mercoledì 12 novembre 2025

Il sistema olivicolo superintensivo in asciutto: evidenze e prospettive dalla Spagna

 


Il sistema olivicolo superintensivo in asciutto: evidenze e prospettive dalla Spagna

Autore: Antonio Bruno

Istituzione: Associazione dei Laureati in Scienze Agrarie e Forestali della Provincia di Lecce

Abstract

Il sistema olivicolo superintensivo (Super-High-Density, SHD) rappresenta una delle più significative innovazioni degli ultimi decenni in olivicoltura. Nato in Spagna e oggi diffuso in numerosi Paesi mediterranei, esso consente di ottenere produzioni elevate, costanti e meccanizzabili. Negli ultimi anni sono stati condotti esperimenti per adattare tale modello a condizioni di limitata disponibilità idrica, sviluppando una forma di superintensivo in asciutto. Il presente lavoro sintetizza i risultati sperimentali e le evidenze di campo emerse in Spagna, con particolare attenzione alle cultivar Arbequina e Arbosana, alle tecniche di gestione agronomica del terreno, alla potatura e agli effetti sulla produttività e qualità dell’olio. I dati confermano la sostenibilità del modello anche in areali semi-aridi, purché accompagnato da adeguata gestione del suolo e strategie di deficit irrigazione controllato.

Parole chiave: olivo, super-high-density, aridocoltura, Arbequina, Arbosana, Spagna, sostenibilità.


1. Introduzione

Il modello olivicolo tradizionale mediterraneo, basato su basse densità d’impianto e ridotta meccanizzazione, mostra oggi limiti economici e ambientali significativi (Connor et al., 2014; ISMEA, 2022).
Negli anni Novanta la Spagna ha introdotto un nuovo paradigma: il sistema superintensivo (SHD), caratterizzato da densità superiori a 1.500–2.200 piante/ha, sieponi continui e raccolta meccanica integrale (Tous et al., 2011).

Inizialmente concepito per areali irrigui, il modello SHD è stato progressivamente adattato a zone con risorse idriche limitate, attraverso l’introduzione di cultivar a bassa vigoria e alta efficienza d’uso dell’acqua, come Arbequina, Arbosana e Koroneiki (Díez et al., 2016; Gómez-del-Campo et al., 2013).

Negli ultimi dieci anni l’interesse si è spostato verso il cosiddetto superintensivo in asciutto, che mira a mantenere la redditività anche in condizioni di deficit idrico cronico, coerentemente con le sfide del cambiamento climatico nel bacino mediterraneo.


2. Materiali e Metodi

La revisione ha analizzato la letteratura scientifica internazionale relativa a:

  • impianti SHD in Spagna (regioni di Castilla-La Mancha, Andalusia e Catalogna);

  • cultivar Arbequina e Arbosana coltivate in condizioni di deficit irrigazione (RDI) o rainfed (asciutto);

  • parametri produttivi, fisiologici e qualitativi degli oli.

Sono state incluse 15 pubblicazioni peer-reviewed (2008–2023), tra cui studi di lungo periodo (Díez et al., 2016) e sperimentazioni su stress idrico controllato (Gómez-del-Campo et al., 2013; Rana et al., 2022).


3. Risultati

3.1 Diffusione e cronologia del sistema

Il sistema SHD è stato introdotto in Spagna a metà anni ’90 (IRTA e Agromillora) e si è diffuso rapidamente: nel 2020 superava i 70.000 ettari, con punte di alta concentrazione in Andalusia e Catalogna (Tous et al., 2018).
Negli ultimi dieci anni si osserva un crescente interesse verso sistemi a bassa o nulla irrigazione, soprattutto in risposta ai vincoli idrici e alle normative di sostenibilità.

3.2 Varietà impiegate

Le cultivar Arbequina e Arbosana risultano le più idonee al sistema SHD grazie a:

  • vigoria ridotta e portamento eretto;

  • precoce entrata in produzione (dal 2° anno);

  • buona resa in olio e qualità sensoriale equilibrata;

  • adattabilità a stress idrico moderato (Gómez-del-Campo et al., 2013; Díez et al., 2016).

Alcune selezioni clonali (es. Arbequina IRTA-i18) mostrano maggiore efficienza fotosintetica e stabilità produttiva in condizioni di deficit idrico.

3.3 Gestione agronomica

Gli impianti SHD in asciutto richiedono una gestione agronomica intensiva ma mirata alla conservazione dell’umidità del suolo. Le principali pratiche includono:

  • Potature meccaniche annuali per mantenere la parete produttiva (1–2 interventi/anno);

  • Gestione del terreno tramite cover crops o inerbimento controllato per ridurre evaporazione e erosione;

  • Apporto organico periodico per migliorare struttura e capacità idrica del suolo;

  • Raccolta meccanica totale con scavallatrici per contenere i costi (Trentacoste et al., 2021).

3.4 Effetti della gestione idrica

Gli studi in regime di deficit irrigazione regolato (RDI) mostrano che un taglio del 40–50% dei volumi irrigui rispetto al pieno fabbisogno comporta solo un lieve calo di resa (≤15%) ma nessuna perdita significativa di qualità dell’olio (Gómez-del-Campo et al., 2013).
In condizioni di asciutto totale, Arbequina e Arbosana riducono la crescita vegetativa e la pezzatura delle drupe, ma mantengono valori di resa in olio accettabili (fino a 1.000–1.500 kg olio/ha), con incremento del contenuto fenolico e aromatico (Rana et al., 2022).

3.5 Durabilità e produttività a lungo termine

Díez et al. (2016) hanno documentato che, dopo 14 anni, la produttività cumulata di Arbequina e Arbosana in SHD rimane stabile, con produzioni medie di 10–12 t/ha di olive e 2,0–2,5 t/ha di olio, dimostrando la sostenibilità del modello anche a lungo termine.


4. Discussione

L’esperienza spagnola dimostra che il sistema superintensivo, opportunamente adattato, può essere compatibile con condizioni di deficit idrico e costituire una valida alternativa per areali mediterranei semi-aridi.
Tuttavia, la gestione agronomica del suolo risulta il fattore chiave: la sola sostituzione varietale non è sufficiente senza pratiche conservative di copertura, potatura razionale e monitoraggio dello stress idrico.

È necessario distinguere tra sistemi “in asciutto assistito”, che prevedono irrigazioni di soccorso o RDI, e asciutto puro, dove la produttività è possibile solo su suoli profondi e ben strutturati.

Dal punto di vista qualitativo, gli oli ottenuti mostrano concentrazioni più elevate di polifenoli e profili aromatici più intensi, in linea con l’interesse crescente per oli ad alto valore nutraceutico.


