sabato 9 giugno 2012

GIOVANNI PRESTA

GIOVANNI PRESTA


Medico e ulivicultore salentino

E' noto che la letteratura georgica — se così possiamo chiamarla — ebbe durante il secolo decimottavo rinomati cultori nell'Italia Settentrionale, mentre nel nostro Mezzogiorno fu in prevalenza dilettantesca e superficiale, e che non pochi di coloro che avevano nell'ambito della loro regione rinomanza di dotti, per lo più orecchianti, non diedero alla luce pubblicazioni degne di considerazione. Se Napoli rivaleggiò con Milano, dando alla cultura italiana gli scritti di Antonio Genovesi, di Gaetano Filangieri, di Gian Battista Galiani, il resto della parte meridionale della Penisola non diede nomi che si potessero contrapporre a quello del marchese G.B. Spolverini, di Bartolomeo Lorenzi, di Gerolamo Baruffaldi, di Zaccaria Betti, i quali furono molto apprezzati dai contemporanei e ancora oggi offrirebbero spunti non trascurabili al nuovo avvio delle lettere e delle scienze se l'inquietudine che caratterizza le nuove generazioni non tendesse a far trascurare il patrimonio di cultura e di esperienza tramandatoci dagli antenati.

Nell'Italia Settentrionale gli studi georgici erano favoriti da centri di cultura che alle inevitabili cicalate alternavano argomenti seri e utili al progresso. Oltre alle accademie che si affermarono nel Settecento a Milano, altre ne sorsero in non poche città dell'Italia Settentrionale. Basti citare, fra quelle che primeggiavano, l'Accademia dei Filarmonici di Verona. Nell'Italia Meridionale, fra gli orecchianti dei quali si è fatto cenno, non mancavano gli uomini dotti, appassionati cultori di discipline umanistiche, arditi indagatori dello scibile, ma per le condizioni politiche e sociali rimanevano chiusi in simbolici compartimenti stagno.

La penetrazione di viaggiatori stranieri nelle nostre piaghe arretrate, infestate dalla malaria, era inusitata, destava meraviglia negli abitanti del luogo e lasciava labile traccia nelle impressioni dei visitatori, alcuni dei quali procedevano con l'aria di scoprire un mondo primitivo e selvaggio.

Ma questo desolante stato di fatto ha le sue lodevoli eccezioni, e lodevole Eccezione dobbiamo considerare l'opera di Giovanni Presta, il quale degnamente seppe farsi apprezzare in Italia e all'estero per la sua esperienza e per la sua competenza in olivicoltura e in elaiotecnica. Dei georgici del Settecento il menzionato Spolverini diede un notevole contributo all'arte di coltivare il riso e, con veduta lungimirante, additò la necessità di sistemare i bacini montani per evitare straripamenti di fiumi e per ben regolare l'andamento delle coltivazioni, l'insigne storico e memoralista Baruffaldi scrisse, in otto libri, Il canapaio in cui, se i mediocri versi poco si differenziano dai tanti che nel detto secolo si pubblicarono, l'argomento trattato impostò un problema di grande attualità nel periodo che aprì una nuova strada all'industria tessile, alla quale diede un notevole contributo anche il Betti, autore del poema didascalico Il baco da seta, i cui versi, se non sono nutriti d'alti pensieri, procedono con speditezza e con icastica efficacia descrittiva. Il Presta ha il merito, che lo differenzia dai su mentovati scrittori georgici, di aver precorso i tempi facendo interessanti studi comparativi e attingendo alla diretta esperienza le nozioni e le riflessioni che rendono pregevoli i suoi scritti. Nacque a Gallipoli il 24 giugno del 1720; studiò medicina e, conseguita la laurea, esercitò con successo la professione nella cittadina nativa e fu chiamato per visite e per consulti anche in altre località del Salento; l'età e gli acciacchi però lo costrinsero a rinunziare all'esercizio professionale e a rimanere, con non poco rammarico, per qualche tempo inoperoso. Ma ogni male non vien per nuocere: se fosse rimasto impegnato fino alla vecchiaia nel campo della medicina, non si sarebbe potuto dedicare con grande impegno alla olivicoltura e alla elaiotecnica che gli procurarono soddisfazioni e onori. In età avanzata dunque intraprese il suo nuovo cammino sulle tracce di una nobile tradizione, dovuta ad alcuni grandi del passato.

