sabato 30 luglio 2016

Xylella 30 luglio 2016







Disastro Xylella, prospettive oltre il danno. Un problema agricolo, sociale, ambientale e culturale








Disastro Xylella, prospettive oltre il danno.

Un problema agricolo, sociale, ambientale e culturale

CONFERENZA STAMPA

Venerdì 29 luglio 2016, ore10.30

Hotel Hilton Garden Inn - Lecce


Premessa

Da circa tre anni la preoccupazione degli operatori agricoli e l'attenzione dell'opinione pubblica del Salento sono rivolte in massima parte alla problematica connessa al disseccamento rapido dei nostri olivi, causato dal diffondersi del batterio da quarantena Xylella fastidiosa.

L'insediamento del batterio Xylella fastidiosa nel Salento è senz'altro un disastro agricolo, ma anche sociale, ambientale e culturale.

Le soluzioni che la Commissione Europea ha inteso fin qui adottare per affrontare la minaccia di Xylella fastidiosa come un patogeno delle piante, chiedendo misure di gestione e di contenimento, si scontrano con la realtà della nostra olivicoltura.

Le piante di olivo nel Salento hanno rappresentato da sempre la ricchezza del territorio esprimendo valori economici-produttivi, ma anche sociali, ambientali e culturali.

Per tale motivo le strategie di controllo del parassita devono andare oltre gli aspetti tecnico-economici, considerando, quindi, anche quelli sociali, ambientali e culturali.

Considerazioni tecnico-scientifiche

Al momento, dal punto di vista tecnico-scientifico, le uniche certezze sulle quali concordano tutti gli studiosi ed esperti del settore sono:

a) mai nel Mondo una pianta infetta da Xylella fastidiosa è sopravvissuta all'infezione; ciò sembra non lasciare nessuna speranza ad interventi curativi, alcuni dei quali prospettati con non poca fantasia.
Fra l'altro, la percezione dello stato di infezione avviene soltanto ad un livello avanzato di manifestazione dei sintomi, per non parlare poi della difficoltà di affidare all'endoterapia l'introduzione e la diffusione di una sostanza curativa all'interno dello xilema di un olivo secolare.
Ne deriva, al momento, l'assoluta inutilità di lasciare in piedi una pianta certamente malata o addirittura morta;




b) mai in un'area nella quale Xylella fastidiosa si è insediata è stato possibile eradicare il batterio. Quindi ne consegue che il Salento sia condannato a convivere con il batterio;

c) esiste un'eccezionale diversificazione nel campo degli ospiti delle sottospecie di Xylella fastidiosa (per ora 4, Xf fastidiosa; Xf multiplex; Xf sandyi; Xf pauca; per un totale di oltre 300 specie).
Il ceppo salentino di Xylella fastidiosa è una variante della sottospecie pauca ed esclude dall'infezione, fino a questo momento, la vite;

d) Xylella fastidiosa è un batterio limitato allo xylema ed è esclusivamente trasmesso da insetti xilemomizi appartenenti all'ordine degli Hemiptera, sottordine Cicadomorpha. Il contrasto a tali vettori è determinante per contenere il diffondersi dell'infezione;

e) il "Rapporto Xylella" dell'Accademia dei Lincei del 23 giugno 2016, redatto da un gruppo di lavoro che ha studiato il caso, ha concluso che "l'agente causale della malattia è Xylella fastidiosa, una conclusione che abbiamo accettato come non più discutibile";

f) in generale le buone pratiche agricole e le cure con prodotti più o meno naturali hanno dato risultati per la maggior parte negativi. In alcuni casi apparentemente hanno stimolato la pianta a vegetare, ma dopo pochi mesi la stessa è tornata a disseccare.

Considerazioni politiche

Fin dall'inizio di questa "brutta storia", almeno dal mese di ottobre 2013 quando fu ufficialmente individuata la presenza del batterio da quarantena Xylella fastidiosa sul nostro territorio, è mancata dapprima la volontà di costituire una "cabina di regia" (con la partecipazione dei rappresentanti dei Sindaci della provincia di Lecce e delle Istituzioni, Enti ed Organismi interessati a vario titolo alla problematica Xylella), e successivamente dal 12 dicembre 2014 (data di approvazione della delibera dell'Assemblea dei Sindaci della provincia di Lecce relativa all'Ordine del Giorno in merito alla problematica Xylella fastidiosa) di farla funzionare.
Già in detta occasione, nell'Ordine del Giorno, fu comunque sottolineato che: "la situazione si rileva estremamente grave non solo dal punto di vista economico, sociale, ambientale, paesaggistico, ma anche e soprattutto per le ricadute di carattere generale che si avranno sull'intera comunità salentina che certamente coinvolgeranno tutte le attività del territorio".




Provvedimenti di carattere normativo e giudiziario di maggiore impatto sul territorio

In questi ultimi due anni sono stati adottati numerosi provvedimenti di carattere normativo e giudiziario, emessi dalla Commissione e dalla Corte di Giustizia UE, dalla Procura della Repubblica di Lecce e dalla Regione Puglia.
Fra i più significativi per il loro impatto sul territorio, vanno segnalati:

-     il divieto di impianto di piante ospiti (fra le quali naturalmente l'olivo) del batterio nelle zone infette (art. 5 - Decisione di esecuzione (UE) 2015/789 della Commissione del 18 maggio 2015);
    Per quanto concerne detta prescrizione, avendo ormai classificato l'intera provincia di Lecce zona infetta, è evidente che il batterio Xylella fastidiosa sub specie pauca non può essere più considerato da quarantena (mentre per l'UE è e resta batterio da quarantena) ma ormai, a tutti gli effetti, endemico.
    Per tale motivo non ha senso impedire la sostituzione delle piante estirpate con altre piante di olivo o, comunque, procedere a nuovi impianti di olivo, utilizzando cultivar più tolleranti al batterio.
    Ad ogni buon conto rimane insoluto un problema fondamentale:
    a prescindere dall'equo ristoro per una pianta di olivo per la maggior parte secolare e in presenza di divieto di reimpianto e, quindi, di sostituzione di una pianta infetta con una pianta sana di olivo, e in assenza di vincolo di destinazione delle somme ricevute, quali investimenti possono essere autorizzati in una azienda agricola? Si corre il concreto rischio di investire tali risorse in altre attività esterne all'agricoltura;

