venerdì 25 settembre 2015

Ortofarmacia, il cibo che cura i sani


Ortofarmacia, il cibo che cura i sani
Venerdì 25 settembre 2015 Palazzo Ducale di San Cesario, Aula Consiliare. La sala gremita e alle 19 e 40 abbiamo dato inizio ai lavori. Un record perché nel Salento c’è la consuetudine dell’orario, del cominciare verso le 19 e 30 che in genere significa un’ora dopo, ma qui non è stato così infrangendo questo primo luogo comune. E di luoghi comuni se ne sono infranti tantissimi eri sera nella Sala Consiliare del Comune di San Cesario di Lecce che fa parte dello splendido Palazzo Ducale che domina la piazza principale del paese.
Sinergie è un Associazione che ha scelto di farsi guidare dalle donne eleggendo a Presidente Luisella Micella, a Vice Presidente Patrizia Apos e a Segretaria Emiliana Mariano e che quindi ha scelto di mettere in campo iniziative pratiche che servano anche a dare una direzione allo sviluppo del Paese più bello del Mondo.
Io e il mio amico Andrea Del Buono, il medico che ha parlato per primo alle Jene di cibo sano, naturale che doveva essere prodotto senza utilizzare prodotti chimici eravamo stati invitati dal Dott. Giuseppe Calabrese ad un importante Convegno organizzato dal CENTRO DI MEDICINA NUCLEARE CALABRESE - Diagnostica ad elevata tecnologia con PET/CT e gamma camera avente per tela “PET/CT NELLA PRATICA CLINICA” che si terrà oggi 26 settembre 2015 nel Chiostro dei Domenicani a Lecce.



Evento è stato accreditato con n. 9 Crediti ECM per medici e infermieri. La partecipazione al Convegno è limitata a n. 100 partecipanti tra medici (specializzati in Anatomia Patologica, Chirurgia Generale, Chirurgia Toracica, Continuità Assistenziale, Cure Palliative, Farmacologia e Tossicologia Clinica, Geriatria, Medicina Generale, Medicina Interna, Medicina Nucleare, Neurologia, Neuroradiologia, Oncologia, Ortopedia e Traumatologia, Otorinolaringoiatria, Patologia Clinica, Radiodiagnostica, Radioterapia, Urologia), e tecnici di radiologia.
Proprio questa limitata possibilità di partecipare ha imposto a me di proporre all’Associazione “Sinergie” di San Cesario di Lecce di organizzare il giorno prima un seminario nel mio paese, che come tutti sanno io ho sempre definito “il paese più bello del mondo”.
Ringrazio il Sindaco Andrea Romano​ e la Pubblica Amministrazione di San Cesario di Lecce di aver concesso a “Sinergie” la Sala Consiliare, nonostante nella stessa data avesse già programmato un altro importante evento. Purtroppo io non potevo spostare la data perché Andrea Del Buono deve essere a Bologna per domani domenica 27 e quindi avevo questa unica possibilità di far arrivare a quanta più gente possibile le importanti informazioni.

Grazie a Luisella Micella, Patrizia Apos, Antonio Pagano e Antonio Bascià per l’organizzazione dell’evento che assicuro senza la loro azione non sarebbe stato possibile allestire.
Infine ringrazio tutti gli intervenuti e i Relatori che dalle 19 e 45 alle 22 e 10 hanno relazionato e rispsoto alle numerose domande che sono state stimolate dalle relazioni. Ringrazio Saul De Jaco che ha curato in modo impeccabile la comunicazione.
Noi dell’Associazione “Sinergie” crediamo che ognuno di noi, nel suo piccolo, deve fare del suo meglio per fare crescere il nostro territorio e il paese più bello del mondo in particolare.
Noi lo facciamo per la gioia di farlo, sicuri che nessuno è il tenutario delle informazioni che sono state elaborate solo grazie ad altre informazioni messe a disposizione da altri. Noi le informazioni sul cibo le abbiamo avute e trasmesse, adesso facciamo un passo avanti con il Comitato “Verso l’Ortofarmacia” che è composto da aziende che vogliono produrre cibo che cura i sani, è la prossima sfida e noi la raccogliamo assicurando tutti che, come sempre, faremo del nostro meglio.

