrre vini da taglio oppure fosse giunto il momento di produrre vini con meno gradazione alcolica.
Il Principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas afferma in questa relazione di allora che il tema è assolutamente da affrontare ma nello steso tempo un eventuale decisione di ristrutturazione della produzione viticola necessita di sperimentazione e di tempo e alla ristrutturazione della produzione dovrebbe seguire anche quella del commercio. Per avvalorare la sua tesi il Principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas ricorda ai presenti che da più lustri lui stesso fabbrica vini per il consumo diretto che sono stati venduti in Italia e all'estero e che avevano meritato 26 onorificenze italiane e straniere in altrettante medaglie d'oro e Grand Prix.
Il Principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas aveva ottenuto questi vini utilizzando uve meno mature di vitigni tra i più produttivi anticipando la vendemmia. Ma lo stesso poi rivela che ha calcolato quanto gli sono costati questi vini per le spese di preparazione, di lavoro, di direzione tecnica e di investimento di capitali e giunse alla conclusione che i conti non tornavano. Il Principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas confessa di sentire l'intima soddisfazione di aver realizzato un ideale, di aver aperto la via al perfezionamento dell'industria vinicola ma tutto questo ha comportato un dispendio di ingenti capitali.
Naturalmente lo stesso Principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas ammette che superate le prime difficoltà, la lavorazione per l'ottenimento nel Salento Leccese di vini per il consumo diretto diventerà più agevole e meno costosa ma nello stesso tempo questo auspicio doveva essere un processo da innescare per ottenere la trasformazione dell'industria vinicola nel tempo.
La situazione della viticultura del Salento leccese nel 1918 era davvero florida, i vini del territorio erano apprezzati, ricercati e soprattutto ben quotati. Secondo il Principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas erano vini che si rendevano utili all'enologia e all'economia nazionale.
In conclusione c'è la risposta a Mario Soldati, al giudizio un po' affrettato contenuto nel suo libro “Vino al Vino” un giudizio che sarebbe facilmente riscontrabile sulla bocca di un uomo che ha il piacere di vivere, insomma il turista che visita i luoghi del mondo assaporandone le piacevolezze e le offerte ma trascurandone o rifuggendone gli aspetti vili, o malati, o crudeli. Il Salento leccese era amato profondamente da uomini come il Principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas che pur avendo intrapreso le vie dell'innovazione ha dovuto fare i conti proprio con quegli aspetti che ai turisti sfuggono e che sono quello che tutti riconosciamo come umanità.

Chi era il Principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas?
Per completezza desidero fornirvi qualche informazione sul principe Sebastiano Apostolico Orsini Ducas (Lecce 1853-1931) che con sentenza della corte d’appello di Trani del 22 Giugno 1908 fu riconosciuto quale diretto e legittimo discendente di Giovanni III Orsini Ducas (Angelo Comneno). Gli fu concesso di conseguenza anche l'uso del titolo di Duca e Conte di Leucade e Conte Palatino (il più antico titolo trasmesso alla dinastia dal capostipite Riccardo Orsini). Il principe Sebastiano fu il primo agricoltore a introdurre la mezzadria nel Salento insieme all'allevamento bovino e a sistemi moderni d'irrigazione. Nel 1898 costituì il primo Consorzio antifilosserico nella provincia di Lecce per la tutela degli impianti viticoli promuovendo in contemporanea infrastrutture (strade, case coloniche, stalle moderne) che favorissero lo sviluppo dell'agricoltura salentina. Realizzò egli stesso opere di bonifica a Brindisi e avviò l'ammodernamento dei mezzi di produzione delle sue aziende vitivinicole, diventando tra fine '800 e inizio '900 uno dei maggiori esportatori di vino sul mercato nazionale ed europeo e divenne Cavaliere al Merito del Lavoro. Costituì nella sua tenuta di Materdomini (circa 1000 ettari, una delle più grandi della Puglia) anche una fabbrica di tabacco, una delle prime del Salento, mulini e magazzini per lo stoccaggio dei cereali, dando lavoro a centinaia di persone e amministratori. Fu inoltre sindaco di Lecce dal 1908 al 1914 e per 30 anni Presidente del Consiglio Provinciale. Morì nel 1931 senza figli, ma volle far continuare l'antica stirpe adottando (ed allevando personalmente) i figli della sorella morta molto giovane, principessa Michela (sposata con il nobile Pasquale Grassi di Martano). I nipoti così aggiunsero al loro cognome quello dell'antica casata principesca continuando la discendenza:
Marianna Grassi Apostolico Orsini Ducas, sposata con il nobile Raffaele Licastro Scardino di San Cesario di Lecce (da cui Mazzotta Licastro Scardino).
Giuseppe Grassi Apostolico Orsini Ducas, sposato con la nobile Maria Isabella Martini Carissimo, fu Ministro Guardasigilli del IV° governo De Gasperi, Segretario della commissione dei 75 per la formulazione della Legge Costituzionale e inoltre fondatore della Banca del Salento. Ospitò nella sua tenuta di Materdomini la famiglia Savoia dopo la seconda guerra mondiale prima dell'esilio.

*Dottore Agronomo

Bibliografia
Mario Soldati Vino al Vino
Franco Ziliani Mario Soldati dieci anni dopo
Luca Martinelli Vino da taglio addio Altra Economi n. 75
M. Vitagliano Dopo l'unità nazionale: vini da taglio o vini da tavola?
L'Agricoltura Salentina Ottobre 1918 n. 10

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