domenica 30 giugno 2019

Nel Salento leccese le patate sono buone

Paolo Maruccia        
ha scritto:



954 grammi di pura salentinità senza utilizzo di chimica. ...solo passione e letame !
La foto è di Paolo Maruccia
 Un'annata col giusto equilibrio sole/piogge ha dato un buon prodotto


Suzanne Simard e la possibilità che gli olivi della Puglia si aiutino l’un l’altro.



Io ho letto le parole del Prof. Stefano Mancuso, il collega Dottore Agronomo che ha scritto tanto sulle piante. Che si possa assistere a qualcosa del genere anche in Puglia? Suzanne Simard sostiene che le piante soccorrono quelle che tra loro sono più deboli. Che si possa realizzare questo anche da noi per far si che gli olivi non dissecchino più?
Di seguito i passaggi di Stefano Mancuso nell’intervista di Walter Ventroni pubblicata oggi Domenica 30 giugno 2019 sul Corriere della Sera.

Qual è il mutuo appoggio tra le piante?
«Immagini un bosco, un bosco originale, non piantato dall’uomo. Quel bosco è come se fosse un organismo unico. Cioè non costituito da tanti individui ma da una rete di piante che sono connesse le une con le altre. Possono essere direttamente connesse, attraverso le radici, a centinaia, letteralmente centinaia, di piante vicine. Qual è il mutuo appoggio? Il mutuo appoggio sta nel fatto che attraverso queste radici le piante si scambiano informazioni sullo stato dell’ambiente, e si scambiano nutrienti, acqua. Immagini un semino che cade in una foresta, un luogo buio. Il seme, prima di poter arrivare ad un’altezza tale da poter fare la fotosintesi, deve attendere molti anni. Come fa questo seme a vivere? È l’infanzia dell’albero. Lei non ci crederà ma in quel momento sono gli alberi adulti che lo alimentano, attraverso le connessioni radicali. Si chiamano cure parentali. E se consideriamo le cure parentali come un indice di complessità della specie come definire allora la straordinaria capacità “genitoriale” delle piante?».

Altri casi di «mutuo appoggio»?
«Le piante sanno soccorrere quelle, tra loro, che sono più deboli. Sembra poesia, ma è realtà. Una mia collega, si chiama Suzanne Simard, ha fatto uno straordinario esperimento... Cosa fa Suzanne? Va in un meraviglioso bosco di abeti del Canada, prende un abete adulto di venti metri e, facendosi aiutare da alcuni suoi studenti, lo isola completamente dall’atmosfera, mettendolo all’interno di un enorme pallone trasparente. All’interno di questo pallone fa entrare anidride carbonica marcata. Di modo che se ne potesse seguire il destino. Una settimana dopo, lo zucchero, l’energia che queste piante avevano prodotto, lo si trovava sparso in una grande zona della foresta. Dove l’aveva diffusa? Soprattutto, ecco il “mutuo appoggio”, negli individui giovani e deboli».


Giugno 1986 - Un'indagine sull'Agricoltura salentina


Giugno 1986 - Un'indagine sull'Agricoltura salentina


Marcello Vadacca 


L'agricoltura salentina può difficilmente, per ovvi motivi storici, essere proposta in termini di analisi senza che gli aspetti economici evidenzino palesi contraddittorietà e che l'estrapolazione settoriale di alcuni dati porti ad una visione viziata, in difetto od in eccesso, in relazione all'aspetto tecnico considerato. Vi sono nel contesto dei risultati dell'ultimo censimento agricolo alcuni dati che possono fornire una visione globale della situazione generale e delle sue tendenze evolutive. Questi riguardano essenzialmente la diminuzione del numero delle aziende, della superficie totale e di quella agricola utilizzata, sia in assoluto che a livello aziendale stesso.

Diminuzione forza lavoro e abbandono di alcune aziende
I motivi per cui si è giunti ad una contrazione della superficie agricola sono da mettere in relazione a più fattori, di natura locale e generale, che hanno inciso diversificatamente sulle realtà produttive inducendo parallelamente una diminuzione della forza lavoro ed un abbandono di quelle aziende, o parte di esse, in cui l'esercizio agricolo, per motivi contingenti, risultava poco redditizio. La diminuzione del numero delle aziende non ha portato, ed è questo l'aspetto più preoccupante, ad un aumento della superficie totale media delle aziende stesse, riproponendo le identiche tematiche che agli inizi degli anni settanta furono evidenziate, in vari interventi sulla agricoltura salentina, da diversi politici e tecnici quali Ferrante, Vianello, Casalino ecc.ecc.