Quando era quasi ottuagenario, dopo avere svolto una commendevole attività politica e militare, Marco Terenzio Varrone si dedicò appassionatamente allo studio dell'agricoltura e lasciò ai posteri il suo capolavoro georgico; in età molto avanzata, dopo aver acquistato alti meriti nel campo giuridico, Pietro De Crescentiis scrisse anch'egli un capolavoro georgico, frutto delle osservazioni fatte alla vista dei campi, dei fenomeni vegetativi e delle operazioni agricole durante i suoi numerosi viaggi in molte località della nostra Penisola.

Il vecchio Varrone diede un indimenticabile contributo di dottrina e di saggezza all'economia romana turbata dalle lotte sociali, dalle spoliazioni e dal parassitismo e aprì vasti orizzonti alla musa virgiliana; il vecchio De Crescentiis aprì nuove strade all'agricoltura e all'economia dei tempi di Dante; il vecchio Presta concorse efficacemente a risollevare le sorti della nostra olivicoltura da lui considerata — e non a torto — come una delle fonti più cospicue della economia italiana del suo tempo.

Approfittando della causa occasionale datagli da alcuni scritti del marchese Grimaldi, si dedicò per un decennio a esperimenti i cui risultati espose nella Memoria intorno ai sessantadue saggi diversi di olio presentati alla Maestà di Ferdinando IV e nel trattato Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l'olio.

In proposito diamo a lui la parola. « Lungo tempo era, che vedendo io cotal parte di economia rurale così miseramente negletta, mi rivolgea nel pensiero di farmi una volta a studiare con la dovuta attenzione gli ulivi, interrogandone non men gli autori, che il gran libro della natura, e la infallibil maestra della verità, la sperienza. Vedeva io già che qualcuno autore tal fiata fatto avea qualche sperimento; ma unico, ma isolato, ma equivoco, per non riceverlo come infallibile verità. Esercitando io però con qualche nome e fortuna la medicina in questa provincia, e di età trovandomi già troppo inoltre, e da lungo tempo acciaccoso, e di facoltà molto limitate, e di talenti assai scarso, e le fatiche, che per venire a capo del vero dovean soffrirsi, anziché inanimirmi, e risolvermi di intraprenderla, spaventato mi arretravano dall'impresa. Ma mentre io così inoperoso vivea, mi capitò finalmente alle mani la Istruzione per la nuova manifattura dell'olio introdotta nella Calabria dal Signor Marchese Grimaldi, già data in luce nel 1773, ed il zelo patriottico, che da ogni banda vi spicca, e le spese immense che il quanto dotto, altrettanto dovizioso autore avea dovuto soffrirci, e lo stile nitido e schietto, e la evidenza, che in quasi tutte le proposizioni parca accompagnarlo, non ci è alcun dubbio, che mi sorpresero sulle prime, che m'invaghirono, e poco men, che mi persuasero ».

Dei georgici, storici e naturalisti antichi attrassero maggiormente la sua attenzione Catone, Virgilio, Dionisio d'Alicarnasso, Varrone, Dioscoride, Tito Livio, Plinio il Vecchio, Plutarco, Columella, Palladio Rutilio Tauro Emiliano, le opinioni dei quali vagliò al lume della propria esperienza; gli esperimenti li continuò — come si è detto — per un decennio. Ebbe così la possibilità di aggiornarsi, di fare nuove scoperte nel campo olivicolo e oleario, di modificare opinioni prima di lui non controllate, di correggere errori di valutazione e di procedimento.

Il trattato consta di due parti, precedute da una interessante prefazione. Vi si afferma che l'autore, in seguito a molti ed accurati esperimenti, potè inviare undici sorta di olio a Caterina II di Russia e sessantadue al re di Napoli Ferdinando IV, tramite il ministro Palmieri ( come riconoscimento dell'importanza dei suoi studi e dei suoi esperimenti il Presta ebbe dall'imperatrice di Russia una medaglia d'oro e duecento zecchini, dal re di Napoli una medaglia d'oro e una pensione di trecento ducati annuì).