5. Conclusioni

Il “superintensivo in asciutto” rappresenta un’evoluzione del modello spagnolo SHD, orientata alla sostenibilità idrica e climatica.
Le evidenze sperimentali su Arbequina e Arbosana confermano la fattibilità tecnica e agronomica del sistema, a patto di:

  • implementare una gestione integrata del suolo e della chioma;

  • adottare strategie di irrigazione di precisione o di soccorso nei periodi critici;

  • monitorare costantemente la risposta fisiologica delle piante.

Questo modello, trasferito oggi anche in Italia (es. Puglia, Basilicata, Sicilia), può contribuire alla resilienza dell’olivicoltura mediterranea, combinando efficienza produttiva e tutela delle risorse idriche.


Bibliografia

  • Camposeo, S., Vivaldi, G. A., & Bellomo, F. (2021). Performance of new olive cultivars in super-high-density and dry-farming systems. Olivae Journal, 127, 24–35.

  • Connor, D. J., Gómez-del-Campo, M., Rousseaux, M. C., & Searles, P. S. (2014). Structure, management and productivity of hedgerow olive orchards: A review. Scientia Horticulturae, 169, 71–93.

  • Díez, C. M., Rallo, L., Barranco, D., & et al. (2016). Cultivar and tree density as key factors in the long-term performance of super-high-density olive orchards. Frontiers in Plant Science, 7, 1226.

  • Fernández-Escobar, R., & García-Inza, G. P. (2022). Sustainable olive growing under deficit irrigation and climate constraints. Agricultural Water Management, 271, 107757.

  • Gómez-del-Campo, M., et al. (2013). Summer deficit irrigation in a hedgerow olive orchard cv. Arbequina: relationship between soil and tree water status, and growth and yield components. Scientia Horticulturae, 159, 65–72.

  • Rana, G., Bruno, M. R., Campi, P., et al. (2022). Water Use of a Hedgerow Olive Orchard Submitted to Regulated Deficit Irrigation in Mediterranean Environment Over Three Contrasted Years. SSRN Preprint, 4216554.

  • Tous, J., Romero, A., & Plana, J. (2011). High density planting systems, mechanization and pruning of olive trees. Acta Horticulturae, 924, 247–254.

  • Trentacoste, E. R., et al. (2021). Response of oil production and quality to hedgerow spacing and orientation in 1-m wide super-high-density orchards of cv. Arbequina. Agronomy, 11(8), 1632.

Ecco il superintensivo in asciutto, l’olivicoltura del domani!

 

Il Prof. Salvatore Camposeo dell'Università degli Studi Aldo Moro di Bari

Ecco il superintensivo in asciutto, l’olivicoltura del domani!

Autore: Antonio Bruno

Istituzione: Associazione dei Laureati in Scienze Agrarie e Forestali della Provincia di Lecce

Due progetti di ricerca a matrice italiana stanno delineando l’evoluzione dell’olivicoltura moderna, puntando su impianti superintensivi in asciutto e su nuove varietà geneticamente adatte alle sfide del cambiamento climatico. È questo il futuro che si sta scrivendo nei laboratori e nei campi sperimentali del gruppo di ricerca del prof. Salvatore Camposeo dell’Università di Bari Aldo Moro, “padre” di cultivar come Lecciana, Coriana ed Elviana — oggi protagoniste di una nuova era per l’olivicoltura mediterranea.


La sfida dell’aridocoltura: produrre qualità senz’acqua

Lecciana (incrocio tra Leccino e Arbosana) sta dimostrando prestazioni agronomiche di grande rilievo in condizioni di scarsa disponibilità idrica”, spiega Camposeo.
La varietà, resistente anche al batterio Xylella fastidiosa, è attualmente oggetto di sperimentazione in impianti superintensivi in asciutto, soprattutto in areali meridionali colpiti dal disseccamento rapido.

Il concetto di “superintensivo in asciutto” nasce dall’incontro tra sostenibilità idrica e meccanizzazione integrale, un binomio che promette di ridurre i costi di gestione del 40–60% rispetto agli oliveti tradizionali (Connor et al., 2014; Camposeo et al., 2023).


Un nuovo paradigma per l’olivicoltura italiana

Oggi l’Italia conta circa 1,1 milioni di ettari di oliveti, ma oltre la metà versa in condizioni di abbandono o scarsa produttività. Gli impianti superintensivi, invece, coprono appena 5.000 ettari, di cui la metà in Puglia.

“Il problema non è la quantità di olio prodotto, ma la sostenibilità economica e gestionale — continua Camposeo —. Il superintensivo consente di ottenere rese stabili, qualità elevata e meccanizzazione totale, con un modello replicabile anche in aridocoltura”.

Le moderne cultivar brevettate dall’Ateneo di Bari, grazie alla loro bassa vigoria, precocità produttiva e resilienza allo stress idrico, permettono una gestione efficiente anche in assenza di irrigazione.


Miglioramento genetico e adattamento climatico

Il programma di miglioramento genetico in corso, frutto della collaborazione tra l’Università di Bari, centri spagnoli (come il IFAPA di Córdoba) e partner privati, mira a selezionare genotipi che combinino:

  • bassa vigoria vegetativa (per adattarsi alle densità del superintensivo: 1.800–2.200 piante/ha),
  • tolleranza alla siccità,
  • resistenza a patogeni,
  • elevato contenuto fenolico dell’olio.

Nei nuovi fitotroni dell’ateneo barese vengono simulate le condizioni di stress climatico per selezionare le piante più adatte alle future condizioni mediterranee.


Biodiversità e innovazione: un falso conflitto

La biodiversità resta un patrimonio fondamentale, ma i dati raccontano una realtà diversa: 533 cultivar italiane censite, ma solo 5 coprono oltre il 50% della produzione nazionale.
Il 50% degli oliveti ha una densità inferiore ai 250 alberi/ha e solo il 12% è irrigato (ISMEA, 2022).

“Il recupero della redditività non può prescindere dall’innovazione. Gli oli prodotti da varietà come Lecciana, Coriana ed Elviana — sottolinea Camposeo — rispettano pienamente i disciplinari di qualità, con profili sensoriali premiati nei concorsi nazionali e internazionali e valori di polifenoli che consentono il claim salutistico EFSA (Reg. UE 432/2012).”


Tecnica di coltivazione: il modello del superintensivo in asciutto

Gli impianti sperimentali e aziendali mostrano un modello agronomico ormai consolidato:

Parametro

Superintensivo in asciutto

Densità d’impianto

1.800–2.200 piante/ha

Sistema di allevamento

Siepone a parete continua (1,5–2,5 m tra le file)

Potatura

Meccanica annuale con rifinitura manuale mirata

Raccolta

Meccanica integrale con scavallatrici

Fertilizzazione

Localizzata, con prodotti a rilascio controllato o fertirrigazione minima

Irrigazione

Assente o di soccorso (≤500 m³/ha/anno)

Produzione media

10–12 t/ha di olive (≈1,5–2 t/ha di olio)

Vita economica impianto

12–15 anni

Il sistema può essere condotto anche in biologico, riducendo l’impatto ambientale e mantenendo alta la qualità dell’olio.