Polverizzazione delle proprietà ed esiguità delle superfici aziendali
La polverizzazione delle proprietà e la conseguente esiguità delle superfici aziendali costituiscono il problema fondamentale della agricoltura salentina. Problema contro il quale vengono in conflittualità tutte le proposte programmatiche che non considerino questo peculiare aspetto che prima di essere affrontato in termini economici deve far pensare per il suo significato sociale. Se da un'attenta disamina non si può fare a meno di sottolineare la naturale vocazione agricola del territorio provinciale, d'altra parte non bisogna dimenticare che circa il 70% dei suoli agrari presenta un modesto potenziale produttivo, in relazione alle caratteristiche pedologiche di base e nei confronti degli andamenti climatici, che impongono scelte e sistemi colturali tecnicamente inadeguati per un'agricoltura che in campo comunitario deve competere con nazioni a tecnologia avanzata, e comunque capace di lavorare a bassi costi.

Problemi per l'olivicoltura e la viticoltura per le colture arboree, la tabacchicoltura e l'orticoltura per le erbacee, la zootecnia nella sua totalità
Nello specifico, ovviamente in maniera diversificata, problematiche complesse investono i settori tradizionali di produzione, quali: l'olivicoltura e la viticoltura per le colture arboree, la tabacchicoltura e l'orticoltura per le erbacee, la zootecnia nella sua totalità.
Il comporto olivicolo riveste un'importanza economica notevole, occupando circa il 30% della superficie agraria dell'intera provincia di Lecce ed interessando circa il 71% delle aziende agrarie. Il rilancio di questa coltura, perennemente in crisi, va affrontato in termini di ristrutturazione generale, con piani di settore che interessino direttamente le aziende e miranti all'aumento della produttività, al rinnovo tecnologico ed alla diminuzione dei costi. Questo implica, a livello amministrativo, un'ottica programmatica che favorisca un intervento pubblico lontano dall'assistenzialismo e tendente a sviluppare l'imprenditorialità coltivatrice sia singola che associata.
Per la viticoltura esiste una situazione sicuramente più rassicurante, dovuta ad una diversa organizzazione del settore stesso ed ad una presenza tecnica adeguata che ha saputo trasformare, con scelte innovative, in base alle esigenze del mercato, una produzione generica, specializzandola e dandole una precisa conformazione, In termini di prodotto finito, capace di imporsi concorrenzialmente in ragione della propria qualità. Negli stessi termini non si può certo discorrere sulla tabacchicoltura che negli anni sessanta sembrava essere il settore di maggiore potenzialità produttiva dell'agricoltura salentina. La liberazione della coltivazione del tabacco ha portato ad un eccessivo incremento produttivo a tutto discapito della qualità delle foglie, con un conseguente imbastardimento delle varietà ed un aggravio economico sul prodotto per la presenza di figure intermediarie, che oltre a non dare alcuna garanzia sulla qualità della produzione stessa, tendono a sostituirsi, ed è forse questo l'aspetto più dequalificante, al ruolo dei periti, che in passato hanno garantito gli ottimi livelli tecnici a cui oggi con rimpianto si aspira.
La mancanza di programmazione e la conseguenziale eccessiva sensibilità delle produzioni agli andamenti di mercato, in assenza di una sviluppata industria trasformativa, costituiscono i fattori di labilità del settore ortofrutticolo. Settore che ha potuto raggiungere eccellenti risultati quanti-qualitativi sia per condizioni bioclimatiche favorevoli, che per una maggiore diffusione della irrigazione. Risultando però eccessivamente esposto ai danni delle superproduzioni ed alla assenza di proiezioni sugli andamenti del mercato e dei consumi, che evidenziano in quale clima di incertezza maturino le scelte degli operatori e quanto avvilenti e costosi, per l'intera comunità, siano gli ammassi e le distruzioni cui periodicamente sono soggetti i prodotti ortofrutticoli, al fine di contenerne il prezzo a livelli non remunerativi, ma capaci di far rientrare le spese colturali.
La zootecnia salentina, oltre a particolari situazioni locali che hanno determinato una riduzione del patrimonio bovino, rischia di andare incontro ad un ulteriore collasso a causa di scelte comunitarie destinate alla protezione di territori ad alta produzione, alimentando le dipendenze passive, in termini di una vera e propria colonia di mercato, di quelle regioni in cui la produzione stessa, a livello locale, non riesce a soddisfare la domanda. La conversione produttiva, da latte a carne, per mezzo di un cospicuo contributo per l'abbattimento delle lattifere e l'acquisto di animali da ingrasso, attraverso il quale si cerca di arginare, o quantomeno contenere, i danni causati da detta politica, rischia di esitare, almeno per ciò che riguarda il Salento, negativamente, o di non sortire gli effetti desiderati.
In quanto l'allevamento carneo necessita di scelte colturali e strutturali completamente diverse da quello che è l'assetto agricolo-zootecnico del territorio. La cospicua contrazione del numero dei capi bovini registrato nell'ultimo censimento, il 36% in meno circa, deve essere messa in relazione ai provvedimenti sanitari che furono presi, verso la metà degli anni settanta, per ovvi motivi di profilassi sociale e che portarono alla distruzione degli allevamenti nelle zone urbane e periurbane.
Fino al 1970, come ampiamente dimostrato dai relativi censimenti dell'epoca, il numero dei capi bovini era distribuito, in una percentuale superiore al 50%, in allevamenti di uno-due capi. Allevamenti nei quali l'attività zootecnica non era dominante e costituiva una delle molteplici attività cui i coltivatori erano soggetti al fine di giungere alla definizione di un reddito. E' intuitivo che l'attività zootecnica avesse un'impostazione estensiva, che per altro non ha perso, legato alla polverizzazione della proprietà agricola tanto dal proporsi in termini direttamente proporzionali a questa. L'ovinicoltura, al contrario dell'allevamento bovino, continua ad essere un settore stabile e soggetto ad incrementi continui, sia per l'immigrazione di pastori e greggi da altre regioni italiane, fenomeno questo che va tenuto in debito conto per le capacitò professionali ed imprenditoriali di alcuni pastori sardi, sia per il fatto che comunque, in relazione alla sua rusticità, la pecora è un animale da reddito. Ovviamente l'ovinicoltura industriale non è legata unicamente al numero di capi, ma alla volontà di incentivare e quindi di interessare all'allevamento superfici adeguate sia da un punto di vista strettamente agronomico, che da quello tecnico. La zootecnia in senso generale ha bisogno di strutture permanenti, a duplice funzione sperimentale e dimostrativa, allo scopo di incentivare la produzione, favorire l'introduzione di nuove razze e selezionare le autoctone, come sarebbe quantomai necessario fare per la podolica pugliese e per la moscia leccese, razza a triplice attitudine che può dare ottimi risultati sia per la produzione carnea che per quella lattea.

