martedì 24 dicembre 2019

Sulla Nuova Riforma Agraria (conversando con Alfonso Pascale)

𝐀𝐠𝐫𝐢𝐜𝐨𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐒𝐚𝐥𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐋𝐞𝐜𝐜𝐞𝐬𝐞 𝐞𝐫𝐨𝐠𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐟𝐢𝐧𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐨 𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐢𝐦𝐩𝐫𝐞𝐧𝐝𝐢𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐚𝐠𝐫𝐢𝐜𝐨𝐥𝐢 𝐨𝐩𝐩𝐮𝐫𝐞 𝐚 𝐮𝐧 𝐄𝐧𝐭𝐞 𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐨 𝐨 𝐝𝐢 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐨?

Agricoltura del Salento Leccese erogare il finanziamento pubblico agli imprenditori agricoli oppure a un Ente pubblico o di diritto pubblico?
Alfonso Pascale ha scritto:
Grazie a te. La riforma agraria del 1950 si fece espropriando le proprietà superiori ai 300 ettari (2.800 proprietari su 700mila ettari). 30 anni dopo dei 120 mila intestatari di poderi e quote superarono il deserto dal bracciantato alla proprietà contadina in 80 mila. La riforma che tu proponi non prevede l'esproprio ma l'associazionismo obbligatorio di medi proprietari assenteisti e di piccoli proprietari di fazzoletti di terra anziani. Quanti sono i primi e quanti gli altri? Ci vuole un incentivo perché queste famiglie accettino di buon grado la perdita di fatto della disponibilità del bene. Bisognerebbe individuarlo e calcolarne il costo. Poi bisogna capire se il consorzio avrà la capacità imprenditoriale di gestire economicamente la grande azienda che si verrebbe a costituire. Altrimenti anche il consorzio prima o poi lascerà incolte queste terre.
Penso che la soluzione migliore potrebbe, invece, essere quella di reinventare, in forma moderna, i contratti agrari associativi per fare in modo che si possano individuare convenienze reciproche tra imprenditori agricoli multifunzionali e proprietari che non sono disponibili a disfarsi del bene. Oggi l'ordinamento consente solo le reti tra imprese, mentre sono necessarie reti di imprenditori agricoli e di proprietari non imprenditori agricoli. Ci vuole, contestualmente, una nuova PAC che incentivi le attività di manutenzione del paesaggio per rendere conveniente le aggregazioni e far sì che le attività siano svolte con competenza e professionalità.
Antonio Bruno ha scritto:
Caro Alfonso Pascale, quello che tu proponi è ciò che già si fa da decine di anni. L'abbandono, è mia opinione, sia il risultato di questa impostazione oltre che conseguenza della frustrazione degli imprenditori rimasti, costretti a trasformarsi in commercianti perché, come dice il mio amico Donato Caroppo, "OGGI TUTTI VOGLIONO VENDERE E NESSUNO VUOLE PIU' PRODURRE". Il punto di partenza per una nuova "Riforma Fondiaria" è la consapevolezza che il Paesaggio rurale è produttore di Servizi ecosistemici per tutta la collettività e che la globalizzazione, per i noti costi di produzione mondiali, rende non concorrenziale e fuori mercato la produzione di cibo in Italia ad eccezione di brand di nicchia che, ad oggi, sono detenuti da grandi Imprese di Trasformazione. Inoltre gli addetti al settore hanno fatto collocare i loro figli in settori diversi da quello primario ottenendo che oggi, ad occuparsi del Paesaggio rurale, fossero ancora loro che oramai hanno 80 anni e che potranno continuare a occuparsene per uno o due altri lustri, per poi spiaggiare in un abbandono del Paesaggio rurale senza alternative. Né il sostegno economico degli ultimi decenni ha prodotto occupazione in agricoltura, perché gli IAP non investono più, per l'impossibilità di una concorrenza con i Paesi dell'Africa Mediterranea che li vede disperatamente soccombenti oltre che non attrezzati culturalmente per la creazione di grandissime società multinazionali che potrebbero, a quel punto, affrontare la concorrenza mondiale. Ma tutto questo non tiene comunque conto del riscaldamento globale e della necessità di produrre cibo senza sottrarre altri territori alle foreste. Non mi diffondo in questo tema perché a noi noto. La mia proposta di Consorzio Obbligatorio Ente di diritto pubblico economico che desidero sia oggetto di conversazione per un progetto Comune, potrebbe avere l'alternativa di un vero e proprio Ente gestito direttamente dall'Ente Pubblico. Prendendo atto che le politiche della Pac non hanno avuto effetto per le ragioni esposte per ovviare all'abbandono, non resta che la gestione diretta attraverso Enti pubblici o di diritto pubblico economico. Osservo inoltre che se gli IAP non hanno aumentato gli occupati nel settore primario, questa soluzione avrebbe come conseguenza un aumento dell'occupazione. Giustissima invece nel tuo ragionamento l'obiezione che fai sulla circostanza che, l'Operatore Agricolo, che sia lo IAP oppure l'Ente Pubblico o di diritto pubblico economico, una volta che si confronti con il mercato avrebbe le stesse identiche difficoltà che hanno gli IAP oggi. Ciò succederebbe sicuramente se continuassimo a considerare il cibo come COMMODITIES. La mia proposta parte da quella discussione che facemmo nel Parlamentino del Ministero con la Fidaf che proponeva di considerare il cibo come DIRITTO e quindi di prevedere ad affiancare alla produzione una logistica per la sua distribuzione ai cittadini italiani. Con questa impostazione di programmazione economica, unitamente ai servizi ecosistemici, il Paesaggio rurale entrerebbe a piano titolo nei BENI COMUNI e, di conseguenza, come per i beni culturali la sua tutela e salvaguardia entra tra i compiti dello Stato. Questa la mia proposta.
Alfonso Pascale ha scritto:
Antonio Bruno, non è vero che quello da me proposto già si fa. I contratti associativi sono stati aboliti nel 1982 e non sono più stati ripristinati. E la Pac finanzia la rendita e non le attività di manutenzione del territorio.
Antonio Bruno ha scitto:
Scusami Alfonso ma i contratti di mezzadria e quelli di colonia parziaria dovrebbero vedere l'interesse da parte dei nostri giovani. Mi spiace doverlo rilevare ma sarebbe preferibile un contratto di lavoro subordinato a questa soluzione per favorire l'ingresso di personale che non proviene dal Mondo agricolo. La mia opinione deriva dalla circostanza che già ti ho riferito che i figli di questi 80enni non hanno alcun interesse a tali contratti e, meno che mai hanno interesse gli IAP che, anche loro in maggioranza, preferirebbero transitare nel lavoro dipendente.
Alfonso Pascale ha scritto:
Allora significa che non ho capito la tua proposta. Tu ipotizzi un'agricoltura senza più imprese e senza più attività produttive se non di autoconsumo. Prevedi per ogni provincia un consorzio obbligatorio - ente pubblico a cui devono aderire tutti i proprietari per tutta la superficie agricola. Il consorzio deve pagare uno stipendio a tutti i proprietari e deve provvedere alla manutenzione del paesaggio. È così?
Antonio Bruno ha scritto:
Alfonso Pascale anche così. Tale opportunità può essere perseguita solo da chi non riesce più a condurre la sua azienda. La mia proposta nasce dalla presa d’atto delle circostanze che vedono le motivazioni nell’abbandono o la mancanza di sostenibilità ambientale ed economica. Invece per chi comunque desideri continuare nell’attività imprenditoriale potrà farlo.
Alfonso Pascale ha scritto:
Alfonso Pascale Antonio Bruno sono convinto che a quel punto nessuno più sceglierà di fare l'imprenditore agricolo. Perché dovrebbe farlo? Gli aiuti diretti della Pac in questi 25 anni hanno già demotivato ampiamente gli agricoltori deprimendo le loro capacità imprenditoriali. Se si offre loro di diventare dipendenti pubblici, sceglieranno questa strada. Non capisco però dove il pubblico troverà le risorse per finanziare tale sistema.
Antonio Bruno ha scritto:
Carissimo Alfonso, la mia proposta è che i servizi ecosistemici resi dal Paesaggio rurale, siccome danno luogo a un beneficio a tutti i cittadini debbano essere oggetto di un contributo da parte degli stessi da versare o alla fiscalità generale o attraverso l’emissione, da parte del Consorzio o Ente, di appositi ruoli a carico degli abitanti del territorio in funzione dei benefici ricevuti per abitante. Tali servizi, come noto dalla letteratura scientifica, sono calcolabili dall’Ente o Consorzio. Inoltre il paesaggio rurale fornisce le commodities necessarie per l’alimentazione dei cittadini, la qual cosa viene garantita dalla produzione e dalla logistica per la distribuzione.
Il personale del Consorzio obbligatorio o dell’Ente pubblico gestore del Paesaggio rurale, sarà remunerato attraverso le provviste rivenienti dalle rimesse provenienti dalla fiscalità generale o dall’incasso di appositi ruoli da parte dell’Ente la cui somma è determinata attraverso il calcolo del ristoro per i servizi ecosistemici e per il riparto delle spese necessarie alla produzione e distribuzione della quantità di commodities consegnate.
Si può prendere come modello il Sistema Sanitario Nazionale.
È noto che ci può essere una produzione di prodotti da parte di imprenditori privati che potrebbero essere oggetto di acquisto da parte dei cittadini. Siccome lo Stato, come per l’istruzione, garantisce il diritto al cibo, l’acquisto di questi prodotti dovrà essere a totale carico dei cittadini. Non sottovaluterei la possibilità dei produttori privati di essere presenti nei mercati esteri con il brand Made in Italy che dovrebbe essere interdetto alla produzione pubblica. Inoltre per la funzione sociale degli imprenditori privati che danno lavoro ai cittadini, così come accade per le scuole private, lo Stato può riconoscere dei contributi a fondo perduto o dei finanziamenti a tasso agevolato.
La mia è una bozza di discussione aperta al contributo di tutti i colleghi. Ripeto tale proposta nasce dalla consapevolezza che gli imprenditori agricoli professionali del territorio del Salento leccese hanno dichiarato di non essere in grado di gestire il paesaggio rurale frammentato e che denunciano quotidianamnte con tuti mezzi a loro disposizione l’insostenibilità economica della loro impresa al punto di preferirle un lavoro subordinato.