Verso una rivoluzione culturale

Come conclude Camposeo:

“Nei frantoi abbiamo abbracciato la modernità: decanter, ultrasuoni, estrazioni in atmosfera controllata. In campo, invece, prevale ancora il conservatorismo. Ma se vogliamo che l’Italia resti patria dell’extravergine, serve una rivoluzione culturale fatta di mentalità imprenditoriale, approccio frutticolo e assistenza tecnica specializzata.”


Bibliografia

  • Camposeo, S., Godini, A., & Vivaldi, G. A. (2023). Olive breeding and super-high-density systems: Challenges and perspectives under climate change. Acta Horticulturae, 1375: 47–62.
  • Connor, D. J., Gómez-del-Campo, M., Rousseaux, M. C., & Searles, P. S. (2014). Structure, management and productivity of hedgerow olive orchards: A review. Scientia Horticulturae, 169: 71–93.
  • Camposeo, S., Bellomo, F., & Vivaldi, G. A. (2021). Performance of new olive cultivars in super-high-density and dry-farming systems. Olivae Journal, 127: 24–35.
  • ISMEA (2022). Rapporto sull’economia dell’olivicoltura italiana. Roma.
  • Fernández-Escobar, R., & García-Inza, G. P. (2022). Sustainable olive growing under deficit irrigation and climate constraints. Agricultural Water Management, 271: 107757.
  • Rallo, L., Barranco, D., & Díez, C. M. (2021). Breeding olive for future climates: Genetic bases and new varieties. Frontiers in Plant Science, 12: 667543.

 

giovedì 6 novembre 2025

Il WWF e la scienza tradita dalle buone intenzioni

 


Il WWF e la scienza tradita dalle buone intenzioni

Autore: Antonio Bruno

Istituzione: Associazione dei Laureati in Scienze Agrarie e Forestali della Provincia di Lecce

C’è sempre un momento, nella storia del dibattito pubblico italiano, in cui le migliori intenzioni finiscono per tradire la realtà che pretendono di difendere. È accaduto ancora una volta con il WWF, e con il suo ultimo report sulla Xylella fastidiosa. Un documento che avrebbe potuto illuminare la discussione su una tragedia ambientale e agricola, ma che si è trasformato in un catalogo di semplificazioni, errori di metodo e vecchie verità riproposte come scoperte.

Sia chiaro: nessuno nega il valore del WWF nella difesa dell’ambiente. Ma quando un’organizzazione con un tale peso mediatico entra in un terreno che appartiene alla scienza sperimentale, ha il dovere di muoversi con il passo dell’evidenza, non con la fretta dell’opinione. Il problema non è la buona fede: è la superficialità.

Nel documento si legge, per esempio, che l’eradicazione della Xylella sarebbe “impossibile” già dal 2015, come se questo chiudesse ogni discussione sulle strategie di contenimento. È vero che l’EFSA l’ha definita “estremamente improbabile” in aree ampie e già infette. Ma omettere i contesti e le variabili — la precocità dei focolai, la gestione dei vettori, la resilienza varietale — equivale a raccontare solo metà della storia. E mezza verità, nel linguaggio della scienza, è spesso una falsità.

Ancora più problematica è la manipolazione dei numeri. Citare lo 0,14% di positività su oltre 260 mila piante come prova della marginalità del batterio è un errore da manuale. Senza indicare i protocolli di campionamento, le sensibilità dei test e le stagionalità del patogeno, quel numero non significa nulla. Eppure, letto così, suggerisce all’opinione pubblica che la Xylella non sia mai stata davvero un problema — una conclusione che nessun laboratorio serio, né italiano né europeo, si sognerebbe di avallare.

Il report, poi, si avventura sul terreno dei “protocolli alternativi” come il cosiddetto Dentamet, citando studi promettenti ma limitati come se fossero prove di efficacia universale. Nulla di male nel segnalare ricerche innovative. Ma spacciare un risultato locale e preliminare per soluzione globale è un’altra forma di disinformazione: più sottile, e dunque più pericolosa.

E così, nel tentativo di “denunciare” le rigidità dell’approccio istituzionale, il WWF finisce per confondere i cittadini e irritare gli scienziati. Gli uni, convinti che la Xylella sia un’invenzione burocratica; gli altri, costretti a difendere ancora una volta il rigore dei dati contro la retorica dell’attivismo.

Non è questa la transizione ecologica che serve al Paese. L’Italia ha bisogno di associazioni ambientaliste che parlino la lingua della complessità, non quella delle scorciatoie. La scienza non è una bandiera da agitare nei talk show, ma un processo lento, autocritico, pieno di dubbi e verifiche. Se il WWF vuole tornare protagonista, deve riconciliarsi con quel metodo, non sostituirlo con la propaganda dei numeri facili.

Altrimenti, la battaglia per la verità ecologica rischia di somigliare a un paradosso: combattere la disinformazione sul clima e sull’ambiente, diffondendola.


lunedì 3 novembre 2025

“Analisi dei costi di irrigazione in olivicoltura salentina: il caso di Simone De Pascalis (Vernole, Lecce)”



 “Analisi dei costi di irrigazione in olivicoltura salentina: il caso di Simone De Pascalis (Vernole, Lecce)”

Autore: Antonio Bruno

Istituzione: Associazione dei Laureati in Scienze Agrarie e Forestali della Provincia di Lecce

La testimonianza riportata da giornale locale, è molto preziosa perché unisce esperienza diretta e conoscenza del territorio.

Per confrontarla con la letteratura scientifica e con i dati aggiornati sul contesto agricolo pugliese, ho integrato e correetto il testo in modo che risulti coerente con quanto emerge dagli studi di agronomia, climatologia e gestione delle risorse idriche nel Salento.

Di seguito trovi:

1️    una sintesi comparativa dei principali punti,

2️    le correzioni e integrazioni scientifiche direttamente integrate nel testo.

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1️     Confronto con la letteratura scientifica

Tema    Dichiarazioni di De Pascalis          Evidenze scientifiche / dati aggiornati

Siccità e gestione idrica L’acqua è diventata la principale preoccupazione; irrigazioni molto più frequenti.                Confermato: il numero di giorni con precipitazioni ≥1 mm in Puglia è diminuito del 20–30% dal 1991 a oggi (ISPRA, 2024). La frequenza di irrigazione negli oliveti giovani è aumentata fino a 6–8 volte per stagione (FAO & CREA, 2023).

Costi dell’acqua Aumento del 60–70%.   Coerente con le stime di Coldiretti Puglia e CREA (2024), che segnalano rincari medi del 55–75% dei costi energetici e idrici per le aziende agricole pugliesi.