Antonio Bruno

venerdì 18 settembre 2015

Gli Agronomi indicano le linee guida per la progettazione di cibo dei prossimi anni. Approvata la Carta mondiale



Gli Agronomi indicano le linee guida per la progettazione di cibo dei prossimi anni. Approvata la Carta mondiale

Le proposte degli agronomi
Città come luoghi dove si produce cibo Il futuro dell'agricoltura sarà sempre più tecnologico, quello delle città sempre più 'green'. Ed Expo è un modello per le città di domani. Per questo proponiamo, ed Expo ci ha dimostrato che è possibile, di organizzare la produzione di cibo nei centri urbani e nelle periferie: fattorie verticali, orti, biotopi urbani resilienti e flussi veicolari ad energia pulita possono rappresentare una risposta concreta al tema del nutrimento del Pianeta.
Biodiversità La sostenibilità delle scelte del futuro necessitano di un investimento concreto sulla conservazione della biodiversità delle specie agricole coltivate. Ogni miglioramento sull’utilizzo del patrimonio genetico deve essere sviluppato in aziende agricole agro bio diverse. Un percorso che potrà concretizzarsi ed essere sviluppato soprattutto con la riqualificazione delle città delle aree degradate in ambiti urbani senza identità.
Sicurezza alimentare L’educazione alimentare diventi una materia obbligatoria nelle scuole e nei percorsi formativi a livello di comunicazione del sapere sugli alimenti. Devono essere creati centri di informazione nei luoghi del consumo in modo da garantire indipendenza e trasparenza al cittadino consumatore.
I dieci principi fissati dal documento

Numero 1
Per il cibo e la salute L’agronomo, in qualità di progettista del cibo, assicura l’ottimizzazione dei processi produttivi lungo tutta la filiera agroalimentare, difendendo i principi di un’alimentazione sana e nutriente, che soddisfi le necessità alimentari globali riducendo gli scarti e garantisca la salubrità delle produzioni e la salute ed il benessere del consumatore.
Numero 2
Per la sostenibilità L’agronomo nello svolgimento della propria attività deve applicare azioni che non depauperano le risorse del pianeta in modo da garantire i bisogni del presente senza compromettere la possibilità di soddisfare quelli delle generazioni future.
Numero 3
Per la biodiversità L’agronomo assicura la custodia della biodiversità; si impegna a sviluppare e tramandare la diversità genetica per il cibo e per l’agricoltura e garantisce per le generazioni future “la variabilità fra tutti gli organismi viventi, inclusi, ovviamente, quelli del sottosuolo, dell’aria, gli ecosistemi acquatici, terrestri e marini ed i complessi ecologici dei quali fanno parte” (CBD, Rio de Janeiro, 1992).
Numero 4
Per il suolo L’agronomo assicura la protezione e la gestione sostenibile del suolo e la conservazione delle sue capacità di svolgere funzioni o servizi economici, ambientali, sociali e culturali.
Numero 5
Per il paesaggio L’agronomo salvaguarda il valore “territorio-cultura” come frutto della sedimentazione di fattori storici, sociali ed istituzionali del contesto locale e promuove la valorizzare delle identità locali tramite la conservazione del territorio rurale e delle sue tradizioni.
Numero 6
Uso sociale della genetica L’agronomo utilizza le tecniche di miglioramento genetico per finalità coerenti e migliorative delle condizioni ambientali e socio-culturali delle popolazioni del pianeta senza favorire situazioni di colonialismo economico nei confronti delle popolazioni più deboli delle aree in ritardo di sviluppo.
Numero 7
Uso sociale della tecnologia L’agronomo assicura che l’utilizzo della tecnologia e delle pratiche innovative non costituisca asimmetria informativa tale da essere utilizzata a fini economici per la prevaricazione di soggetti più deboli e per ridurre la capacità di esercitare i loro diritti fondamentali.
Numero 8
Indipendenza intellettuale ed autonomia professionale L’agronomo nell’esercizio della professione, escludendo ogni vincolo o limitazione, assicura le migliori condizioni per valorizzare la componente intellettuale che caratterizza la sua opera. Ha il dovere di conservare la propria autonomia di giudizio, tecnica e intellettuale, e di difenderla da condizionamenti esterni di qualunque natura.
Numero 9
Per la sapienza L’agronomo riconosce il dovere di formarsi ed aggiornarsi costantemente al fine di garantire un elevato livello qualitativo alla propria attività, nel pubblico interesse del corretto esercizio della professione e della propria dignità professionale.
Numero 10
Spirito di colleganza L’agronomo assicura nel riconoscere la comune identità professionale assicura la solidarietà fra i colleghi di tutto il mondo, promuovendo collaborazione fra agronomi e mutuo soccorso, non solo dal punto di vista professionale ma anche sociale e familiare.