Consulenza tecnica ed associazionismo
Da quanto sommariamente e superficialmente disaminato risulta naturale, parlando di questioni agricole in senso generale, accentrare in un nucleo di proposte le possibili soluzioni. Ricette taumaturgiche in agricoltura non esistono, in quanto il nucleo centrale dell'intera questione agricola, come ampiamente dimostrato in altre regioni italiane, ruota intorno a due specifiche problematiche di base che sono rappresentate dall'assistenza tecnica e dall'associazionismo, che per quanto si vogliano disgiungere sono fra loro collegate.

La cooperazione, come ampiamente viene dimostrato dal Prof. De Meo nella sua opera, che più che una attenta analisi può essere definita un diagnostico radiografico del movimento cooperativistico della provincia di Lecce, è una realtà a grosse potenzialità di sviluppo, che può affrontare diversi dei problemi a carattere economico, sociale e programmatico che affliggano la penisola salentina. Trascinando con sé specifiche competenze e la necessitò di assistenza tecnica, strumento indispensabile per incidere radicalmente sul tessuto agricolo partendo dalla conoscenza delle esigenze materiali che da questo emergono.

sabato 29 giugno 2019

L’agricoltura e l'alimentazione nel Salento con gli Angioini

L’agricoltura e l'alimentazione nel Salento con gli Angioini


La stabilità e la sedentarietà delle popolazioni agricole salentine venne meno  nel periodo della dominazione Angioina a causa delle continue attività belliche e dell’incremento di epidemie, dovute a zone paludose e malsane, che decimavano le popolazioni, senza trascurare la tante ordinanze di emigrazione per intere famiglie al fine di far ripopolare ed organizzare attività agricole  e commerciali in zone interessate ai traffici marittimi, ma tutto ciò ha accentuato carattere di instabilità e di precariato che giustifica lo sviluppo di povertà, di vagabondaggio, del movimento di pellegrini, incentivato dalle continue ed elevate tasse che colpivano categorie produttive  assillate da dazi.
Basti ricordare i documenti del 1327 del “Libro Rosso di Gallipoli” e quello del 1395, approntato dall’Università di Lecce, per l’approvazione  della regina Giovanna I.
Dei documenti citati va annotato l’elenco dei generi alimentari colpiti da dazi e tassazione: mielepollame, diversi animali, erbe commestibilicarne di pecora, di capra, di vacca, di giumenta di scrofasalepescelegumi, ed altri prodotti alimentari che testimoniano il regime alimentare delle popolazioni del Salento, accentuatamente mediterraneoagricolo, immutato nel corso dei secoli.   