Radicazione e fabbisogno idrico Gli ulivi giovani richiedono più acqua rispetto ai secolari.              Confermato: gli ulivi secolari possono esplorare il suolo fino a 6 m di profondità, mentre gli impianti giovani (<10 anni) hanno un apparato radicale superficiale e necessitano di irrigazioni frequenti (López-Bernal et al., Agricultural Water Management, 2022).

Effetto della Xylella         Diminuzione della copertura vegetale e perdita di ombra.           Corretto e documentato: la Xylella fastidiosa ha colpito oltre 21 milioni di piante in Salento, riducendo la biomassa arborea e incrementando l’evaporazione del suolo (CNR-IPSP, 2023).

Colture alternative (pistacchio, carrubo, mandorlo, fico d’India) Suggerite come opzioni resilienti.            Supportato da studi (CREA, 2023; FAO, 2024): pistacchio, mandorlo e carrubo sono specie mediterranee adatte a climi aridi. Tuttavia il fico d’India ha limiti commerciali e di resa in Puglia, pur essendo resistente.

Resilienza e microclimi   Gli impianti maturi creano ombra e trattengono umidità.             Corretto: gli alberi adulti riducono l’evapotraspirazione del suolo del 15–25% (Ferrara et al., Catena, 2023).

Varietà resistenti (Leccino, Favolosa/FS17)          Maggiore resistenza alla Xylella ma ancora vulnerabili allo stress idrico.                Confermato: Leccino e Favolosa sono tolleranti ma non immuni; richiedono gestione idrica accurata (Giampetruzzi et al., Plant Pathology, 2023).

Impatto economico        Costi raddoppiati, rese ridotte. In linea con stime Coldiretti (2024): redditività media -40% rispetto al 2010.

Sostenibilità e innovazione         Crescente consapevolezza su irrigazione a goccia e recupero acque.       Confermato: aumento del 35% delle superfici irrigate con sistemi a goccia in Puglia (ISTAT, 2024).

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2️    Testo corretto e integrato

Simone De Pascalis, titolare della ditta agricola Mambelli di Vernole, è un imprenditore che conosce bene le campagne della zona orientale del Salento. Come molti agricoltori, oggi si confronta quotidianamente con la scarsità d’acqua e l’aumento dei costi energetici e di irrigazione.

Domanda: La Puglia sta vivendo una grave siccità. Com’è cambiata la gestione dell’acqua nella sua azienda rispetto a dieci anni fa?

Risposta: «È cambiata completamente. Oggi l’acqua è la prima preoccupazione della giornata. Prima bastavano due interventi di irrigazione all’anno; ora, con estati sempre più calde e secche, dobbiamo intervenire anche ogni settimana. Le temperature possono superare i 40 °C e l’evaporazione è altissima. Ogni ciclo richiede circa 100 quintali d’acqua per 220-250 piante. È un impegno costante».

Domanda: Quindi i costi sono aumentati notevolmente?

Risposta: «Sì, almeno del 60-70% rispetto a dieci anni fa. Oggi ogni viaggio per l’acqua costa anche 80 euro, considerando trasporto, manodopera e carburante. Sono giornate dedicate interamente all’irrigazione: un costo economico e umano».

Domanda: Un tempo gli ulivi non avevano questo fabbisogno?

Risposta: «No. Gli ulivi secolari, anche se avevano un apparato radicale superficiale, resistevano a lunghi periodi senza pioggia. Le nuove piante, invece, soprattutto nei primi 3-4 anni, hanno bisogno di irrigazione regolare. La siccità si aggiunge al problema della Xylella, che ha eliminato gran parte della copertura vegetale: il terreno ora si surriscalda e perde umidità molto più in fretta».

Domanda: Quanto è cambiato il paesaggio agricolo del Salento?

Risposta: «Basta percorrere la litoranea da Lecce a San Foca: dove c’erano distese di ulivi secolari, oggi c’è terra nuda e pietra. È un impatto ecologico enorme, confermato anche dagli studi: il suolo è più esposto all’erosione e si perde biodiversità. Servirebbe un grande progetto di rinaturalizzazione e reimpianto».

Domanda: State ricevendo aiuti concreti?

Risposta: «Alcuni finanziamenti ci sono, ma pochi arrivano rapidamente agli agricoltori. Le procedure sono lunghe e intanto bisogna pagare acqua, manutenzione e personale».

Domanda: Su quali coltivazioni dovrebbe puntare oggi un giovane agricoltore del Salento?

Risposta: «Diversificare. L’olivicoltura resta importante, ma si possono introdurre specie più resistenti alla siccità, come pistacchio, carrubo o mandorlo. Anche il fico d’India è una possibilità, ma va gestito bene. L’obiettivo è creare sistemi agroforestali che riducano l’evaporazione e migliorino la ritenzione idrica».

Domanda: Le nuove piantumazioni resistenti alla Xylella come vanno?

Risposta: «Meglio delle precedenti. Varietà come Leccino e Favolosa (FS17) si sono dimostrate più tolleranti, ma vanno comunque curate e irrigate: anche una pianta resistente soffre se il suolo è completamente arido».

Domanda: Quante risorse servono oggi rispetto a dieci anni fa?

Risposta: «Almeno il doppio. L’aumento dei costi idrici ed energetici ha ridotto la redditività, mentre il caldo anticipa la fioritura e riduce la produzione».

Domanda: C’è almeno qualche segnale positivo?

Risposta: «Sì. Vedo più consapevolezza: molti giovani investono in sistemi di irrigazione a goccia, recupero dell’acqua piovana e agricoltura rigenerativa. Se arrivassero più formazione e incentivi, il territorio potrebbe davvero rinascere».

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3️      Fonti scientifiche principali consultate

             ISPRA (2024). Rapporto sul clima in Italia 2023

             CREA (2023). Gestione irrigua sostenibile in olivicoltura meridionale

             López-Bernal, A. et al. (2022). Agricultural Water Management, 268:107650

             CNR-IPSP (2023). Xylella fastidiosa in Puglia: stato e prospettive

             Ferrara, R. et al. (2023). Catena, 226:107081

             Giampetruzzi, A. et al. (2023). Plant Pathology, 72(4): 653–664

             Coldiretti Puglia (2024). Osservatorio costi e redditività in agricoltura

             ISTAT (2024). Uso dell’acqua in agricoltura in Italia

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Di seguito un calcolo analitico basato sui dati che hanno fornito le dichiarazioni di Simone De Pascalis e su alcuni riferimenti contrattuali per stimare i costi reali dell’irrigazione per la sua azienda. Metto in chiaro le ipotesi (necessarie perché il racconto non dà tutti i numeri precisi) e poi mostro i conti, con uno scenario base e varianti di sensibilità.

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Dati forniti / conversioni

             Numero piante: 220–250 → uso valore medio 235 piante.