-     l'estirpazione delle piante sane entro un raggio di 100 metri intorno alle piante infette da Xylella fastidiosa nei focolai esterni alla provincia di Lecce e nella zona cuscinetto (art. 6 - Decisione di esecuzione (UE) 2015/789 della Commissione del 18 maggio 2015);
Per quanto concerne detta prescrizione, per la verità non implementata in larga scala a causa del sopraggiunto decreto di sequestro preventivo d'urgenza disposto dalla Procura della Repubblica di Lecce il 18 dicembre 2015 e convalidato con ordinanza del GIP del 28 dicembre 2015, avrebbe avuto senso solo nella fase iniziale quando fu individuata la presenza del batterio in un'area circoscritta nei dintorni di Gallipoli.
Molto probabilmente si sarebbe potuta contenere l'infezione, ma solo attraverso l'immediata attuazione di misure impopolari.
Ormai l'area infetta è oltremodo vasta e il paesaggio irrimediabilmente stravolto, senza tener conto che gli insetti xilemomizi si spostano sia in maniera attiva che in modo passivo (approfittando di "passaggi" su auto, moto, ecc.);

-     la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 9 giugno 2016 che, in merito all'emergenza Xylella fastidiosa, afferma che la Commissione UE può obbligare gli Stati membri a rimuovere tutte le piante potenzialmente infette dal batterio, ancorché non manifestino sintomi di infezione, qualora esse si trovino in prossimità delle piante già infettate.
Questa misura, infatti, si ritiene proporzionata all'obiettivo di protezione fitosanitaria dell'Unione Europea ed è giustificata dal principio di precauzione, tenuto conto delle prove scientifiche di cui la Commissione disponeva al momento della sua adozione (maggio 2015);

-     l'avvio da parte della Commissione UE di una nuova procedura di infrazione contro l'Italia per i ritardi accumulati nella lotta al batterio Xylella fastidiosa, comunicata il 22 luglio 2016 con lettera di messa in mora alle Autorità italiane (la precedente era datata 11 dicembre 2015), in quanto è "estremamente importante che l'Italia attui pienamente la decisione UE e fermi l'avanzare della Xylella";

-     il Decreto di dissequestro disposto in data 28 luglio 2016 da parte della Procura della Repubblica di Lecce degli alberi di olivo oggetto di sequestro preventivo d'urgenza emesso dalla stessa Procura il 18 dicembre 2015.
Nel Decreto viene sottolineato come sia venuto meno lo stato di emergenza, rimarcando "i cambiamenti degli scenari grazie alle buone pratiche agricole attuate in particolare con il rame che hanno rafforzato lo stato di salute delle piante che hanno reagito al batterio in particolare nella zona nord".
Il provvedimento conclude sottolineando che: "non può essere che devoluto alle Istituzioni regionali e nazionali la rappresentazione in sede europea delle nuove evenienze nella lotta alla Xylella al fine di adottare tutte le iniziative necessarie per il contenimento del batterio e alla tutela e salvaguardia del paesaggio salentino";

-     la Legge Regione Puglia 11 aprile 2016, n. 7 recante la "Modifica all'articolo 1 della legge regionale 8 ottobre 2014, n. 41 (Misure di tutela delle aree colpite da Xylella fastidiosa)".
L'obiettivo della norma è di tutelare le aree interessate da infezione a causa della Xylella fastidiosa o dal complesso del disseccamento rapido degli olivi, al fine di evitare possibili speculazioni.
Nello specifico nei terreni interessati da espianto, abbattimento o spostamento di alberi di olivo, non possono cambiare per i successivi sette anni la tipizzazione urbanistica vigente al momento dell'espianto, dell'abbattimento o dello spostamento di alberi di olivo, né essere interessati dal rilascio di permessi di costruire in contrasto con la precedente destinazione urbanistica.
La norma è apparsa subito discriminatoria in quanto impedisce agli agricoltori la possibilità di cambiare la destinazione d'uso dei terreni con olivi abbattuti per la presenza del batterio, rispetto ad altri agricoltori che non hanno dovuto subire la malattia e possono continuare ad ottenere, secondo la legge, modifiche urbanistiche. I produttori onesti verrebbero danneggiati due volte in quanto dopo aver subito la malattia e le eradicazioni e non potendo procedere al reimpianto, non potrebbero neanche chiedere il cambio di destinazione.
Oltre al danno la beffa.
Lo scorso 10 giugno il Consiglio dei Ministri ha impugnato la suddetta legge in quanto ritenuta incostituzionale perché lede, in particolare, gli articoli 41, 42 e 43 della Costituzione che tutelano la libera iniziativa economica e la proprietà privata, nonché i principi comunitari in materia di libera circolazione delle persone e di stabilimento.

Conclusioni

L'attività agricola è fondamentale non solo per la produzione di beni alimentari ma anche per il suo contributo a disegnare il paesaggio, proteggere l'ambiente e il territorio e conservare la biodiversità.
Da sola, comunque, l'agricoltura non può determinare lo sviluppo di un territorio.
Diviene fondamentale, quindi, sensibilizzare le Istituzioni, i produttori e le loro organizzazioni a definire scelte strategiche comuni per il futuro dell'agricoltura salentina ed iniziare ad immaginare un nuovo modello di sviluppo del territorio che tenga conto della presenza ormai endemica del batterio Xylella fastidiosa, con il quale dobbiamo convivere nella speranza di contenerlo.

Per tale motivo, i cittadini e i produttori agricoli salentini, unitamente alle Istituzioni regionali e locali, sia pubbliche che private, dovranno assumere impegni precisi nel mettere in atto azioni, condotte e scelte che garantiscano, anche per le generazioni future, da un lato la tutela del territorio e il diritto al cibo e dall'altro un equo reddito ai produttori agricoli.
Questo perché la crescita sociale ed economica di un territorio non può che essere il risultato della convinta adesione della popolazione e della necessità di collaborazione fra i vari soggetti interessati.

