martedì 24 dicembre 2019

Sulla Nuova Riforma Agraria (conversando con Alfonso Pascale)

𝐀𝐠𝐫𝐢𝐜𝐨𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐒𝐚𝐥𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐋𝐞𝐜𝐜𝐞𝐬𝐞 𝐞𝐫𝐨𝐠𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐟𝐢𝐧𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐨 𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐢𝐦𝐩𝐫𝐞𝐧𝐝𝐢𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐚𝐠𝐫𝐢𝐜𝐨𝐥𝐢 𝐨𝐩𝐩𝐮𝐫𝐞 𝐚 𝐮𝐧 𝐄𝐧𝐭𝐞 𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐨 𝐨 𝐝𝐢 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐨?

Agricoltura del Salento Leccese erogare il finanziamento pubblico agli imprenditori agricoli oppure a un Ente pubblico o di diritto pubblico?
Alfonso Pascale ha scritto:
Grazie a te. La riforma agraria del 1950 si fece espropriando le proprietà superiori ai 300 ettari (2.800 proprietari su 700mila ettari). 30 anni dopo dei 120 mila intestatari di poderi e quote superarono il deserto dal bracciantato alla proprietà contadina in 80 mila. La riforma che tu proponi non prevede l'esproprio ma l'associazionismo obbligatorio di medi proprietari assenteisti e di piccoli proprietari di fazzoletti di terra anziani. Quanti sono i primi e quanti gli altri? Ci vuole un incentivo perché queste famiglie accettino di buon grado la perdita di fatto della disponibilità del bene. Bisognerebbe individuarlo e calcolarne il costo. Poi bisogna capire se il consorzio avrà la capacità imprenditoriale di gestire economicamente la grande azienda che si verrebbe a costituire. Altrimenti anche il consorzio prima o poi lascerà incolte queste terre.
Penso che la soluzione migliore potrebbe, invece, essere quella di reinventare, in forma moderna, i contratti agrari associativi per fare in modo che si possano individuare convenienze reciproche tra imprenditori agricoli multifunzionali e proprietari che non sono disponibili a disfarsi del bene. Oggi l'ordinamento consente solo le reti tra imprese, mentre sono necessarie reti di imprenditori agricoli e di proprietari non imprenditori agricoli. Ci vuole, contestualmente, una nuova PAC che incentivi le attività di manutenzione del paesaggio per rendere conveniente le aggregazioni e far sì che le attività siano svolte con competenza e professionalità.
Antonio Bruno ha scritto:
Caro Alfonso Pascale, quello che tu proponi è ciò che già si fa da decine di anni. L'abbandono, è mia opinione, sia il risultato di questa impostazione oltre che conseguenza della frustrazione degli imprenditori rimasti, costretti a trasformarsi in commercianti perché, come dice il mio amico Donato Caroppo, "OGGI TUTTI VOGLIONO VENDERE E NESSUNO VUOLE PIU' PRODURRE". Il punto di partenza per una nuova "Riforma Fondiaria" è la consapevolezza che il Paesaggio rurale è produttore di Servizi ecosistemici per tutta la collettività e che la globalizzazione, per i noti costi di produzione mondiali, rende non concorrenziale e fuori mercato la produzione di cibo in Italia ad eccezione di brand di nicchia che, ad oggi, sono detenuti da grandi Imprese di Trasformazione. Inoltre gli addetti al settore hanno fatto collocare i loro figli in settori diversi da quello primario ottenendo che oggi, ad occuparsi del Paesaggio rurale, fossero ancora loro che oramai hanno 80 anni e che potranno continuare a occuparsene per uno o due altri lustri, per poi spiaggiare in un abbandono del Paesaggio rurale senza alternative. Né il sostegno economico degli ultimi decenni ha prodotto occupazione in agricoltura, perché gli IAP non investono più, per l'impossibilità di una concorrenza con i Paesi dell'Africa Mediterranea che li vede disperatamente soccombenti oltre che non attrezzati culturalmente per la creazione di grandissime società multinazionali che potrebbero, a quel punto, affrontare la concorrenza mondiale. Ma tutto questo non tiene comunque conto del riscaldamento globale e della necessità di produrre cibo senza sottrarre altri territori alle foreste. Non mi diffondo in questo tema perché a noi noto. La mia proposta di Consorzio Obbligatorio Ente di diritto pubblico economico che desidero sia oggetto di conversazione per un progetto Comune, potrebbe avere l'alternativa di un vero e proprio Ente gestito direttamente dall'Ente Pubblico. Prendendo atto che le politiche della Pac non hanno avuto effetto per le ragioni esposte per ovviare all'abbandono, non resta che la gestione diretta attraverso Enti pubblici o di diritto pubblico economico. Osservo inoltre che se gli IAP non hanno aumentato gli occupati nel settore primario, questa soluzione avrebbe come conseguenza un aumento dell'occupazione. Giustissima invece nel tuo ragionamento l'obiezione che fai sulla circostanza che, l'Operatore Agricolo, che sia lo IAP oppure l'Ente Pubblico o di diritto pubblico economico, una volta che si confronti con il mercato avrebbe le stesse identiche difficoltà che hanno gli IAP oggi. Ciò succederebbe sicuramente se continuassimo a considerare il cibo come COMMODITIES. La mia proposta parte da quella discussione che facemmo nel Parlamentino del Ministero con la Fidaf che proponeva di considerare il cibo come DIRITTO e quindi di prevedere ad affiancare alla produzione una logistica per la sua distribuzione ai cittadini italiani. Con questa impostazione di programmazione economica, unitamente ai servizi ecosistemici, il Paesaggio rurale entrerebbe a piano titolo nei BENI COMUNI e, di conseguenza, come per i beni culturali la sua tutela e salvaguardia entra tra i compiti dello Stato. Questa la mia proposta.