Considerato che l'olivicoltura, in auge presso i Romani, in decadenza nel Medioevo, era ancora nel secolo XVIII la principale fonte di ricchezza del Mezzogiorno d'Italia, e che i Romani badavano più alla qualità che alla quantità, il Presta, pur tenendo presente l'importanza della qualità mirò ad ottenere una maggiore quantità di olio per aumentare l'esportazione. Presso gli antichi l'olio aveva grande importanza perché, oltre a condire cibi, serviva — come si dirà in seguito — a vari usi; ma, se col tempo alcuni usi erano stati limitati, o erano scomparsi addirittura, non era diminuita per questo la produzione olearia.

Condizioni essenziali per ottenere una buona qualità di olio sono, per l'A.,l'esposizione, preferibilmente a favonio o a meriggio, il terreno, ch'è da preferirsi asciutto, leggero, sottile, pietroso, non troppo coltivato, né troppo concimato, perché la coltivazione intensa o la sovrabbondanza del concime danno buon frutto, ma non buon olio. I continui esperimenti del Presta hanno dimostrato che « una pianta giovine produce frutta più belle, più nutrite, più grosse che un vecchio albero, e stagionato, ma meno oleose, e di un olio poco elaborato ».

Per rendersi conto delle affermazioni degli antichi georgici, volle esaminare l'olio prodotto da una singola pianta (scelse all'uopo l’ogliarola ), raccogliendone e torchiandone il frutto ogni quindici giorni, dal 15 settembre al 31 marzo, e potè verificare che le olive raccolte e torchiate verso la metà di settembre — verdi e biancastre — davano l'olio onfancino, gagliardo, lazzo, più utile come lassativo che come condimento, le ulive raccolte dal 30 settembre al 15 ottobre davano olio meno sgradevole, quelle raccolte il 30 ottobre davano olio dilettotissimo perché « grazioso quel suo bruschetto sapor d'uliva », le u I i ve raccolte il 15 e il 30 novembre erano già vaie e davano olio semionfancino, quelle raccolte in dicembre erano tutte nere all'esterno, quelle raccolte a fine marzo avevano anneriti anche la polpa e il nocciolo, e se l'annata non era stata propizia davano olio poco fluido e tanfoso, l'olio che gli antichi destinavano agli schiavi.

Bisogna, purtroppo, rilevare che la prosa in cui sono descritti dal Presta procedimenti e risultati è discontinua, a volte lacunosa, e appesantita da molte citazioni erudite, talvolta superflue. A tal proposito si può opinare che gli appunti presi sull'argomento difettavano di ordine, se non di precisione.

Accenniamo a un altro interessante esperimento del Presta. Distribuì in tre mucchi le ulive raccolte il 15 novembre: nel primo mucchio mise le verdi e verdi biancastre, nel secondo le porporine e rosso nerastre, nel terzo quelle annerate. Le ulive del primo, torchiale, diedero un olio deliziosissimo, le ulive del secondo diedero un olio buono, ma meno di quelle del primo, di quelle del terzo non dette un giudizio preciso.

S'intrattiene poi il Presta nell'elencare le piante più redditizie del Salento. Ne addita e ne descrive sommariamente quarantotto varietà delle quali sceglie le più convenienti. A proposito della scelta egli esorta gli studiosi di olivicoltura a fare un esame comparativo sul rendimento, in quantità e qualità, delle varietà di ulivi che si coltivano nelle singole regioni d'Italia, allo scopo di diffondere le varietà che producono maggiore quantità di olio e quelle che ne producono di sopraffino.

L'argomento può essere anche oggi di attualità e potrebbe essere esteso a tutta la frutticoltura, se si considerasse che alcune varietà di frutta prelibate vanno scomparendo, ad onta dei progressi scientifici, ed altre s'imbastardiscono, perdendo la deliziosa fragranza non mai abbastanza rimpianta dai veri buongustai.