Per quanto precedentemente riportato ed in attesa che la ricerca possa giungere nel medio e lungo periodo ad una cura delle piante infette dal batterio Xylella fastidiosa, tenendo conto, altresì, che la gestione di detta epidemia deve necessariamente prevedere anche altre competenze di tipo economico, ambientale, politico e sociale, è ormai giunto il momento di condividere

UNA NUOVA STRATEGIA PER IL FUTURO DEL NOSTRO TERRITORIO

In tal senso uno sforzo è stato già intrapreso lo scorso anno con la "Carta di Galatina", che dettava gli impegni che intendevano assumere i produttori agricoli, i membri della Società civile e i rappresentanti delle Istituzioni al fine di:

Salvaguardare il futuro del Salento ed il diritto delle generazioni future
a vivere in un contesto più sano, equo e sostenibile
In tale ottica la nuova strategia dovrà prevedere:

a)  l'adozione di una legge speciale, finanziata con specifici fondi straordinari comunitari, nazionali e regionali, finalizzata ad un progetto unico di sviluppo che coinvolga l'agricoltura e tutte le altre attività produttive presenti sul territorio, evitando anche che il ristoro dei danni (se e quando arriverà!) fin qui subiti dalla nostra olivicoltura vada disperso in mille rivoli;

b)  uno specifico progetto di rilancio dell'olivicoltura salentina attraverso la razionalizzazione degli oliveti tradizionali, il rinnovamento degli impianti (almeno semi intensivi, 300-400 piante per ettaro) e l'introduzione di nuovi sistemi produttivi.
   
      In tale ottica sono elementi fondamentali:

      -   l'autorizzazione al reimpianto degli olivi seccati o, comunque, colpiti da Xylella fastidiosa con cultivar che risultino più tolleranti al batterio;

      -   l'utilizzo dell'irrigazione, anche attraverso l'impiego delle acque reflue     opportunamente trattate, prevedendo in tal senso la ristrutturazione e il rilancio delle attività dei Consorzi di Bonifica, attualmente commissariati;

      -   il sostegno all'aggregazione e all'organizzazione economica nell'ambito della filiera olivicolo-olearia attraverso un progetto di rilancio della cooperazione e dell'associazionismo che preveda, fra gli altri interventi, l'adozione di un unico marchio commerciale che identifichi il territorio di produzione;

c)  interventi di carattere ambientale, paesaggistico e culturale, quali:
   
      -   la salvaguardia degli olivi monumentali con specifiche azioni di sostegno per monitorarne l'eventuale patogenicità, prevedendo specifici interventi anche con la collocazione di reti anti-insetto;

      -            la predisposizione nelle aree compromesse di specifici Piani di zona i cui interventi siano improntati, oltre alla salvaguardia degli interessi agro-economici, anche alla riqualificazione paesaggistica e alla salvaguardia idrogeologica;

      -            nelle aree maggiormente compromesse, oltre al reimpianto con olivi più tolleranti al batterio, la possibilità di impianto di alberi da frutto delle specie autoctone (ritorno alla biodiversità) e il rimboschimento (anche di bosco ceduo), utilizzando i reflui affinati.


venerdì 29 luglio 2016

Cece “Sultano” ricerche di Antonio Bruno


Tra le leguminose da granella, il cece è una delle specie di più antica coltivazione; le più remote tracce di utilizzazione di questa specie risalgono a oltre 7400 anni fa nell’attuale Turchia, come provato da ritrovamenti archeologici, mentre testimonianze successive di questa specie sono state trovate in diversi siti neolitici del Medio-oriente, in Irak (dal 4° millennio avanti Cristo), nella civiltà egizia (dal 2° millennio a. C.), in India (dall’inizio del 2° millennio a. C.) e in Grecia (dall’8° secolo a.C.).
La specie è originaria dell’Asia occidentale, a partire dalla quale si è diffusa a ovest nell’area mediterranea e ad est nel subcontinente indiano; solo in tempi molto più recenti ha raggiunto dal Mediterraneo il continente africano, diffondendosi soprattutto in Etiopia. Nel corso del 16° secolo il cece fu introdotto nelle Americhe ad opera dei conquistatori spagnoli e portoghesi. Ultimo continente ad essere raggiunto da questa coltura, in tempi relativamente recenti, è l’Australia.
Attualmente (dati FAO 1998) il principale bacino di produzione del cece è costituito dall’India, con 6,2 milioni di t annue, pari a circa il 69% della produzione mondiale (8,9 Mt); altri Paesi grandi produttori di cece sono: Pakistan (8,6% della produzione mondiale) e Turchia (6,7%), seguiti (con valori compresi tra il 3 e il 2%) da Iran, Messico e Australia.
In Europa, l’unico Paese a realizzare una consistente produzione di cece è la Spagna, con circa 66 mila t annue (0,7% della produzione mondiale), seguito (a notevole distanza) dall’Italia, con poco più di 4 mila t annue. Quest’ultimo valore è l’attuale risultato di un notevole declino delle superfici dedicate nel nostro Paese a questa specie nell’ultimo trentennio (dati FAO).
Il Cece “Sultano”
Il Cece “Sultano” è una cultivar del “cicer arietinum”, pianta erbacea annuale della famiglia delle leguminose originaria del Medio Oriente e coltivata da tempo immemore in tutto il bacino del Mediterraneo. Presenta piccoli semi lisci di forma sferica e di colore giallo paglierino dalle notevoli qualità organolettiche.
Sono molto ricchi di amido e contengono anche buone quantità di fibre e vitamine A e C, oltre alle saponine, sostanze che aiutano l’organismo ad eliminare il colesterolo dall’intestino.
Il Cece Sultano ha la peculiarità di essere un seme piccolo, saporito e si cuoce rapidamente, di eccellenti caratteristiche, di sapore e di finezza della pelle, dovute alla varietà, al metodo di coltivazione e soprattutto ai terreni in cui vengono prodotti, si distingue nettamente dagli altri che comunemente si possono trovare in commercio. Il cece coltivato nel Salento leccese è una varietà molto rustica e resistente alle fitopatologie. A queste doti si aggiunge un gusto particolarmente saporito ed una pelle sottile che in cottura non si stacca (come spesso avviene per i comuni ceci). Le sue grandi qualità organolettiche gli derivano, oltre che dalla varietà, dai terreni in cui viene coltivato, terre siccitose, ma ricche di microelementi. Importanti per il loro apporto di proteine ad alto valore nutritivo, sono il legume più digeribile degli altri, ricchi di vitamina A e C, fibre alimentari, calcio e ferro, tanto che risulta essere un ottimo ausilio nella prevenzione e cura dell’osteoporosi. Sono anticolesterolo, indicati nelle malattie coronariche da ipercolesterolemia, sono indicati per gli ipertesi, gli obesi ed i sofferenti di malattie circolatorie.
Il cece è coltivato in un territorio in cui terra e il clima conferiscono particolare dolcezza e morbida consistenza.
Le ricette che utilizzano il cece sono semplici ma richiedono una cura nella cottura tale da renderli particolarmente e sensualmente teneri.
L’aggiunta poi dei profumi mediterranei quali il rosmarino, l’aglio e l’alloro impartiscono all’insieme un aroma ed un gusto garbato ed inconfondibile.
In cucina sono protagonisti nella preparazione di minestre e zuppe tipiche, purèe e creme, lessati possono essere assaporati da soli conditi con l’olio di oliva. Si accompagnano anche molto bene ai piatti di pesce.
Il miglioramento genetico del cece
Il miglioramento genetico del cece (Cicer arietinum L.), ha subito un rallentamento negli ultimi decenni in conseguenza delle abitudini alimentari che si sono orientate più verso fonti proteiche di origine animale. Da alcuni anni si assiste a una rivalutazione di questa coltura sia da parte degli agricoltori sia dei consumatori. Entrambi però, esigono varietà in grado di garantire produttività e standard qualitativi adeguati.
Nell'annata agraria 2013/14 sono state condotte due prove sperimentali, una in regime di agricoltura convenzionale e l’altra in regime di agricoltura biologica, nelle quali sono stati confrontati 15 genotipi di cece (varietà commerciali, ecotipi locali e linee) che si differenziano per le caratteristiche morfologiche del seme, la precocità di fioritura e maturazione e per la provenienza.
I risultati ottenuti hanno evidenziato un'ampia variabilità produttiva tra sistemi di coltivazione e genotipi. In generale, la resa in seme non è stata elevatissima considerato l'andamento climatico caldo e piovoso che ha favorito lo sviluppo dell'apparato vegetativo, dell'antracnosi e delle erbe infestanti (specie nel sistema biologico). Il cece coltivato con il sistema convenzionale ha fatto registrare una produzione di seme doppia rispetto a quello biologico (1.31 vs 0.66 t ha-1). Alcuni genotipi si sono mostrati più suscettibili all'antracnosi, altri molto resistenti.
In conclusione, nel primo anno di prova si è ottenuto da un lato di caratterizzare il materiale genetico e dall’altro di confermare le principali problematiche nella coltivazione del cece, e cioè il controllo delle infestanti, specie in biologico, e dell'antracnosi. Questi risultati, insieme alle determinazioni in corso sulle caratteristiche qualitative e nutrizionali potranno fornire un valido supporto in futuri programmi di breeding, per l’ottenimento di varietà di cece migliorate per produttività e caratteristiche nutrizionali.
Testimonianze:
Primo contadino
Ho seminato 1 ettaro di ceci  ne ho raccolto 20 quintali ho arato il terreno in estate e a primavera ho fresato il terreno e alla meta di aprile con una macchina trainata dal mio motocoltivatore ho seminato circa 3O kg di semi grandi.
Ho effettuato due sarchiature a mano ossia con una zappetta a spinta manuale per togliere le erbacce e trebbiato con un contoterzista il 23 agosto. Poi con un po’ di pazienza a mano ho ventilato i ceci e venduti a privati a 4 Euro al kg ricavando 8mila euro.
Secondo Contadino
Io quest'anno ne ho seminato 15 di ettari a cece.
Metà con preparazione del terreno con aratro a due vomere e profondità di circa 30 cm e due ripassi con thiller, e l'altra metà con un solo ripasso con thiller.
Poi ho seminato 200 kg x Ha di cece e coperto il cece con una barra a strascino. Ho provveduto a pacciamare per controllare la crescita delle erbe spontanee.
Non ho utilizzato concimi.
Comunque la giusta dose per sopperire alle esportazioni della coltivazione è di 40 unità di fosforo ad ettaro.
Nei terreni poco dotati di azoto la coltura si avvale di 18 unità di azoto x Ha.
La resa normalmente è variata da 17,5 a 27,5 quintali per Ha.
La resa è molto influenzata dall'epoca di semina che da noi avviene tra fine gennaio e prima quindicina di Febbraio.
Per avere un resa alta è importante anticipare l'epoca ai primi quindi giorni di dicembre.
Normalmente non richiede altro, ma bisogna controllare in campo che tutto proceda bene.
Per la seminatrice va benissimo quella del grano e diminuire le dosi a 175 kg x Ha


