sabato 30 gennaio 2016

All'ecologia oggi tocca il primato delle scienze di Stefano CRISTANTE

All'ecologia oggi tocca il primato delle scienze di Stefano CRISTANTE


Ci sono parole che usiamo abitualmente sulla cui genesi non sappiamo granché. È il caso della parola “ecologia”. Chi ha più o meno una cinquantina d’anni e un background “movimentista” ricorda forse di averla sentita pronunciare nei tardi anni ’70, ma fu negli anni ’80 che l’espressione prese a circolare diffusamente nell’insieme della società attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Forse perché nel 1986 ci fu il disastro di Chernobyl, madre di tutte le contaminazioni ambientali prodotte dall’uomo.
Come contrappeso alla catastrofe nucleare e alle sue conseguenze la parola “ecologia” si invigorì, e divenne la sintesi concettuale di un nuovo modo di intendere l’ambiente: la natura smise di essere considerata una specie di enorme giocattolo nelle mani di giocatori senza scrupoli, disposti a ogni forma di manipolazione e di sfruttamento intensivo a fini di profitto, e la produzione di energia venne per la prima volta associata agli aggettivi “pulita” e “verde”. La parola ecologia deriva dal greco, come tante parole del nostro lessico. Oikos (casa) più logos (discorso, in questo caso “scientifico”).

Quando i greci dicevano “casa” intendevano qualcosa di più grande e di più impegnativo della dimora domestica: con una certa libertà, potremmo definire casa sinonimo di mondo, di pianeta. Quindi l’ecologia rappresenta la scienza che si occupa del mondo come insieme vivente. A differenza di altre discipline scientifiche, che si occupano del mondo come insieme di scambi di oggetti e risorse tra individui organizzati, l’ecologia tratta degli equilibri tra natura ed esseri umani, pensando gli esseri umani come una parte specifica della natura stessa.
Una visione di questo tipo implica un cambiamento radicale nell’organizzazione mentale della società. La distinzione di Cartesio tra res cogitans (noi umani) e res extensa (la natura) aveva generato l’idea del dominio dell’uomo sulle risorse naturali come un dato di fatto: solo noi pensiamo, quindi solo noi “siamo consapevolmente”. Il sottotesto di questo pensiero è che esiste una gerarchia nel pianeta, e che l’homo sapiens è nato per dominare e sottomettere la natura a proprio piacimento. I filosofi utilitaristi e i fondatori del pensiero liberale affrontarono poi l’ambiente come un nemico da piegare alle esigenze “naturali” del profitto, e il marxismo non ha messo in discussione questo paradigma e ha insistito sulla necessità dello sviluppo delle forze produttive anche dentro la teorizzazione della lotta fra classi. Una visione industrialista pervade storicamente sia il capitalismo sia il socialismo.

L’ecologia si è quindi manifestata non solo come una nuova scienza, ma come una nuova speranza: vista con le lenti delle scienze sociali, l’ecologia ha messo in moto valori e azioni concrete, cambiando la società. Tuttavia, anche se sentiamo circolare la parola ecologia solo da poco più di trent’anni, essa viene da più lontano. Nel 1866 un singolare scienziato tedesco, Ernst Haeckel (1834-1919), biologo, zoologo e filosofo, formalizzò il concetto. Haeckel era un personaggio eclettico che amava la scienza e l’arte: stupiscono per precisione ed esattezza le sue raccolte di disegni delle forme naturali più varie (coralli, insetti, rane, pipistrelli, eccetera) colte nelle loro miracolose geometrie e simmetrie di dettaglio.