L'agricoltura e l'alimentazione nel Salento con gli Svevi

L'agricoltura e l'alimentazione nel Salento con gli Svevi


Con gli Svevi, e soprattutto con Federico II l’economia salentina  risente di un certo declino a causa di un atteggiamento di trascuratezza da parte dell’Imperatore rispetto a Brindisi e a Taranto, che vivevano una vita economica ordinaria, ma non solo per essere civiltà di mare, ma per l’impegno e l’operosità degli ebrei presenti.
E’ tra il XII ed il XIII secolo, in realtà, che nel Salento si svilupparono i "Casali" e ciò porto all’affermarsi di un tipo di coltivazione misto tra apprezzamenti  ampi ed estesi e zone di nuova coltivazione, strappate all’incolto, alla boscaglia, alle paludi. Si coltivano cereali, compresi l’orzo ed avena, vigneti, disposti a recinti, uliveti di vario tipo e, persino, piante tessili, compreso il lino, specialmente in prossimità delle paludi. Alberi da frutta e di agrumi vengono coltivati in appezzamenti signorili, i famosi giardini, “sciardini” o “iardini”, e negli orti, “ortali “ o “uerti” e non mancano gli ortaggi. Sul litorale si estendeva, per ampi e lunghi spazi, la foresta di alto fusto, la selva ed i boschi di querce, dalla costa Otrantina a Tricase, a Sant’Isidoro, a Cerano, zone di malaria, ma anche di caccia al grifone, gru, pellicani, pavoncelli, oche selvatiche, cicogne ed altri ormai rari animali, annotati nel "De arte venandi cum avibus" delle stesso Federico II.         
In questi ambienti s’insediarono i monasteri, dal Mille in poi, dando il loro contributo, specie i Benedettini, alla fede ed al lavoro.

L’agricoltura e l'alimentazione nel Salento con i Normanni

L’agricoltura e l'alimentazione nel Salento con i Normanni


E’ con la dominazione normanna con cui si apre il basso medioevo del Salento,  durante il regno di  Tancredi, che i lavori e la bonifica riprendono vigore ed alacrità nelle campagne del Salento, ripopolandosi e dando frutti abbondanti, per una vita resa vivace da negozianti e banchieri, protagonisti d’affari con Venezia e l’Oriente.
 
Certamente il ripopolamento delle campagne salentine verso l’interno e lontano dalla costa fu dovuto anche all’impaludamento, causato dall’elevamento della temperatura e dal conseguente innalzamento del livello del mare, intorno all’800 ed 1200; tale fenomeno è testimoniato dalle paludi dell’Aquatina, presso Frigole (Lecce), ormai prosciugate, e dai Laghi Alimini presso Otranto, ancora oggetto oggi di ammirazione essendo  zona di particolare interesse naturalistico.
E’ certo che fino al XII secolo hanno predominato la macchia e l’incolto in cui erano immersi i "Casali", i cui villani si prodigarono con il loro lavoro indefesso a rendere fertili, e si tratta di nuclei familiari limitati tra due e ottanta famiglie, che popolarono vaste zone del Salento, procurando cibo sé, per il monastero da cui dipendevano ed anche per il conte, superando la struttura feudale e fiscale del "chorion" bizantino.
Il periodo è caratterizzato dalla produzione tradizionale: vino, olio, frumento, legumi, ortaggi, ma anche dalla caccia, dalla pesca, dal pascolo, anzi le attività di caccia, pesca e pascolo sembrano prevalenti per l’estensione delle zone forestali, delle paludi e dell’incolto.

mercoledì 26 giugno 2019

Alcuni suggerimenti per il progetto del giardino mediterraneo



Prato con Cynodon dactylon e la Stenotaphrum secundatum dato che richiedono poca acqua e resistono all’umidità.
Si proceda poi all’inserimento di varie piante da fiore che hanno una funzione puramente ornamentale come le rose, i gerani, le begonie, gelsomini profumatissimi o le buganvillee.
Possibilità di giardino roccioso mediterraneo con lavande, timi, corbezzoli, oltre ad eriche ed agnocasti.
Si possono mettere a dimora arbusti mediterranei, o piante tipiche della macchia mediterranea, quindi dall’alloro, al rosmarino  ma anche ulivo, o piante come agrumi e palme.

domenica 23 giugno 2019

La Masseria Pendinello in agro di Nardò (Lecce) - Atti parlamentari e ricordi d'infanzia



La Masseria Pendinello in agro di Nardò (Lecce) è stata oggetto di un'interrogazione Parlamentare che riporto qui di seguito, ma è anche il posto in cui ho passato nella mia infanzia, sino alla giovinezza, le lunghissime vacanze estive. Per questo riporto un mio ricordo. Buona lettura