La tolica del Salento leccese Cicerchia (Lathyrus sativus L.)

La tolica del Salento leccese Cicerchia (Lathyrus sativus L.)

La tolica del Salento leccese Cicerchia (Lathyrus sativus L.)

ricerche a cura di Antonio Bruno*

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Come per molte regioni dell’area mediterranea, sono molte le varietà di piante allevate nel corso dei secoli dagli agricoltori del Salento leccese, e tra queste quella della Cicerchia Lathyrus sativus L. che potrebbe soddisfare esigenze di mercato particolari o "di nicchia", caratterizzate dalla domanda di prodotti tipici, locali, ottenuti con tecniche agricole ecocompatibili e a ridotto impatto ambientale.

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In greco lathiros, in latino cicerula, la cicerchia, proveniente dal Medio Oriente è una leguminosa che nasce da una pianta erbacea a ciclo annuale, molto simile a quella dei ceci.

Il seme è diverso per ogni tipo di pianta, così che quando vediamo un sacco di cicerchie ci appaiono come la “breccia” del fiume, come tanti svariati sassolini.

La cicerchia non compare nella cucina di Apicio, ci sono soltanto gli altri nostri legumi. Il modenese Giacomo Castelvetro, che agli inizi del Seicento si trovava esule in Inghilterra e si struggeva al ricordo dei bei sapori della sua terra, a proposito della cicerchia dichiarava: "Ancora abbiamo noi altro legume appellato cecerchia, ma viene da poche persone stimato, essendo cibo grossolano, ventosissimo e generante sangue grosso, e fuor di modo la malinconia nudrisce."





Il significato di cicerchia



Dal latino cicercula, forma diminutiva di cicer, cece.





Il significato di Lathyrus



Lathyrus è la latinizzazione di un antico termine greco, lathyros, indicante sia una pianta non identificata, provvista di legumi, sia la sostanza eccitante estratta dalla stessa. Il termine articulatus richiama le strozzature (articolazioni) del frutto.



La cicerchia nel catasto del 1929



Nel Catasto Agrario del 1929 la cicerchia era presente come coltura principale nei comuni di Andria, Putignano e Spinazzola rispettivamente per 53, 19 e 16 ha. In agro di Bitetto, Barletta, Conversano, Gravina in Puglia e Noci è indicata generalmente consociata all’olivo.