venerdì 13 dicembre 2019

Sulle strade del tesoro dei poveri 'Ma io vivo grazie a quelle foglie'


LIZZANELLO - Primavera, è tempo di piantare. In oltre cinquanta comuni del Salento, terre predilette, ricche, fertili, profonde e fresche, i coltivatori di tabacco s' affidano al cielo e ai mercati monetari. Da tre anni piantano e producono, da tre anni il prodotto è là, in grandi balle, una sull' altra. Colpa della crisi del rublo più che delle campagne contro il fumo tipo «il tabacco nuoce alla salute». Andate a spiegarlo ai contadini leccesi, che con le foglie di tabacco vendute hanno fatto i figli medici o professionisti, andate a dire loro che il tabacco è un attentato alla salute. Di tabacco ci vivono e per loro questa crisi internazionale che blocca le balle di prodotto nei magazzini cosa buona certo non è. Che fare allora? La vita in campagna è fatta di cicli. E allora si va avanti a denti stretti, fiduciosi che il buio passerà. «Io le mie piantine pronte ce l' ho già, sono belle, sono alte così», dice, allargando indice e pollice, la «vice maestra» Cesarea Conte di San Donato, dove Conte è il cognome, San Donato è il paese di provenienza e "vice maestra" non vuol dire altro che vice capooperaia. Capelli imbiondati, rossetto rubino e modi gentili, accogliendomi all' ingresso dello stabilimento della cooperativa Cometa, sulla circonvallazione di Lizzanello, a pochi chilometri da Lecce dopo Cavallino, Cesarea trasmette subito le preoccupazioni delle tante ragazze impegnate nella lavorazione delle foglie di tabacco. «Qui siamo al Sud, siamo in Puglia», dice una di loro, «se ci viene a mancare questo reddito che potremo fare?». Scorrono nei ricordi decenni di sudori e di speranze. Parlano le donne di Martignano, di Lugugnano, di Cavallino, dei paesini della Grecìa, di tanti e tanti altri piccoli centri del Salento a Sud e a Nord di Lecce, donne dai volti rugosi e ragazze dai visi solari, donne di ieri e donne di oggi, e raccontano di cento e cento giornate passate nei campi, tra piante e piantine di tabacco, rincalzando, concimando, irrigando, vedendole crescere sotto il sole abbacinante del Sud, seguendo giorno dopo giorno la maturazione delle foglie, fino a quando non appaiono quelle macchie giallo e rosse e poi vengono staccate una a una, con amore, con destrezza, con passione e vengono appese in ogni angolo della casa a fili di zinco paralleli tirati da un capo all' altro delle stanze per farle essiccare prima di conferirle alla cooperativa. «E' una vita che io e le mie compagne facciamo questo lavoro come un rito», afferma Cesarea, «ma se mai la cooperativa chiudesse cos' altro potremmo fare?». In attesa della nuova stagione, Cesarea cura le sue piantine, aspetta i giorni per trapiantarle e farle crescere nel suo campo, ma sta attenta anche alla congiuntura internazionale, alle turbolenze nell' Est europeo dove finiva il tabacco salentino e, soprattutto, alla snervante crisi del rublo, che dura da troppo tempo e se prosegue ancora così rischia di cancellare la coltura del tabacco, quella che per cento anni è stata l' economia trainante del Salento (sono stati prodotti fino a 250 mila quintali di tabacco) e adesso potrebbe diventare il suo nodo scorsosio (hai voglia di proporre nuovi marchi e nuovi prodotti come s' impegnano a fare quelli della Camera di Commercio): «Sperando che la situazione migliori e ci ridia speranze», sostiene Cesarea. Via, via sulle strade dei vigneti e degli ulivi secolari dal tronco che misura dieci metri di diametro, vecchi come le mitiche sequoie californiane o i "giganti" del Fallistro, foresta di pini secolari nel cuore della Sila. Il panorama incomincia già a infittirsi di piantagioni di tabacco, verde intenso, foglie larghe. E' un tesoro a cui, al di là delle riserve che si possono avere sull' impiego del tabacco per i rischi accertati che il fumo provoca, la Puglia non può rinunciare. Per questo giovani donne, nella cooperativa di Lizzanello e altrove, continuano a lavorare con l' impegno di sempre. «Ci sono tra 40 e 50 mila persone che traggono un reddito dalla coltivazione e dalla lavorazione del tabacco, si tratta di un giro di affari di cento miliardi», avverte il ragionier Antonio Zecca, preoccupato per il silenzio dei compratori. Entriamo nei capannoni della Cometa, dove un odore dolciastro, stagnante e umido impregna l' aria. Quattrocento soci in oltre cinquanta comuni inviano qui il loro prodotto e qui trovano occupazione, a turno, quasi trecento lavoratori stagionali. Mani giovani e già esperte scompigliano i ballotti consegnati dai produttori e fanno, separando le foglie, una prima classificazione del prodotto. la cernita è essenziale, il prodotto deve essere uniforme. Un tempo l' ex monopolio tabacchi comprava le foglie di "serie A", oggi non compra nulla. Un tempo le multinazionali del tabacco erano qui a chiedere e comprare, oggi si sono defilate. Un tempo c' erano i mercati dell' est che il tabacco "Salento" lo compravano a scatola chiusa. Fino a quando il rublo non è diventato carta straccia e questo tabacco da tre anni viene immagazzinato. «Crisi passeggera, crisi temporanea», spiega Maurizio Marati, amministratore delegato della Cometa, «crisi temporanea che se non affrontata rischia di travolgerci». E' un lavoro monotono, lento, ripetitivo, quello delle tabacchine, come le chiamano da queste parti. Ma ci vogliono grandi capacità. Cesarea e le altre lo fanno da anni, occhio attento, mani veloci. Selezionano, miscelano, portano all' essiccazione, confezionano nuove balle che vengono sistemate in stanze "blindate", dove stufe che alzano la temperatura a 40 - 50 gradi assicurano la conservazione del prodotto, ormai privo di funghi e di parassiti vari. Ma i magazzini sono stracolmi, non c' è più posto per stoccare il prodotto nuovo. «Guardi, non c' è più spazio», fa vedere il ragionier Antonio Zecca. «siamo in affanno. Se non svuotiamo, se non vendiamo, il prossimo raccolto andrà in malora». Cesarea e le altre sanno poco di Philips Morris che condiziona i mercati, di Ente Tabacchi che preferisce acquistare all' estero, di rublo calante, di riconversione produttiva di cui qualcuno parla, di paradossi dell' Unione Europea che finanzia le campagne contro il fumo e contemporaneamente fornisce aiuti sostanziosi, come integrazione al reddito, ai coltivatori di tabacco. Sanno però che la crisi, se qualcuno non interviene, potrebbe cancellare il loro presente e annebbiare il loro futuro.

PANTALEONE SERGI
24 marzo 2001 

Fonte: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2001/03/24/sulle-strade-del-tesoro-dei-poveri-ma.html

venerdì 29 novembre 2019

La necessità di una nuova Riforma Fondiaria per il Salento del 2100




Premessa
Gli interventi per la ricostituzione del paesaggio rurale della provincia di Lecce hanno interessato sino ad oggi esclusivamente le aziende gestite da Imprenditori agricoli professionali (IAP).
Imprenditore agricolo professionale (IAP), secondo la definizione e i requisiti forniti dal D. lgs. 99/2004, è chi dedica ad attività agricole, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi da queste attività almeno il 50% del proprio reddito globale da lavoro.
Le attività agricole prese in considerazione dalla definizione di imprenditore agricolo professionale devono essere quelle indicate dall’articolo 2135 codice civile.

