mercoledì 24 febbraio 2021

Scolymus hispanicus L. -Asteraceae - Cardogna comune lu Cardunceddhu del Salento leccese

Scolymus hispanicus L. (Compositae) Cardogna: Pianta bienne con fusti leggermente alati, da giovani eduli; fiori gialli riuniti in capolini distribuiti sia all'ascella delle foglie che nella parte terminale del fusto.

Foglie profondamente incise, debolmente amplessicauli, verdi, coriacee. Comune nei terreni aridi, costieri dell'intera penisola italiana fiorisce tra luglio ed agosto.

Pianta erbacea biennale alta fino a 120 cm, portamento ramoso-corimboso e fusto con ali brevi ed interrotte, di lunghezza di circa 15 cm. Fiori a capolino di colore giallo vivo, situati alle ascelle fogliari e terminali. I frutti sono acheni ovoidali grigiastri, senza pappo.(Ugo d’Ugo https://www.ugodugo.it/2014-11-21-08-40-19/cardogna-comune)

Scolymus hispanicus L. subsp. hispanicus- La cardogna comune è una specie a distribuzione mediterranea presente in tutte le regioni d'Italia salvo che in Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige e forse Piemonte (segnalata erroneamente inLombardia), ma più comune al centro-sud. Nell'area metropolitana di Roma la specie è diffusa sia all'interno sia al difuori del raccordo anulare. Cresce in vegetazioni ruderali lacunose, lungo le strade, presso gli abitati, su suoli primitiviricchi in scheletro, poveri in humus, aridi d'estate, con optimum nella fascia mediterranea. Sin dai tempi di Teofrastonella Grecia antica, questa pianta era conosciuta per usi medicinali e culinari; anche se un tempo veniva coltivata,attualmente l'uso culinario è basato principalmente sulla raccolta di piante selvatiche. La specie è molto popolare inquasi tutte le province della Spagna, dove di solito è consumata in umido durante la primavera, oppure in insalate,zuppe e con uova strapazzate. Il nome generico deriva dal nome greco di una pianta simile al cardo, quello specifico siriferisce ala Spagna, ove la specie è diffusa. Forma biologica: emicriptofita bienne. Periodo di fioritura: giugno-agosto (Guida alla flora di RomaPier Luigi Nimis, Fabio Attorre, Carlo Blasi, Laura Celesti,Giuliano Fanelli, Edda Lattanzi, Andrea Moro, Elena Pittao,Agnese Tilia, Stefano MartellosFoto di AA.VV.Curatore dell'apparato di immagini: Andrea Moro  http://dryades.units.it/online_books/Roma_Book_ita/files/assets/basic-html/page675.html)












Le foto sono di Pancrazio Campagna FLORA NEL SALENTO e ... anche altrove: presentazione di piante spontanee, coltivate e ornamentali (http://floranelsalento.blogspot.com/2015/05/)

mercoledì 17 febbraio 2021

I MUGNULI ovvero i Cavoli del Salento leccese

I MUGNULI ovvero i Cavoli del Salento leccese

di ANTONIO BRUNO



Più dolci dei cavoli, più teneri dei broccoli. Sono i “mugnuli”, delicata verdura che è una esclusività dei salentini. Tanto da essere ingrediente principale di uno dei piatti più tradizionali del Salento, la “massa” di San Giuseppe.

I “mugnuli” in realtà sono cavoli broccoli, varietà di brassica come la B. oleracea L. var. botrytis L. (Cavolfiore) e var. italica Plenck (broccoli). Questo cavolo broccolo ha una maggiore capacità di resistere alle avversità tanto da essere definito più rustico rispetto alle altre varietà ed ha anche una certa diversità della morfologia rispetto agli altri cavoli broccolo, infatti l’infiorescenza è più piccola e meno compatta, i singoli fiori sono bianchi, più grandi e con brattee florali più ampie rispetto a quelle del broccolo.

Conosciuti con il nome di “spuntature leccesi” (ma anche di “spuriàtu”, “spuntature”, “càulu pòeru” e “caùli paesani”), i “mugnuli” hanno un sapore più dolce e aromatico rispetto a tutti gli altri cavoli ed è per questo che i salentini, e solo loro, continuano a consumarlo in gran quantità.

Ci vorrebbe uno studio genetico per stabilire se i “mugnuli” sono antenati dei cavoli Broccoli o se invece costituiscono uno sviluppo parallelo. I responsabili del Laboratorio di Botanica sistematica ed Ecologia vegetale del Dipartimento di Scienze e Tecnologie ambientali dell’Università del Salento hanno riscontrato nei “mugnuli” la presenza di indoli ed è per questo motivo che mangiando questo ortaggio si ottiene di prevenire certi tumori tipici dell’apparato digerente. Non solo, le donne che allattano il bambino, consumando “mugnuli”, producono più latte.

Ma cosa significa la parola “mugnuli”? Il professor Armando Polito ne spiega l’origine facendolo risalire ai “capricci”. Questo significato, infatti, si potrebbe ricollegare all’antica credenza secondo la quale chi aveva i capelli vistosamente arricciati era pervaso da misteriose voglie pungenti. Insomma, siccome la parola capriccio deriverebbe dalla parola capo e dalla parola riccio, e prendendo atto che la forma di questo ortaggio ricorda proprio un capo ricciuto, questo ha autorizzato la fantasia del professor Polito a supporre un uso metaforico del nome dell’ortaggio.

Dei “mugnuli” si possono distinguere nel Salento leccese almeno tre ecotipi: praecox, major e serotino. Il primo viene chiamato anche “mugnulettu”, ha uno sviluppo contenuto e viene coltivato in terreni leggeri, la sua produzione è precoce, limitata, ma organoletticamente gradevole, per questo motivo viene molto ricercato dagli appassionati di questa verdura. Gli ecotipi major e serotino, invece, hanno uno sviluppo maggiore; in particolare il serotino, che è anche più tardivo, viene coltivato in terreni pesanti, freschi e fertili. Le piante sono folte e di un verde intensissimo.

Dopo aver tagliato ai “mugnuli” la testa principale (a co-rimbo) crescono molti capi di piccole dimensioni che possono essere tagliati dalla stessa pianta per uno o due mesi, a secondo di quanta acqua ha a disposizione la pianta.

Se si vuole coltivarli in giardino o nell’orto, è bene trapiantarne una piantina allevata prima in semenzaio; la semina deve essere fatta 20-25 giorni prima del trapianto.