Coltivate la cicerchia nei terreni più scadenti



La cicerchia è un’antica leguminosa da granella simile alla pianta dei ceci, più rustica, coltivata quasi sempre in terreni marginali con scarso livello di tecnica colturale, resiste alla siccità ed alle basse temperature. I semi sono cuneiformi, angolosi, di colore biancastro, marrone - grigiastro o giallo crema. Il peso di mille semi varia da 300 a 500 g. I legumi vengono venduti sfusi o confezionati in sacchetti di diversi formati. Prima della cottura necessita di un lungo periodo di ammollo.



La cicerchia prodotto alimentare tradizionale



La cicerchia è un prodotto inserito nella sesta revisione dell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali D.M.del 10.07.2006.

Il legume è nutriente e ricco di proteine (28-32%) e contiene buone quantità di aminoacidi essenziali. Il consumo di semi di cicerchia Lathyrus sativus è stato associato per più di 2mila anni alla neuropatia causata dal nearotoxin ß-ODAP (SS-N-Oxalyl-L-α, ß- diaminopropionic acid) acido diaminopropionic) presente nei semi.



Il latirismo o neurolatirismo



Il latirismo o neurolatirismo è l'intossicazione attribuita all’abuso di legumi del genere cicerchia (Lathyrus) che provoca una sindrome neurotossica caratterizzata da convulsioni e disturbi agli arti inferiori (paralisi) dopo lunghi periodi di assunzione.

Dovuta all'aminoacido β-N-Oxalyl-L-α,β-diaminopropionico acido, è diffusa soprattutto nel continente asiatico.

Ecco come la malattia viene presentata dalla Third World Research Foundation:

"Per secoli prima dell'era cristiana, il gelido soffio della Morte ha alitato sopra lande desolate dove cresceva soltanto la cicerchia: Lathyrus sativus.

La cicerchia alligna nelle peggiori condizioni ambientali dove nessun'altra specie botanica sopravvive. Pianta particolarmente resistente, è stata storicamente il cibo a buon mercato di certe aree in via di sviluppo. Le conseguenze tragiche del suo consumo sembra fossero già note nel quarto secolo a.C., ma non a coloro che per sopravvivere erano costrette a cibarsene.

La cicerchia riempie gli stomaci affamati di gustose e ricche proteine, cotte come ortaggi, pestate e fatte a polenta o macinate per ricavarne pane. In cambio vuole un terribile pedaggio e attacca il sistema nervoso centrale producendo spasticità irreversibile. I primi sintomi si manifestano con difficoltà motorie, dolorosissimi crampi e debolezza nelle gambe. Per ultimo arriva la paralisi totale e la morte."



Enrico Pantanelli ci dice come mangiare cicerchia senza ammalarsi di latirismo



A questo proposto scrive Enrico Pantanelli “Essa però (la cicerchia n.d.r.) contiene piccole quantità di un glucoside che, se si consuma troppa cicerchia, può arrecare disturbi, convulsioni e paralisi negli arti, noti col nome di satiriasi. L’inconveniente non si verifica se la cicerchia viene tenuta a bagno prima di cuocerla; infatti la tariasi si incontra nei paesi dove si usa fare con la farina di cicerchia delle speciali focacce arrostite al forno.”





Il programma dell’Istituto di Genetica Vegetale del C.N.R. di Bari



L'Istituto di Genetica Vegetale del C.N.R. di Bari sin dal 1998 ha avviato un programma di salvaguardia, caratterizzazione e valutazione del germoplasma di cicerchia. Le ricerche effettuate hanno permesso di costituire una "core collection" rappresentata da ecotipi interessanti per: produzione granellare, biomassa, dimensioni del seme, contenuto proteico e contenuto di ODAP. Tra questi numerosi sono gli ecotipi d'origine italiana in gran parte collezionati nel centro-sud Italia. Su 35 linee di cicerchia, selezionate in 18 ecotipi italiani, sono state effettuate analisi fenologiche, bioagronomiche, biochimiche e molecolari. I risultati ottenuti hanno consentito di evidenziare differenze significative sia sotto il profilo fenologico e produttivo, che sotto quello biochimico-molecolare con conseguente individuazione di genotipi da utilizzare direttamente o indirettamente in programmi di miglioramento genetico.



Segui queste indicazioni per coltivare la cicerchia nel tuo campo



La semina avviene generalmente in febbraio – marzo e viene fatta a file a 0,40-0,50 m, con 100-120 Kg/ha di seme.. La cicerchia, come le altre leguminose, non ha bisogno di concimazioni azotate perché possiede i batteri simbionti capaci di fissare l’azoto, né di trattamenti antiparassitari; viene effettuata una sarchiatura

per controllare le specie infestanti. In luglio, quando le foglie ingialliscono e i legumi imbruniscono, le piante vengono falciate. Le piante falciate si raccolgono in mucchi e si lasciano per circa una settimana esposte al sole affinché i baccelli completino l’essiccamento. La sgranatura viene eseguita manualmente o mediante macchine.

Generalmente al momento della conservazione i semi posseggono 10% di acqua. Le cicerchie vengono conservate in contenitori a chiusura ermetica in luoghi freschi.

La cicerchia può essere innanzitutto danneggiata dai venti caldi (il nostro favonio) e dall'eccessivo calore, ai quali va spesso attribuito lo striminzimento dei semi. Nocivi alla coltura risultano poi anche i tonchi, l'Afide Siphonophora viciae Kalt. e l'Uromyces fabae





I semi della cicerchia simili ai molari



I semi nella forma ricordano tipicamente quella dei molari, ragion per cui, in alcuni paesi del Salento leccese, la cicerchia viene curiosamente appellata “tòlica cangàle” o “tòlica vangàle” dove “cangàle”e “vangàle” stanno appunto a significare dente molare.



La cicerchia per offendere



Sino ad un recente passato, nella cultura contadina si soleva dileggiare una persona ritenuta eccessivamente di bocca buona, oppure, che non riusciva ad apprezzare un cibo raffinato, appellandolo come mangiatore di tolica, ossia di cicerchia, con frasi del tipo: a casa di quello, tolica si mangia; oppure: quello, solo di tolica ne può capire… inoltre, un ironico proverbio recita: chi ha debiti pianta tolica, come per dire, che continuerà a non combinare nulla di buono.



Oggi quanto si guadagna coltivando un ettaro di cicerchia?



La produzione si aggira su 2-2,5 t/ha di granella, in buone condizioni di coltura e il prezzo di vendita è di 7 euro al chilo quindi una Produzione lorda vendibile da 14mila a 18mila euro. Penso che oggi il proverbio chi ha debiti pianta tolica” è perché con il ricavato di questa coltivazione che come abbiamo visto è totalmente meccanizzabile si possano pagare i debiti accumulati. Il mese di febbraio è arrivato, piantiamo la cicerchia e a Luglio avremo un bel guadagno assicurato!