Ciò premesso si fa presente quanto segue:

·         Il valore degli oliveti della provincia di Lecce è sceso a circa 10.000 Euro
·         Gli imprenditori agricoli professionali posseggono molto meno della metà dei 100mila ettari di oliveto della Provincia di Lecce. Gli stessi in questi anni non hanno acquistato i piccoli oliveti con una superficie massima di 2 ettari.
·         I piccoli oliveti sino a 2 ettari rappresentano la stragrande maggioranza dei 100mila ettari di oliveto ed i loro proprietari hanno un’età di circa 80 anni. I figli di questi ultimi non effettuano la gestione agricola degli stessi oliveti che rimangono incolti.

Il Paesaggio rurale fornisce servizi ecosistemici a tutti i cittadini del territorio
“Gli olivi offrono indispensabili servizi ecosistemici, sono in grado, ad esempio, di contrastare gli effetti dell’erosione eolica, idrica e conseguenti alla perdita di sostanza organica del suolo. Gli oliveti più antichi e coltivati con metodi a basso impatto ambientale, presentano caratteristiche simili a macchie e foreste e, allo stesso modo, svolgono un ruolo strategico nel limitare la perdita di suolo arginando la desertificazione. Gli oliveti secolari sono una sorta di punto d’incontro tra un ambiente selvatico e un’area adibita a coltivazione intensiva, costituiscono dunque aree a livelli di naturalità intermedia che fungono da cuscinetto in zone agricole sempre più antropizzate, rappresentando un prezioso rifugio per la biodiversità.” [LORENZO BRENNA 2019]
 “Peculiarità del progetto è quella di calcolare la quantità di carbonio assorbita dall’ecosistema oliveto e confrontare tale quantità con le emissioni associate all’intero processo produttivo dell’olio extra vergine di oliva – si legge sul sito di OLIVE4CLIMATE – potendo così determinare il punto di pareggio a partire dal quale la quantità di carbonio sequestrato supera le emissioni”. I ricercatori hanno redatto un manuale, destinato agli agricoltori, che analizza le fasi principali dell’olivicoltura, a partire dall’impianto dell’oliveto fino alle fasi di raccolta e trattamento dei co-prodotti, proponendo un approccio che permetta una riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera e un accumulo di carbonio nella biomassa vegetale. Nonostante la grande diffusione di olivi, valutati abitualmente per il loro ruolo produttivo e non per il ruolo ecologico, si sa ancora poco circa la loro capacità di assorbimento di CO2 e il loro ruolo nella mitigazione dei gas serra. Le potenzialità in questo senso sono però evidenti e potrebbero conferire un ulteriore valore a queste incredibili piante, si presenterebbe infatti la possibilità di preservare oliveti che assolvono importanti funzioni ambientali, ma con bassa redditività, grazie agli incentivi connessi alla vendita di crediti di carbonio. [OLIVE4CLIMATE   https://olive4climate.eu/it/risultati_attesi/  ]

Come conservare il Paesaggio rurale dei piccoli oliveti sino a 2 ettari

Ipotesi neoliberista
Gli imprenditori agricoli professionali acquistano alcuni terreni della restante parte del paesaggio rurale al fine di trarne profitto.
I proprietari degli oliveti sono a 2 ettari si costituiscono in cooperative.
In tal modo il Paesaggio rurale continua a svolgere la funzione sociale e lo Stato riconosce per questo agli imprenditori ed alle cooperative le provvidenze previste dalla Politica Agricola Comune (Pac)

Ipotesi programmazione economica articolo 41 della Costituzione
La programmazione è un metodo d’intervento pubblico in economia riconosciuto dall’art. 41, ultimo comma, della Costituzione italiana: la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Nell’ambito costituzionale, la programmazione viene identificata come uno strumento impiegato dall’autorità pubblica (Stato) per orientare l’economia del Paese verso il raggiungimento di obiettivi di benessere comune nel rispetto delle libertà individuali ed in particolare di quella d’iniziativa economica privata.
L’art. 41 pone una riserva di legge in tema di programmazione, nel senso che affida al Parlamento, quale organo di massima espressione di volontà popolare, il compito di legiferare in materia di programmi e di controlli. La riserva di legge non è comunque assoluta, in quanto esiste la possibilità di delega parlamentare per la predisposizione dei programmi. Attraverso gli Statuti regionali, tale riserva si considera poi generalmente superata.
Così descritta si ha una programmazione indicativa, che si contrappone a quella obbligatoria, tipica di economie socialiste, in cui il potere centrale (lo Stato) pianifica l’intera vita sociale ed economica del Paese imponendo significative restrizioni alle iniziative individuali. A queste due se ne aggiunge una terza, quella democratica, fondata sul decentramento amministrativo dello Stato e sulla partecipazione. In questo caso, le Regioni concorrono con lo Stato alla programmazione economica (decentramento) coinvolgendo nella sua realizzazione anche gli altri Enti locali autonomi, i sindacati e le formazioni sociali (partecipazione).
Specificamente per il paesaggio rurale della provincia di Lecce composto dagli oliveti sino a due ettari e dalle proprietà che risultano incolte si può costituire un Consorzio obbligatorio gestito da un commissario sino all’indizione di elezioni per la costituzione di organi di autogoverno.
Il Consorzio gestisce queste Aziende agricole provvedendo a quanto necessita alla manutenzione del Paesaggio rurale.

Lecce open lab - Riccardo Valentini (*) Università della Tuscia CMCC

Venerdì 29 novembre a Lecce il prof Valentini ha proposto LECCE OPEN LAB << Smart solution for land transformations and bioeconomy >> ovvero “Soluzione intelligente per trasformazioni della terra e bioeconomia”
Questa soluzione per la città di Lecce potrebbe essere un paradigma per l’intero Salento oltre che un modello globale.
Con questa iniziativa si intende promuovere a tutti i livelli di aggregazione territoriale, dalle comunità rurali ed urbane alle regioni e nazioni, lo sviluppo di infrastrutture verdi in grado di sequestrare carbonio e compensare in parte le emissioni di gas serra, soprattutto in ambito urbano. Le infrastrutture verdi sono aree e parchi naturali, alberature e verde urbano, vegetazione ripariale, alberi, siepi e vegetazione del paesaggio rurale, localizzate in aree peri-urbane. Si tratta di conservare ed espandere tutto ciò che è considerato “alberi fuori foresta” e che sfugge dal censimento tradizionale di foreste. Solo per l’Italia un recente studio mostra come queste infrastrutture verdi costituiscano un serbatoio pari a circa 108 Tg di CO2  (1 Tera-grammo equivale a 1 milione di tonnellate) con una capacità di cattura di circa 3,6 Tg CO2 all’anno. A questo dato si può aggiungere il valore delle aree protette che rappresentano in Italia oggi circa 2.8 milioni di ettari. In termini di sequestro di carbonio, le aree protette assorbono circa 25 Tg CO2 all’anno. Un incremento del 20% delle infrastrutture verdi porterebbe una riduzione di 0.7 Tg CO2 all’anno di emissioni, mentre un aumento delle aree protette di circa il 10%, porterebbe una riduzione di circa 2.5 Tg di CO2 all’anno. Su scala europea (EU27) aumentando la superficie potenziale di infrastrutture verdi del 10%, includendo le aree protette, si avrebbero circa 104 Tg CO2  di assorbimento all’anno: una riduzione pari a circa il 3% delle emissioni totali della EU. [Riccardo Valentini 2015]

Conclusioni
Nel Salento l'attività agricola è da sempre fondamentale non solo dal punto di vista economico per la produzione di beni alimentari ma anche dal punto di vista ambientale per il suo contributo a disegnare il paesaggio, proteggere l'ecosistema e conservarne la biodiversità.
Per conservare la funzione del paesaggio rurale è necessario che ci sia chi lo fa quotidianamente e ciò può essere ottenuto attraverso una gestione neoliberista degli Imprenditori agricoli professionali o delle Cooperative, oppure in assenza dell’iniziativa privata assistita dallo Stato, attraverso la programmazione economica così come definita dall’articolo 41 della nostra Costituzione.