Quando alla metà di luglio o alla metà di ottobre le piantine giungono all’altezza di 10-20 centimetri, si trapianta; gli agricoltori utilizzano spesso semine scaglionate per ampliare il periodo di produzione.

Il trapianto viene effettuato in un terreno ben lavorato, concimato con 7-8 q/ha di concime ternario (ad esempio 11-22-16). Le piante devono essere poste a una distanza all’interno della riga di 40-50 centimetri e di 80-100 centimetri fra le righe. Si interviene con solfato di ammonio due volte: dopo il trapianto e durante la formazione della testa principale.

I “mugnuli” sono piante più resistenti a stress biotici rispetto agli altri cavoli e per coltivarli non servono erbicidi, poiché i campi non sono molto grandi, essendo coltivati per l’uso della famiglia e per i piccoli mercati locali. Alcuni agricoltori usano lasciare le piante di “mugnuli” per molti anni, anche se il raccolto peggiora qualitativamente con il tempo. Grazie alla dispersione dei semi a causa del vento, infine, i “mugnuli” possono essere considerati anche una pianta spontanea.

È il periodo giusto per consumare questa splendida verdura che è disponibile dalla metà di novembre fino a marzo-aprile. Le ultime “spuntature leccesi” arrivano giusto in tempo per la “massa” di San Giuseppe, un piatto tipico di diversi centri del Salento, che si prepara in onore del santo il 19 marzo.

giovedì 11 febbraio 2021

Le patate nel Salento lecese

Compositore di Patate

di Antonio Bruno


 

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Abstract Riassunto

La tipologia dei terreni presenti nell’aerale indicato presentano caratteristiche chimico fisiche (terra rossa) insieme al microclima influenzato dalla vicinanza del mare Jonio tali da conferire alla patata caratteristiche organolettiche uniche.

Mio padre non c’è più e comunque dopo di lui nessun Capo manovra compone treni di patate Sieglinde, magari solo qualche vagone. Francesco Minonne dell’Università del Salento poi quella di Enzo Manni della Cooperativa ACLI di Racale, seguirà il Prof. Francesco Serio dell’ISPA – CNR Bari sulle innovazione per la valorizzazione della patata precoce e concluderà il Dott. In particolare, la produzione di patate primaticce (novelle) copre il 33,9% rispetto al totale nazionale.

Noi Dottori Agronomi e Dottori Forestali siamo invece convinti che per salvaguardare la biodiversità e garantire la conservazione della tipicità di tanti prodotti agroalimentari sia necessario promuoverli e consumarli soprattutto in loco ed è per questo motivo che l’iniziativa proposta per domani dal collega Prof. Luigi De Bellis dell’Università del Salento va appunto nella direzione auspicata da noi Medici della Terra!

La questione che noi Dottori Agronomie Dottori Forestali poniamo appartiene alla più ampia tematica dei prodotti del Sud che vengono acquistati da dai consumatori meridionali solo nella misura del 6% con un evidente danno per l’economia del Meridione.

Da una ricerca di Coldiretti emerge che in nessuno dei supermercati del Salento è presente la patata di Galatina, ma si vendono patate provenienti dall’estero vecchie di 12 mesi e questo è un altro dei prodotti della mancata informazione dei consumatori che potrebbe essere fatta efficacemente da noi Medici della Terra.

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La prima volta che ne sentii parlare fu nel periodo che va da questo mese di marzo sino a giugno, io adolescente fremevo per i primi amori primaverili per poi spiaggiare alle avventure estive mentre mio padre, più maturo, fibrillava perché in primavera lui componeva treni. Chi? Mio padre un compositore? Ebbene si era capo manovra alla stazione di Lecce e li giungevano dalle Ferrovie Sud Est vagoni e vagoni pieni anzi, stracolmi, di patate Sieglinde che dovevano essere poi le note che messe insieme componevano il treno dell’armonia dei tedeschi, perché le Sieglinde nascono in Provincia di Lecce parlando tedesco solo ed unicamente per la felicità delle tedesche e dei tedeschi.

Ecco perchè chi attende con trepidazione la Sieglinde sono uomini e donne che dalla Germania alla Svezia che sono disposti a sborsare tantissimi Euro per la nostra patata che in quelle terre fredde del Nord Europa costa più di una bistecca. Infatti ad Amburgo ogni anno si svolge “l’ Internationale Kartoffel-Frühjahrsbörse”, cioè la fiera mondiale della patata, dove la nostra Sieglinde è tra le più richieste e valutate.

Solo che adesso tutte quelle vagonate di Patate non ci sono più. Ricordo che quasi tutte le duemila aziende agricole che assistevo negli anni 80 e 90 cominciavano a chiedere l’acqua per l’irrigazione nel mese di marzo, poi continuavano a chiederla per tutta l’estate e le patate davano lavoro a chi le produceva, raccoglieva e a chi le ammassava per la prima lavorazione prima di spedirle verso il nord Europa.

La patata Sieglinde è un prodotto inserito nell’elenco dei prodotti tradizionali di PUGLIA - Decreto Mi.P.A. del 22 luglio 2004 e la produzione si svolge su terreni in proprietà o in affitto siti nei feudi dei Comuni di: Melissano, Ugento, Alliste, Racale e Taviano.

La tipologia dei terreni presenti nell’aerale indicato presentano caratteristiche chimico fisiche (terra rossa) insieme al microclima influenzato dalla vicinanza del mare Jonio tali da conferire alla patata caratteristiche organolettiche uniche.

La Sieglinde è una patata novella, e la sua raccolta avviene precocemente tra la seconda metà di marzo e giugno nel Salento e da maggio a metà luglio sulla costa jonica.

Il tubero non ancora completamente maturo (non c'è ancora il completo indurimento della buccia), viene immediatamente destinato al mercato per essere consumato.

Mio padre non c’è più e comunque dopo di lui nessun Capo manovra compone treni di patate Sieglinde, magari solo qualche vagone. Oggi i Paesi nord Africani e la Grecia suona altre composizioni che non vanno su rotaie ma che solcano i mari, le patate oggi sono dei naviganti che partono dall’africa per raggiungere le coste del nord Europa. Ma la patata africana non è la nostra elegante e raffinata Sieglinde del Salento leccese! C’è la qualità e la specificità propria della patata Sieglinde del Salento leccese che può essere un biglietto da visita per il mercato ecco che per questo motivo è davvero lodevole l’iniziativa del Prof. Luigi De Bellis dell’Università del Salento del Convegno sulla patata Sieglinde che si terrà 18 marzo 2010 presso il Rettorato Università del Salento a partire dalle ore 16.00.