Bibliografia



POLIGNANO G.B., UGGENTI P., ALBA V., BISIGNANO V., DELLA GATTA C.,LA CICERCHIA: SALVAGUARDIA E VALORIZZAZIONE DEL GERMOPLASMA ITALIANO

Murer F., 2005. Antiche ricette della tradizione popolare. Edizioni pugliesi.

Massimo Vaglio, La cicerchia, antico e rustico legume. Tutto, ma proprio tutto…

E.R. Grela1, T. Studziñski and J. Matras, Antinutritional factors in seeds of Lathyrus sativus cultivated in Poland.

Enrico Pantanelli, Cicerchia

Prezzo di vendita della cicerchia http://www.salentipico.com/prodotto.asp?id=621

Atlante dei prodotti tipici agroalimentari di Puglia

Giorgio Cretì, LA CICERCHIA: DA CIBO GROSSOLANO A LEGUME DA GOURMET

Schede di Sintesi - Misura 4 "Aiuti ad aziende agricole già insediate" e Misura 6 "I° Insediamento"


AIUTI ECONOMICI A FAVORE DELLE AZIENDE AGRICOLE GIA’ INSEDIATE
MISURA 4 – Investimenti in immobilizzazioni materiali.
SOTTOMISURA 4.1 – Sostegno ad investimenti nelle aziende agricole.
OPERAZIONE 4.1.A – Sostegno per investimenti materiali e immateriali finalizzati a migliorare la redditività, la competitività e la sostenibilità delle aziende agricole singole e associate.
BENEFICIARI
- Ditta Individuale, Società di Persone, Società di Capitali, Cooperative Agricole, soggetto Titolare di Impresa Agricola assuntrice di manodopera agricola.
ATTIVITÀ AMMISSIBILI
- Costruzione ex-novo e ammodernamento di fabbricati rurali.
- Acquisto di macchinari nuovi e attrezzature.
- Interventi di miglioramento fondiario, incluse sistemazioni idraulico-agrarie, impianti irrigui, drenaggi, impianti di colture pluriennali…
- Acquisto di terreni nella misura massima del 10% del costo complessivo dell’operazione considerata.
- Acquisto di hardware e software, creazione e/o implementazione di siti internet;
- Stese generali: in tale contesto sono ammessi, tra l’altro gli onorari di professionisti e consulenti, e gli studi di fattibilità connessi al progetto.
ENTITÀ DEGLI AIUTI
Il sostegno concesso in conto capitale con tipologia “Fondo perduto” è fissato al:
- 40 % Agricoltore singolo con azienda ubicata in zone svantaggiate, aree Natura 2000 e aree Naturali Protette.
- 30 % Agricoltore singolo con azienda ubicata in tutte le altre zone.
Agricoltore singolo che conferisce ad associazione di agricoltori o in caso di Progetto collettivo:
- 60 % azienda ubicata in zone svantaggiate, aree Natura 2000 e aree Naturali Protette;
- 50 % azienda ubicata in tutte le altre zone.
- 50 % Agricoltore singolo con investimenti in filiera corta con azienda situata in tutte le zone.
TERMINI DI PRESENTAZIONE DELLE DOMANDE
- Start operatività portale SIAN: 05/09/2016.
- Stop operatività portale SIAN: 31/10/2016.
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AIUTI ECONOMICI A FAVORE DELLE NUOVE AZIENDE AGRICOLE
CON A CAPO GIOVANI AGRICOLTORI – I° INSEDIAMENTO
MISURA 6 – Sviluppo delle aziende agricole e delle imprese.
SOTTOMISURA 6.1 – Aiuti all’avviamento di imprese per i Giovani Agricoltori.
SOTTOMISURE/OPERAZIONI comprese nel Pacchetto Giovani.
COMPOSIZIONE DEL PACCHETTO GIOVANI
- SOTTOMISURA 6.1: finalizzata a favorire l’insediamento dei giovani agricoltori.
- OPERAZIONE 4.1B: finalizzata a sostenere gli investimenti effettuati dalle giovani aziende agricole.
- SOTTOMISURA 6.4: finalizzata a favorire la diversificazione aziendale attraverso il sostegno di attività extra-agricole.
- SOTTOMISURA 3.1: finalizzata a supportare la nuova adesione a regimi di qualità (DOP, IGP, STG, SQNPI, Prodotti di Qualità Regione Puglia, BIO).
BENEFICIARI
- Giovani con età compresa tra 18 anni compiuti e 40 anni non ancora compiuti, che si insediano per la prima volta a capo di un azienda agricola e che assumono per la prima volta la responsabilità civile e fiscale di un’impresa agricola.
ENTITÀ DEGLI AIUTI - Sottomisura 6.1 Premio di primo insediamento.
Giovane che si insedia in azienda preesistente proveniente da unico produttore cedente:
- Sostegno in zone ordinarie: € 40.000,00.
- Sostegno in zone svantaggiate ed aree C e D: € 45.000,00
Giovane che si insedia in azienda di nuova costituzione ovvero in un’azienda agricola proveniente da più produttori cedenti:
- Sostegno in zone ordinarie: € 50.000,00
- Sostegno in zone svantaggiate ed aree C e D: € 55.000,00
ATTIVITÀ AMMISSIBILI - Operazione 4.1B
- costruzione ex-novo e ammodernamento di fabbricati rurali da utilizzare a fini produttivi agricoli e zootecnici;
- acquisto di macchinari nuovi e attrezzature;
- impianti di colture arboree;
- impianti, macchine e attrezzature innovativi che favoriscono il miglioramento dell’efficienza irrigua e l’ottimizzazione dell’uso della risorsa irrigua;
- interventi relativi alla realizzazione di reti distributive che consentano un risparmio e un miglioramento dell’efficienza dei sistemi di distribuzione e alla realizzazione di invasi di raccolta di acqua piovana di dimensione inferiore ai 250.000 mc;
- acquisto terreni agricoli per un massimo del 10% della spesa totale ammissibile dell’operazione considerata;
- strutture di stoccaggio dei prodotti agricoli;
- impianti, macchine e attrezzature innovativi per gli investimenti in filiera corta.
ENTITÀ DEGLI AIUTI - Operazione 4.1B
- 70% per i giovani agricoltori con azienda situata in zone svantaggiate, aree Natura 2000 e aree Naturali Protette;
- 60 % per i giovani agricoltori con aziende situate in tutte le altre zone.
ATTIVITÀ AMMISSIBILI - Sottomisura 6.4
- l’ammodernamento di locali preesistenti – ivi compresi modesti ampliamenti e l’acquisto di attrezzature per la fornitura di ospitalità agrituristica;
- realizzazione di strutture accessorie funzionali all’esercizio dell’attività agrituristica;
- l’ammodernamento di locali preesistenti – ivi compresi modesti ampliamenti – e l’acquisto di attrezzature per la fornitura di servizi educativi e didattici, nonché l’acquisto di arredi e di attrezzatura informatica.
ENTITÀ DEGLI AIUTI - Sottomisura 6.4
- 50% Per tutti gli interventi ammissibili
ATTIVITÀ AMMISSIBILI Sottomisura 3.1
Sono ammissibili all’aiuto le spese sostenute dagli agricoltori beneficiari, per la partecipazione per la prima volta ad uno dei regimi di qualità sovvenzionati di seguito elencate:
- costi di prima iscrizione per il primo anno;
- costi per il mantenimento nel sistema dei controlli;
- costi delle analisi previste dal disciplinare di produzione, dal piano dei controlli dell’organismo di certificazione o dal piano di autocontrollo, nonché quelli degli standard di sostenibilità necessari per l’adesione ai Regimi di Qualità e previsti nei disciplinari di produzione.
ENTITÀ DEGLI AIUTI - Sottomisura 3.1
Aiuto massimo annuale di € 3.000,00 ad azienda per i primi 5 anni di adesione. La percentuale di aiuto è pari al 100% delle spese ammissibili.
TERMINI DI PRESENTAZIONE DELLE DOMANDE
- Start operatività portale SIAN: 05/09/2016.
- Stop operatività portale SIAN: 15/11/2016.
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Olivi disseccati del Salento la soluzione arriva solo con una risposta unica e chiara da parte degli scienziati