Atti Parlamentari - 7638 - Camera dei Deputati
LEGISLATURA II - DISCUSSIONI - SEDUTA DEL 4 MAGGIO 1954
DANIELE. — Al Ministro dell'agricoltura e delle foreste. «Per conoscere se corri-sponde a verità che l'ente per la riforma fon-diaria di Puglia e Lucania abbia recentemente comprata a trattativa privata nel territorio di Nardò, in provincia di Lecce, per il prezzo di lire 45 milioni la masseria Pendinelli, la quale già sarebbe stata acquistata alla fine dell'anno 1948, quando il valore dei terreni era più elevato, dal signor Tedesco Salvato-re, attuale venditore, per il prezzo di soli 10 o 12 milioni di lire; e, nel caso, se ritiene opportuno che l'ente suddetto sia autorizzato a concludere contratti di tal genere, che oltre a prestarsi a facili manovre speculative, dan-no origine a diffuso malcontento, perché tur-bano il mercato fondiario, a scapito, special-mente, della formazione spontanea della pic-cola proprietà contadina, ed a critiche giusti-ficate per il modo poco oculato con cui viene speso il pubblico denaro ». (3109).
RISPOSTA. - « A norma dell'articolo 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, la sezione spe-ciale per la riforma fondiaria in Puglia Lucania richiedeva a questo Ministero la pre-scritta autorizzazione per l'acquisto dell'azien-da Pendinelli, sita in agro di Nardò, pro-vincia di Lecce, di proprietà di Tedesco Anto-nio Salvatore. « L'acquisto era motivato dalla necessità di incrementare la insufficiente superficie espropriata nella zona in relazione al numero dei richiedenti aventi diritto ad assegnazioni, nonché dalla utilità di disporre dell'azienda stessa, ai fini di una più vasta ed organica formazione della piccola proprietà contadina. «In ordine a tale acquisto si precisa che la sopra richiamata disposizione di legge con-sente agli enti di procedere per l'acquisto di beni fondiari mediante trattative private, né l'oggetto dell'acquisto ed i fini da perseguire consentono di, adottare procedure diverse. Comunque, la regolarità dell'operazione è garantita dalla preventiva autorizzazione mini-steriale. Si fa, altresì, presente che il prezzo di acquisto entro cui contenere le trattative ri-sulta indicato da una apposita commissione, nominata dal Consiglio di amministrazione della sezione speciale di riforma. «Comunque, nella determinazione del prezzo in parola è stato seguito il criterio della valutazione a prezzo di mercato, cor-rente nella zona, in relazione alla destinazione del terreno. Riferimenti a prezzi corrisposti in passato per gli stessi terreni non appaiono determinanti perché le varie operazioni, di-stanziandosi nel tempo, riguardano mercati fondiari distinti, mentre resta l'impossibili-tà di conoscere con inconfutabile certezza i prezzi praticati tra privati. «Si segnala, infine, che questo Ministero prima di concedere la propria autorizzazione, ha disposto appositi accertamenti in loco, a seguita dei quali il prezzo di acquisto con-cordato dall'ente con la ditta Venditrice è stato successivamente ridotto ».
Il Ministro: MEDICI.


Ricordi della raccolta dei fichi d'India nella Masseria Pendinello

Ora c'è fichi d'India, un aquilone,
un ragazzo che tende
il suo elastico rosso
contro qualche lucertola
troppo spaurita e minima
per presentarsi a quel sogno
d'inaudite avventure
di cui s'inorgoglisca il cuore umano.

Vittorio Bodini (Poeta della Terra di Lecce)