Antonio Bruno Ferro


(*) Riccardo Valentini ha svolto attività di ricerca presso il Department of plant biology, the Carnegie Institution of Washington e ha lavorato presso the Joint Research Center della Commissione Europea. Dal 2000 è professore ordinario presso l’Università degli studi della Tuscia diventando, nel 2002, direttore del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente Forestale e delle sue risorse. La sua attività di ricerca riguarda l’ecologia, i sistemi agro-forestali e i temi connessi con l’attuazione delle convenzioni internazionali per la protezione dell’ambiente globale. Ha ricevuto nel 2006 lo Zayed International Prize for the Environment come membro del Millennium Ecosystem Assessment Board, nel 2015 il premio “Ernst Heckel” della Federation of European Ecological Societies, nel 2018 la medaglia della Accademia Italiana delle Scienze “detta dei XL” per la Fisica e le Scienze Naturali. Insieme ad altri scienziati del Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC), nel 2007 è stato insignito del premio Nobel per la pace per le ricerche condotte sul cambiamento climatico. Fa parte del Gruppo 2003 per la ricerca scientifica.







mercoledì 27 novembre 2019

Il reticolo idrografico e la manutenzione gentile del Consorzio di Bonifica

Il reticolo idrografico e la manutenzione gentile del Consorzio di Bonifica
 

𝐼𝑛 𝑓𝑜𝑡𝑜 𝑢𝑛 𝑐𝑙𝑎𝑠𝑠𝑖𝑐𝑜 𝑒𝑠𝑒𝑚𝑝𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑛𝑎𝑙𝑒 "𝑠𝑝𝑜𝑟𝑐𝑜" (𝑜𝑔𝑔𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜𝑠𝑖 𝑟𝑒𝑐𝑙𝑎𝑚𝑖) 𝑚𝑎 𝑑𝑒𝑛𝑡𝑟𝑜 𝑖𝑙 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑒 𝑙𝑎 𝑓𝑢𝑛𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑖𝑡𝑎̀ 𝑖𝑑𝑟𝑎𝑢𝑙𝑖𝑐𝑎 𝑒̀ 𝑔𝑎𝑟𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡𝑎 𝑒 𝑖𝑙 𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜 𝑖𝑑𝑟𝑜𝑔𝑒𝑜𝑙𝑜𝑔𝑖𝑐𝑜 𝑚𝑖𝑡𝑖𝑔𝑎𝑡𝑜 — presso Consorzio Bonifica Ugento Li Foggi.
----- 𝑪𝑶𝑵𝑺𝑶𝑹𝒁𝑰 𝑫𝑰 𝑩𝑶𝑵𝑰𝑭𝑰𝑪𝑨-----

Mentre osservate, in maniera dispregiativa, un 𝙘𝙖𝙣𝙖𝙡𝙚 𝙙𝙞 𝙗𝙤𝙣𝙞𝙛𝙞𝙘𝙖 o sparlate di cose delle quali non siete al corrente, vi siete mai chiesti quale sia la funzionalità di quella vegetazione, all'interno dei canali, che tanto disprezzate?

𝙎𝙥𝙞𝙚𝙜𝙖𝙩𝙤 𝙞𝙣 𝙥𝙖𝙧𝙤𝙡𝙚 𝙥𝙤𝙫𝙚𝙧𝙚…

La vegetazione produce una serie di effetti, alcuni positivi e altri negativi;
Quelli POSITIVI sono: habitat per numerose specie animali, area rifugio, corridoio ecologico, fitodepurazione, ombreggiamento, stabilizzazione delle sponde, riduzione dell’apporto solido dai campi limitrofi e per alcuni miglioramento dell’aspetto estetico.
Quelli NEGATIVI invece sono: Aumento della scabrezza, aumento del rischio di occlusioni, difficoltà di accesso per il monitoraggio e manutenzione delle opere idrauliche e per altri peggioramento dell’aspetto estetico.
Detto ciò non è sempre vantaggioso eliminare il 100% della vegetazione presente oppure effettuare un continuo sfalcio delle sponde o, come in molti chiedono, tenere dei canali super puliti; proprio perché questi tipi di interventi potrebbero far venir meno numerose funzionalità idrauliche garantite solo dalla presenza, a volte, di una fitta vegetazione. I Consorzi mirano a contenere gli impatti negativi della gestione tradizionale mantenendo la funzionalità idraulica dei canali, ottenendo un assetto del canale molto più simile ad un corso d’acqua naturale, sostituendo la rimozione completa con tagli parziali, riducendo la frequenza di intervento utilizzando macchinari meno impattanti; In definitiva praticano quella che oggi viene chiamata “Manutenzione Gentile”.
La funzionalità idraulica è il perno centrale, che non sempre deriva dalla pulizia del canale stesso. Ovviamente in casi di piene eccezionali, come quelle verificatesi in questi giorni, questa funzionalità può venir meno; Nonostante tutto rimane IMPENSABILE portare a 0 il rischio idrogeologico, per tale motivo si parla sempre di MITIGAZIONE DEL RISCHIO.
Pertanto la gestione si fonda sul bilancio di tutti questi aspetti, che variano, ovviamente, di caso in caso.

𝗜𝗡 𝗤𝗨𝗘𝗦𝗧𝗢 𝗠𝗢𝗗𝗢 𝗦𝗣𝗘𝗥𝗢 𝗗𝗜 𝗔𝗩𝗘𝗥 𝗗𝗔𝗧𝗢 𝗗𝗘𝗟𝗟𝗘 𝗥𝗜𝗦𝗣𝗢𝗦𝗧𝗘 𝗔𝗟𝗟𝗘 𝗧𝗔𝗡𝗧𝗘 𝗔𝗙𝗙𝗘𝗥𝗠𝗔𝗭𝗜𝗢𝗡𝗜, 𝗣𝗘𝗥𝗟𝗢 𝗣𝗜𝗨̀ 𝗗𝗘𝗡𝗜𝗚𝗥𝗔𝗡𝗧𝗜, 𝗖𝗛𝗘 𝗩𝗘𝗡𝗚𝗢𝗡𝗢 𝗙𝗔𝗧𝗧𝗘 𝗦𝗨𝗟𝗟𝗔 𝗕𝗔𝗦𝗘 𝗗𝗜 𝗨𝗡𝗔 "𝗡𝗢𝗡 𝗖𝗢𝗡𝗢𝗦𝗖𝗘𝗡𝗭𝗔 𝗗𝗘𝗜 𝗙𝗔𝗧𝗧𝗜"

domenica 17 novembre 2019

Trasformare gli imprenditori agricoli professionali in manager pubblici per scongiurare il fallimento dell’agricoltura pugliese di Antonio Bruno Ferro





Oggi sulla Gazzetta del Mezzogiorno il Conte Onofrio Spagnoletti Zeuli illustra le ragioni che hanno determinato il fallimento degli imprenditori agricoli professionali e conseguentemente dell’Agricoltura pugliese. Le ragioni sono tutte legate alla circostanza che il Mercato Agricolo Globale è in mano alla Grande Distribuzione Organizzata che tratta direttamente con la finanza internazionale.
Il libero mercato con la concorrenza determinata dalla logica del neo liberismo economico ha decretato in Italia la fine dell’esperienza degli imprenditori agricoli professionali.
Il Conte Onofrio Spagnoletti Zeuli chiede l’intervento della finanza pubblica con capitali di miliardi di euro onde assicurare la continuazione dell’esperienza del Paesaggio rurale.
Ma ciò non può essere risolutivo del problema in quanto il mercato dei prodotti agricoli e anche dei prodotti che derivano dalla loro trasformazione è in mano alla Grande Distribuzione organizzata.
L’unico modo per tornare a produrre prodotti agricoli freschi e trasformati in Italia in modo sostenibile sia dal punto di vista economico che da quello paesaggistico e ambientale, e quindi per poter ancora ottenere i servizi ecosistemici del Paesaggio agrario, è che queste esperienze degli imprenditori agricoli professionali insieme a quelle dei di 75 – 80enni proprietari di pezzetti ormai incolti del Paesaggio rurale debbano essere assorbite dallo Stato poiché il Paesaggio rappresenta un Bene Comune tutelato dalla nostra Costituzione.
Una Nuova Riforma Fondiaria in cui gli imprenditori agricoli professionali siano i manager pagati dallo Stato in quanto dipendenti pubblici in maniera tale da ottenere che continuino a coordinare l’attività agricola statale con tecnici assunti come dipendenti pubblici insieme a operai stipendiati dallo Stato.
Ne scrissi per altri motivi tre anni fa: https://centrostudiagronomi.blogspot.com/search?q=diritto+cibo

Caro Luigi,
che bel Convegno quello dello scorso 25 maggio. Grazie di avermi invitato e, quindi per ciò stesso, di essere stato messo nelle condizioni di acquisire delle informazioni per me utilissime. Grazie ancora per la mia elezione a Consigliere Nazionale della Federazione Italiana Dottori in scienze Agrarie e Forestali, è per me un grande onore ricoprire tale incarico e non nascondo un senso di smarrimento, l’esser io “agronomo terra terra”, in mezzo a voi miei Magister e Giganti dell’Agronomia.
Tante cose avrei voluto dire circa il tema del cibo e, mi rendo conto, di non aver detto tutto quello che avrei desiderato dire. E allora mi sono detto che le mie "povere parole" era meglio che le scrivessi a te, sempre attento a tutto e a tutti, sensibile osservatore della realtà.
La mia idea è che acqua e cibo siano un diritto. Scorrono davanti ai miei occhi i dati che ha messo a disposizione il Vice Presidente della Fidaf Dottore Agronomo Andrea Sonnino della Fao e, prendendone atto,  sono sempre più convinto che acqua e cibo siano un diritto di tutta l’umanità.
Le conclusioni del dott. Andrea Sonnino sono:
·         La produzione attuale di alimenti è sufficiente a soddisfare le necessità di tutto il genere umano;
·         Gli alimenti prodotti sono però usati in modo inefficiente e distribuiti in maniera iniqua, per cui il fenomeno della fame non è stato ancora sconfitto;
·         La produzione alimentare è aumentata a costo della erosione delle risorse naturali, che ne costituiscono la base.