Olivi disseccati: c’è la necessità che gli scienziati trovino una convergenza.
Prima di ogni cosa il mondo scientifico deve esprimersi in modo unitario e inequivocabile sul problema degli olivi malati, morti e disseccati del Salento.
Gli scienziati devono scrivere a chiare lettere ciò che si deve fare in maniera inequivocabile. Tutto la comunità scientifica internazionale deve rispondere alle domande che legittimamente si pone il territorio.
Le domande sono:
Prima domanda: Gli olivi malati o morti e disseccati vanno lasciati nei campi?
In caso di risposta negativa alla prima domanda la seconda domanda è la seguente: Gli ulivi malati e quelli morti dobbiamo sostituirli esclusivamente con altre popolazioni di olivi di quali varietà ?
Nel caso di risposta negativa alla seconda domanda la terza ed ultima domanda è la seguente: Con quali altri alberi oltre l’olivo o piante vanno sostituiti gli olivi malati e morti?

Le risposte a queste domande devono essere scritte in modo chiaro e inequivocabile per ottenere che tutto la popolazione del Salento si muova UNITA.
Tutto ciò in ossequio a due principi:
1.     L'energia è quella cosa che fa fare cose alle cose.
2.     L'informazione è quella cosa che dice alle cose cosa fare.
L’informazione se dice che bisogna sradicare gli olivi morti e malati ecco che tutte le persone umane metteranno ogni energia per sradicarli.
Se l’informazione scientifica afferma che bisogna lasciare nei campi  gli olivi morti e malati ecco che le energie di tutte le persone umane saranno finalizzate a conservare questi olivi.


Antonio Bruno

La poponeddha di Corigliano d’Otranto


E’ della categoria delle meloncelle nere ovvero dall’epidermide di color verde scuro uniforme. E’ molto ricercata per le caratteristiche organolettiche ovvero il sapore, l’odore, ma soprattutto la sensazione che, morsa, scricchiola sotto i denti insomma il fatto di essere croccante che però perde troppo rapidamente. E’ graditissima ma questo limite consente la vendita per un periodo troppo breve, prima che la stessa perda il suo essere croccante.

E poi c’è tutta la storia dell’esenzione fiscale concessa dal sovrano Aragonese nel XV secolo che fa propendere per lo sviluppo di questo prodotto da sempre molto richiesto dal mercato.
Mi chiede il produttore di Corigliano d’Otranto come fare ad ottenere il gusto della poponeddha ottenendo però una lunga durata del suo essere croccante.
Per spiegarlo posso senz’altro raccontare la storia del riso Venere.
La storia del Venere inizia in Piemonte, al Centro Ricerche Sa.Pi.Se di Vercelli, nel 1997. Sa.Pi.Se è un’azienda sementiera che vede come soci una manciata di aziende agricole piemontesi e sarde e detiene una buona fetta del mercato sementiero italiano ed europeo del riso. Le varietà prodotte da Sa.Pi.Se sono tra le più coltivate nel nostro Paese. La nascita del riso Venere la si deve a un genetista cinese assunto da Sa.Pi.Se negli anni Novanta che prova a incrociare varietà colorate orientali con varietà locali e ottiene un riso color ebano, profumato, relativamente adatto alla coltivazione in Italia.
Il Centro Ricerche Sa.Pi.Se di Vercelli, nel 1997 assume negli anni Novanta un genetista cinese che incrocia varietà colorate orientali con varietà locali e ottiene un riso color ebano, profumato, relativamente adatto alla coltivazione in Italia.
“Venere” è una varietà registrata e protetta e il marchio è registrato, venduto con un sistema che ricorda molto quello del Kamut®.
In pratica si tratta di dieci produttori, una riseria e un centinaio tra trasformatori e rivenditori.
La filiera funziona in questo permettendo la coltivazione del riso Venere solo alla decina di aziende agricole socie che hanno costituito la Sa.Pi.Se. Il raccolto ottenuto viene conferito all’unica riseria che lo lavora infine una rete di circa cento aziende  lo impacchetta e lo vende.
I produttori fanno parte di questa rete di aziende venditrici. È una vera e propria filiera alla quale si aderisce gratuitamente, ma con un contratto e con regole precise.
La società Sa.Pi.Se stabilisce chi può, di anno in anno, coltivare il Venere, stabilisce il prezzo di acquisto del riso, uguale per tutti, mentre per quanto riguarda il prezzo di vendita al dettaglio ognuno all’interno della filiera è libero di fare quel che vuole.
In effetti la società ha fatto in modo di controllare l’intera filiera e tutelare il loro lavoro. Tutto questo perchè Il riso integrale è germinabile e, a differenza dei risi lavorati, se seminato può dar origine a nuove piante. Chiunque potrebbe prendere un sacchetto di Venere, seminarlo e poi rivenderlo vanificando totalmente i nostri investimenti per produrlo e lanciarlo sul mercato.
Con la poponeddrha di Corigliano il problema non sussiste in quanto viene raccolta a non completa maturazione e i semi non sono germinabili.
Spero di aver spiegato quello che si potrebbe fare a Corigliano d’Otranto per creare una vera e propria filiera di comunità anche perché è già stato avviato l’iter per la DE.CO: (Denominazione Comunale).
Antonio Bruno