Me lo sono chiesto insistentemente stamattina e non sono riuscito a darmi una risposta. Come si può far ragionare un frutto come ragiona un uomo? Dice l’uomo: siccome vogliono uccidermi mi metto la corazza, oppure il giubbotto antiproiettile. Ma come si può far dire al Fico d’India, al frutto del Fico d’India, che ha le spine per impedire di essere mangiato dagli animali?
La massima aspirazione di ogni essere vivente è quella di vivere e riprodursi, come può riprodursi uno che non sparge il suo seme? E se i frutti del Fico d’India non li mangiano gli animali che fanno passare inalterati dall’intestino i semi come fa a riprodursi?
E mentre pensavo a questo mi sono venuti in mente tempi antichi quando cominciava il primo ottobre la scuola e i miei genitori non ne volevano proprio sapere di andarsene dalla Campagna in agro di Nardò.
La Masseria si chiama “Pendinello” e da fine maggio ci ospitava sino ai giorni di San Giuseppe di Copertino che si festeggia il 26 settembre quando piogge insistenti e ai limiti del diluvio ci costringevano a far ritorno nella uggiosa autunnale San Cesario di Lecce.
Mio padre che all’epoca faceva il ferroviere (ora non è più) più volte raccontava le traversate della gloriosa 6oo color verde acqua che come un mezzo anfibio navigava la cittadina di Copertino che precedeva la Masseria Pendinello.
Mio padre non diceva a nessuno che faceva il Capo Manovra alla Stazione di Lecce, lui è come Nonno Libero della fiction TV “Un medico in famiglia” e si fregiava di essere Ferroviere anche sul campanello di casa dove campeggiava un “Bruno Giuseppe Ferroviere” che tanto mi ricordava quel “San Giuseppe Artigiano”.
In quella Masseria Pendinello trascorrevamo il periodo di vacanze e, finito il mese di agosto, ecco giungere i frutti di fine estate che noi ragazzi andavamo a raccogliere direttamente dagli alberi dell’antica masseria.
Tra questi c’era il fico d’india (noi la chiamavamo ficalindia).
Quando vedi il Fico d’India ai margini delle strade sei certo che sia sempre stato lì, sei sicuro che i Messapi, i Greci e i Romani si siano dati un gran da fare a mangiare i suoi gustosi e prelibati frutti.
Nell’immaginario collettivo il fico d'India è parte integrante del paesaggio mediterraneo. E invece no! Viene da molto lontano. Alcuni affermano che si tratta di un frutto introdotto in Italia dai Saraceni della dinastia araba degli Agabliti di Kairnan, al tempo dello sbarco di Mazara nella nostra Sicilia nell’anno 827.
Altri sostengono che sia stato importato dalle Americhe in Spagna nel 1500, e che il suo nome ovvero “fico d'India”, sarebbe giustificato dalla circostanza della sua provenienza dalle terre che Colombo credeva fossero le Indie, pare che chi si sia dato un gran da fare a diffondere la cultura nell'Italia meridionale siano stati i Borboni. Comunque sia nell'uno che nell’altro caso i Messapi, i Greci e i Romani non l’hanno assaggiato, e non sanno cosa si sono perso!
Ma comunque di tutto questo io ero all'oscuro quando con Giampiero Geusa, Massimiliano Tarantino e Antonio Ferro in tenuta da mare (eravamo tutti in slip, come i bambini del sud est asiatico e del medio oriente) andavamo a raccogliere le ficalindie.
Ci organizzavamo giornalmente per la raccolta che facevamo a più riprese perché i frutti (le ficalindie) hanno una maturazione che si dice “scalare” (significa che non maturano tutti in una volta ma prima alcuni e poi altri). Eravamo in slip io Giampiero Geusa di Nardò, Gianfranco Tarantino di Bari e mio cugino Antonio Ferro di Lequile e tutti avevamo estrema attenzione per le spine che potevano farci secchi nelle secche giornate d’estate, ecco perché andavamo la mattina presto quando c’era ancora il residuo della brina della notte che impregnava le spine e impediva che le stesse fossero disperse nell'aria per giungere sulle nostre nude carni di ragazzi adolescenti che avrebbero reagito con un dolore diffuso su tutto il corpo che forse avrebbe avuto pace grazie alle cure delle premurose mamme.
Tutti eravamo armati di una canna o un bastone alla cui estremità si metteva un barattolo di rame, andava bene quello dei pelati San Marzano, dentro il quale si introduceva il fico d'India, che, con un semplice movimento rotatorio, veniva distaccato dalla pala. Poi con la mano avvolta in una busta di plastica per difendersi dalle punture, si afferrava lo spinoso frutto e lo si riponeva delicatamente in un’altra busta di plastica che, una volta piena, andava messa sotto il getto dell’acqua della fontana per ammorbidire con l’acqua le spine e per disperderne la maggior parte attraverso il getto violento.
Anche quello rappresentava un gioco dilettevole che, non concesso mai dai genitori in altre occasioni, diveniva obbligatorio nel caso delle ficalindie. I nostri genitori erano abituati alla penuria d’acqua ne sapevano il valore e consideravano prezioso il liquido trasparente, per questo non gradivano che noi la sprecassimo, non gradivano che noi lo trattassimo come fosse illimitato.
E con la festa dell’acqua e della doccia conseguente finiva la fase che potevamo curare noi ragazzi. Fatto questo ognuno si prendeva la sua brava busta con dentro i fichi d’India lavati e si recava nella sua casa dove ad aspettare c’era la regina del focolare, la casalinga per eccellenza, la mia mamma!
Io non potevo proseguire poiché avrei dovuto usare il coltello, oggetto pericoloso che non era concesso né usare, né tanto meno detenere.
La mamma prendeva la busta e con un normale coltello da cucina mozzava il frutto sia nella parte superiore e sia in quella inferiore, subito dopo, in modo perpendicolare spaccava l’involucro del frutto tanto quanto è lo spessore della buccia, quindi divaricava la spaccatura ed ecco che il frutto mi veniva offerto in tutta la sua magnificenza ad essere mangiato. C’era la ficalindia “Gialla” che è quella che mi piace di più, oppure la "Rossa" o anche la "Bianca. Tutte buone!
Ancora oggi quando sento quel sapore dolce e i semi scivolosi che facilmente si lasciano inghiottire ricordo quei tempi meravigliosi e indimenticabili.

