venerdì 24 novembre 2017

Per salvare gli olivi e la biodiversità ci vogliono gli Ogm (Organismi geneticamente modificati)


Per salvare gli olivi e la biodiversità ci vogliono gli Ogm (Organismi geneticamente modificati) e sempre la ricerca Ogm ha salvato il “bimbo farfalla”
Il dibattito sugli Ogm da mesi è arenato su un falso problema. La tecnica del genome editing, insieme alla cisgenesi, viene definita più sostenibile (termine improprio per una tecnologia).
Si dice che permetterebbe di andare “oltre” i “vecchi” Ogm (il transgenico) e di intervenire sulle piante senza ricorrere a geni di specie diverse. Non è esatto.
Questa tecnica usata in laboratorio serve anche per tagliare in modo mirato un preciso punto del DNA del topo e inserire un gene esogeno, cioè di un’altra specie. Quindi con il genome editing si modifica il DNA di un organismo, come si vuole, anche inserendo o togliendo una sola lettera o un intero gene.
Supponendo, poi, che genome editing e cisgenesi siano andati “oltre” gli Ogm, dal punto di vista giuridico, si dovrebbe allora consentire la loro sperimentazione in pieno campo, in quanto indistinguibili da incroci o mutanti spontanei. Se non possono andare in campo allora non si è andato “oltre” nulla e si resta nell’oscurantismo.
I “vecchi” Ogm (transgenici), sono più studiati e più sicuri anche di piante biologiche perché è l’unica agricoltura che analizza i prodotti finali e non solo i processi di produzione. Ben vengano le innovazioni come il genome editing, ma senza imporre il ricatto di abbandonare tecniche precedenti e ancora valide, anche perché sappiamo poco della resa e dell’efficacia delle nuove tecnologie e delle relative proprietà intellettuali in gioco. Per la prima volta nel 2015 si sono ridotti gli ettari mondiali coltivati con Ogm: il declino è solo dell’1%. Forse è dovuto all’arrivo sui mercati di nuove piante modificate con genome editing che non devono sottostare alla costosissima burocrazia messa in campo per vietare la coltivazione (ma non l’importazione) di Ogm, come il fungo ottenuto con genome editing che negli USA può essere coltivato e venduto senza ulteriori controlli.
Bisogna riaprire i campi sperimentali, qualunque sia la tecnologia usata, sulle piante tipiche italiane che con il miglioramento genetico si potrebbero salvare, evitando ulteriori perdite di biodiversità.

E se i vitigni del Salento leccese avessero il gene o i geni di resistenza a Xylella Fastidiosa subspecie Pauca ceppo ST53?

Oggi ho preso parte al Corso di aggiornamento professionale “DISSECCAMENTO RAPIDO DELL’OLIVO LO STATO DELL’ARTE A 4 ANNI DALLA DIAGNOSI DI XYLELLA FASTIDIOSA presso l’ IISS Presta Columella di Lecce.
Ho ascoltato che con un inoculo enorme in ambiente controllato su Vite non si è avuta alcuna infezione e che le piante di vite del Salento leccese non si infettano al punto che si vuole chiedere la possibilità di commercializzarle in tutto il Mondo senza fare ricorso alla termoterapia.
Ho chiesto se ci fosse in corso una linea di ricerca per individuare il gene di resistenza al Ceppo di Xylella Fastidiosa subspecie Pauca ceppo ST53 nel DNA dei vitigni del Salento leccese mi hanno risposto che non c’è al momento una ricerca finalizzata a verificare se ci siano i geni o il gene di tale resistenza.
Inoltre pare che prevalga l’ipotesi che ci sia qualcosa nel DNA di Xylella Fastidiosa subspecie Pauca ceppo ST53 che la rende incompatibile con i vitigni del Salento leccese.
Io ho replicato che è altrettanto legittimo pensare che ci sia invece un gene di resistenza a Xylella Fastidiosa subspecie Pauca ceppo ST53 nei vitigni del Salento leccese.
Mi hanno detto che allo stato non esitono evidenze scientifiche né per l’una né per l’altra ipotesi.
Poiché è possibile affermare che se fosse un gene di resistenza a Xylella Fastidiosa subspecie Pauca ceppo ST53 dei vitigni del Salento leccese a determinare l’assenza di infezione si potrebbe effettuare un miglioramento genetico inserendo detto gene in olivo io mi sento di affermare che tale ricerca andrebbe iniziata al più presto.

Antonio Bruno

mercoledì 8 novembre 2017

Il Santolivo Sabato 18 novembre 2017 Mostra fotografica



Non solo un albero ma il simbolo di una terra, della sua storia, della sua cultura. Lo spettacolo dei cantieri Koreja, Il Santolivo. Requiem per un albero,è un progetto di teatro partecipato che coinvolge la comunità nel processo creativo e nell'indagine storico antropologica su un tema importante: l'albero simbolo della vita è morto e si celebra il suo funerale. Una serie di interviste agli anziani contadini e a chi cerca di salvare l'ulivo dalla morte diventano materiale artistico con la musica della banda, le danze rituali, i musicisti e i cantanti del luogo. A dirigere le varie anime di questo corteo nato da un'idea di Salvatore Tramacere, direttore di Koreja, Anna Stigsgaard, regista danese.

Le foto che seguono sono di Daniele Coricciati