A 32 anni Haeckel, che si dichiarava discepolo di Darwin, scrisse “La morfologia generale degli organismi”, in cui usò per la prima volta il termine ecologia, definita come “la scienza delle interazioni tra organismi e componenti biotiche e abiotiche del loro ambiente”, una definizione che pone le basi di una concezione ecosistemica della bio-sfera, concezione che in seguito Haeckel sviluppò anche dal punto di vista filosofico, descrivendo il tutto vivente come un insieme di forme sensibili alla materia e allo spirito, riprendendo la teoria delle monadi di Spinoza. La Federazione Europea delle Società di Ecologia (Eef) ha deciso di festeggiare il 150° anniversario dell’enunciazione del concetto di ecologia da parte di Haeckel. L’insieme delle iniziative internazionali dell’anniversario sarà esposto il prossimo 2 febbraio al Rettorato dell’Università del Salento da Alberto Basset (Presidente di Eef, docente di Ecologia presso Unisalento), da Emilia Chiancone (Presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze) e da Giuseppe De Matteis (Wwf Oasi). Il primo appuntamento in programma si terrà a Lipsia in aprile, e sarà un convegno internazionale per approfondire il significato teorico dell’ecologia, ridiscutendo i collegamenti tra evoluzione, fisiologia e biogeografia. Questioni evidentemente complesse che riguardano in primo luogo gli scienziati. Ma, sottolineano gli organizzatori del 150° nel nome di Haeckel, il discorso ecologico non può restare appannaggio della sola scienza. La visione del mondo come ecosistema riguarda tutti, così come la consapevolezza delle bio-diversità e dell’interdipendenza tra specie. L’amore che molti giovani e giovanissimi dichiarano per gli animali e le piante è incoraggiante, ma non basta. La coscienza ecologica presuppone una conoscenza diffusa sui collegamenti tra le bio-diversità: se l’uomo interviene sulla natura, deve essere certo che le modifiche apportate non causeranno conseguenze negative nell’ecosistema.

Quando ci viene detto che trivellare i mari o produrre energia fossile porta ricchezza, stanno mentendoci. Eventuali profitti (a vantaggio di chi?) non compensano il saccheggio dell’ambiente e peggiorano la nostra vita. L’ecologia chiede di guardare il nostro destino come intero, come un cosmo. Possiamo scegliere se essere le ultime generazioni di saccheggiatori del pianeta o i primi umani ravveduti e in grado di invertire la rotta. Gli studiosi di ecologia insistono sul concetto di sostenibilità, chiedendone una verifica puntigliosa ogni volta che gli uomini intervengono sull’ambiente, valutando attentamente gli effetti che da quegli interventi scaturirebbero, senza limitarsi ai più immediati. È un modo di pensare che implica responsabilità e coraggio culturale e che, 150 anni dopo la fatidica coniazione, merita un riconoscimento unanime: l’ecologia è oggi la scienza “umana” per definizione.
Stefano Cristante
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Venerdì 29 Gennaio 2016, 20:14 –

Xylella 30 gennaio 2016











Consorzi di Bonifica 30 gennaio 2016





venerdì 29 gennaio 2016

Cosa succede in un vaso abbandonato sul terrazzo?


Successione é il cambiamento di strutture e processi che avvengono all’interno di una comunità vegetale nel tempo
LA SUCCESSIONE ECOLOGICA
Come ogni sistema vivente gli ecosistemi hanno una loro vicenda temporale (fase di avvio,  stadi di giovinezza, maturità, declino e definitiva scomparsa di essi come ambiente funzionante), che dipende dal sistema di interazioni che si vengono via via sviluppando tra componenti e fattori abiotici da un lato e comunità vivente dall’altro.
SUCCESSIONE ECOLOGICA è la sequenza di fasi che, partendo dalla comunità che colonizza un nuovo biotopo (complesso di componenti e fattori fisici e chimici) detta comunità pioniera, si succedono l’una all’altra nel tempo (stadi di sviluppo) fino ad un sistema che presenta un certo grado di stabilità che viene chiamata comunità climax.
Ad ogni stadio si registra un differente presentarsi della struttura della comunità, delle caratteristiche degli organismi, dei cicli della materia, del flusso di energia, ecc…
Il processo di successione ecologica è biologico e non fisico. L’ambiente fisico e chimico determinano il tipo di successione ma non sono la causa della successione.
La successione è controllata dalla comunità infatti produttori consumatori e decompositori modificano continuamente l’ambiente sia per mezzo dell’ attività diretta sia con l’apporto della sostanza organica che da essi deriva dopo il completamento del loro ciclo vitale.
Le comunità biotiche variano nel tempo, così come possono variare le condizioni. Tali variazioni hanno un significato importantissimo per l’evoluzione biologica, lo stato e la natura delle comunità che si  stratificano nel tempo ( le successioni) ci  fanno comprendere come la “vita” si evolve nel pianeta. Come gli organismi rispondono alle variazioni di condizioni (dinamiche geologiche, variazioni indotte dalle comunità) o  alla carenza di risorse ( eccessiva competizione).
Cosa succede in un vaso abbandonato sul terrazzo?
Ci regalano una bella pianta. Ha bisogno di molta acqua e di ombra ( queste sono le condizioni di origine in cui la specie originaria ), la curiamo con attenzione e stiamo attenti a dare alla pianta le sue condizioni.
Poi cominciamo a distrarci, meno acqua, poca attenzione alla luce ecc…
Nel vaso portati dal vento arrivano semi di altre piante. Alcune crescono, il vaso cambia aspetto.