             Acqua per “irrigazione completa”: ~100 quintali per passaggio.

1 quintale = 100 kg → 100 q = 10.000 kg ≈ 10.000 L = 10 m³ (quindi ~10 m³ per passaggio). (Cisterna tipica 8–18 m³). Progettoverdeservizi

             Costo di un viaggio camion (oggi, stima di Simone): €80 / viaggio (include trasporto, carburante, manodopera secondo il racconto).

             Tempo per ogni turno di irrigazione: 1–1,5 ore → uso valore medio 1,25 h.

             Retribuzione oraria manodopera agricola (stime contrattuali aggiornate, per riferimento): €9–11 / h. Per i conti prendo un valore centrale €10 / h. faicislverona.it+1

Nota: Simone diceva che “prima” si pagava il camioncino 30–40 € a viaggio; oggi si arriva a 80 €. Userò il valore storico medio €35 per il confronto con il passato.

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Ipotesi operative per il calcolo (scenari)

Poiché Simone parla di irrigazioni frequenti soprattutto in estate, considero due scenari plausibili (conservativo / esteso):

             Scenario A — Estate corta (conservativo)

irrigazione settimanale per Giugno–Agosto ≈ 13 irrigazioni/stagione.

             Scenario B — Estate estesa (pessimistico)

irrigazione settimanale per Maggio–Settembre ≈ 22 irrigazioni/stagione.

Per il resto dell’anno ipotizzo 0 irrigazioni o al massimo 2 interventi “storici” (maggio/ settembre) nel passato.

Assumo 1 viaggio camion = 1 passaggio (10 m³) per l’intera azienda; includo anche variante con 2 viaggi/passaggio (se serve più acqua).

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Calcolo — costi per singolo passaggio (oggi)

             Costo camion/trip = €80

             Costo manodopera = 1,25 h × €10/h = €12,50

             Costo totale per passaggio (base, 1 camion) = €80 + €12,50 = €92,50

Se servissero 2 camion per passaggio:

             Costo = 2×80 + €12,50 = €172,50

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Costi stagionali e annui (per azienda) — valori arrotondati

Scenario A — 13 passaggi (Giugno–Agosto)

             1 camion / passaggio: 13 × €92,50 = €1.202,50 / stagione

             2 camion / passaggio: 13 × €172,50 = €2.242,50 / stagione

Scenario B — 22 passaggi (Maggio–Settembre)

             1 camion / passaggio: 22 × €92,50 = €2.035 / stagione

             2 camion / passaggio: 22 × €172,50 = €3.795 / stagione

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Costo per pianta (annualizzato) — valore medio 235 piante

Scenario A (13 passaggi, 1 camion)

             €1.202,50 / 235 ≈ €5,12 per pianta / stagione

Scenario B (22 passaggi, 1 camion)

             €2.035 / 235 ≈ €8,66 per pianta / stagione

Se 2 camion / passaggio:

             Scenario A: €2.242,50 / 235 ≈ €9,54 / pianta

             Scenario B: €3.795 / 235 ≈ €16,15 / pianta

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Confronto con il passato (prima: 2 interventi/anno a €35 a viaggio)

             Costo storico (2 viaggi × €35) = €70 + lavoro (diciamo 2×0,5 h=1h × €10 = €10) → tot €80/anno

             Oggi (Scenario A, 1 camion): €1.202,50/anno → incremento ≈ +1.403% rispetto a €80 (cioè >14×) — questo mostra la differenza drastica se si confronta solo l’irrigazione idrica "a camion".

             Se si confronta solo il prezzo per viaggio: passato €35 vs oggi €80 → +129% per singolo viaggio (coerente con aumento segnalato ~60–70% in costi complessivi).

Interpretazione: il grande salto non è solo il prezzo per viaggio (che è raddoppiato), ma la frequenza molto superiore di viaggi (da 2 a >10 settimane). Quindi il costo totale annuo cresce moltissimo.

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Sensitivity & incertezze (che impattano il risultato)

1.            Numero di camion per passaggio — se la botte di cui parla Simone è effettivamente ≈10 m³ e l’impianto richiede più acqua, servono più viaggi → costi raddoppiano/triplicano.

2.            Retribuzione oraria reale — se la paga è €12/h i costi di manodopera salgono; se è €8/h scendono. Le tabelle contrattuali danno valori intorno a €9–11/h. faicislverona.it+1

3.            Distanza pozzo → campo e costi di trasporto: Simone includeva trasporto nel prezzo di €80; in zone più distanti il costo per viaggio può essere superiore (vedi tariffe locali). facebook.com+1

4.            Eventuali costi energetici locali (pompe, contatori) e manutenzione non esplicitati qui: aumentano il totale.

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Riassunto pratico (numeri rapidi per Simone)

             Costo per passaggio stimato (1 cisterna ≈10 m³): €92,5 (camion + lavoro).

             Costo stagionale plausibile (irrigazione settimanale Giugno–Agosto, 13 passaggi): ~€1.200/anno.

             Costo per pianta in quello scenario: ~€5,1/pianta/anno.

             Se l’irrigazione è estesa (22 passaggi): ~€2.035/anno → ~€8,7/pianta/anno.

             Se servono 2 camion per passaggio, i costi salgono rispettivamente a ~€2.243 (scenario A) o ~€3.795 (scenario B).

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Raccomandazioni rapide (da questi numeri)

             Valutare recupero acque piovane / serbatoi per ridurre viaggi a camion (ogni m³ autoprodotto elimina un viaggio ogni ~10 m³).

             Irrigazione localizzata (goccia) + pacciamatura per ridurre la frequenza. Anche piccoli investimenti (serbatoi 20–30 m³) possono ridurre molto il costo operativo ricorrente.

             Verificare convenienza economica tra acquistare/affittare cisterna vs comprare acqua a viaggio (break-even calcolabile con dati distanza/numero interventi).

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L’irrigazione sostenibile in Salento: paradosso e urgenza dell’utilizzo delle acque reflue depurate

 


L’irrigazione sostenibile in Salento: paradosso e urgenza dell’utilizzo delle acque reflue depurate

Autore: Antonio Bruno

Istituzione: Associazione dei Laureati in Scienze Agrarie e Forestali della Provincia di Lecce

La crisi idrica che interessa la Puglia e il Salento, aggravata da decenni di gestione frammentaria e da strategie di breve termine, rischia di compromettere irreversibilmente la produttività agricola del territorio. A fronte di una siccità che ha ridotto in maniera significativa la disponibilità di acqua per usi agricoli e potabili, la Regione dispone già da oltre dieci anni di una risorsa preziosa e poco sfruttata: le acque reflue depurate provenienti dai moderni impianti consortili.