martedì 8 settembre 2015

Asprinio - Malvasia nera di Lecce - Negroamaro - Biotipo a grappolo spargolo

L'agro-biodiversità è patrimonio prezioso del nostro territorio, minacciato dalla spinta omologante della specializzazione colturale. 
Da uno dei vigneti più longevi di San Cassiano in provincia di Lecce, varietà e biotipi viticoli a rischio di scomparsa.

Asprinio
Il vitigno Asprinio
Il vitigno Asprinio, noto anche col nome di Ragusano, è diffuso inCampania, soprattutto nel Casertano e nel Napoletano. Le sue antichissime origini lo identificano come autoctono di questa zona: sembra infatti che derivi da antichi vitigni selvatici addomesticati dagli Etruschi, ed anche l'antico sistema di allevamento, ad alberata viva con viti maritate ad olmi o pioppi, sembra derivare da quei tempi antichi. La sua caratteristica di essere stato coltivato soprattutto in terreni sabbiosi lo ha protetto in parte dall'azione della fillossera e spesso ancor oggi si trovano coltivazioni di Aprinio allevate su piede franco. La sua spiccata acidità lo rende adatto alla spumantizzazione. Questo vitigno è alla base per la produzione del vino Asprinio di Aversa DOC.
Fonte: http://www.quattrocalici.it/vitigni/asprinio

Malvasia nera di Lecce
Il vitigno Malvasia nera di Lecce
Il vitigno Malvasia nera di Lecce Il vitigno come le altre Malvasie a bacca nera, appartiene a quella famiglia di vitigni Il cui nome "Malvasia" deriva da una variazione contratta di Monembasia, roccaforte bizantina abbarbicata sulle rocce di un promontorio posto a sud del Peloponneso, dove si producevano vini dolci che furono poi esportati in tutta Europa dai Veneziani con il nome di Monemvasia. Il vino fatto con questa varietà era divenuto estremamente popolare, tanto che Venezia pullulava di osterie, chiamate Malvase, consacrate al suo consumo.
Nonostante la Malvasia nera di Lecce e la Malvasia nera di Brindisi siano iscritte nel Registro Nazionale delle Varietà con due codici differenti, recenti studi sembrano dimostrare una perfetta identità tra i due vitigni. Tuttavia, a differenza della Malvasia nera di Brindisi che si contraddistingue per un tono leggermente aromatico, la Malvasia nera di Lecce non presenta mai note aromatiche.
Fonte: http://www.quattrocalici.it/vitigni/malvasia-nera-di-lecce