Alfonso Pascale ha scritto:
Antonio Bruno, non è vero che quello da me proposto già si fa. I contratti associativi sono stati aboliti nel 1982 e non sono più stati ripristinati. E la Pac finanzia la rendita e non le attività di manutenzione del territorio.
Antonio Bruno ha scitto:
Scusami Alfonso ma i contratti di mezzadria e quelli di colonia parziaria dovrebbero vedere l'interesse da parte dei nostri giovani. Mi spiace doverlo rilevare ma sarebbe preferibile un contratto di lavoro subordinato a questa soluzione per favorire l'ingresso di personale che non proviene dal Mondo agricolo. La mia opinione deriva dalla circostanza che già ti ho riferito che i figli di questi 80enni non hanno alcun interesse a tali contratti e, meno che mai hanno interesse gli IAP che, anche loro in maggioranza, preferirebbero transitare nel lavoro dipendente.
Alfonso Pascale ha scritto:
Allora significa che non ho capito la tua proposta. Tu ipotizzi un'agricoltura senza più imprese e senza più attività produttive se non di autoconsumo. Prevedi per ogni provincia un consorzio obbligatorio - ente pubblico a cui devono aderire tutti i proprietari per tutta la superficie agricola. Il consorzio deve pagare uno stipendio a tutti i proprietari e deve provvedere alla manutenzione del paesaggio. È così?
Antonio Bruno ha scritto:
Alfonso Pascale anche così. Tale opportunità può essere perseguita solo da chi non riesce più a condurre la sua azienda. La mia proposta nasce dalla presa d’atto delle circostanze che vedono le motivazioni nell’abbandono o la mancanza di sostenibilità ambientale ed economica. Invece per chi comunque desideri continuare nell’attività imprenditoriale potrà farlo.
Alfonso Pascale ha scritto:
Alfonso Pascale Antonio Bruno sono convinto che a quel punto nessuno più sceglierà di fare l'imprenditore agricolo. Perché dovrebbe farlo? Gli aiuti diretti della Pac in questi 25 anni hanno già demotivato ampiamente gli agricoltori deprimendo le loro capacità imprenditoriali. Se si offre loro di diventare dipendenti pubblici, sceglieranno questa strada. Non capisco però dove il pubblico troverà le risorse per finanziare tale sistema.
Antonio Bruno ha scritto:
Carissimo Alfonso, la mia proposta è che i servizi ecosistemici resi dal Paesaggio rurale, siccome danno luogo a un beneficio a tutti i cittadini debbano essere oggetto di un contributo da parte degli stessi da versare o alla fiscalità generale o attraverso l’emissione, da parte del Consorzio o Ente, di appositi ruoli a carico degli abitanti del territorio in funzione dei benefici ricevuti per abitante. Tali servizi, come noto dalla letteratura scientifica, sono calcolabili dall’Ente o Consorzio. Inoltre il paesaggio rurale fornisce le commodities necessarie per l’alimentazione dei cittadini, la qual cosa viene garantita dalla produzione e dalla logistica per la distribuzione.
Il personale del Consorzio obbligatorio o dell’Ente pubblico gestore del Paesaggio rurale, sarà remunerato attraverso le provviste rivenienti dalle rimesse provenienti dalla fiscalità generale o dall’incasso di appositi ruoli da parte dell’Ente la cui somma è determinata attraverso il calcolo del ristoro per i servizi ecosistemici e per il riparto delle spese necessarie alla produzione e distribuzione della quantità di commodities consegnate.
Si può prendere come modello il Sistema Sanitario Nazionale.
È noto che ci può essere una produzione di prodotti da parte di imprenditori privati che potrebbero essere oggetto di acquisto da parte dei cittadini. Siccome lo Stato, come per l’istruzione, garantisce il diritto al cibo, l’acquisto di questi prodotti dovrà essere a totale carico dei cittadini. Non sottovaluterei la possibilità dei produttori privati di essere presenti nei mercati esteri con il brand Made in Italy che dovrebbe essere interdetto alla produzione pubblica. Inoltre per la funzione sociale degli imprenditori privati che danno lavoro ai cittadini, così come accade per le scuole private, lo Stato può riconoscere dei contributi a fondo perduto o dei finanziamenti a tasso agevolato.
La mia è una bozza di discussione aperta al contributo di tutti i colleghi. Ripeto tale proposta nasce dalla consapevolezza che gli imprenditori agricoli professionali del territorio del Salento leccese hanno dichiarato di non essere in grado di gestire il paesaggio rurale frammentato e che denunciano quotidianamnte con tuti mezzi a loro disposizione l’insostenibilità economica della loro impresa al punto di preferirle un lavoro subordinato.