Ci sarà la relazione del Dott. Francesco Minonne dell’Università del Salento poi quella di Enzo Manni della Cooperativa ACLI di Racale, seguirà il Prof. Francesco Serio dell’ISPA – CNR Bari sulle innovazione per la valorizzazione della patata precoce e concluderà il Dott. Roberto Fatano di Confindustria Lecce.

Nel Salento leccese una superficie di quasi 3.000 ed una produzione di 438.000 quintali dimostra che la Patata novella è tuttora una realtà produttiva per i territori che si sono specializzati anche se non c’è più una generalizzazione della produzione su ampia scala.

In particolare, la produzione di patate primaticce (novelle) copre il 33,9% rispetto al totale nazionale.

Ho già scritto che la patata Sieglinde compare nell'Elenco Nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 193 del 18 agosto 2004, la cosa è di notevole importanza perché quell’elenco riporta i più importanti prodotti della tradizione gastronomica italiana, appositamente schedati al fine di garantirne la “sopravvivenza.

Questa patata come ho già scritto è particolarmente apprezzata in Germania, ma la questione si pone in modo pregnante perché è poco utilizzata proprio nel territorio di produzione, noi non la utilizziamo, non la mangiamo, non la consumiamo e quindi inesorabilmente assoggettiamo la produzione e la raccolta agli umori del mercato tedesco.

Noi Dottori Agronomi e Dottori Forestali siamo invece convinti che per salvaguardare la biodiversità e garantire la conservazione della tipicità di tanti prodotti agroalimentari sia necessario promuoverli e consumarli soprattutto in loco ed è per questo motivo che l’iniziativa proposta per domani dal collega Prof. Luigi De Bellis dell’Università del Salento va appunto nella direzione auspicata da noi Medici della Terra!

La questione che noi Dottori Agronomie Dottori Forestali poniamo appartiene alla più ampia tematica dei prodotti del Sud che vengono acquistati da dai consumatori meridionali solo nella misura del 6% con un evidente danno per l’economia del Meridione.

Da una ricerca di Coldiretti emerge che in nessuno dei supermercati del Salento è presente la patata di Galatina, ma si vendono patate provenienti dall’estero vecchie di 12 mesi e questo è un altro dei prodotti della mancata informazione dei consumatori che potrebbe essere fatta efficacemente da noi Medici della Terra. Solo un professionista iscritto all’Ordine che garantisce la sua azione tecnica nell’esclusivo interesse del consumatore può aggiustare questi paradossi che si verificano nel nostro Salento leccese.

C’è un grande assente al Convegno del Prof. De Bellis, infatti non c’è l’Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali che pur partecipando ai lavori e sicuramente anche al dibattito non è stato invitato a esprimere questo concetto di azione di informazione e formazione del consumatore a favore dei prodotti locali per una filiera corta dal produttore al consumatore che può essere messa in atto solo ed unicamente attraverso l’azione di noi Medici della Terra.

Il Prof. Luigi De Bellis che è anche un collega Dottore Agronomo e sono certo che sarà sensibile a questa esigenza di valorizzazione del territorio attraverso i prodotti garantiti da noi Dottori Agronomi e Dottori Forestali, garantiti da noi medici della terra e sono certo che in seguito l’Università e l’Ordine troveranno sinergie per la valorizzazione del nostro territorio.

 

 

*Dottore Agronomo

 

 

 

Bibliografia

Puglia agricola Maggio 2006

elenco dei prodotti tradizionali di PUGLIA - Decreto Mi.P.A. del 22 luglio 2004

http://patatesieglinde.com/

martedì 9 febbraio 2021

Impianto del frutteto valido per tutte le colture.

Impianto del frutteto valido per tutte le colture.


 

La sequenza si riferisce alla messa a dimora delle piante di un noccioleto su un appezzamento sottoposto a scasso (aratura) totale.

1-Dopo aver ritirato le piante dal vivaista, occorre evitare che le radici rimangano scoperte: se forzatamente dovete posticipare l'impianto per più giorni, sistemate le piante dentro un solco ricoprendo l'apparato radicale con sabbia o terra fine ben inumidita.

2-Con picchetti e corde effettuate il tracciamento delle file e individuate i punti in cui porre a dimora le piante.

3-Scavate con la vanga la buca che deve ospitare l'apparato radicale, ricordando che la buca non deve essere troppo profonda.

4-Prima della sistemazione in buca, effettuate una potatura delle radici eliminando quelle lesionate e prive di epidermide esterna (si noti nella foto il tessuto legnoso, di colore giallo intenso).

5-Ponete la piantina nella buca e coprite tutte le radici con terra fine.

6-Infine, provvedete a far aderire molto bene il terreno al colletto della pianta

venerdì 5 febbraio 2021

Storia naturale del pollo di razza leccese

Storia naturale del pollo di razza leccese

Messaggio da leggereda Bayard » lun 9 apr 2012, 9:14

 

Cantato per le sue penne caudali turchine, immortalato sui piatti della ceramica grottagliese e cutrofianese, forgiato come banderuola sui tetti dei nostri centri storici, il gallo nostrano e la sua fida compagna dalle inesauribili uova bianche hanno un interessante passato zootecnico. I polli locali, quelli che razzolavano sulle aie delle masserie salentine, erano bestiole variopinte e vivaci:«Bella, petulante e randagia», scriveva della gallina di Terra d’Otranto un periodico (“Cultura avicola”) agli inizi del ‘900. Erano creature errabonde e pellegrine dei prati, delle stoppie e dei querceti; la femmina in particolare era una lavoratrice instancabile, un po’ come gli industriosi abitanti di questa terra. Galli e galline di razza Leccese - ma anche gli altri reinventati dall’autarchia di regime negli anni ’30 come la Nera di Foggia - si erano accattivati meritati elogi da tutti gli agronomi italici: dagli antichi romani Varrone e Columella fino ai contemporanei Bonadonna e Jovino. Le galline salentine, in effetti, erano tanto amorevoli nell’accudire i loro pulcini quanto grandi dispensatrici di uova e di carne. Questa varietà è stata talmente importante per l’economia delle classi povere da essere stata immortalata nei canti popolari e nelle filastrocche di cui è protagonista.