Negroamaro - Biotipo a grappolo spargolo
Con il Primitivo e il Nero di Troia completa il trittico degli autoctoni pugliesi più conosciuti ed esportati. La data certa della coltivazione di questo vitigno, concentrata prevalentemente nel Salento, non è nota. Si tratta di uno dei vitigni più antichi d'Italia poiché gli si attribuisce un'origine greca risalente alla colonizzazione ellenica avvenuta tra l'VIII e il VII secolo a.C.
Il suo attuale nome probabilmente deriva dalla combinazione del termine latino “niger” e greco “mavros” che significano entrambi nero, quindi Negroamaro come nero-nero per via del colore scuro delle uve. Caratterizzato da una forma tronco-conica, il grappolo, compatto, semplice e corto, presenta acini di media dimensione, con buccia pruinosa spessa e consistente di colore nero-violaceo. 
Il Negroamaro ha una maturazione mediamente tardiva, a tal proposito è doveroso citare la scoperta, avvenuta nel 1994 da parte dei ricercatori dell'Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano, di un ceppo che presentava un evidente anticipo dell'invaiatura e della maturazione rispetto agli altri. I risultati delle analisi confermarono che il biotipo individuato presentava caratteristiche tipiche del Negroamaro ma possedeva una precocità di maturazione talmente marcata (di circa 20 giorni) da influenzare in modo decisivo anche la componente chimica dell'uva.
Tale diversità di comportamento di questo ceppo ne consentì l'iscrizione al registro Nazionale delle Varietà come vitigno autonomo con il nome di Negroamaro Precoce o Cannellino. Al di là delle differenti tipologie, il Negroamaro ha una naturale resistenza alle principali malattie e bucce ricche di polifenoli come il resveratrolo e antociani peraltro molto stabili dal momento che la sola malvina rappresenta il 38% del totale.
Altra caratteristica molto importante è che il Negroamaro resiste molto bene al calore e non perde facilmente la propria acidità, motivo per il quale diversi produttori di regioni calde di tutto il mondo si interessano sempre di più a questa varietà. Previsto nei disciplinari di quasi la metà delle Dop pugliesi, è da sempre stato utilizzato, oltre che per la produzione di grandi rossi, giovani o da invecchiamento, anche per una peculiare versione di rosati dal carattere deciso e dagli abbinamenti intriganti. Da non dimenticare, poi, che il primo vino rosato imbottigliato in Italia (nel 1943) è stato ottenuto proprio dalle uve di Negroamaro.
Fonte: http://www.vinidipuglia.com/index.php/it/major-grapes