Cambiate le condizioni, nel tempo ( considerando il nostro vaso una piccolo ecosistema artificiale) alla comunità di partenza fatta dalla nostra pianta, dai microrganismi della terra, e poco altro, ne succede un’altra. Stessa cosa succede quando passa il fuoco in un bosco. Dopo l’incendio la “ ricostruzione” della comunità vegetale passa per precise successioni.

L'olivo di varietà leccino e il divieto di impiantare ulivi


Il Collega Cristian Casili: “SUL LECCINO FACILI, INFONDATI E ‘SOSPETTI’ ENTUSIASMI”


“Quanta enfasi data dal Prof. Martelli sulla ipotetica resistenza del leccino alla Xylella fastidiosa. Non sarà per caso che si sta cercando di usare il leccino come cavallo di troia per promuovere la “lecciana”, risultato di un incrocio con una cultivar spagnòla, con lo scopo di sostituirla alle nostre varietà? - queste le dichiarazioni del consigliere agronomo del Movimento 5 Stelle Cristian Casili in merito alle dichiarazioni rilasciate ieri dal prof. Martelli alla task force - Non riesco a dare altre spiegazioni date le non eccezionali caratteristiche agronomiche del leccino. E poi non fu lo stesso prof. Martelli in un pubblico dibattito a Spoleto a mettere in guardia da questo entusiasmo sul leccino in quanto la sua non era una resistenza ma una tolleranza al batterio e che impiantare leccini avrebbe significato aumentare le piante con la presenza del batterio asintomatiche? Quelle stesse piante che fino ad oggi si è cercato di abbattere?”
Il leccino, ricorda il pentastellato, è una cultivar originaria della Toscana ed è stata introdotta massivamente in Puglia negli anni 90 quando si incominciarono a fare impianti e rinfittimenti di oliveti. Nel resto d’Italia il leccino non ha mai avuto grande considerazione a causa della sua precocità di maturazione e suscettibilità alla lebbra. “La sua qualità dell’olio inoltre - prosegue Casili - non è particolarmente eccezionale con un indice di qualità come i polifenoli molto basso (circa 150- 200 ppm) rispetto alla nostra più prestigiosa cultivar Cellina (400 e 600 ppm). Non a caso l’olio di leccino viene quasi sempre utilizzato per tagliare ed addolcire altri oli.”
Dal punto di vista agronomico secondo il consigliere salentino, si tratta di una varietà parzialmente o totalmente autosterile, non a caso negli impianti si trovano sempre piante di pendolino che è il suo impollinatore per eccellenza; ha una notevole vigoria ed è facilmente attaccato dalla zeuzera, “ma è importante ricordare - prosegue il consigliere cinquestelle - che in uno studio della stessa Università Di Bari è risultato particolarmente sensibile alla verticilliosi”. Il riferimento è al trattato “Comparison of screening methods for the evaluation of olive resistance to verticillium dahliae kleb”. “Insomma non si conosce ancora la patogenicità della Xylella - conclude - eppure assistiamo a questi proclami che rispecchiano l’approccio riduzionistico dei ricercatori baresi.”