Dati di letteratura e stato dell’arte

In provincia di Lecce, sono disponibili circa 480.000 m³ di acque reflue depurate ogni giorno, una quantità teorica che permetterebbe l’irrigazione di fino a 3.500 ettari nel territorio salentino, considerando un consumo medio di 5.000 m³/ha/anno.

Nonostante questa potenzialità, le superfici effettivamente irrigate non superano i 1.200 ettari (dati Consorzio di Bonifica di Lecce, 2024), rappresentando meno del 35% della capacità teorica. La qualità di queste acque è ampiamente validata da ARPA Puglia e rispondente ai requisiti previsti dal Regolamento UE 741/2020.

Il progetto RIUBSAL (finanziato dalla Regione Puglia, Misura 16.2 PSR) ha dimostrato, attraverso studi sperimentali dell’Università di Bari, che il riutilizzo irriguo delle acque affinate:

             Consente un risparmio di fertilizzanti pari a circa il 30% di azoto, il 15% di fosforo e il 40% di potassio, grazie ai nutrienti residui nelle acque.

             Apporta benefici ambientali rilevanti: minore pressione sulle falde sotterranee, riduzione della salinizzazione, riduzione delle emissioni di CO₂.

             Migliora la resilienza delle produzioni agricole locali e consente l’avvio di nuove coltivazioni anche in aree colpite da patologie arboree come la Xylella.

Criticità e analisi del comportamento degli imprenditori agricoli

È qui che emerge il grande paradosso gestionale: gli imprenditori agricoli che rivendicano soluzioni innovative e invocano investimenti in dissalatori e nuove infrastrutture, non impiegano la risorsa già disponibile e strategica sul territorio. Solo una frazione delle superfici irrigabili è raggiunta dalle reti di irrigazione che sfruttano le acque reflue depurate.

Chiedere di investire in dissalatori, con costi energetici e ambientali decisamente superiori, non ha senso finché non si utilizza totalmente la disponibilità di acqua depurata già validata, monitorata e distribuita dagli impianti locali. Le richieste avanzate dagli stessi imprenditori possono essere interpretate come strumentali e prive di logica se non si colma prima il gap gestionale.

Inoltre, questa situazione si aggrava poiché la governance dei Consorzi di Bonifica e degli impianti ARIF è affidata agli stessi imprenditori agricoli: non affrontano e non risolvono da decenni i nodi impiantistici, infrastrutturali, organizzativi che ostacolano il pieno uso delle risorse. Eppure, la legge impone loro la responsabilità della gestione condivisa: invece, si propone di attribuire al Governo centrale l’intero onere della soluzione del problema idrico, scaricando la responsabilità che da tempo gli imprenditori agricoli non si assumono.

La via da seguire

La soluzione concreta e realistica, confermata dai dati di letteratura e dalle esperienze di progetti come RIUBSAL, consiste nel:

             Incentivare il riuso totale delle acque reflue depurate disponibili sul territorio salentino, sfruttando le tecnologie avanzate di controllo, monitoraggio ed efficientamento.

             Attivare una gestione condivisa e responsabile degli impianti irrigui collettivi, affidando agli imprenditori agricoli la governance attiva dei consorzi e delle infrastrutture.

             Solo una volta esaurita completamente la disponibilità di acque reflue, potrà risultare sensato valutare l’investimento in risorse alternative come i dissalatori.

Bibliografia

1.            Progetto RIUBSAL – Dipartimento Di.S.S.P.A., Università di Bari e Regione Puglia, Misura 16.2 Piano di Sviluppo Rurale. https://www.riubsal.it, https://www.noinotizie.it/18-12-2024/utilizzo-delle-acque-reflue-per-lirrigazione-progetto-a-gallipoli/

2.            Consorzio di Bonifica di Lecce – Report annuale, 2024.

3.            ARPA Puglia – Validazione qualità acque reflue depurate per uso irriguo, report 2024. https://bonificaugento.bonificacspuglia.it/

4.            Regione Puglia, PSR 2014-2020, Misura 16.2 documentazione ufficiale.

5.            Acquedotto Pugliese – Comunicato ufficiale 2020. http://www.aqp.it

6.            Telesveva.it, “Riutilizzo delle acque reflue depurate in agricoltura: i risultati del progetto RIUBSAL”, 16 dicembre 2024. https://telesveva.it/attualita/riutilizzo-delle-acque-reflue-depurate-in-agricoltura-i-risultati-del-progetto-riubsal/

7.            ISPRAMBIENTE, Memorie Descrittive Carta Geologica d’Italia, Vol. 92 “Opere e impianti irrigui mirati strategicamente a far fronte…”, 2022. https://www.isprambiente.gov.it

8.            Antonio Bruno: “L’uso delle acque reflue depurate a fini irrigui”, documento tecnico, 2007.

9.            Brochure DEMOWARE, ARTI Puglia, “Il riuso delle acque in agricoltura in Puglia”, 2015.

10.          Regolamento UE 741/2020, piani di gestione per il riutilizzo delle acque in agricoltura.

 

giovedì 30 ottobre 2025

“I ‘Super Batteri’ degli Ulivi: Come Microrganismi Invisibili Combattono la Siccità e Salvano i Nostri Oliveti”

 


“I ‘Super Batteri’ degli Ulivi: Come Microrganismi Invisibili Combattono la Siccità e Salvano i Nostri Oliveti”

Autore: Antonio Bruno

Istituzione: Associazione dei Laureati in Scienze Agrarie e Forestali della Provincia di Lecce

Di seguito un’analisi approfondita dello studio condotto da ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) — insieme con il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e alcune università italiane — che ha identificato tre batteri «alleati» degli ulivi in condizioni di siccità. Riporto prima i principali riferimenti bibliografici, poi – passo per passo – il contesto, la metodologia, i risultati, le implicazioni e i limiti.


Riferimenti bibliografici principali

  1. Visca, A.; Nolfi, L.; Di Gregorio, L.; Costanzo, M.; Clagnan, E.; Sevi, F.; et al. Characterization of Core Microbiomes of Olive Tree Rhizospheres Under Drought Stress Conditions. Appl. Sci. 2025, 15(17), 9667. DOI:10.3390/app15179667. MDPI+2Media ENEA+2
  2. Comunicati e news di ENEA (“Agricoltura: microbi ‘su misura’ per salvare gli ulivi dalla siccità”) del 23–24 ottobre 2025. Media ENEA+2sostenibilita.enea.it+2
  3. Reportaggio divulgativo: “Tre ‘super batteri’ salvano gli ulivi dalla siccità: la rivoluzione verde di ENEA”. Insalute News