venerdì 13 dicembre 2019

Sulle strade del tesoro dei poveri 'Ma io vivo grazie a quelle foglie'


LIZZANELLO - Primavera, è tempo di piantare. In oltre cinquanta comuni del Salento, terre predilette, ricche, fertili, profonde e fresche, i coltivatori di tabacco s' affidano al cielo e ai mercati monetari. Da tre anni piantano e producono, da tre anni il prodotto è là, in grandi balle, una sull' altra. Colpa della crisi del rublo più che delle campagne contro il fumo tipo «il tabacco nuoce alla salute». Andate a spiegarlo ai contadini leccesi, che con le foglie di tabacco vendute hanno fatto i figli medici o professionisti, andate a dire loro che il tabacco è un attentato alla salute. Di tabacco ci vivono e per loro questa crisi internazionale che blocca le balle di prodotto nei magazzini cosa buona certo non è. Che fare allora? La vita in campagna è fatta di cicli. E allora si va avanti a denti stretti, fiduciosi che il buio passerà. «Io le mie piantine pronte ce l' ho già, sono belle, sono alte così», dice, allargando indice e pollice, la «vice maestra» Cesarea Conte di San Donato, dove Conte è il cognome, San Donato è il paese di provenienza e "vice maestra" non vuol dire altro che vice capooperaia. Capelli imbiondati, rossetto rubino e modi gentili, accogliendomi all' ingresso dello stabilimento della cooperativa Cometa, sulla circonvallazione di Lizzanello, a pochi chilometri da Lecce dopo Cavallino, Cesarea trasmette subito le preoccupazioni delle tante ragazze impegnate nella lavorazione delle foglie di tabacco. «Qui siamo al Sud, siamo in Puglia», dice una di loro, «se ci viene a mancare questo reddito che potremo fare?». Scorrono nei ricordi decenni di sudori e di speranze. Parlano le donne di Martignano, di Lugugnano, di Cavallino, dei paesini della Grecìa, di tanti e tanti altri piccoli centri del Salento a Sud e a Nord di Lecce, donne dai volti rugosi e ragazze dai visi solari, donne di ieri e donne di oggi, e raccontano di cento e cento giornate passate nei campi, tra piante e piantine di tabacco, rincalzando, concimando, irrigando, vedendole crescere sotto il sole abbacinante del Sud, seguendo giorno dopo giorno la maturazione delle foglie, fino a quando non appaiono quelle macchie giallo e rosse e poi vengono staccate una a una, con amore, con destrezza, con passione e vengono appese in ogni angolo della casa a fili di zinco paralleli tirati da un capo all' altro delle stanze per farle essiccare prima di conferirle alla cooperativa. «E' una vita che io e le mie compagne facciamo questo lavoro come un rito», afferma Cesarea, «ma se mai la cooperativa chiudesse cos' altro potremmo fare?». In attesa della nuova stagione, Cesarea cura le sue piantine, aspetta i giorni per trapiantarle e farle crescere nel suo campo, ma sta attenta anche alla congiuntura internazionale, alle turbolenze nell' Est europeo dove finiva il tabacco salentino e, soprattutto, alla snervante crisi del rublo, che dura da troppo tempo e se prosegue ancora così rischia di cancellare la coltura del tabacco, quella che per cento anni è stata l' economia trainante del Salento (sono stati prodotti fino a 250 mila quintali di tabacco) e adesso potrebbe diventare il suo nodo scorsosio (hai voglia di proporre nuovi marchi e nuovi prodotti come s' impegnano a fare