Non sono d’accordo: l’olivo di varietà leccino è coltivata con successo nel Salento leccese


Non concordo con le preoccupazioni di alcuni colleghi sulla Varietà di Olivo Leccino. E’ da decenni che l’olivo di varietà leccino viene coltivato nel Salento ed è sicuramente fonte di alto reddito a patto che le tecniche colturali adottate siano adeguate alle caratteristiche di questa varietà. Il Leccino è una varietà introdotta da decenni nel Salento leccese con successo uno per tutti il case historie dell'Azienda condotta e dal collega Marcello Cursano che a Santa Cesarea Terme ha intrapreso in olivicoltura mettendo a coltura oliveti di varietà leccino e vendendo a prezzo altissimo un olio che si caratterizza per un gusto delicato che trova grande riscontro di mercato decretando il successo di quell’azienda (http://www.agrodolcesalento.it/index.php?page=azienda-agricola-toscano   )
Ma se chiamiamo in soccorso la storia scopriamo che è solo nel 769 dopo Cristo che è giunta la cellina di Nardò ad opera dei Saraceni che la introdussero nel Salento leccese per motivi a noi ignoti.
Nel Salento leccese le tecniche colturali dell’olivo erano basate sui precetti che Lucio Giunio Columella, il grande scrittore latino di agronomia, che dettava già nel I secolo d.C.: arare l'ulivo per chiedere il frutto, concimare per ottenerlo, potare per forzarlo.
Nel primo secolo dopo Cristo si trattava di arature superficiali e di concimazioni organiche (letame maturo e sovescio di leguminose).
La Chiarita o Ogliarola, che è l'Olea Iapygia di Plinio, e la Cellina di Nardò, anticamente detta Sarginesca perché introdotta dai Saraceni, erano coltivate nella terra rossa di Ostuni producendo già in epoca angioina un rinomato olio "claro et mundo", di alta qualità, che nel '500 il vescovo locale inviava come prestigioso, e graditissimo, dono per le nozze di Bona Sforza. (Ambrogio MAGGIO, ULIVO - Olea Europaea Sativa http://www.deliziedipuglia.biz/ulivo.htm )
Dal punto di vista storico sono stati i Saraceni ad occuparsi intensamente dell’olivicoltura in terra salentina, secondo quanto attestato da Bonaventura da Lama, il quale, nel 1724, fa riferimento ai fatti avvenuti tra il 769 ed il 963, un arco temporale in cui l’area oggi denominata Salento venne popolata da boschi di ulivi; si devono ai Saraceni anche l’introduzione del torchio per la produzione di olio e la coltivazione della varietà Cellina. (Alessandra Miccoli, La coltivazione dell’ulivo tra passato e presente 14 dicembre 2009 https://culturasalentina.wordpress.com/2009/12/14/la-coltivazione-dell’ulivo-e-della-vite-tra-passato-e-presente/ )
In conclusione dalle evidenze degli oliveti di varietà di leccino coltivati nel Salento leccese ho osservato che tale varietà è coltivata con successo. L’olio che si ricava dalle olive di varietà leccino è molto apprezzato dai consumatori tanto da spuntare prezzi altissimi nella vendita al dettaglio. Vi è da rilevare che un oliveto di varietà leccino richiede l’applicazione di particolari tecniche colturali per ottenere produzioni che garantiscano un reddito adeguato. Per i motivi esposti non vedo ragioni che impediscono di promuovere l’espansione di tale coltivazione laddove esistano le condizioni acchè ciò avvenga.