Foto del Dottore Agronomo Fabio Lazzari


venerdì 4 settembre 2015

COSA BISOGNA FARE DA SETTEMBRE, PER COMBATTERE XYLELLA FASTIDIOSA


Nonostante i primi interventi messi in campo, non siamo ancora fuori dallo stato di emergenza Xylella: è importante da questo momento in poi un maggior rigore, che istituzioni e cittadini agiscano insieme e con energia nel realizzare le azioni necessarie a salvaguardare e proteggere le aree del territorio pugliese e delle piante non ancora infette, (in particolare di ulivo) e al contempo per contrastare e ridurre la diffusione del batterio infestante nelle zone colpite. Solo uno sforzo unitario di cittadini e istituzioni, può darci la speranza di porre rimedio a questa condizione a dir poco critica della nostra regione.
L’emergenza Xylella prevede interventi differenziati a seconda delle tre aree identificate: “zona infetta”, “zona cuscinetto” e “zona di sorveglianza”. Qui ci concentreremo sulla “zona infetta”, quella in cui l’emergenza Xylella richiede i maggiori interventi e i maggiori sforzi di tutti.
La “zona infetta” della Puglia direttamente colpita dal batterio, riguarda tutti i Comuni della Provincia di Lecce, più Oria e Francavilla Fontana (della Provincia di Brindisi).
TRA SETTEMBRE E DICEMBRE, devono essere obbligatoriamente eseguiti tutti gli interventi previsti dalle “Norme eco-sostenibili per la difesa fitosanitaria” emanate dalla Regione Puglia. Il Servizio fitosanitario della Regione Puglia, definisce “modalità operative” e quali “sostanze attive” utilizzare, ovvero quelle che presentano un grado di attività contro gli insetti vettori di Xylella fastidiosa e per le quali deve essere verificata la registrazione d’uso.
(Leggi o scarica il documento sulle “Norme eco-sostenibili per la difesa fitosanitaria”: http://www.regione.puglia.it/…/aggiornamento2015_norme_dife…
Per avere anche un quadro generale sugli interventi da adottare, leggi o scarica “Le linee-guida per il contenimento della diffusione di Xylella fastidiosa”: http://cartografia.sit.puglia.it/…/LINEEGUIDA_XYLELLAE_CoDi…)
1. Nella “zona infetta” è vietato l’impianto di “piante ospiti” (Acacia saligna Labill, Wendl., Catharanthus, Myrtus communis L., Nerium oleander L., Olea europaea L., Polygala myrtifolia L., Prunus avium L., Prunus dulcis Mill. D.A. Webb, Rhamnus alaternus L., Rosmarinus officinalis L., Spartium junceum L., Vinca, Westringia fruticosa Willd. Druce), salvo per i siti che sono protetti fisicamente contro l’introduzione dell’organismo specificato da parte dei suoi vettori.
2. Solo il Servizio fitosanitario centrale, autorizza l’impianto di “piante ospiti” nelle zone infette, in applicazione del Titolo X del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 214.
(Art. 7 - Decreto MIPAAF GU 148 290615)
3. È vietato lo spostamento all’interno dell’Unione Europea delle “piante specificate”, (vedi elenco: http://www.ilpuntocoldiretti.it/…/Florovivaismo,beneilraffo…) che sono state coltivate per almeno parte del loro ciclo di vita in una zona delimitata (stabilita ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 214).
Tali spostamenti possono avere luogo se le piante specificate sono state coltivate in un sito in cui sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a. è registrato in conformità alla direttiva 92/90/CEE;
b. è autorizzato dal Servizio fitosanitario regionale come sito indenne dall’organismo specificato (Xylella fastidiosa) e dai suoi vettori in conformità alle pertinenti norme internazionali per le misure fitosanitarie;
c. è dotato di protezione fisica contro l’introduzione “dell’organismo specificato” da parte dei suoi vettori;
d. è circondato da una zona larga 200 metri la quale, in seguito ad ispezione visiva ufficiale e, in caso di presenza sospetta dell’organismo specificato, in seguito a campionamento e analisi, è risultata indenne dall’organismo specificato ed è soggetta ad adeguati trattamenti fitosanitari contro i vettori dell’organismo specificato; detti trattamenti possono comprendere, se del caso, la rimozione delle piante;
e. è soggetto agli adeguati trattamenti fitosanitari per mantenerlo indenne dai vettori dell’organismo specificato; detti trattamenti possono comprendere, se del caso, la rimozione delle piante;
f. è sottoposto annualmente, unitamente alla zona di cui alla lettera d), ad almeno due ispezioni ufficiali effettuate in periodi opportuni;
g. per tutto il periodo di crescita delle piante specificate né sintomi dell’organismo specificato, né suoi vettori sono stati riscontrati nel sito o, se sono stati osservati sintomi sospetti, le analisi effettuate hanno confermato l’assenza dell’organismo specificato;
h. per tutto il periodo di crescita delle piante specificate non sono stati riscontrati sintomi dell’organismo specificato nella zona di cui alla lettera d) o, se sono stati osservati sintomi sospetti, le analisi effettuate hanno confermato l’assenza dell’organismo specificato.
(Art. 12 - Decreto MIPAF GU 148 290615)
4. Gli impianti di olivo devono essere condotti nel rispetto delle buone pratiche agricole ed essere sottoposti a periodici interventi di potatura, al fine di favorire un maggiore arieggiamento della pianta e migliorarne lo stato vegetativo.
Gli interventi sono differenziati a seconda della situazione fitosanitaria riscontrata:
a. “negli oliveti asintomatici”, gli interventi di potatura devono essere effettuati ogni 2 anni
b. “negli oliveti con sintomi iniziali di infezione”, gli interventi di potatura devono essere eseguiti tempestivamente e mirati all’eliminazione delle parti visibilmente infette
c. “negli oliveti infetti”, le piante gravemente compromesse devono essere estirpate.
5. Ai trasgressori delle disposizioni elencate, si applicano le sanzioni amministrative previste dall’articolo 54 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 214.
Bisogna agire tempestivamente ed efficacemente per il bene di tutti.

Milena Mastria Dottore Agronomo Complimenti vivissimi !!!!!!