E quali altre conclusioni ha tratto?

·         L’offerta mondiale di alimenti deve aumentare del 60% prima del 2050;
·         Nello stesso tempo si devono conservare le risorse naturali e fare fronte al cambio climatico;
·         Bisogna quindi produrre di più con meno;
·         L’innovazione in agricoltura è essenziale per raggiungere la sicurezza alimentare in modo sostenibile.

La domanda è?
Si possono ottenere questi obiettivi che costituiscono la vita o la morte dell’umanità attraverso il “LIBERO MERCATO”?
La mia risposta è un secco no!
La conferma mi viene anche dal vertice dei Ministri Europei dell’Agricoltura del 2011 imposto dalla volatilità dei prezzi agricoli. Ricordo i titoli dei giornali di allora:
Uno scudo contro la volatilità dei prezzi - Trasparenza dei mercati e fondo anticrisi nell' Action Plan varato al recente vertice di Parigi.  - Ma serve anche più produttività: un progetto di ricerca per rilanciare il grano duro.
C’è una grande volatilità dei prezzi agricoli perché la produzione mondiale di cibo non è un dato trasparente.

Sappiamo che ci sono persone umane che non hanno abbastanza cibo, conosciamo il loro numero e la loro collocazione geografica ma non sappiamo di quale e di quanto cibo hanno bisogno e soprattutto non sappiamo chi lo produrrà.

Mi sembra il minimo di informazioni necessarie, anzi indispensabili, a chiunque abbia in animo di soddisfare un bisogno vitale come quello che nessuna persona debba più "soffrire la fame" e ancora che nessuna persona debba più "morire di fame”.

Poi c’è la logistica ovvero chi, dove, come e quanto produce e chi, dove, come e quando distribuisce a tutte le persone dell'umanità.

Sino ad oggi c’è da prendere atto di un fatto, ovvero che da quando esiste l’agricoltura, ricordo a me stesso che sono passati 12mila anni, nessun “LIBERO MERCATO” e nessuna ideologia ha avuto il risultato di non avere persone denutrite o che muoiono di fame.

Ci vuole quindi un organismo Mondiale che, secondo me, si dovrebbe occupare di tutto questo e al quale vadano destinate le risorse finanziarie per garantire tutto questo a tutta l’umanità.

L’ho detto al Presidente Sonnino e ho aggiunto che la mia poteva sembrare una riedizione di una ideologia dell’ultimo secolo dello scorso millennio.

Ricordo a me stesso che “dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati” non è una ideologia e nemmeno una religione.
Secondo me dare a tutti cibo e acqua è dare la vita alle persone che costituiscono l’umanità.

Ancora grazie di tutto

antonio bruno dottore agronomo

Salvatore Rolli ha scritto:

“Un allenatore è qualcuno che ti dice quello che non vuoi sentire, ti fa vedere quello che non vuoi vedere, in modo che tu possa essere quello che hai sempre saputo di poter diventare.”
Tom Landry, Dallas Cowboys
.
Le aziende oggi si trovano a operare in un contesto caratterizzato da elevata concorrenza, globalizzazione delle scelte e aggiornamento costante, in una parola: COMPLESSITA'.
Per rispondere a questa complessità e generare valore per i clienti, le imprese devono coniugare flessibilità e rigore, efficienza e semplicità e non perdere mai di vista gli obiettivi.
Nella complessità, il raggiungimento di un obiettivo può pregiudicare i risultati futuri.
Non conta quindi solo il COSA si raggiunge ma anche il COME.
Impariamo a distinguere gli obiettivi dagli scopi.
Se non teniamo lo sguardo fisso sugli scopi finali, i singoli obiettivi potrebbero essere nocivi.
La complessità è un’onda: può travolgerci o possiamo cavalcarla, magari scopriremo che è pure divertente!
È un mondo difficile, è vita intensa
La risposta?
CONNETTERE LA VISIONE CON LE SOLUZIONI
Ciò che servirà per avere successo in futuro è probabilmente diverso da quello che serve per avere successo oggi, quindi i leader devono sia gestire che reinventare il business allo stesso tempo.
Per un’agricoltura sostenibile occorre che la scienza italiana venga messa in campo.
"L'agricoltura di precisione è una strategia di gestione che tiene conto della variabilità temporale e spaziale per migliorare la sostenibilità della produzione agricola".
Agronomi, abbandonate le scrivanie e scendete in campo.
Siamo nell’era della tracciabilità dal campo alla tavola, della valorizzazione massima del prodotto raccolto e della massima salvaguardia di suolo, aria e acqua.
Occorre un agronomo smart, così come deve essere l’agricoltura: intelligente, innovativa, veloce, furba, brillante, sveglia, etica e sostenibile, che produce alimenti di alta qualità e sicuri, tutela il territorio, guarda al mercato e utilizza il meglio della tecnologia digitale 
Salvatore Rolli


«L'AGRICOLTURA PUGLIESE SULL'ORLO DEL FALLIMENTO»
di ONOFRIO SPAGNOLETTI ZEULI
« Chiuso per fallimento!». È il cartello che sa-remo costretti ad esporre all'entrata delle nostre aziende fra qualche giorno. Chiuso per fallimento! È la triste morte annunciata dell'olivi-coltura pugliese. Prima la Xylella completamente sotto-valutata e che ha eroso il nostro splendido patrimonio olivicolo riducendolo ai minimi termini, poi la gelata del 2019 che ha distrutto 90.000 ettari di produzione olivicola inginocchiando quella parte produttiva ancora rimasta sana nella nostra Puglia e adesso la gelata del mercato con prezzi incredibilmente abbassati a cifre che non remu-nerano nemmeno i costi di produzione. In questi giorni balzano all'onore della cronaca le vicende dell'Ilva e gli allagamenti di Venezia. Tutte cose importantissime visto che sono in gioco 18.000 posti di lavoro e la sicurezza di una delle città più belle del mondo. Ma perché non si sobbalzava alla stessa maniera dalla sedie quando si parlava della gelata olivicola per la provincia di Bari (solo quella senza contare le altre) che per la sola economia agricola vale circa 25.000 posti di lavoro? Perché non si sobbalzava allo stesso modo dalla sedia quando stiamo assistendo alla distruzione di centinaia di migliaia di ettari di paesaggio olivicolo, quello più bello al mondo? Ieri (venerdì, ndr) il premier ha annunciato che sono pronti i primi 20 milioni di euro per Venezia e ne sono in arrivo immediatamente parecchi altri. Noi abbiamo atteso 16 mesi la declaratoria per le gelate 2018 che contava più di 500 milioni di danni e stiamo ancora attendendo quale sia l'elemosina che attraverso il fondo di solidarietà nazionale sarà eventualmente stanziata. Siamo andati in piazza, abbiamo protestato a ogni livello, ma non è affatto bastato. Abbiamo chiesto che ci fosse anticipata la Pac immediatamente: i più fortunati hanno avuto un anticipo a inizio settembre, succubi di procedure sull'antimafia, poggiate su sistemi informatici che non funzionano e sono ingolfati ed ora attendiamo, da regolamento entro fine Novembre, l'anticipo del 70%,  ma nessun segnale all'orizzonte. Un Psr ingessato, bloc-cato, tutto un guazzabuglio pazzesco, con una serie di ricorsi degni di chi si sta affamando, specchio fedele di chi si sta impoverendo e comincia a morsicarsi nel proprio atrio. Probabilmente non siamo capaci di farci sentire ab-bastanza e di portare l'opinione pubblica con noi, quell'opi-nione pubblica a cui viene trasferito che noi siamo quelli che avvelenano i consumatori e che distruggono l'am-biente. Gli agricoltori sono gli unici grandi ed insosti-tuibili difensori dell'ambiente, quelli che lo tutelano. Che cosa sarebbe il nostro territorio senza gli agricoltori? Un paesaggio spettrale al posto della foresta degli ulivi coltivati, anidride carbonica dispersa nell'aria, delinquenza diffusa e incontrollata. Invece di riconoscerci come i custodi dell'ambiente ci accusano di rovinarlo: questo è semplicemente assurdo! Non assisteremo inermi alla morte delle nostre aziende e alla chiusura dell'olivicoltura pugliese, stiamo stilando delle proposte, le condivideremo fino a farne un documento unico, ma abbiamo bisogno di tutti e più che mai della nostra organizzazione al nostro fianco. Chiedevamo dignità in piazza lo scorso anno, adesso grideremo vergogna. Lo grideremo in faccia a tutti anche a quella grande distribuzione, fenomeno di controllo indiscriminato del mercato, che prima ha affossato l'ortofrutta e adesso sta stringendo il cappio al collo dell'olivicoltura. Lo grideremo a questi politici attori da social. Lo grideremo a questa Europa che permette l'importazione di 56.000 tonnellate di olio tunisino: abbiamo bloccato l'aumento di questo contingente, ma l'olio tunisino non dovrebbe proprio entrare. Quali sono le loro norme igieniche? Quale è il loro rispetto dei lavoratori? E a noi ci accusano di caporalato, ci mettono alla gogna. Grideremo basta anche a questi organi di controllo che ritengono che le olive si producano in un capannone. Ci difenderemo attaccando, statene certi, con gli agricoltori e con la nostra organizzazione.