Olivo varietà leccino


Varietà: Leccino
Zone tipiche di coltivazione: Italia centrale
Fertilità [1]: autosterile
Principali varietà impollinatrici: Frantoio, Moraiolo, Pendolino, Razzo, Trillo
Produttività: elevata costante
Resa media in olio [2] (%): 15,5
Tolleranza alle avversità: al freddo, al cicloconio, alla rogna
Leccino (Leccio). Originaria dell’Italia centrale, è varietà diffusa un po’ dappertutto grazie all’adattabilità a vari ambienti e alla buona tolleranza al freddo, al cicloconio (occhio di pavone), alla rogna e alla carie del legno. La vigoria è elevata e il portamento espanso e pendulo. È autosterile [1]  ed è ben impollinata da Frantoio, Moraiolo, Pendolino, Razzo, Trillo. Entra abbastanza presto in produzione e presenta una produttività elevata e abbastanza costante. Le olive maturano precocemente.
Il contenuto in olio ovvero la resa media in olio [2] è del 15,5%. Una selezione interessante è rappresentata dal Leccio del Corno, dalla produttività elevata e costante, ma con maturazione delle olive piuttosto tardiva.


 [1] Autofertile: il fiore può essere fecondato dal polline prodotto dai suoi stami. Autosterile: il fiore non può essere fecondato dal polline che produce; deve quindi venire fecondato dal polline proveniente da piante di altre varietà (impollinazione incrociata).
[2] Ad esempio, una resa media in olio del 16% significa che da 100 kg di olive si ricavano 16 kg di olio. Dati scaturiti da una ricerca condotta dal Prof. Nicola Lombardo, già direttore dell’Istituto sperimentale per l’olivicoltura a Cosenza, attraverso una serie di rilievi ripetuti per quattro anni in un «campo di collezione» in cui tutte le varietà si trovano nelle stesse condizioni di ambiente e di tecnica colturale.
– Varietà autofertile: significa che i suoi fiori possono essere fecondati dal polline che essi stessi producono; quindi non c’è bisogno di impollinazione incrociata, anche se la presenza di un impollinatore nelle vicinanze senza dubbio migliora ulteriormente la produttività.
– Varietà parzialmente autofertile: significa che può fornire una certa produzione anche in mancanza di impollinazione incrociata; è evidente però che la presenza di un impollinatore migliora fortemente la produzione.
– Entrata in produzione precoce, media o tardiva: è riferita a un olivo coltivato con la massima razionalità in un terreno fertile. Un’entrata in produzione precoce significa che la pianta può produrre circa 3 kg di olive prima del 4° anno di età; media, circa 3 kg al 4° anno di età; tardiva, circa 3 kg al 5° o 6° anno di età. Questi dati sono puramente indicativi e molto dipende per esempio dalla disponibilità di irrigazione e da una potatura molto limitata nei primi anni.
– Produttività elevata, media o bassa: anche in questo caso si tratta di un’indicazione orientativa e si riferisce sempre ad alberi adulti (di 15-20 anni di età) allevati e potati con la massima razionalità e con disponibilità di irrigazione. La produttività è considerata elevata se l’albero produce circa 25 kg di olive; media se ne produce da 10 a 20 kg, bassa se ne produce meno di 10 kg.
– Vigoria media o elevata: è riferita al volume che la chioma presenta quando la pianta è allevata in terreno fertile e con razionalità come ricordato sopra. La vigoria è media se il volume della chioma si colloca tra 6 e 12 metri cubi (cioè, per esempio, se la chioma è alta almeno 1,5 metri e larga e spessa almeno 2 metri), elevata se il volume supera i 12 metri cubi (cioè, per esempio, se la chioma è alta almeno 2,3 metri e larga e spessa almeno 2,3 metri).



Fonte: SUPPLEMENTO A VITA IN CAMPAGNA 2/2010 © 2010 Copyright Edizioni L’Informatore Agrario S.p.A.

Xylella 29 gennaio 2016











Consorzi di Bonifica 29 gennaio 2016








giovedì 28 gennaio 2016

Lequile del Salento leccese Mostra delle Erbe Spontanee


Xylella nomina del professore Vannacci nella task force della Regione Puglia

 

       
giovanni vannacciCon la sua nomina sono tre i docente del dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Agro-ambientali dell’Università di Pisa chiamati dalla Regione Puglia per contrastare la Xylella. A metà gennaio il professore Giovanni Vannacci (foto), ordinario di Patologia Vegetale e presidente della Società Italiana di Patologia Vegetale (SiPaV), è stato invitato a far parte della task force che dovrà fornire indicazioni sulle azioni da intraprendere per il contenimento del disseccamento rapido dell’olivo associato al batterio Xylella fastidiosa. La sua nomina avviene dopo quelle, a novembre scorso, dei professori Riccardo Gucci e Giacomo Lorenzini.