 

 


Per lunghi decenni i domestici pennuti di Terra d’Otranto sono stati dati per estinti: spodestati già a partire dal secondo dopoguerra dai cosiddetti broiler industriali, cioè dagli ibridi americani di grandi dimensioni e dalle uova dal guscio bruno erroneamente considerate più genuine delle vecchie e candide sfere ovoidali che le nonne applicavano, ancora tiepide della deposizione, sugli occhi dei nipotini per guarirli dalle più svariate oftalmie, essi in realtà non erano del tutto annientati. Poche decine di relitti zoonomici erano sopravvissuti nei poderi e nelle corti e oggi sono al centro di un’importante progetto di recupero da parte di un gruppo di ricerca sostenuto dalla Coldiretti provinciale e composto da dottori agronomi, storici della scienza, medici veterinari, allevatori e semplici amatori: tutti uniti dalla passione nel ritrovare e moltiplicare questa pregevole razza avicola mediterranea.

La storia scientifica e zootecnica del pollo Leccese è tutta da riscrivere. Tuttavia si sa per certo che nel 1931, nelle campagne immediatamente circostanti il capoluogo, tecnici ministeriali raccolsero e misero a incubare centinaia di uova. A partire dagli esemplari nati da quella schiusa, la razza fu quindi «purificata» e selezionata presso il locale pollaio provinciale, che era nient’altro che un allevamento annesso agli orti dell’Istituto Tecnico Agrario “G. Presta”. Ma, ahimé, avvenne proprio qui il primo inciampo in un destino erroneamente ritenuto avviato verso le «magnifiche sorti e progressive» dell’economia rurale: l’errore dei tecnici «autarchici» fu quello di prendere in considerazione soltanto esemplari provenienti dalla costellazione di piccole e grandi masserie che sorgevano nella cintura periferica di Lecce, soprattutto quelle limitrofe alla scuola agraria, escludendo le popolazioni avicole allevate nel resto della provincia e in quelle di Brindisi e Taranto. Comunque sia, le caratteristiche produttive del pollo leccese degne di nota erano fondamentalmente due: la discreta precocità di sviluppo (a 5-6 mesi maschie femmine erano pronti per la riproduzione) e la bontà ed economicità delle carni (per le classi sociali subalterne quella di pollo era sovente, in quegli anni, l’unica carne dal prezzo accessibile). Le uova invece, secondo quando ebbero modo di scrivere alcuni autori, restavano piuttosto piccole qualunque tentativo si fosse fatto per migliorarne il peso e le dimensioni. La razza Leccese venne poi distinta in due sottorazze: una detta ‘moresca’, di piumaggio perniciato e molto scuro; l'altra detta ‘isabella’, dalle tinte più tenui (beige nei pettorali della femmina e dalla mantellina ruggine-dorata nel maschio). Ma, a detta di molti anziani intervistati, il fenotipo classico era quello con il piumaggio cuculo/barrato bianco-grigio. La Leccese, tipica razza di polli mediterranei con zampe gialle, orecchioni bianchi, cresta semplice assai sviluppata e grossomodo rettangolare, ricadente su un lato della testa della femmina nella stagione della deposizione, si conferma oggi animale rustico; pulcini e adulti resistono alle malattie, al caldo e al freddo; la gallina conserva l’istinto della cova; i galli sono formidabili razzatori. La coda è piuttosto rialzata con falciformi poco sviluppate; nell'insieme, l'aspetto dell’animale è slanciato.

C’è da dire, però, che contemporaneamente alle indagini che nel ventennio fascista svolgevano i tecnici del pollaio provinciale leccese, un altro studioso, il ricco possidente Raffaello Garzìa, ne conduceva un’altra nella propria masseria di Torre Pinta: la sua selezione portava presto ad un tipo di pollo molto diverso, decisamente dalla taglia pesante (il gallo pesava anche più di 4 Kg), dalle zampe color ardesia, ancora una volta con dimorfismo dei caratteri tra maschio e femmina, orecchioni bianchi pronunciatissimi, e infine con uova candide del peso anche superiore a 70 g. Il progetto di Garzìa era quello di un pollo a duplice attitudine, che producesse cioè un maggior quantitativo di carne ma anche di uova, queste ultime ben più grosse di quelle intorno alle quali naufragavano gli sforzi di miglioramento operati dai tecnici ministeriali. Come mai questa differenza tra i due tipi di pollo? Probabilmente alla razza di Garzìa, che polemizzava nei suoi scritti con la scuola autarchica, contribuiva un insanguamento di polli Minorca. Anche i discendenti di questi esemplari sono stati trovati durante l’indagine in corso, ma i responsabili del progetto preferiscono essere cauti nell’inserirli per ora nel loro studio.

L’indagine scientifica avviata un anno fa a cura di questo gruppo eterogeneo di ricercatori è apparsa così persuasiva da meritare da subito il sostegno finanziario della Coldiretti e della Camera di Commercio di Lecce attraverso la fiducia convinta dei loro presidenti, rispettivamente Vincenzo Tremolizzo e Alfredo Prete. La ricerca ha avuto luogo in un territorio della provincia limitato, per il momento, ai comprensori rurali di Soleto, Otranto, Miggiano, Galatina e Gallipoli. Le uova reperite sono state messe in incubatrice nell’autunno 2005 e nell’estate 2006 e hanno visto nascere un centinaio di pulcini rispondenti alle caratteristiche morfologiche del pollo di tipo mediterraneo immortalato dalle foto degli anni ’30. L’obiettivo dichiarato dei tre animatori di questa benemerita iniziativa, il dottore veterinario Vittorio Alba, il dottore agronomo Sergio Falconieri e lo storico della scienza Gino L. Di Mitri, è la costituzione di un presidio allevatoriale presso l’azienda Gaia di Corigliano d’Otranto che possa poi distribuire gli esemplari salvati dall’estinzione agli agricoltori salentini, e così favorire il ripristino di una razza importante nella storia della civiltà rurale della nostra provincia. I risultati della ricerca sono stati presentati il 16 dicembre scorso in una riuscitissima giornata di studio al Castello “Delli Monti” di Corigliano organizzata dalla Coldiretti in partnership con Gaia, e sotto il patrocinio dell’Assessorato alle Risorse Agricole della Regione Puglia, dell’Amministrazione Provinciale di Lecce, del Comune di Corigliano e dell’Unione della Grecìa Salentina.

ALLEGATI


Un superbo esemplare di gallo di razza leccese proveniente dagli allevamenti della Azienda Agricola Gaia di Corigliano d'Otranto.



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Il supergallo di Raffaello Garzia.