sabato 26 ottobre 2019

Il belvedere era una bruna foresta

Il belvedere era una bruna foresta


A cura del prof. Aldo De Bernart
Così la chiama, nel 1789, lo svizzero Carlo Ulisse De Salis, signore di Marschlins, nelle sue note di viaggio dal titolo Nel Regno di Napoli, alludendo al famoso Bosco Belvedere, disteso nei Comuni di Scorrano, Spongano, Muro, Ortelle, Castiglione, Miggiano, Pog-giardo, Vaste, Torrepaduli, Supersano, Montesano, Surano, Sanarica, Botrugno, San Cassiano e Nociglia.
Immenso latifondo boschivo, che al suo proprietario, il principe Gallone di Tricase, assicurava la pingue rendita di L. 42.500 e a tutti i Comuni confinanti gli usi civici. Smembrato, nel 1851, e suddiviso fra i Comuni interessati, a Supersano, dopo Scorrano e Nociglia, toccò la quota maggiore e forse la più bella, non solo per impianto e varietà di piante, ma anche per i pascoli eccellenti. «Nei pascoli sopra queste alture – scrisse il De Salis – e nella foresta di Supersano, sono allevate due razze equine appartenenti al Marchese di Martina e al Duca di Cutrofiano, le quali forniscono buonissimi cavalli da sella e da tiro. Vi sono anche degli armenti, ed assaggiai qui una nuova qualità di formaggio fatto di latte di capra, che è davvero eccellente». Famosa, un tempo, per le sue diciotto masserie, disseminate per l’intero feudo, Supersano deteneva la palma di tipici prodotti caseari, in concorrenza con quelli dell’Arneo di Nardo, mentre spiccava per la selvaggina abbondante che stanziava nel suo immenso bosco e che richiamava cacciatori da ogni parte del Salento, che pernottavano, a volte, nelle masserie, e, i nobili, nel Casino della Varna, ancora oggi esistente, in agro di Torrepaduli; è questo uno stupendo casino di caccia di impianto seicentesco, la cui mole si staglia in una brughiera odorosa di timo, solcata da un’antica carrareccia scavata nella macchia pietrosa. Situato nel cuore di Bosco Belvedere di Torrepaduli, il Casino fu, appunto, luogo d’incontro per le battute di caccia e per i conviti che le allietavano. Dimora un tempo veramente principesca, se ancora oggi conserva, malgrado i guasti, lo smalto dell’antico splendore, il Casino della Varna, che non guarda più le antiche querce del suo bosco che correvano fino a Supersano, rimane oggi l’unico testimone muto dei fasti e della bellezza selvaggia del Bosco Belvedere. Quel “bosco” che ha dato l’”aria sana” a Supersano e che ancora, nei suoi avanzi, richiama turisti sulla più bella terra del Salento, così come un tempo richiamava gli scienziati. Scrisse, infatti, il De Salis: «Supersano è un piccolo villaggio isolato, romanticamente situato tra boschi e colline, che ha servito sinora da ritiro al mio intelligente compagno». L’«intelligente compagno», al quale allude il De Salis, è il Dott. Pasquale Manni (1761-1841), da San Cesario di Lecce, fisico ed entomologo di chiara fama, che nel Bosco Belvedere di Supersano aveva raccolto vari insetti, passati poi al famoso Domenico Cirillo, che li aveva catalogati nel suo lavoro Specimen Entomologiae Napolitanae. Il Dott. Manni – scrive ancora il De Salis – «mi mostrò anche della cenere vulcanica da lui raccolta a Supersano nel 1784, dove cadde dello spessore di una mezza linea; e siccome è noto che in quell’anno lo Stromboli eruttò violentemente, niente di più facile che il vento ne abbia sospinte le ceneri fin qui. E siccome la distanza in linea retta è di 160 miglia italiane, sarebbe questa una prova indiscutibile, come gli antichi descrittori delle eruzioni dell’Etna e del Vesuvio non raccontassero fiabe, allorché dicevano di ceneri trasportate sino a 200 e 300 miglia, durante le forti eruzioni di questi vulcani». Con questa annotazione sui vulcani termina la visita del De Salis a Supersano, e nel lasciare il “piccolo villaggio”, crediamo che in quel lontano pomeriggio del 1789 abbia spinto lo sguardo, ancora una volta, sul verde cupo della “foresta”, senza dubbio una delle cose più belle che l’illustre viaggiatore d’Oltralpe abbia visto nel Basso Salento. L’Arditi, che nel 1851 aveva conosciuto in tutta la sua vastità e bellezza il Bosco Belvedere, perché ne aveva tracciato la mappa e proceduto alla divisione della terra tra il principe di Tricase e i Comuni interessati, nel 1879 scriveva: «Era questo forse nella provincia il bosco più vasto e vario per essenze arboree, ma oramai non rimangono più di arbustato e di ceduo, se non poche moggia a nord-ovest verso Supersano».
Quelle “poche moggia” che nel 1882, a distanza di 84 anni dalla visita del De Salis, il De Giorgi, visitando Supersano, vide: «E verso l’orizzonte a sinistra si profilano gli ombrelli dei pini d’Italia, che sollevan le loro chiome pittoresche sulla bruna massa delle querce di Belvedere». La “bruna massa” di querce ora non c’è più!

venerdì 25 ottobre 2019

Il Paesaggio Rurale non può essere affidato al libero mercato ma ad un Ente Pubblico che produca esternalità ambientali e cibo per tutta la comunità.



Gli organismi viventi nascono, di norma, in un ambiente già dato. Ambiente nel quale devono semplicemente trovare l’adattamento ottimale. Ma gli stessi organismi, nel corso del tempo, interagiscono con l’ambiente che propone istante dopo istante, delle perturbazioni che determinano nell’organismo una trasformazione ed un adattamento. E questo adattamento agisce a sua volta sull’ambiente che a sua volta di trasforma. Tutto questo fa dire che gli organismi, istante dopo istante, imparano a sviluppare una strategia di sopravvivenza inedita.
Il Mondo cambia e gli organismi viventi cambiano, cambiando il Mondo attorno a sé, e in alcuni casi rendendolo migliore anche per gli altri.
Un esempio è il castoro. Il castoro costruisce la propria diga e così facendo modifica l’habitat che lo circonda, creando le condizioni che consentono ad altre specie di vivere. Nel linguaggio tecnico diciamo che il castoro è un costruttore di nicchie.
Nella condizione attuale del Salento leccese, potremmo sostenere che i proprietari del Paesaggio Rurale del Salento leccese dovrebbero essere come il castoro. Dovrebbero costruire nicchie.
Se fino ad oggi i proprietari del Paesaggio Rurale del Salento leccese erano visti come complemento utile ma non necessario, leggerlo attraverso la metafora del castoro permette di comprendere la sua capacità generativa per l’intero ambiente che ci circonda.
Dal Settecento a oggi, ogni qual volta si è realizzata una rivoluzione industriale questa ha determinato il passaggio di lavoratori e di coloro che operavano in un certo settore ad un altro settore. La prima rivoluzione industriale ha spinto alla fuoriuscita di forza lavoro dall’agricoltura alle fabbriche. Il sovrappiù generato dalla rivoluzione industriale è andato così a creare il secondario, ossia il settore industriale. La seconda rivoluzione industriale, agli inizi del Novecento, ha invece creato il settore dei servizi, il terziario. Oggi viviamo nel tempo di una nuova rivoluzione industriale e dobbiamo chiederci dove finirà il sovrappiù sia di lavoro sia di produttività che le nuove tecnologie del digitale e dell’intelligenza artificiale stanno per determinare.
Dobbiamo chiederci dove andremo ad allocare questo sovrappiù di forza lavoro e di produttività.
C’è chi avanza una prospettiva di neoconsumismo: si dovrebbe spingere affinché questo sovrappiù diventi un volano per la domanda pagante, con lo svantaggio di deumanizzare la società. Ci basta? Non credo proprio. C’è infatti un’altra prospettiva che fa entrare in gioco il Paesaggio Rurale, pensato come luogo che genera valore sociale nella forma di beni ambientali e del cibo.
Proprio perché le nuove tecnologie consentono un avanzamento rispetto ai bisogni elementari, dobbiamo usare questi avanzamenti per aumentare la fruibilità di beni ambientali e del bene cibo.
Beni di cui c’è un bisogno estremo. Ma per far questo torniamo al punto di partenza: ci vuole un soggetto capace di innovazione ambientale ed alimentare e questo soggetto possono essere i proprietari del Paesaggio Rurale del Salento leccese?
La mia risposta non può essere che negativa.
Gli imprenditori agricoli iscritti alla camera di Commercio di Lecce sono circa seimila e solo mille di questi sono vere e proprie aziende che producono per il mercato.
L’azione di questa Aziende agricole incide sul 20 o al massimo 30 per cento dei 200mila ettari della Provincia di Lecce quindi su 40mila o al massimo 60 mila ettari. Ed i restanti 140mila ettari?
Come sappiamo tutti sono abbandonati perché i proprietari hanno un’età che sfiora gli 80 anni oltre che per la dimensione della proprietà che per il 60% non raggiunge l’ettaro e che nella stragrande maggioranza non supera i due ettari e mezzo.
C’è chi afferma che la strada per questi ultimi sarebbe la cooperazione. Francamente non credo che persone che sfiorano gli ottant’anni abbiano tra le loro priorità quelle di costituire cooperative agricole.
Allora bisogna pensare in prospettiva. E soprattutto dobbiamo cominciare a immaginare un Paesaggio Rurale che dia prosperità.  
La prosperità deve essere inclusiva, non escludere. E proprio le sfide della “Prosperità inclusiva” aprono quella dei beni comuni, che comprende i digital commons, le piattaforme, le infrastrutture e le reti.
E se cominciassimo a pensare il Paesaggio Rurale del Salento leccese nella sua qualità di bene comune? Ecco vi propongo di farlo, facciamo questo gioco, ovvero pensiamo per un istante che il nostro Paesaggio Rurale non è più proprietà di alcuni privati ma diventa un bene comune ovvero proprietà della Comunità. E’ chiaro che subito vengono fuori delle domande.
Quale tipo di governance vogliamo dare a questi nuovi beni comuni?
A tal riguardo, voglio fare riferimento alla Commissione sulla Giustizia Economica ha diffuso un discussion paper titolato The Digital Commonwealth. È un documento significativo, ma anche rivelatore.
Rivela che tutti avvertiamo l’esigenza di una governance per i digital commons, ma su quale debba essere il modello di governance per gestire i digital commons c’è ancora molta incertezza.
La mia proposta è che, su questo fronte, proprio i cittadini del Salento leccese e le loro associazioni dovrebbero buttarsi a capofitto, occupandosi della definizione di questa governance.
Un’altra area di costruzione di nicchia riguarda le intelligenze artificiali. L’intelligenza artificiale, oggi, o è sviluppata in una modalità market driven o in una modalità state driven: o è guidata dalla logica del profitto o da una logica statale (il modello cinese, per intenderci).
Per quanto riguarda il Paesaggio rurale secondo me la logica del profitto che è stata applicata in tutti questi decenni non ha funzionato. Basta fare una passeggiata nel nostro territorio per accorgercene.
Ieri ho avuto uno scambio di opinioni su questo che vorrei riportare qui di seguito:

Antonio Bruno:
Dopo stasera (dopo l’esposizione della ricerca del collega Donato Ratano presso Masseria Stali) sono convinto ancora di più che il neoliberismo economico non può essere applicato al Paesaggio Agrario

Piero Triggiani:
Anche tu non puoi essere libero di girare con quella barba e quei baffi.
Sembri uno del vecchio testamento.
Non puoi essere neo liberale.
Non puoi essere dei miei.

Antonio Bruno:
Non sia mai che io approvi una cultura che esclude, che si fonda sugli standard delle Aziende. Io parto dal presupposto che IL CIBO E' UN DIRITTO.

Piero Triggiani:
 Esclude?
CREA
Si un diritto illimitato.

Antonio Bruno:
Guarda io penso che la squadra più importante è quella che perde. E lo sai perché? Perché se una squadra non perde come fa un'altra squadra a vincere?

Piero Triggiani:
Antonio Bruno tifoso del Lecce capisco.
Domani voglio un punto dalla tua squadra

Alessandro Panico:
Finalmente! Sono pienamente d'accordo!

Antonio Bruno:
Il Neoliberismo ha già prodotto come risultato l'abbandono dei campi che sono nella maggior parte incolti o, nella migliore delle ipotesi il Paesaggio è caratterizzato dall'incuria e dal pressapochismo. Le proposte che ho ascoltato non mi convincono. È da decenni che si attuano e il risultato è quello che abbiamo tutti sotto gli occhi.
Mille persone che fanno gli Imprenditori Agricoli in Provincia di Lecce che invece è popolata da poco più di 800mila persone. Ma anche se fossero i 6mila iscritti alla Camera di Commercio, sarebbero sempre una piccolissima, infinitesima e insignificante parte della popolazione della Provincia. Se li mettessimo tutti insieme sarebbero poco meno degli abitanti del Comune di Alliste.
Come fanno 6mila persone a gestire 180mila ettari?

Donato Caroppo:
Tutti vogliono vendere e nessuno produce

Antonio Bruno:
Giusto Donato Caroppo, questo è il problema della concorrenza e della rivalità che è propria del liberismo economico

Donato Caroppo:
Preferisco i mille che i Benetton

Antonio Bruno:
Anch'io preferisco i mille. Ma i mille non sono riusciti a coltivare tutti quegli ettari di terreno abbandonato. I mille non sono riusciti a fare in modo di avere un Paesaggio non trascurato. Hanno curato gli ettari di loro proprietà. Quanti? Un terzo del totale. E i due terzi? Quelli fatti da tanti pezzettini microscopici? Per quelli tutti di proprietà di vecchietti di 80 anni non hanno potuto fare nulla.

Donato Caroppo:
Sono pagati per non produrre

Antonio Bruno:
Caro Donato Caroppo lo sappiamo. Quindi lo Stato comunque ha una spesa. Pensa che la spesa dell'Agricoltura è quella più consistente dell'Unione Europea. Ecco perché è bene che ci siano tecnici e salariati pagati dalla Collettività, da tutti noi, che si prendono cura del paesaggio agrario producendo cibo che sarà dato in cambio ai cittadini.
In questo modo si dà lavoro pagato a norma del contratto collettivo e nello stesso tempo si ottiene un Paesaggio Agrario ben curato e sano oltre che cibo italiano da dare agli italiani.
Ma per fare tutto questo il CIBO DEVE ESSERE UN DIRITTO PER TUTTI E NON UN BENE ECONOMICO SUGLI SCAFFALI DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA CHE PAGA A PREZZI STRACCIATI IL CIBO AGLI AGRICOLTORI. Per questo tutti vogliono vendere e nessuno vuole produrre.

Sandro Montagna:
Una su mille la dici giusta....perche' il resto?

Antonio Bruno:
Sandro Montagna secondo me il Neoliberismo economico NON E'UMANO perché esclude.

Sandro Montagna:
Antonio Bruno stai parlando con un Sovranista che non compra dai Supermercati

Angelo Perniola:
Non deve essere applicato a nulla(riferendosi al neoliberismo economico). Male supremo

Domande cruciali, che attendono risposte.
Attendono risposte perché hanno oggi bisogno costitutivo di un’etica. Ma di un’etica nuova.
La mia tesi è che non è possibile affidarsi al mercato per il bene comune “Paesaggio Rurale del Salento leccese”.

Ci vuole un castoro Ente Pubblico che produca esternalità ambientali, culturali, turistiche e cibo per tutta la comunità.
L’immagine del castoro rende bene l’idea del passo che dovremmo fare: il castoro crea la diga, la diga crea un ecosistema e in quell’ecosistema vivono specie che prima non vivevano.
Il castoro produce esternalità positive a favore della biodiversità. Senza nulla togliere ai compiti “tradizionali”, che devono continuare, oggi il mondo dell’Agricoltura del Salento leccese non è in grado di mettere in atto un agire per ottenere il perfezionamento o l’ottimizzazione di ciò che ha fatto sinora. Se ci limitiamo a razionalizzare l’esistente crolla l’innovazione sociale.


domenica 13 ottobre 2019

Serve un piano nazionale a tutela dei paesaggi storici redatto dai tecnici agricoli insieme agli archeologi


Serve un piano nazionale a tutela dei paesaggi storici redatto dai tecnici agricoli insieme agli archeologi