Contesto dello studio

  • Il Mediterraneo, e in particolare l’agricoltura della zona olivicola, è sempre più soggetta a condizioni di sicurezza idrica, ovvero periodi di siccità o scarsità di acqua, che mettono a rischio la produzione, la crescita delle piante, la resilienza degli uliveti. Media ENEA+1
  • Lo studio fa parte del progetto internazionale BIOMEnext («Modelling integrated biodiversity‑based next‑generation Mediterranean farming systems») che mira a sviluppare sistemi colturali innovativi in agricoltura mediterranea, anche attraverso l’uso di comunità microbiche ed ecosistemi del suolo. sostenibilita.enea.it+1
  • L’ulivo è stato scelto come specie modello, perché rappresenta una coltura tipica del Mediterraneo, resistente ma che può subire importanti stress da siccità e che ha rilevanza ambientale, economica e culturale. Agricultura+1

Obiettivi dello studio

Gli autori si sono posti principalmente questi obiettivi:

  • Analizzare la rizosfera (cioè il suolo attorno alle radici) e le comunità microbiche (il “microbioma”) di piante di ulivo in condizioni irrigate vs condizioni di siccità (riduzione idrica). MDPI+1
  • Identificare un “core microbiome” ossia i gruppi microbici costantemente presenti in diversi campioni (suolo/radice) che potrebbero essere associati alla resilienza della pianta allo stress idrico. MDPI+1
  • Individuare batteri particolari che sembrano avere funzioni complementari a sostegno della pianta in condizioni di siccità (nutrizione, difesa, adattamento). Media ENEA+1
  • In prospettiva, sviluppare la possibilità di consorzi microbici (associazioni di microrganismi selezionati) che possano essere utilizzati come strumenti agronomici per rafforzare gli ulivi nelle condizioni di stress idrico. Media ENEA+1

Metodologia

Ecco i punti salienti della metodologia impiegata:

Campionamento e ambiente sperimentale

  • Lo studio ha considerato quattro cultivar di ulivo (non sempre specificate nel comunicato divulgativo, ma più in dettaglio nell’articolo) in umbria, su piante irrigate e piante sottoposte a siccità, in diverse stagioni dell’anno. Agricultura+1
  • Si è studiato il suolo intorno alle radici (rizosfera) e le radici stesse, monitorando le comunità microbiche presenti. MDPI

Analisi microbiche

  • È stata condotta un’analisi del DNA (metagenomica) per identificare quali microrganismi fossero presenti nei campioni, con che abbondanza, e come cambiassero in risposta alla siccità. Media ENEA+1
  • È stata analizzata la funzione potenziale della comunità microbica: ossia quali geni/attività fossero attivati in condizioni di stress idrico (es. utilizzo nutrienti, difesa ossidativa, mobilità). Media ENEA
  • È stato utilizzato anche il text‑mining (software che analizza migliaia di articoli) per estrarre e collegare informazioni esistenti sulla letteratura di microbiomi e siccità agricola. Insalute News+1

Principali risultati

Ecco cosa hanno trovato gli autori:

  1. Le comunità microbiche nei suoli (rizosfera) rimangono abbastanza stabili anche in condizioni di ridotta disponibilità idrica: ciò perché molte specie microbiche hanno funzioni simili e il suolo presenta una certa “riserva” funzionale. Media ENEA
  2. Diversamente, le comunità microbiche all’interno delle radici mostrano cambiamenti più marcati quando la pianta è in condizioni di siccità: la pianta sembra “selezionare” microrganismi che possono aiutarla a sopravvivere alla mancanza d’acqua. Agricultura+1
  3. È stato definito un core microbiome dell’ulivo in condizioni di siccità, cioè un insieme di gruppi microbici costantemente presenti nei campioni. MDPI+1
  4. Tre generi batterici sono stati individuati come “alleati” degli ulivi in condizioni di siccità:
    • Solirubrobacter: presente nel suolo, associato alla decomposizione della materia organica e al ciclo dei nutrienti. Insalute News+1
    • Microvirga: può vivere in simbiosi con le piante, aiutandole ad assorbire nutrienti essenziali come l’azoto. Insalute News+1
    • Pseudonocardia: noto per produrre sostanze antimicrobiche e contribuire alla difesa delle piante da patogeni; la sua presenza suggerisce un ruolo difensivo nelle radici. Media ENEA+1
  5. In condizioni di siccità, la comunità microbica attiva o potenzia geni legati a:
    • utilizzo efficiente dei nutrienti fondamentali, anche in condizioni ridotte di disponibilità;
    • protezione delle cellule dai danni ossidativi;
    • mobilità nei suoli (capacità dei batteri di spostarsi verso microambienti con più acqua o nutrienti). Media ENEA+1
  6. L’interfaccia radice‑rizofera è evidenziata come una zona “cruciale” di interazione pianta‑microbioma, dove avvengono processi vitali quali assorbimento di acqua, nutrienti e scambi simbiotici. Media ENEA

Implicazioni

  • La selezione naturale (o indotta) di microrganismi favorevoli nella rizosfera delle piante può essere vista come un meccanismo ausiliario alla tolleranza della pianta alla siccità. In altre parole, non è solo la pianta a reagire con legami genetici/interni, ma il suo microbioma che può contribuire.
  • La possibilità di sviluppare consorzi microbici — cioè preparazioni mirate di batteri “buoni” da inoculare o favorire in prossimità delle radici — rappresenta un’opportunità concreta per agricoltura innovativa: nel caso degli ulivi, per mitigare gli effetti della siccità, migliorare la salute delle piante, la resilienza e forse la produttività nei contesti aridi o semi‑aridi.
  • Integrare pratiche agronomiche con la gestione del microbioma del suolo / radici può costituire un approccio più sostenibile rispetto al solo aumento dell’irrigazione o all’uso intensivo di fertilizzanti.
  • Dal punto di vista della ricerca, questo tipo di studio apre la strada all’agronomia microbiologica: identificazione, selezione e applicazione di microrganismi come “bio‑alleati” delle piante nelle condizioni di cambiamento climatico.

Limiti e considerazioni critiche

  • Anche se lo studio identifica generi batterici associati alla tolleranza allo stress idrico, non tutti i meccanismi precisi (a livello cellulare delle piante, delle radici) sono ancora completamente definiti: c’è bisogno di studi più funzionali (ad inoculazione, in campo) per confermare che l’aggiunta di quei batteri migliora effettivamente la resa nelle condizioni reali.
  • Le condizioni sperimentali (campionamento, ambiente, cultivar, condizioni di siccità) possono non riflettere completamente la complessità dei suoli, del clima, del bilancio idrico in pieno campo, specialmente nei diversi territori olivicoli mediterranei.
  • Il termine “tre super batteri” è divulgativo: in realtà si tratta di tre generi identificati come potenzialmente utili, ma il fatto che soli quei tre bastino come “soluzione” non è ancora garantito — altre specie microbiche o fattori agronomici potrebbero intervenire.
  • L’applicazione pratica su scala agronomica (inoculazione, costi, compatibilità con pratiche agrarie esistenti, variabilità del suolo, regolamentazioni) richiede ulteriore sviluppo.
  • Il successo dipenderà anche dalla persistenza di quei microrganismi nel suolo / radice, dalla loro interazione con cultivar, suolo, clima e gestione agronomica.