Gallina leccese razza Raffaello Garzia.jpg



Gallina della varietà leccese selezionata negli anni '40 da Raffaello Garzia.


Coppia di avicoli di razza leccese, varietà isabella, fotografati nell'autarchico pollaio provinciale di Lecce a metà anni '30.

leccesebarrato.JPG

Un giovane maschio di razza lecceze, varietà barrata grigia

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Gallo e gallina di razza leccese, varietà moresca, fotografati nel pollaio provinciale di Lecce alla metà degli anni '30.

Maximam naturae venator reverentiam debet

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Bayard

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Raffaello Garzia, gentiluono salentino di campagna

Messaggio da leggereda Bayard » lun 9 apr 2012, 9:19

 

Non c’era soltanto la razza leccese leggera, cioè a precipua vocazione ovaiola, tra gli avicoli di bassa corte. Raffaello Garzìa, proprietario terriero salentino e coraggioso cultore di studi zootecnici, nella sua masseria di Torre Pinta ne aveva selezionato anche una pesante destinata a produrre uova dalle dimensioni considerevoli (fino a 70 grammi) e carne in abbondanza (il maschio adulto giungeva a pesare più di quattro chili). A differenza dei leggiadri esemplari “isabella” e “moresca” dai tarsi gialli, i maestosi volatili di casa Garzìa li avevano color ardesia, segno indubitabile di una lontana origine dai polli “Minorca” che forse i marinai catalani avevano portato con sé in Puglia già sul principio del ‘400. In diversi articoli scientifici Garzìa difese, contro le argomentazioni dei detrattori, la bontà della sua selezione che ricevette peraltro molte onorificenze in svariate esposizioni. L’attuale rivalutazione delle razze autoctone e a rischio di estinzione, nell’ambito della vigilanza e della tutela di una corretta e sostenibile filiera produttiva, potrebbe portare presto a un recupero di questa benemerita razza domestica.

 

Fonte: http://forum.biscusoarmitalia.com/viewtopic.php?f=68&t=433



mercoledì 3 febbraio 2021

Piattello Nome scientifico: Hypochoeris radicata L.

 


Il Piattello (un concentrato di antiossidanti) 

Le foto sono di Pancrazio Campagna

Piattello
Nome scientifico: Hypochoeris radicata L.

Famiglia: Asteraceae

Nome volgare: costolina, petaciun, costola d’asino, costa d’asino, ingrassaporci, scarnetta, piattello

Etimologia:
Il nome del genere fa riferimento all’apprezzamento dei maiali (in greco choìros) per le parti sotterranee della pianta, mentre quello della specie alla posizione delle foglie, innestate sostanzialmente sulla radice. I nomi comuni fanno per lo più riferimento alla posizione appiattita sul terreno delle foglie, come per “piattello”, all’evidente nervatura (costola) o all’essere pianta ricercata dai maiali, “ingrassaporci”.



Descrizione:
Le sue foglie sono carnose, croccanti e di un bel verde, più o meno acceso, coperte da un’ impercettibile peluria. A differenza delle altre cicorie non cresce in altezza, ma rimane schiacciata a terra. È specie polimorfa, così che la sua classificazione in passato non è stata uniforme. Presenta un rizoma legnoso ingrossato e radice a fittone, con innestate le foglie raccolte in rosetta, pelosette, aderenti in autunno-inverno al terreno, di forma spatolata e con margine variabile dall’intero, o quasi, al lobato, con evidente costolatura. Alta anche oltre gli 80 cm, presenta dalla primavera uno o più caratteristici assi florali glabri e glauchi, diritti, senza foglie, con ramificazioni in alto e tipici capolini a fiori ligulati di un giallo intenso, che nelle colonie consistenti possono dare ai prati una coloritura particolare. I frutti sono acheni con pappo. Le parti aeree della pianta secernono un latice amarognolo, innocuo come in altre asteraceae



Habitat:
È una pianta comune in tutta Italia, isole comprese, fino alla collina. La costolina è tipica erbacea da prati magri, anche se è adattabile a diversi suoli e situazioni. Pianta perenne, è molto diffusa in Italia e in Europa in genere, fino al Caucaso, vegetando senza problemi dal piano alla bassa-media montagna, a secondo delle aree.



Proprietà:
antiossidanti, chelanti (capaci di far smaltire all’organismo i metalli pesanti), depurative, antibatteriche, colagoghe (aiutano l’espulsione della bile), emollienti, digestive, amaricanti, toniche. In medicina popolare questa pianta era utilizzata in particolare come antidiabetico (P. M. Guarrera).
Un’importante ricerca pubblicata su Journal of Applied Pharmaceutical Science, nel luglio 2012, dal titolo “Screening of in vitro antioxidant activity of methanolic leaf and root extracts of Hypochaeris radicata L.”, condotta da Jamuna ed altri, ha dimostrato come questa pianta selvatica abbia una ricchezza inesplorata. E’ stato condotto uno studio in vitro confrontando le proprietà di questa pianta con alcuni noti antiossidanti e sono state fornite prove scientifiche che dimostrano la validità degli usi tradizionali di questa pianta, che per simpatia continuiamo a chiamare costole d’asino.  In base ai risultati ottenuti con questo studio, si è concluso che gli estratti metanolici delle foglie e delle radici di questa specie possiedono significative attività antiossidanti e chelanti. Nello studio sono stati confrontati gli effetti con alcuni potenti chelanti come la Vitamina C, l’EDTA. La presenza di un’adeguata quantità di composti fenolici e di flavonoidi possono spiegare questa efficacia. I composti fenolici sono noti per le loro attività antiossidanti (Shahidi e Wansundeara, 1992) e sono molto importanti costituenti vegetali a causa della loro capacità scavanger (di fare pulizia), che è dovuto ai loro gruppi ossidrilici (Hatano et al., 1989). Inoltre nella pianta Hypochaeris radicata L. un ruolo importante lo svolgono gli ioni ferrosi. Quindi, questi risultati di questo studio confermano, come ritenevano i nostri nonni, che questa pianta ha una potenziale fonte naturale di antiosssidanti anche con attività chelanti.
Lo stesso studioso ha pubblicato, proprio nel 2013, sull’International Journal of Pharmacy and Pharmaceutical Sciences, anche un altro intrigante studio, dove dimostra l’attività antibatterica potentissima di questa comunissima piantina dei campi.



