Intervento del Prof. Bonatesta (Università di Bari): Il nuovo modello Acque del Sud e le scelte strategiche
Il nodo della gestione degli invasi e la ricerca di un partner industriale
di Antonio Bonatesta
In questi mesi, la crisi idrica si sta abbattendo sulla Puglia con particolare gravità. I volumi d'acqua negli invasi hanno raggiunto livelli di guardia allarmanti, tanto che alcuni di questi sono stati interdetti agli usi irrigui per garantire la continuità di quelli civili (Occhito e Marana Capacciotti), mettendo a repentaglio i raccolti. Nel frattempo, si rinnova la pressione sulle riserve idriche del sottosuolo, accentuando i rischi di esaurimento e salinizzazione delle falde acquifere. Inoltre, la scarsità idrica mette in risalto le gravi inefficienze dei sistemi di ritenuta, adduzione e distribuzione, colpiti da annose carenze nella manutenzione di invasi e acquedotti, con perdite annuali che nel Mezzogiorno continentale raggiungono il 48,7% dei volumi immessi in rete, con punte del 62% in Basilicata (dati Istat).
Mentre tutto ciò accade, una significativa transizione sta caratterizzando gli assetti del sistema di approvvigionamento idrico primario, vale a dire l'insieme degli invasi irrigui e industriali. Agli inizi di quest'anno, infatti, su impulso dell'attuale governo si è costituita una nuova società, Acque del Sud, erede del vecchio Ente per l'Irrigazione in Puglia, Lucania e Irpinia (EIPLI), chiudendo una lunga gestione commissariale durata quasi mezzo secolo.
Due sono gli elementi peculiari della nuova società. Il primo è rappresentato dalla scala operativa, che molto opportunamente conserva l'estensione pluriregionale del vecchio EIPLI, necessaria per condurre la gestione a livello di bacino idrografico e per realizzare le opportune interconnessioni tra gli schemi idrici. Il secondo aspetto, quello forse più problematico, è dato dall'impianto centralistico della società. Nel passaggio da ente pubblico (EIPLI) a società per azioni (Acque del Sud), la partecipazione delle Regioni Puglia, Basilicata e Campania è stata infatti ridotta dal 39% a un potenziale 5%. A farla da padrone è il MEF, che detiene attualmente il 100% delle quote sociali, in attesa di concedere il 30% a un partner industriale.
E qui si aprono molte questioni. Il profilo della governance idrica in Puglia attiene infatti direttamente al controllo di parte delle risorse finanziarie stanziate dal "pacchetto acqua" del PNRR per gli investimenti in infrastrutture idriche primarie, riduzione delle perdite e servizi di fognatura-depurazione: quasi due miliardi di euro destinati al Mezzogiorno continentale. La presenza di un partner industriale, invocata per raggiungere standard di efficienza operativa e garantire la manutenzione di impianti e reti, da un lato suscita preoccupazioni per l'introduzione di possibili logiche di profitto nella gestione di un bene comune come l'acqua; dall'altro richiama la pur necessaria messa a punto di un assetto regolatorio che agisca sui canoni concessori, sui disincentivi ai prelievi e sulle tariffe, per procedere a un riordino dei consumi (siamo al secondo posto in Europa per consumi civili pro-capite, 156 metri cubi annui per abitante) e per coprire i costi di manutenzione e potenziamento degli impianti. Proprio in vista di questi obiettivi, sarebbe opportuno non abdicare del tutto a una solida rappresentanza degli interessi territoriali, più che obliterarli nel timore di subirne l'effetto paralizzante.
Del resto, sulla scelta del partner industriale sembrano profilarsi due percorsi: un forte protagonismo diretto del capitalismo privato, magari di quello francese, da tempo interessato a incrementare la propria presenza nel settore dei servizi idrici del Centro-Sud; oppure l'intervento di importanti player pubblici o pubblico-privati. A tal proposito, è di poche settimane fa la notizia della partnership fra Acquedotto Pugliese (AQP) e Acea per diventare soci industriali di Acque del Sud, consentendo in Puglia continuità nei rapporti tra approvvigionamento primario e servizio idrico integrato (adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, fognatura e depurazione delle acque reflue), tenuto conto anche dei poteri di indirizzo e nomina detenuti dalla Regione Puglia su AQP. Una soluzione, tuttavia, su cui grava la pesante ipoteca del conflitto tra Regione e Governo, per la decisione di quest'ultimo di impugnare per motivi di incostituzionalità e di tutela della concorrenza la legge regionale dello scorso marzo, con cui si stabiliva il trasferimento ai comuni del 20% delle azioni di Acquedotto Pugliese: passaggio intermedio che avrebbe dovuto agevolare l'affidamento diretto del servizio idrico integrato ad AQP, in scadenza nel dicembre 2025. A dirimere la questione sarà la Corte Costituzionale, con i lunghi tempi che il suo pronunciamento richiede, mentre la crisi idrica incalza e il 70% delle risorse del PNRR è allocato nel triennio 2024-2026.
Più che un punto di approdo, dunque, la comparsa di Acque del Sud sembra coincidere con l'avvio di un difficile riassetto del governo della risorsa idrica nel Mezzogiorno continentale, su cui massima deve essere l'attenzione dell'opinione pubblica.
Professore associato di Storia Contemporanea, Università degli Studi di Bari "Aldo Moro".
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