Il nostro A. studiò attentamente i metodi di torchiatura dei tempi antecedenti al suo, e si soffermò particolarmente ad esaminare l'antico frantoio rinvenuto a Stabia, di cui rilevò i difetti suggerendo opportune modificazioni. Anche per quanto riguarda gli studi e le applicazioni nel campo dell'elaiotecnica il Presta ha meriti incontestabili. Purtroppo la prosa anche nella trattazione di questo argomento risente delle imprecisioni strutturali della forma e della inadeguatezza dell'espressione al pensiero. Erudito, amante dell'erudizione, non privo di sentimento della natura, mirante all'utile più che all'idillica contemplazione della natura, non è immune dal difetto di molti scrittori scienziati o pseudo scienziati del suo tempo, desiderosi di dare la debita importanza ai risultati delle pratiche applicazioni e di mostrare la loro familiarità con gli studi umanistici con la pretesa di esporre con prestigiosa eleganza. Anche nel Presta si notano i difetti rimproverati dal Foscolo, dal Leopardi, dal Carducci, dal De Sanctis al Settecento: alle pagine di prosa aulica, dove non mancano inutili preziosità linguistiche, si alternano pagine fiacche, sciatte, in cui è assente la chiarezza, dono della semplicità e dell'ordine. Ma non per le sue velleità letterarie va ricordato il Presta, bensì per il suo amore alla natura, per il suo metodo investigativo e sperimentale, per il desiderio, in parte realizzato, di contribuire al miglioramento economico dell'Italia Meridionale.

L'ulivo, assurto presso i Greci a simbolo di pace, ha quasi perduto, nella nostra epoca in cui le cose tendono a trasformarsi con ritmo vertiginoso, l'importanza di una volta.

I Romani adoperavano l'olio come condimento, come indispensabile mezzo d'illuminazione, come elemento insostituibile per la fabbricazione del sapone, per l'unzione dei gladiatori e dei combattenti in genere ( Tito Livio scrisse che i soldati romani nella battaglia del Trebbia furono sconfitti perché non s'erano unti di olio come i soldati di Annibale ) per la confezione dei profumi, per le proprietà terapeutiche e per altri pregi. Oggi subisce una spietata concorrenza degli oli di semi, dei moderni mezzi d'illuminazione ( dieci lampade elettriche da mille candele portano il sole in casa in piena notte ), delle centinaia di qualità di creme e di essenze profumate e profumanti ottenute con vari mezzi da cui l'olio d'oliva è escluso, e non ci si deve meravigliare se il Presta è quasi dimenticato.

E' verità lapalissiana che oggi la scienza fa prodigi. Forse per questo sarebbe utile uno studio comparativo fra la sostanza e l'utilità dei nuovi prodotti che la chimica ha dato all'umanità e l'essenza e l'utilità di quello che ancora oggi vien detto olio vergine tenendo presenti gli studi, le applicazioni e i risultati del Presta, che ancora merita di essere considerato il maggiore oliviculture del suo secolo.

A Giovanni Presta è intitolato l'Istituto Tecnico Agrario di Lecce, ed è auspicabile che alcuni giovani bravissimi docenti di quell'Istituto, con encomiabile competenza e appassionato impegno, in uno studio ampio e approfondito, procedano con acume critico e con abbondanza di dati storici e scientifici, a illuminare la figura e l'opera di questo benemerito dell'olivicoltura italiana.

PIETRO IANNUZZI





PRESTA GIOVANNI

Gallipoli 1720 – 1797

Nacque a Gallipoli il 24 giugno 1720. Avviato dalla famiglia verso la carriera forense fu invece indirizzato verso gli studi di medicina da uno dei suoi precettori, che ne aveva intuito la predisposizione verso le scienze in genere. Trasferitosi quindi a Napoli per seguirvi gli studi di Medicina, Matematica e Astronomia fu presto accolto negli ambienti colti e raffinati della Capitale, anche per il suo carattere amabile e sensibile oltre che per le sue doti di letterato e poeta. Richiamato dal padre, abbandonò il promettente ambiente napoletano per far ritorno a Gallipoli, dove ebbe modo di dimostrare ampiamente le sue capacità di medico, esercitando in tutto il territorio salentino. Avanzando con l’età volse la sua attenzione di studioso soprattutto a migliorare la produzione agricola in due settori molto importanti per l’economia salentina: la tabacchicoltura e l’olivicoltura.



I suoi interventi furono fondamentali per migliorare la produzione in entrambi i settori, in modo tale che gli ne venne anche una certa fama internazionale.

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