In cucina:

Le foglie basali vengono utilizzate sia crude, in insalata, sia cotte per minestre, zuppe, frittate e torte salate. Le rosette basali si raccolgono da fine marzo a tutto giugno, quando sono ancora tenere, quelle raccolte più tardivamente, a volte fino all’inizio dell’inverno, sono più piccole, un pò più dure e di gusto leggermente più amaro, eliminabile con la cottura.
L’uso alimentare crudo di questa pianta nelle insalate di campo (si unisce alle altre cicorie: Crespino, Caccialepre, Tarassaco, Pimpinella, ecc.) è abbastanza diffuso. La rosetta basale costituisce un piatto di verdura particolarmente saporito e piacevolmente amarognolo. Queste caratteristiche organolettiche, sono ancor più evidenti quando la pianta è ancora giovane (autunno-inverno) mentre d’estate le sue foglie diventano ispide, fibrose e insipide, ma si possono ancora utilizzare cotte. Dopo aver mondato le piantine da eventuali foglie appassite, le si possono preparare lesse e condite con olio. Anche la radice è commestibile, ma richiede un po’ più di lavoro per mondarla. Le sue foglie (e le radici) cotte possono essere utilizzate per delle zuppe, insieme con altre erbe selvatiche, come nell’acquacotta, oppure nelle zuppe di verdure o per le frittate, o anche nei tortini rustici. A differenza delle altre cicorie di campo, dopo la cottura riduce di poco il suo volume. Dopo averle lessate le si possono utilizzare anche condite con olio e aceto, oppure ripassate in padella con olio, aglio e un pizzico di peperoncino. Nelle regioni del Sud questa erba si usa anche in piatto unico con i legumi e le patate lessate, ripassate in padella con aglio, peperoncino e qualche pomodorino. Si può aggiungere anche del finocchio selvatico. Il ferro contenuto nella pianta abbassa il Carico Glicemico Complessivo di un piatto altrimenti troppo “zuccherino”.



Vellutata di piattello

Ingredienti:

800 g di piattello (costolina),
3 foglie di borragine,
alcuni pomodori o 200g di polpa pronta
olio e burro q. b.,
una cipolla piccola,
alcune patate del brodo vegetale,
uno spicchio d’aglio,
maggiorana fresca,
peperoncino

Preparazione:

Lessare per qualche minuto le patate, sbucciate a dadini o a fette sottili, la borragine e il piattello e poi frullare o tagliare finemente al mixer. Rosolare nel frattempo con olio e burro in una padella dai bordi alti una cipolla finemente tritata, uno spicchio d’aglio da togliere non appena prende colore, della maggiorana fresca e, se piace, del peperoncino. Aggiungere al soffritto le verdure e il pomodoro e salare.
Fare cuocere aggiungendo del brodo vegetale fino ad ottenere la densità gradita.
Servire la vellutata nel piatto su crostini di pane sfregati con aglio, eventualmente dorati a parte, aggiungendo olio a crudo.

Fonte: https://www.accademiaerbecampagnole.eu/il-piattello-un-concentrato-di-antiossidanti/ 

Alcune osservazioni sul piano straordinario per la rigenerazione olivicola della Puglia con considerazioni metodologiche e proposte concrete da attuarsi in Salento con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)

 

di Antonio Bruno

 

Come noto la politica agricola comune (PAC) sostiene la vitalità e la sostenibilità economica delle comunità rurali attraverso misure di sviluppo rurale (il cosiddetto secondo pilastro).

Queste ultime rafforzano le misure di mercato e il sostegno al reddito della PAC mediante strategie e finanziamenti per potenziare i settori agroalimentare e forestale dell'UE, la sostenibilità ambientale e il benessere delle zone rurali in generale.

Invece il modello di intervento dello stato nell'economia che va comunemente sotto il nome di programmazione incontra notevoli difficoltà ad affermarsi nel nostro paese. Per l’agricoltura del Salento leccese necessita un Piano che sia l'espressione di un più ampio e complessivo progetto di riforma dell'intero sistema istituzionale dell'agricoltura, ovvero un piano agricolo-alimentare per il Salento. Una visione complessiva del Piano che, come ben evidenziato in Next Generation EU, indirizzi tutto lo sforzo in direzione di una trasformazione profonda della nostra agricoltura puntando a quella di precisione.

 

Il Salento leccese dal 1971 e tutt’ora in atto vi è un processo di deterritorializzazione, ovvero di destrutturazione delle relazioni territoriali pre- esistenti e di trasformazione delle relazioni popolazione – risorse (Raffestin, 1981; Turco, 1988). Tale processo nell’ultima fase può essere schematizzato come segue:



I dati che seguono sono una mia elaborazione della pubblicazione della Prof.ssa Liberata Nicoletti Professore Associato di Geografia (M-GGR/01) presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell'Università del Salento.

Il territorio della provincia di Lecce, per estensione ha una estensione di 2.759 chilometri quadrati, con una popolazione di 802.018 abitanti (censimento 2011).

Censimento 2011

 

 

 

 

 

territorio della provincia di Lecce metri quadrati

Ettari

Popolazione

275.900.000,00

275.900,00

802.018

 

Sono state rilevate con il censimento 2011 un numero di 71.060 aziende agricole delle quali 55 mila circa si estendono con una superficie agraria utilizzata (SAU) inferiore ai 2 ettari. Inoltre 15mila circa (quindicimila) aziende hanno una superficie compresa tra 2 e 20 ettari e circa 1.013 (mille tredici) aziende che presentano una superficie maggiore o uguale a 20 ettari

Numero delle Aziende Agricole Provincia di Lecce

 

Percentuale%

Totale

71.060

100,00%

Aziende con Sau media inferiore ai 2 ettari

55.000

77,40%

Aziende con superficie maggiore o uguale a 20 ettari

1.013

1,43%

Aziende con superficie tra 2 e 20 ettari

15.047

21,18%

 

Confrontando i dati con il precedente decennio

Confronto Numero di Aziende del censimenti del 2001 con quelle del 2011

 

Numero Aziende Provincia di Lecce

 

decennio 1990 - 2000

74.600

decennio  2000 -2010

71.060

differenza

3.540

 

La ridotta dimensione media delle aziende agricole, che colloca la provincia leccese agli ultimi posti della classifica nazionale, interessa quasi tutto il Salento con alcune significative eccezioni per i comuni di Lecce, Calimera, Maglie, Otranto e Minervino di Lecce in cui le dimensioni aziendali medie sono al di sopra dei 4 ettari. [….] la superficie media (del censimento 2011 n.d.r.) è di 2,4 ettari sebbene in oltre la metà (52,6%) delle aziende agricole della provincia si continui a coltivare una superficie inferiore a 1 ettaro. (Nicoletti Unisalento 2017)