Antonio Bruno 

Sezione speciale per la riforma fondiaria di Puglia, Lucania e Molise - Carta del Comprensorio



sabato 22 giugno 2019

Gli insegnamenti del nonno, scelta sei semi per la semina di Fava (Vicia faba L., 1753)

La foto è di Sonia Rosa Natante




Sonia Rosa Natante ha scritto: Oggi mi sono commossa a ricordare mio nonno mentre puliva le fave secche, per conservare i semi, la sua domanda che allora mi suonò strana : "conservi i semi migliori per mangiarli o per seminarli?" ho risposto "per mangiarli", aveva sorriso dolcemente, "per seminarli, Sonia". Quanta saggezza in gesti quotidiani, e quanta bravura nel portare avanti la terra, le lacrime e poi subito dopo la sorpresa, 5 fave viola

Pan Danta Lian ha commentato: Bravissima, io per ogni pianta tengo conto di alcuni fattori, ad esempio alcune si selezionano quelle che portano prima i fiori e frutti, altre come per l'insalata, il contrario e via dicendo. Stiamo mettendo in mano un patrimonio umano alle grandi multinazionali, quando dovremmo essere noi a selezionare e diffondere le semenze, usando a volte anche in po' di cuore. Bellissimo post

Istituto di Biotecnologie del Cnr, coordinati da Claudio Cantini: Un fungo può contrastare il proliferare della Xylella

Claudio Cantini

Un fungo può contrastare il proliferare della Xylella, il batterio che stermina gli olivi. Lo rivelano i primi risultati di una serie di indagini scientifiche condotte dai ricercatori dell'istituto di Biotecnologie del Cnr, coordinati da Claudio Cantini, e resi noti stamani presso la sede della Coldiretti di Pisa durante la riunione della task force del progetto europeo 'Life-Resilience – Pratiche agricole sostenibili per prevenire la Xylella fastidiosa negli impianti intensivi olivicoli e mandorlicoli'.
Lo studio è stato condotto negli oliveti del Cnr presso l'azienda agricola sperimentale Santa Paolina a Follonica (Grosseto), in un oliveto privato con impianto intensivo a Marina di Grosseto e presso l'azienda agricola La Traversagna, a Vecchiano (Pisa).
"I dati preliminari - spiega Cantini - ottenuti attraverso i campionamenti hanno mostrato una forte variabilità nella presenza delle forme giovanili anche tra le piantagioni situate a poca distanza l'una dall'altra. Abbiamo testato alcuni prodotti ammessi in agricoltura biologica, quali il fungo Beauveria bassiana, il sapone potassico, lo zolfo e il piretro, per ridurre la popolazione di larve nell'oliveto di Follonica. Il prodotto a base di Beauveria bassiana è stato quello con efficacia maggiore, causando una diminuzione del 54% del numero di spumine totali trattate, dell'82% del numero delle larve totali contate e del 67% del numero medio di larve per spumina".
Secondo Cantini il fungo agisce "penetrando la cuticola degli insetti e sviluppando poi i componenti del corpo vegetativo all'interno del corpo dell'insetto, dove produce tossine". "Ha bisogno dell'umidità per germogliare - prosegue il ricercatore - quindi il microhabitat della schiuma prodotta dalle larve si è probabilmente dimostrato un buon substrato per la sua proliferazione".
"I nostri risultati - sottolinea Cantini - consentono di supporre che questo fungo potrebbe essere uno strumento utile per controllare la densità della popolazione di Philaenus spumarius, il principale vettore del batterio negli oliveti. Inoltre, i dati in nostro possesso sono una buona base per poter imbastire un esperimento su larga scala in campo per il prossimo anno". Secondo il presidente di Coldiretti Toscana e del Consorzio Oli Toscani Igp, Fabrizio Filippi, "sono dati incoraggianti ma è bene tenere i piedi per terra: crediamo che la strada da percorrere sia comunque quella della prevenzione, delle buone pratiche agronomiche e soprattutto del monitoraggio del materiale vivaistico importato sui nostri territori, che riteniamo fondamentale per limitare ulteriormente la diffusione di questa e di altre patologie".
Fonte: http://www.ansa.it/canale_terraegusto/notizie/mondo_agricolo/2019/06/19/xylella-fungo-contrasta-proliferazione-killer-degli-olivi_62feae18-ad44-46c3-ac23-222224f6635d.html?fbclid=IwAR00WR7OKzkjjxwLwyt4auBAk1-VLRFKUkU505YTZbvbdI8Fs9_TGeJ4u1c

Si può significativamente rallentare sino ad arrestare il batterio Xylella fastidiosa pauca ST53?