Con tutto il rispetto per Salvatore Settis autorevole autore dell’articolo apparso oggi sul Sole 24 ore nel quale lo stesso afferma che a occuparsi di Paesaggio Rurale Storico debba essere la Direzione generale del Ministero dei Beni Culturali  (ora in capo a Federica Galloni Direttore Generale per le Arti, l'Architettura e il Paesaggio) la Soprintendenza locale (tenuta da Maria Piccarreta), la Regione e i Comuni e che questi ultimi debbano redigere un piano nazionale a tutela dei paesaggi storici, io ritengo che tale condizione sia sicuramente necessaria ma, allo stesso tempo, gravemente insufficiente.
Che tutte queste istituzioni debbano affrontare l’emergenza pensando al futuro del paesaggio storico del Salento con piena cognizione del suo passato e che a tutto ciò debba contribuire l’Università del Salento con sede a Lecce, dove operano archeologi di grande competenza ed esperienza su questi temi sembra davvero una impostazione che non prevede che il Paesaggio Rurale oltre che la sua funzione storica debba essere fornitore di cibo per le persone.
Se così prevede la visione del prof. Salvatore Settis certamente allo stesso tempo avrà previsto l’esproprio di quel territorio per consentire allo Stato la sua gestione che sia finalizzata esclusivamente alla tutela del paesaggio storico a spese dell’intera collettività.
Forse l’Archeologo Salvatore Settis non è a conoscenza che sempre l’Università del Salento con sede a Lecce ha istituito un Corso di Laurea in Agraria ed è solo per questo che non pensa che possa essere di qualche utilità alla redazione di un piano che oltre alla conservazione e alla tutela e quindi alla sostenibilità culturale, possa contribuire al tentativo di definire una sostenibilità economica per i proprietari di quel paesaggio.
Il Paesaggio Storico del Salento leccese è certamente un Bene Culturale che può essere conservato e valorizzato solo come tale ricorrendo all’esproprio e con l’istituzione di un Parco nazionale gestito interamente dallo Stato con le conseguenti spese a totale carico della collettività.
Oppure insieme con i proprietari di questo territorio si potrebbe mettere in campo la progettazione partecipata per far si che tale tutela possa essere compatibile con la produzione agricola e quindi con la sostenibilità economica di chi si occupa quotidianamente di quel paesaggio e quindi dei proprietari.
Per fare questo oltre ai proprietari ci vogliono il corso di Laurea in Agraria dell’Università del Salento, insieme ai Periti Agrari, gli Agrotecnici e i Dottori Agronomi del territorio perché le competenze in tema di produzione agricole non mi sembra che siano degli archeologi, se sbaglio il prof Settis me lo farà presente ed io farò ammenda di quanto scritto.

Antonio Bruno Ferro

L’Articolo del prof Settis sul Sole 24 ore del 13 ottobre 2019
Flagello Xylella
Serve un piano nazionale a tutela dei paesaggi storici
Salvatore Settis
«Un bel paesaggio
una volta distrutto
non torna più, e
se durante la
guerra c’erano i campi di sterminio,
adesso siamo arrivati allo sterminio
dei campi: fatti che, apparentemente
distanti fra loro, dipendono
tuttavia dalla stessa mentalità». Sono
parole profetiche di un grande
poeta, Andrea Zanzotto, in un’intervista
del ‑‑. Nessun angolo
d’Italia lo testimonia oggi meglio
del Salento, dove l’epidemia da xylella,
avanzando implacabile come
una peste medievale, sta distruggendo
il millenario paesaggio di
ulivi con le loro chiome dagli indimenticabili
riflessi d’argento. Zanzotto,
pensando al suo Veneto invaso
da asfalto e capannoni, voleva
suggerire con le sue parole durissime
che la violenza sul paesaggio è
il rovescio e l’identico della guerra,
della violenza dell’uomo sull’uomo:
si consuma a spese dei paesaggi
storici e delle generazioni future.
Il batterio xylella fastidiosa, che sta
uccidendo qualcosa come nove milioni
di ulivi, non è certo opera dell’uomo,
ma è nostra colpa se non si
sono messe in atto per tempo appropriate
strategie di contenimento
di questa che resta «la peggior
emergenza fitosanitaria del mondo
» (così l’accademico francese Joseph-
Marie Bové). E sarà nostra
colpa se l’epidemia si allargherà
progressivamente ad altre aree della
Puglia e d’Italia, e se l’armonioso
paesaggio del Salento verrà per
sempre annientato. È qui che la visione
profetica di Zanzotto colpisce
più a fondo. Quale che sia l’origine
e la natura delle devastazioni paesaggistiche,
infatti, resta sempre
vero quel ch’egli disse : le modificazioni
violente del paesaggio generano
«l’assenza stessa di orizzonti,
il colore dello spaesamento, lo
smarrimento interiore che assale
chi tenti di guardare oltre il fragile
paravento del paesaggio» per ritrovarvi
i colori dell’anima, la forza
della memoria, l’energia per sentirsi
se stessi e per costruire il futuro.
Di xylella, si dirà, si parla anche
troppo, fra opposte teorie che portano
più alla paralisi delle istituzioni
che a un’efficace lotta al batterio.
Ma se ne parla, ed è questo oggi il
maggior rischio, secondo ottiche
economiche o agronomiche, accantonando
quasi sempre un tema
egualmente centrale: la salvaguardia
del paesaggio storico. Una volta
estirpati gli ulivi uccisi dal batterio,
che cosa accadrà di quei suoli preziosi,
dove la coltivazione dell’ulivo
ha quattromila anni di età? Già si
vedono segnali inquietanti: qua e là
campi di ulivi lasciano il posto a distese
di pannelli solari; altri, specialmente
in aree di piccola proprietà,
vengono abbandonati, e le
aziende agricole sono costrette a
vendere le loro attrezzature (per
esempio gli scuotitori di olive) ad
altri Paesi produttori, dalla Grecia
al Marocco; altri ancora ospitano,
per sopravvivere, culture o attività
estranee alla tradizione e alla storia
dei luoghi. Ci sono, è vero, altre
specie olivicole che sono, a quel che
pare, immuni all’infezione da xylella,
e qua e là si progetta di impiantarle
in luogo degli ulivi defunti:
ma quanto ci vorrà per ricostituire
la forma del paesaggio storico? E
quali specie olivicole sono davvero
compatibili con il ripristino di un
paesaggio degno del Salento? E
quanto ai tronchi d’albero espiantati,
non sarebbe il caso di prevederne
le modalità di riuso e una filiera
artigianale per utilizzarne il
legno pregiato? Per giungere a risultati
visibili e plausibili sotto il
profilo dei paesaggi storici, non ci
vorrebbe un piano complessivo,
guidato dalle istituzioni in sintonia
con le aziende agricole?
Situazione paradossale, in un
Paese che ha scolpito la tutela del
paesaggio tra i principi fondamentali
della propria Costituzione (art.
). E doppiamente paradossale in
Puglia, che con la Toscana è una
delle pochissime Regioni che hanno
adempiuto all’obbligo di redigere,
in sintonia con il Ministero dei
Beni Culturali, un dettagliato piano
paesaggistico (art.  del Codice
dei Beni Culturali e del Paesaggio).
Angela Barbanente, a lungo assessore
al Territorio della Puglia, è stata
anzi attiva anche sul piano nazionale,
e per questo fra i relatori
più in vista degli Stati generali del
Paesaggio (Roma ‑). Ma allora
come mai una dimensione essenziale
come quella del paesaggio
storico viene così spesso dimenticata,
anche quando si scatena un
flagello come la xylella?
Intanto piovono le domande di
espianto degli ulivi condannati o di
nuovi reimpianti, ma solo quelle
relative alle aree vincolate dovrebbero
passare attraverso chi ha il
compito di tutelare i paesaggi storici,
la locale Soprintendenza “Archeologia
Belle Arti Paesaggio”. Su
circa .‑‑ proprietari in tutto, circa
metà operano su aree vincolate,
ma a quel che pare solo un decimo
di queste (cioè il  % dell’insieme) si
è rivolto alla Soprintendenza. Anche
perché nel frattempo l’ex ministro
dell’Agricoltura, il leghista
Centinaio, aveva vanificato la procedura
liberalizzando gli espianti.
E come sempre accade chi richiama
le norme a tutela del paesaggio,
dalla Costituzione al Codice al Piano
paesaggistico regionale, viene
accusato sull’istante di volersi opporre
a un qualche malinteso “progresso”.
E i conflitti che ne nascono
contribuiscono a impedire un efficace
intervento sulle orrende ferite
che l’epidemia di xylella ha inferto
a uno dei paesaggi più caratteristici
d’Italia, anzi d’Europa.
Un intervento concertato delle
istituzioni, dalla Direzione generale
del Ministero (ora in capo a Federica
Galloni) alla Soprintendenza
locale (tenuta da Maria Piccarreta),
alla Regione, ai Comuni, dovrebbe
dunque concentrarsi, superando
contrasti e conflitti di competenza,
sulla creazione di un piano lungimirante,
che affronti l’emergenza
pensando al futuro del paesaggio
storico del Salento con piena cognizione
del suo passato. Una cognizione
a cui dovrebbe contribuire
l’Università di Lecce, dove operano
archeologi di grande competenza
ed esperienza su questi temi.
Anche perché, a meno che non si
adotti per tempo quella strategia di
contenimento dell’epidemia che
nel Salento non è stata purtroppo
tentata, il dilagare della xylella obbligherà
ad affrontare questa peste
del nostro tempo anche in altre
aree. In ogni caso, il Salento è e sarà
nei prossimi anni una (gigantesca)
cartina di tornasole di quel che le
istituzioni pubbliche e la buona volontà
dei cittadini vorranno o non
vorranno fare per salvaguardare i
paesaggi storici. Una tutela che,
non dimentichiamolo, in Italia non
è solo questione di gusti o di estetica.
È un problema di legalità, anzi
di legalità costituzionale.

Salvatore Settis è un archeologo e storico dell'arte italiano. Dal 1999 al 2010 è stato direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa. Wikipedia
Nascita: 11 giugno 1941 (età 78 anni), Rosarno