Come spiegare “in quotidiano” la scoperta

Pensate all’ulivo come a una pianta che, quando l’acqua scarseggia, non è sola: ha al suo fianco un “esercito” microscopico nei dintorni delle radici. Questo esercito (microbioma) cambia strategia: alcuni batteri diventano più presenti, altri vengono “richiamati” dalla pianta stessa, e insieme aiutano la pianta a: 

  • usare meglio i nutrienti anche con poca acqua;
  • proteggersi dallo stress ossidativo che arriva quando l’acqua manca;
  • mantenere una migliore “comunicazione” su piccola scala radice‑suolo per trovate micro‑zone con un po’ più di acqua o nutrienti.
    Lo studio ha identificato tre gruppi batterici (“Solirubrobacter”, “Microvirga”, “Pseudonocardia”) che sembrano giocare un ruolo chiave in questo contesto.
    In prospettiva, si immagina di assemblare consorzi microbici, ossia “cocktail” di batteri utili, da somministrare o favorire nei terreni degli oliveti, in modo da rendere gli ulivi più resistenti alla siccità — un elemento importante della strategia per adattare l’agricoltura mediterranea al cambiamento climatico.

Conclusione

Lo studio dell’ENEA rappresenta un passo significativo verso una agricoltura più resiliente, che non dipenda soltanto da irrigazione o fertilizzazione, ma anche da una gestione del microbioma della pianta/terreno. Pur con margini di sviluppo e applicazione, la scoperta e caratterizzazione di batteri “alleati” dell’ulivo in condizioni di siccità è incoraggiante e apre percorsi concreti di innovazione agronomica.

Di seguito una raccolta di studi recenti riguardanti il microbioma associato a Olea europaea (ulivo) in relazione agli stress abiotici (in particolare siccità, salinità, condizioni idriche limitate). Per ciascuno riporto titolo, autori, anno, breve descrizione e rilevanza.


Studi selezionati

  1. Characterization of Core Microbiomes of Olive Tree Rhizospheres Under Drought Stress Conditions – A. Visca et al., 2025.
    Descrizione: Studio condotto da ENEA e collaboratori (Università di Torino, CNR, Perugia), in cui sono analizzate quattro cultivar di ulivo in regime irrigato vs siccità, usando metagenomica, analisi filogenetica e text‑mining della letteratura. Hanno identificato un “core microbiome” e generi batterici specifici (es. Solirubrobacter, Microvirga, Pseudonocardia) associati alla tolleranza alla siccità. MDPI+1
    Rilevanza: È lo studio che hai citato; fornisce dati quantitativi e funzionali su microbiomi sotto stress idrico.
  2. Olive Tree Belowground Microbiota: Plant Growth‑Promoting Bacteria and Fungi – M.C. Dias, S. Silva, C. Galhano, P. Lorenzo; 2024.
    Descrizione: Review che aggiorna lo stato delle conoscenze sui microbi associati all’ulivo (radice, rizofera), con focus su batteri e funghi promotori della crescita (PGPB/PGPF), su come gli stress abiotici (inclusa la siccità) influenzano questi microbi, e su lacune nella ricerca. MDPI
    Rilevanza: Fornisce un buon panorama generale del tema e può aiutare a contestualizzare lo studio ENEA.
  3. Plant genotype and seasonality drive fine changes in olive root microbiotas – M. Chialva et al., 2021.
    Descrizione: Studio che esplora 20+ anni‑vecchie piante di ulivo, mostrando che il microbiota radicolare è molto stabile nel tempo, con poche variazioni tra stagioni e genotipi. ScienceDirect
    Rilevanza: Offre evidenza che il microbioma dell’ulivo può essere stabile, il che ha implicazioni per interventi microbiologici: se stabile, può essere altresì più “modulabile” con inoculazioni.
  4. Unraveling the spatio‑temporal dynamics of soil and root‑associated microbiomes in Texas olive orchards – D.P. Thenappan et al., 2024.
    Descrizione: Studio nord‑americano (Texas) su cultivar ’Arbequina’, analizzando suolo e radice (rizofera/endosfera) in tre località, tre stagioni; studia batteri e funghi. Nature
    Rilevanza: Pur non focalizzato esclusivamente sulla siccità, dà elementi utili sul comportamento del microbioma su ulivo in ambienti non tradizionali e con possibili stress climatici.
  5. Olive agroforestry shapes rhizosphere microbiome networks associated with annual crops and impacts the biomass production under low‑rainfed conditions – A. Ben zineb et al., 2022.
    Descrizione: Studio che considera sistemi agroforestali con ulivi + colture da sovrano in condizioni “rain‑fed” (piogge limitate) e come l’ulivo influisce sul microbioma del suolo e sulla resilienza dell’intero sistema. Frontiers
    Rilevanza: Meno “radice di ulivo → batteri” diretto, ma importante per capire l’ambiente agronomico dell’ulivo e le interazioni del microbioma in condizioni di scarsa acqua.
  6. Salt stress in olive tree shapes resident endophytic microbiome – F. Vita et al., 2022.
    Descrizione: Studio su ulivi sottoposti a stress salino moderato; analizza cambiamenti del microbioma endofitico e suggerisce che stress abiotici diversi (non solo acqua) alterano il microbioma. Boa Unimib
    Rilevanza: Utile per analogia: se la salinità modifica il microbioma, si rafforza l’idea che anche la siccità lo faccia, e che esistono “alleati microbi” da selezionare.

Osservazioni generali e lacune emerse

  • La letteratura specifica ulivo + microbioma + siccità è ancora relativamente limitata: lo studio ENEA (2025) appare quasi “pioniere” nel focalizzare l’adattamento microbico alla siccità.
  • Molti studi trattano il microbioma dell’ulivo in condizioni generali (suolo, radici, cultivar, stagioni) oppure stress generici, ma pochi studiano direttamente l’effetto della riduzione idrica e l’identificazione di consorzi microbici per migliorare la resilienza.
  • Le review (come Dias et al. 2024) segnalano che vi è un “gap” nell’applicazione pratica di inoculazioni microbiche su olivo per stress idrici.
  • Il contesto agronomico (suolo, cultivar, clima, gestione) risulta fortemente variabile: ciò significa che la trasferibilità dei risultati tra contesti (es. Italia vs Texas) può essere limitata.
  • Necessità di studi funzionali: non solo descrittivi (chi c’è?), ma sperimentali (cosa succede se inoculo? Quale effetto reale sulla resa? Quale persistenza nel tempo?).
  • Mancanze nella standardizzazione: condizioni di siccità differiscono per intensità/durata; molti studi non quantificano in modo dettagliato il deficit idrico, rendendo difficile confronti diretti.