sabato 5 marzo 2016

E’ l’imprenditore agricolo e/o proprietario di un pezzo di Paesaggio rurale o i cittadini residenti nel territorio che devono decidere che cosa e come coltivare per ottenere il reddito d’impresa agricola?


Per comprendere che anche questa decisione deve essere assolutamente oggetto di progettazione partecipata riporto ciò che è disponibile nella letteratura scientifica:
Quando si scrive di territorio è bene chiarire cosa si intende con questo termine. Senza entrare nel dettaglio delle tante definizioni di territorio, ambiente e paesaggio e loro relative differenze (definizioni di Ambiente, Territorio e Paesaggio, sono state proposte da geografi, storici, urbanisti e da documenti nazionali e internazionali. Tra le più citate si trovano quelle di Sereni 2010, Dematteis 1985, Romani 1994, Gambino 1997, come pure quelle della Convenzione Europea del Paesaggio del 2000, del Codice dei Beni Culturali del 2004 e altre ancora)  si preferisce fare riferimento a due definizioni che appaiono quelle più idonee e rappresentative.
Per quanto riguarda il concetto di paesaggio in senso generico, pare idoneo usare la definizione proposta dalla Convenzione Europea del Paesaggio (2000) per la quale questo “designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Tale definizione considera sia i valori estetico-percettivi che quelli culturali e sociali. Il paesaggio, quindi, come forma fisica e visibile di una stratificazione.
Relativamente al concetto di territorio, invece, pare opportuno fare riferimento alla definizione di Roberto Gambino (1997, 42): “ambito, storicamente e geograficamente determinato, non soltanto di forme più o meno esclusive di dominio spaziale, ma anche di forme più o meno complesse di socializzazione, comunicazione, scambio e cooperazione”. In questa definizione, oltre gli aspetti relazionali, è importante la componente spaziale.
Per riflettere di territori rurali, però, è bene integrare con una terza definizione più antica ma ancora efficace di cosa sia un paesaggio agrario. Emilio Sereni (2010, 29 - orig. 1961) scriveva che “paesaggio agrario significa, come significa, quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale”. Inoltre, dopo la definizione iniziale, Sereni parla di paesaggi agrari al plurale.
Ecco allora che, avendo messo a sistema queste definizioni, si comprende come nello scrivere di territori rurali, si scrive di aree spazialmente e geograficamente individuate ma anche di storia, di relazioni, di strutture sociali, di identità, di forma, di percezione, di tecniche agricole e di trasformazione del prodotto, di know how locale, di presidio, di salvaguardia, di bellezza e persino di ‘welfare naturale’.
Il territorio rurale copre circa il 92% dell’intero territorio comunitario (dati INEA 2011) e coinvolge il 56% della popolazione europea (27 Paesi UE). L’agricoltura e la silvicoltura sono le forme prevalenti di utilizzazione del suolo e di gestione delle risorse naturali del territorio rurale dell’UE. Le attività agricole hanno una importante funzione di consumatore o fornitore di servizi ecosistemici in relazione alle pratiche agricole perseguite e costituiscono una importante piattaforma per diversificare le attività economiche nelle comunità rurali. Nei territori rurali si integrano struttura economico-sociale, morfologica, storico-culturale, ecologica dei paesaggi. Inoltre, come è stato recentemente sottolineato, il territorio rurale gioca un ruolo fondamentale anche per la conservazione della biodiversità (oggi in una situazione di crisi generalizzata): il 50% delle specie (sia domestiche che selvatiche) minacciate o in declino dipende infatti in varia misura dagli ambienti agricoli (INEA, 2012).
Tutto ciò premesso è opportuno che ogni cittadino contribuisca ECONOMICAMENTE alla salvaguardia del Paesaggio Rurale in tal modo avendo diritto di decidere la forma di conduzione più idonea per le varie coltivazioni.
Perché scrivo questo? Perché alcuni cittadini del nostro territorio esprimono la preferenza per la forma di conduzione tradizionale degli oliveti. La forma di allevamento dominante dell’olivo nella Provincia di Lecce è il vaso con 2 o 3 branche principali. Le aziende che adottano tale forma di conduzione molto spesso nei passati decenni hanno lasciato le olive sull’albero e poi quando sono arrivate a maturazione tanto da cadere a terra non sono state nemmeno raccolte perché non c’era convenienza economica da parte del proprietario o imprenditore.
Ricordo a me stesso che il proprietario di capitale terra ha come obiettivo quello di ottenere il reddito.
Ora alcuni tecnici propongono per i nuovi impianti il sistema di allevamento dell’olivo chiamato “SUPERINTENSIVO” che consente di abbassare i costi di produzione delle olive.
Alcuni cittadini, al contrario, desiderano che gli oliveti della Provincia di Lecce siano allevati così come nella tradizione a vaso con 2 o 3 branche principali.
Come risolvere questo problema? Chi decide?
Secondo me devono decidere tutti a patto e condizione che tutti partecipino alle SPESE.
Mi spiego meglio.
Se la conduzione dell’oliveto con il sistema a vaso con 2 o 3 branche principali non da reddito basterebbe che gli 850mila abitanti della Provincia di Lecce si facessero carico delle spese e dell’integrazione del profitto che spetta al proprietario imprenditore agricolo.
Non lo so per fare un esempio se un ettaro di oliveto da un reddito annuale di 20mila euro e quindi per i 100mila ettari il reddito totale fosse 2 miliardi di euro basterebbe che ognuno degli 850mila abitanti desse un contributo annuo di 2350 euro per mantenere intatti i 100mila ettari della foresta degli olivi della Provincia di Lecce.
Magari basterebbe che i cittadini si facessero carico di un contributo annuale di mille euro per addivenire a un’intesa con i proprietari della Foresta degli ulivi della Provincia di Lecce.
Questi sono conti molto approssimativi, magari invece di due miliardi di euro il reddito della Foresta degli ulivi condotta a “OLIVETO SUPERINTENSIVO” sarebbe di un miliardo di euro annuali, ma prendete i miei conti non come valore assoluto ma come esempio di compartecipazione dei cittadini per avere diritto a decidere su che tipo di forma di allevamento deve avere l’olivo in Provincia di Lecce.
Se si pretendesse di imporre ai proprietari la forma di allevamento senza partecipare alle spese saremmo di fronte a una forma di conduzione COMUNISTA della proprietà che ha già dimostrato l’inefficienza nell’applicazione nel secolo scorso nelle repubbliche democratiche comuniste del Mondo intero.


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