La forma di conduzione familiare riguarda la quasi totalità delle Aziende Agricole della Provincia di Lecce

Forma di conduzione delle Aziende Agricole

Numero Aziende

Percentuale % sul totale

Conduzione familiare

69.639

98,00%

Altre forme di conduzione

1.421

2,00%

Totale Aziende della Provincia di Lecce

71.060

100,00%

 

 

 

 

Nel 2016 le aziende agricole che assumono dipendenti sono 5.712 unità. Gli occupati in agricoltura sono in tutto 22.023 unità di cui 1.071 sono extra comunitari. (Nicoletti Unisalento 2017)

 

COMPARTO PRODUTTIVO OLIVICOLO

Il comparto olivicolo è in via di ricostituzione in passato era praticata in ordinamenti monocolturali ed era prevalente tra le province italiane sia per numero di aziende (65.738 - 92,6% del totale regionale e 7,3% del totale nazionale) che per superficie investita (97.329,38 ha, 60,4% della SAU totale) e contribuiva per circa il 20% alla produzione regionale. (Nicoletti Unisalento 2017)

COMPARTO PRODUTTIVO VITICOLO

La vite, presente nel 12,4% delle aziende, interessa una superficie pari al 5,3% della SAU totale soprattutto nei comuni a ridosso della costa ionica (Leverano, Salice Salentino, Nardò, Copertina, Guagnano, Campi Salentina e Veglie) dove in numerose aziende si praticano coltivazioni per la produzione di vini di qualità certificata (DOC e/o DOCG) e contribuisce a circa il 10% della produzione regionale. (Nicoletti Unisalento 2017)

COMPARTO PRODUTTIVO CEREALICOLO

Il frumento viene coltivato nel 10,2% delle aziende e interessa una superficie pari all' 11,3% della SAU totale. (Nicoletti Unisalento 2017)

COMPARTO PRODUTTIVO FLORICOLO ORTICOLO

In particolare le colture floricole e ortive (patate, angurie, pomodori e altre specie di ortaggi), con rese spesso anche elevate, tipicamente orientate al mercato fresco, costituiscono uno dei settori di maggiore interesse nell'agricoltura provinciale; sono praticate nel 3,1% delle aziende della provincia, soprattutto in quelle di piccole dimensioni, e investono una superficie pari al 7,2% della SAU totale. (Nicoletti Unisalento 2017)

COMPARTO PRODUTTIVO AGRUMICOLO

solo nel 2,3% delle aziende leccesi è presente la produzione di agrumi che investe una superficie pari allo 0,3% della SAU totale provinciale. (Nicoletti Unisalento 2017)

COMPARTO PRODUTTIVO AGRICOLTURA BIOLOGICA

Solo lo 0,9% delle aziende provinciali (contro il 1,9% in Puglia e il 3% in Italia) pratica il biologico, che interessa una superficie di 13.646,12 ettari, corrispondenti all'8,5% della SAU provinciale. (Nicoletti Unisalento 2017)

Il Paesaggio rurale della pietra

Si fa presente l'assoluta priorità per la conservazione degli elementi del paesaggio rurale tradizionale (pajare, muretti a secco, masserie, ecc.) che oltre a rappresentare un peculiare aspetto del contesto territoriale, di cui sono direttamente o indirettamente il prodotto, possono svolgere un ruolo di organizzazione compositiva e di valorizzazione del paesaggio agrario. (Nicoletti Unisalento 2017)

MASSERIE E RECETTIVITA’ AGRITURISTICA

Peculiare funzione di tutela del territorio è assicurata dalle masserie, espressioni emblematiche della cultura contadina e dell'organizzazione produttiva dello spazio agricolo, il cui utilizzo ha consentito di triplicare nell'ultimo decennio la ricettività complessiva delle attività agrituristiche soprattutto nei comprensori di Otranto e Gallipoli: nell'intera provincia di Lecce si concentra più del 30% degli agriturismi della Puglia ed il 23,1% delle masserie didattiche pugliesi. (Nicoletti Unisalento 2017)

 

 

Piano straordinario per la rigenerazione olivicola della Puglia - https://www.regione.puglia.it/web/rigenerazione-olivicola

Aziende Agricole della Provincia di Lecce - Numero: 71.060 – Sau: Ha 161.130,94 - SAU media aziendale: Ha 02,27 -  Sat: Ha 173.782,85

Fonte: Istat - 6° Censimento generale dell'Agricoltura, 2010

 

Le Aziende olivicole della provincia di Lecce

sono 65.738 con una superficie investita ad olivo di circa 97.300 ettari – Superficie media aziendale 1,48 ettari. (Fonte: Istat - 6° Censimento generale dell'Agricoltura, 2010)

 

Aziende Agricole della Provincia di Lecce iscritte alla CCIA.

In totale sono 9.000 (novemila) le Aziende Agricole della provincia di Lecce, iscritte alla Camera di Commercio Industria e Artigianato di Lecce. Di queste come abbiamo visto solo 5.712 assumono dipendenti. Inoltre solo 2.800 (duemilaottocento) sono condotte da IAP(Imprenditori Agricoli Professionali)

E’ del tutto evidente che ci sono circa 57mila aziende olivicole della provincia di Lecce che non potranno accedere a queste risorse.

 

Ma cosa è stato fatto sino ad oggi?

Misura 5.2 dotazione 50 milioni di Euro

Contributo per l’espianto e Contributo per il reimpianto

Attraverso il Psr Puglia, ovvero con la sottomisura 5.2 si sono rigenerati oltre 7mila ettari del territorio della provincia di Lecce, circa il 10% delle superfici estirpate.

SUPERFICIE CHE È STATA INTERESSATA DALLA RIGENERAZIONE Ha 7.000 (settemila ettari)

Da una fonte che attribuisce questi dati al Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano le superfici da estirpare sono 70mila ettari di oliveto nella Provincia di Lecce (fonte https://agronotizie.imagelinenetwork.com/agricoltura-economia-politica/2020/08/24/xylella-il-piano-di-rigenerazione-olivicola-inizia-a-pagare/67737  )

Misura 2.A – Rimozione piante disseccate a seguito della Xylella nella zona infetta (Art. 4) 20 milioni di Euro (ci sono altri 20 milioni di Euro)

La dotazione si è esaurita ma siccome verrà rifinanziata potranno accedere ai contributi tutti i proprietari di oliveti danneggiati della provincia di Lecce.