quelli della Camera di Commercio): «Sperando che la situazione migliori e ci ridia speranze», sostiene Cesarea. Via, via sulle strade dei vigneti e degli ulivi secolari dal tronco che misura dieci metri di diametro, vecchi come le mitiche sequoie californiane o i "giganti" del Fallistro, foresta di pini secolari nel cuore della Sila. Il panorama incomincia già a infittirsi di piantagioni di tabacco, verde intenso, foglie larghe. E' un tesoro a cui, al di là delle riserve che si possono avere sull' impiego del tabacco per i rischi accertati che il fumo provoca, la Puglia non può rinunciare. Per questo giovani donne, nella cooperativa di Lizzanello e altrove, continuano a lavorare con l' impegno di sempre. «Ci sono tra 40 e 50 mila persone che traggono un reddito dalla coltivazione e dalla lavorazione del tabacco, si tratta di un giro di affari di cento miliardi», avverte il ragionier Antonio Zecca, preoccupato per il silenzio dei compratori. Entriamo nei capannoni della Cometa, dove un odore dolciastro, stagnante e umido impregna l' aria. Quattrocento soci in oltre cinquanta comuni inviano qui il loro prodotto e qui trovano occupazione, a turno, quasi trecento lavoratori stagionali. Mani giovani e già esperte scompigliano i ballotti consegnati dai produttori e fanno, separando le foglie, una prima classificazione del prodotto. la cernita è essenziale, il prodotto deve essere uniforme. Un tempo l' ex monopolio tabacchi comprava le foglie di "serie A", oggi non compra nulla. Un tempo le multinazionali del tabacco erano qui a chiedere e comprare, oggi si sono defilate. Un tempo c' erano i mercati dell' est che il tabacco "Salento" lo compravano a scatola chiusa. Fino a quando il rublo non è diventato carta straccia e questo tabacco da tre anni viene immagazzinato. «Crisi passeggera, crisi temporanea», spiega Maurizio Marati, amministratore delegato della Cometa, «crisi temporanea che se non affrontata rischia di travolgerci». E' un lavoro monotono, lento, ripetitivo, quello delle tabacchine, come le chiamano da queste parti. Ma ci vogliono grandi capacità. Cesarea e le altre lo fanno da anni, occhio attento, mani veloci. Selezionano, miscelano, portano all' essiccazione, confezionano nuove balle che vengono sistemate in stanze "blindate", dove stufe che alzano la temperatura a 40 - 50 gradi assicurano la conservazione del prodotto, ormai privo di funghi e di parassiti vari. Ma i magazzini sono stracolmi, non c' è più posto per stoccare il prodotto nuovo. «Guardi, non c' è più spazio», fa vedere il ragionier Antonio Zecca. «siamo in affanno. Se non svuotiamo, se non vendiamo, il prossimo raccolto andrà in malora». Cesarea e le altre sanno poco di Philips Morris che condiziona i mercati, di Ente Tabacchi che preferisce acquistare all' estero, di rublo calante, di riconversione produttiva di cui qualcuno parla, di paradossi dell' Unione Europea che finanzia le campagne contro il fumo e contemporaneamente fornisce aiuti sostanziosi, come integrazione al reddito, ai coltivatori di tabacco. Sanno però che la crisi, se qualcuno non interviene, potrebbe cancellare il loro presente e annebbiare il loro futuro.

PANTALEONE SERGI
24 marzo 2001 

Fonte: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2001/03/24/sulle-strade-del-tesoro-dei-poveri-ma.html