La questione Xylella è balzata di recente all’attenzione della cronaca dopo il decreto della procura di Lecce con il quale sono stati incriminati alcuni ricercatori impegnati nelle ricerche sulla malattia e sono stati posti sotto sequestro gli olivi destinati, nel quadro delle azioni volte a contenere l’epidemia stessa, all’abbattimento.

“La devastazione degli oliveti nel Salento non è solamente un problema di ordinaria gestione della produzione agraria, ma ha anche importanti risvolti sociali – ha commentato Giovanni Vannacci – e l’olivicoltura in Puglia, e non soltanto in Puglia, ha radici profonde nella storia dei territori ed importanti ricadute anche in altri in settori, quale quello turistico, di grande importanza economica”.

Consorzi di Bonifica 28 gennaio 2016







Task force xylella 28 gennaio 2016



Xylella, torna a riunirsi la task force. La Regione: “Consigliateci la gestione del post emergenza”

In mattinata è tornata a riunirsi la task force regionale di esperti e giuristi che si sono occupati di Xylella. La Regione ha chiesto di indicare nuovi profili di ricerca e di indicare la linea della gestione del post emergenza, a partire dal 6 febbraio
BARI-E’ tornata a riunirsi questa mattina la task force regionale su Xylella, dopo la prima riunione del 16 novembre scorso. La Regione Puglia ha chiesto indicazioni su profili di ricerca nuovi e su quale linea di comportamento attuare nella gestione del post emergenza, a partire dal 6 febbraio prossimo.
60 gli esperti coinvolti, tra docenti universitari, ricercatori, provenienti da tutta Italia e, stavolta, anche giuristi.
Non invitati gli studiosi precedentemente presenti ma che risultano tra i dieci indagati nell’inchiesta della Procura di Lecce.
Diversi gli spunti forniti, essendo differenti anche gli orientamenti degli intervenuti. La nuova strategia, in ogni caso, parte dal punto fermo dell’impossibilità dell’abbattimento degli ulivi.Tra gli altri interventi, quello di Giovanni Martelli, professore emerito di Patologia vegetale dell’Università di Bari: ha annunciato che è completato il lavoro di ricerca sulla resistenza (e non semplice tolleranza) del leccino alla Xylella, studio in attesa di pubblicazione da parte di una rivista scientifica internazionale.
“Il leccino reagisce alla presenza di Xylella – ha spiegato Martelli – accendendo una serie di geni che decodificano proteine coinvolte nella resistenza, mentre l’Ogliarola di Lecce no”. 

mercoledì 27 gennaio 2016

Oliveto condotto con il metodo biologico a Gallipoli del Salento leccese - Contrada La Castellana.


Ci sono oliveti biologici, convenzionali arati o diserbati tutti con il disseccamento, è solo un dato di fatto ed una pura constatazione che il disseccamento non è in relazione a come viene condotto l'oliveto. Ci sono oliveti che non fanno ricorso a prodotti provenienti dalla chimica, i diserbanti ed i veleni con il disseccamento.
L'applicazione del metodo biologico prevede la messa in atto di una strategia fatta di molteplici aspetti (ad es.: scelta varietale, approfondito studio dell'agroecosistema, metodi preventivi e solo in caso di riconosciuta necessità ricorso a prodotti ammessi).
Il mondo della ricerca una volta che abbia compreso le diverse dinamiche di una patologia nuova e devastante per capirne il nesso causa / effetto potrà formulare una ipotesi di gestione dell'agroecosistema.
In zona infetta con un'opportuna scelta varietale e la messa a punto del metodo biologico soprattutto per il controllo del vettore si potrà convivere con la malattia.