Bibliografia

Rita Accogli, Giulia Convrsa, Luigi Ricciardi, Gabriella Sonnante, Pietro Santamaria, Almanacco Biodiverso - La poponeddha di Corigliano pag. 150


Rassegna stampa Xylella e Psr del 29 luglio 2016

AGRICOLTURA, LECCE E TARANTO ESCLUSE DAI FINANZIAMENTI. CASILI : “DI GIOIA PENALIZZA ALCUNI TERRITORI”
Desta forti perplessità la decisione dell’assessorato all’agricoltura regionale di escludere solo le città di Lecce e di Taranto dalla possibilità di percepire alcuni finanziamenti comunitari. In particolare gli agri delle città in questione, che si estendono per decine di chilometri, sono considerati come aree periurbane e pertanto escluse dalla misura 6 “Sviluppo delle aziende agricole e delle imprese” ed in particolare ad essere interessata è la sottomisura 6.4 del PSR 2014-2020 compresa all'interno del "Pacchetto giovani" che prevede aiuti ai giovani agricoltori per un dotazione finanziaria complessiva di 100 milioni di euro.
Si esprime in merito il consigliere regionale salentino del Movimento 5 Stelle, Cristian Casili che chiede un repentino passo indietro all’assessore Di Gioia: “Si tratta di un vero e proprio colpo di mano dell'assessorato all'agricoltura regionale che danneggia seriamente le province di Lecce e di Taranto con una classificazione schizofrenica del territorio regionale - commenta Casili che prosegue - È incomprensibile che Foggia, Brindisi e in parte Bari, siano invece completamente incluse all'interno di aree rurali con una classificazione del tutto discrezionale che agevola un territorio rispetto ad un altro. In particolare i centri urbani di Foggia e Brindisi sono classificati come "Aree ad agricoltura intensiva specializzata". In questo modo - prosegue il vice presidente della Commissione Ambiente - vengono tagliati fuori dagli aiuti finanziari il recupero del complesso di masserie e l'edificato rurale particolarmente diffusi nel feudo di Lecce disattendendo le linee programmatiche che la Puglia si è data nel "Patto città-campagna" del PPTR che prevede una "ricucitura" delle aree rurali con le città. E poiché la sottomisura 6.4 prevede finanziamenti per agriturismi, la creazione di fattorie sociali e didattiche, alcune città come Taranto, vessate da problemi ambientali, perdono là possibilità di guardare a quelle forme di agricoltura multifunzionale utili a riconvertire le economie locali e a generare occupazione. L'assessore Di Gioia - conclude Casili - riveda urgentemente il documento di programmazione e rinegozi con Bruxelles questa classificazione del territorio Pugliese che in questa prima fase (40 milioni di euro) priverà gli agricoltori e i giovani insediati nei feudi di Lecce e di Taranto all'accesso ad una misura strategica che permetterà di aumentare la ricettività rurale e a migliorare un comparto turistico che chiede destagionalizzazione e miglioramento dei servizi.”



giovedì 28 luglio 2016

I giorni della salsa

"Angiulina" la mamma della presidentessa degli Agrotecnici Elisabetta Dolce intenta a fare la salsa di pomodoro in casa


Ogni tanto nelle mie visite tecniche e nelle conferenze a cui sono invitato a parlare, incontro qualche “neofita” dell’agricoltura, qualche ortolano dell’ultima ora, per lo più laureato nelle materie più svariate, seguace dell’agricoltura dei nostri antenati, strenuo difensore delle “buone pratiche agricole della nonna” che mi chiede se ho dei semi di varietà antiche di pomodoro.
Sono giovani, non hanno la mia età e non ricordano, per questo mi chiedono qualcosa che, grazie a Dio, abbiamo superato con la ricerca agronomica.
Mia madre riservava questi giorni al rito della salsa. Le bottiglie di vetro riempite di salsa di pomodoro che sarebbe servita per l’autunno e l’inverno.
Ho negli occhi la figura di mia madre, mio padre e le mie sorelle intente a portare avanti questa catena umana presente in ogni casa.
Eppure ricordo che bisognava stare attenti perché non ci fossero pomodori con la buccia guasta perché avrebbero rovinato tutta la salsa.
Quanti progressi grazie all’innovazione la buccia è molto più resistenti e non ci sono più  pomodori puzzolenti.
Mi ricordo che bisognava togliere i pomodori dalle cassette, che poi passava a riprendersi il venditore, per selezionarli uno ad uno e riporli su delle stoffe stese per terra in casa.
La selezione doveva avvenire sino alla cottura, scartando i pomodori marci o che presentavano la buccia nera in alcuni punti poiché, se utilizzati, avrebbero fatto puzzare tutta la salsa.
Chi fa il mio lavoro è sempre attento all’innovazione che è indispensabile per ottenere prodotti sempre più sani e gustosi.
Io rispetto comunque tutte queste credenze che circolano nel Salento leccese sui semi antichi di pomodoro, sulla loro presunta produzione di qualità. Sono “CREDENZE” che molto si assomigliano a quelle che riguardano la religione. Io rispetto tutte le religioni e mai mi sognerei di discutere le credenze che le informano.
Ecco perché dopo aver illustrato le caratteristiche delle varietà di pomodoro a buccia resistente ottenute dalla ricerca agronomica e dimostrato che sono, ad oggi, quanto di più sano e gustoso è a disposizione dell’ortolano mi taccio davanti alla richiesta di semi di varietà di pomodoro degli anni 1950 – 60 più inclini a deteriorarsi e a marcire perché hanno una buccia meno resistente. Ecco perché la credenza che “i semi di pomodoro degli anni 50 – 60 danno pomodori più gustosi” non ha nessun fondamento, anzi è vero esattamente il contrario ovvero i pomodori di quelle varietà facilmente marciscono.


Antonio Bruno