L'olivicoltura italiana è morta. (Angelo Frascarelli - Università di Perugia)


OPINIONE o 
di Angelo Frascarelli Università di Perugia 
Olivicoltura italiana all'anno zero 
olivicoltura italiana è morta. Gli assassini sono tre: la Pac, la scarsa imprenditorialità degli olivicoltori e gli ideologi della tradizione e della qualità. Ci vorranno 20 anni per recuperare. La Xylella è una sventura che, però, è l'occasione per riconoscere gli errori e iniziare un percorso di resurrezione. Perché l'olivicoltura è morta? Il motivo è semplice: la redditività è negativa per la quasi totalità degli olivicoltori. Molti oliveti sono abbandonati o coltivati con la pratica colturale minima per il rispetto della condizionalità, prevista dalla Pac. Molti oliveti sono gestiti da pensionati od olivicoltori part time, prevalentemente per l'autoconsumo. Alcuni oliveti sono mantenuti per finalità paesaggistiche o per contribuire all'immagine dell'azienda, come nel caso di aziende agrituristiche o vitivinicole, ma non danno reddito. L'olivicoltura professionale è limitata a pochissimi casi: aziende con frantoi che integrano la trasformazione contoterzi, aziende che fanno la vendita diretta e che hanno meccanizzato la gestione dell'oliveto. Senza redditività non c'è futuro. L'unica remunerazione sono i pagamenti della Pac — spesso troppo elevati — e molti olivicoltori hanno puntato alla «caccia dei sussidi» più che al prodotto. La produzione di olio di oliva è nettamente bassa rispetto al potenziale olivicolo e continua a diminuire. 
L'INNOVAZIONE à VITALE Perché questa débàcle? Nell'olivicoltura sono mancate l'imprenditorialità e l'innovazione, mentre è prevalsa l'ideologia della qualità e della tradizione. Per troppi anni si è parlato solo di qualità in modo dottrinale, svincolato dal concetto economico di qualità, che è soddisfazione del cliente. I risultati economici del miglioramento qualitativo sono totalmente inadeguati. Sono serviti solo ad 
arricchire qualche esperto di panel test. Altro approccio ideologico è quello della tradizione. Gli oliveti sono protetti da assurdi vincoli paesaggistici, ostaggio dei burocrati che hanno imbalsamato l'olivicoltura; i vincoli non hanno tutelato gli oliveti, anzi hanno accresciuto l'abbandono. Senza rinnovamento c'è la morte, senza reddito non c'è futuro; i «protettori» degli oliveti secolari sono diventati i guardiani del cimitero. Gli oliveti italiani sono antieconomici, per questo vengono abbandonati. Chi va a potare, se la produzione non copre neanche il costo della potatura? 
BISOGNA RIMBOCCARSI LE MANICHE Inutile illudersi che si possa andare avanti con l'attuale olivicoltura italiana. Allora, che cosa fare? Due scelte. Il Ministero e le Regioni devono individuare 80-100.000 ettari di oliveti secolari e/o paesaggistici, a cui concedere 800-1.000 euro/ha per il mantenimento del paesaggio storico, chiedendo a Bruxelles una nuova misura nei Psr. Gli altri oliveti vanno sostituiti con un'olivicoltura meccanizzata, innovativa, competitiva, di qualità, che contribuisce al paesaggio. L'olivicoltura necessita di innovazione, che in primo luogo significa la ristrutturazione degli oliveti, con una «via italiana» (non spagnola). I ricercatori devono lavorare su cultivar e tecniche adatte alle realtà italiane. Un percorso lungo, purtroppo abbiamo perso 50 anni. Solo così si può dare reddito e gambe a un'olivicoltura di qualità, capace di creare fatturato, occupazione e un bel paesaggio. Utilizziamo i fondi dello sviluppo rurale per questa ristrutturazione, i cui frutti si potranno vedere fra 15-20 anni. Ma almeno cominciamo! Il devastante impatto della Xylella (totalmente sottovalutato dai soliti teorici della qualità e della tradizione) è una tragedia, che almeno ha il merito di costringere a questo percorso. 
30/2015 • L'Informatore Agrario 7