Se stimiamo in 2mila Euro per ettaro le somme necessarie per estirpare si sono estirpati 10mila ettari e con i prossimi 20 milioni se ne potranno estirpare altri 10mila.

SUPERFICIE CHE E’ STATA INTERESSATA DALL’ESTIRPAZIONE Ha 10.000 (diecimila ettari)

Superficie che sarà interessata dall’estirpazione Ha 10.000 (diecimila ettari)

Le richieste per l’espianto ammontano a 225 milioni di Euro e non sono state ancora soddisfatte.

Misura 2.B – Reimpianti e riconversioni tramite cultivar di olivo resistenti (Art. 6) 40 milioni di Euro

Superficie che è stata interessata dalla rigenerazione 5MILA ETTARI DI OLIVO

 

Misura 4.1.C PSR dotazione 40 milioni di Euro per i reimpianti

Superficie che è stata interessata dalla rigenerazione 5MILA ETTARI DI OLIVO

Distretto Agroalimentare Jonico Salentino 30 milioni con progetti DI COLTIVAZIONI ALTERNATIVE ALL’OLIVETO sino a 50 milioni

Il totale rigenerabili e rigenerati al gennaio 2021 è desumibile dal quadro sinottico che segue:

 

Misura

Superficie rigenerata o potenzialmente finanziata per la rigenerazione

Misura 5.2

7 mila ettari

Misura 2.b

5mila ettari

Misura 4.1 c

5mila ettari

Distretto Agroalimentare Jonico Salentino 30 milioni con progetti DI COLTIVAZIONI ALTERNATIVE ALL’OLIVETO

5mila ettari

Totale ettari rigenerabili al gennaio 2021

22mila ettari

 

Ho già scritto che la superficie investita ad olivo in Provincia di Lecce circa 97.300 ettari

MI CHIEDO E VI CHIEDO: CHI PROVVEDERA’ A RIGENERARE I RESTANTI 80MILA ETTARI?

Per rispondere a questa domanda c’è da tenere presente che i destinatari delle risorse per il reimpianto e per le altre coltivazioni alternative all’Olivo sono le Aziende Agricole della Provincia di Lecce iscritte alla CCIA.

 

Come già scritto le Aziende Agricole della Provincia di Lecce iscritte alla CCIA sono 9.000 (novemila) e di queste solo 2.800 (duemilaottocento) sono condotte da IAP(Imprenditori Agricoli Professionali).

Se ne deduce che circa 57mia aziende della provincia di Lecce non potranno accedere a queste risorse. Queste aziende possiedono 80mila ettari di oliveto.

Le aziende che hanno avuto il finanziamento pubblico hanno ottenuto in media 7mila Euro per ettaro

Questo dimostra che tutti i cittadini hanno finanziato solo 9mila proprietari del paesaggio rurale della provincia di Lecce.

Qual è il valore dei terreni in Provincia di Lecce nell’anno 2021?

Valore del capitale fondiario in provincia di Lecce 2021

Le compravendite avvenute registrano un valore del capitale fondiario per un minimo di 5mila euro ad un massimo di 10mila euro.

È evidente che per rigenerare i restanti 80mila ettari al costo medio di 7.000 Euro ci vogliono 560milioni di Euro.

Conclusioni

Per sviluppo territoriale deve intendersi un processo di miglioramento tendenziale e diffuso delle condizioni di benessere della popolazione che vi è insediata nel rispetto dei principi dell’equità intra e intergenerazionale, ossia, un processo di miglioramento sostenibile. (Pollice Unisalento 2017)

Come è possibile desumere dai dati che ho esposto applicando l’economia di mercato alla rigenerazione olivicola del Salento leccese non si è attuato nessun processo di miglioramento tendenziale e diffuso delle condizioni di benessere della popolazione del territorio della provincia di Lecce. Inoltre non vi è stato alcun rispetto dei principi dell’equità tra le 9.000 (novemila) Aziende Agricole della Provincia di Lecce iscritte alla CCIA e le altre 57mia aziende che invece non risultano iscritte.

Per il Salento leccese invece ci dovrebbe essere un Ente pubblico che attui un piano basato sulla proposta di Piano Nazionale di ripresa e resilienza he prevede di fare finalmente un salto di qualità nell’impegno contro i cambiamenti climatici che per valorizzare a pieno le opportunità per ne derivano.

Nel Piano la priorità da riconoscere è quella dell’agricoltura biologica, anche come modello desiderabile per l’agricoltura del futuro, con l’obiettivo che la superficie agricola utilizzata nel Salento sia certificata in biologico entro il 2030, anche per dare una risposta coerente alle crescenti richieste dei consumatori.

Inoltre nello stesso si dovrebbe intervenire per la tutela dei suoli, sia dal punto di vista quantitativo con il blocco di nuovo consumo di suolo, che da quello qualitativo per invertire la tendenza sempre più allarmante della perdita di fertilità causata dall’abuso della chimica di sintesi in agricoltura nei decenni scorsi.

Il Piano dovrebbe anche prevedere il passaggio dall’economia circolare alla bio economia circolare partendo dalle  strategie UE Farm to Fork e Biodiversità 2030.

Un piano di conversione al biologico per sostenere le filiere del Made in Italy bio e per la promozione di distretti biologici, a partire dalle aree interne e dalle aree naturali protette, un’opzione strategica per promuovere l’occupazione dei giovani occupati nell’Ente pubblico che si occupa dell’agricoltura del Salento in coerenza con il Green Deal europeo.

 Antonio Bruno

Bibliografia

LIBERATA NICOLETTI, L'agricoltura salentina fra tradizione e innovazione

Fabio POLLICE e CLAUDIO CERRETI, Partecipazione e conflitto per lo sviluppo territoriale

Piano straordinario per la rigenerazione olivicola della Puglia  https://agronotizie.imagelinenetwork.com/agricoltura-economia-politica/2020/08/24/xylella-il-piano-di-rigenerazione-olivicola-inizia-a-pagare/67737

https://www.regione.puglia.it/web/rigenerazione-olivicola

C. Raffestin, Territorializzazione, deterritorializzazione, riterritorializzazione e informazione, in A. Turco (ed.), Regione e regionalizzazione, Milano, Angeli, 1984

Piano nazionale di ripresa e resilienza http://www.politicheeuropee.gov.it/it/comunicazione/approfondimenti/pnrr-approfondimento/