C’è una ricerca, condotta tra Napoli e Bari, e pubblicata su Scientific Reports, prestigiosa rivista online edita da Nature in cui si afferma:
“è possibile rallentare o fermare il batterio attraverso una appropriata strategia di gestione del vettore “.
E’ quanto viene affermato nello studio “A lattice model to manage the vector and the infection of the Xylella fastidiosa on olive trees”, a firma delle ricercatrici Annalisa Fierro (Consiglio Nazionale delle Ricerche -SPIN, Napoli), Antonella Liccardo (Università degli Studi di Napoli Federico II & Istituto Nazionale Fisica Nucleare (INFN) – Sezione di Napoli) e del professore Francesco Porcelli (DiSSPA – Università degli Studi di Bari Aldo Moro).
“Lo studio propone un modello per descrivere l’invasione degli uliveti da parte del batterio Xylella Fastidiosa, con l’obiettivo di identificare una strategia integrata di gestione dell’epidemia, finalizzata ad arrestare l’infezione. Nodo cruciale di tale strategia è la gestione del vettore durante tutto il suo ciclo di vita: dagli stadi giovanili, fino all’adulto. In questo lavoro – scrivono i ricercatori – costruiamo un modello per simulare l’interazione tra batteri, vettori ed alberi e analizziamo l’effetto di diverse azioni di controllo degli adulti sulla diffusione della epidemia. Al fine di quantificare la probabilità che una pianta venga infettata da Xylella fastidiosa, consideriamo quattro fattori cruciali: l’infettività del batterio, l’efficienza della trasmissione da parte del vettore, il numero di vettori e il tempo trascorso dal vettore sulla pianta ‘ospite’. Nel nostro modello l’uliveto è raffigurato da un semplice reticolo quadrato con alberi di ulivo e vegetazione erbacea distribuiti sui siti del reticolo in modo da imitare la tipica struttura di un uliveto con diversi possibili valori del sesto d’impianto; i vettori adulti sono rappresentati da particelle che si muovono sul reticolo secondo regole dettate dall’interazione tra il ciclo di vita del vettore e quello della vegetazione. Su questo modello di base, si legge nel lavoro, creiamo una strategia di gestione integrata degli infestanti basata su una accurata definizione di modi, tempi e entità delle azioni di controllo disponibili. In particolare la tempistica e la sequenza degli interventi risulta cruciale. Così facendo gli autori dimostrano che è possibile invertire l’inarrestabile invasione da parte della Xylella fastidiosa pauca ST53, mediante una strategia razionale di controllo del vettore e della trasmissione’.
“Lo studio lascia pensare – afferma il professore Francesco Porcelli – che si possa significativamente rallentare sino ad arrestare il batterio, prevenendo l’infezione di ulteriori olivi e lo scempio del nostro territorio. La corretta temporizzazione e la massima efficacia degli interventi chimici, cioè il loro minimo uso, si dimostrano chiavi capaci di aprire la porta ad un futuro dell’agricoltura sostenibile e meno incerto”.
Tutto lo studio è scaricabile qui: 
https://www.nature.com/articles/s41598-019-44997-4.pdf?fbclid=IwAR2ow4M0Cfj_hP_JLrTPsl-aT9r0WIVw1xR63jlbVVDCp7PYU20jzaVVW6c

Puglia, ecco il moscerino «Suzuki» che attacca la frutta: a rischio ciliegie , fragole e uva



Puglia, ecco il moscerino «Suzuki» che attacca la frutta: a rischio ciliegie , fragole e uva
Coldiretti: arrivati solo recentemente in Italia, forse con merci dall’Estremo Oriente. Il moscerino causa danni gravi e irreversibili su diverse specie produttrici di frutta con buccia sottile
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22 Giugno 2019


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Puglia, ecco il moscerino «Suzuki» che attacca la frutta: a rischio ciliegie , fragole e uva

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Dalla xylella, ai pappagalli verdi ora i moscerini. L'agricoltura pugliese è alle prese con una emergenza continua, ecco l'ultima in ordine di tempo. Con il caldo improvviso si sta verificando una vera invasione di sciami di moscerini della frutta che si stanno moltiplicando, mentre in campagna si contano i danni sui frutti.

E' l'allarme lanciato da Coldiretti Puglia, per l'invasione dei moscerini della frutta (Drosophila suzukii Matsumura), arrivati solo recentemente in Italia, probabilmente portati con le merci provenienti dall’Estremo Oriente. "Hanno colpito le ciliegie in maturazione e si stanno vedendo oggi gli effetti sui frutti raccolti.  L'invasione di virus e insetti alieni impone una strategia complessiva della Regione Puglia contro le numerose e incontenibili malattie delle piante che arrivano in Puglia attraverso le frontiere colabrodo dell’UE che, sia improntata su una tempestiva quanto efficace azione di prevenzione e contenimento, per non mettere a repentaglio il patrimonio arboreo e produttivo pugliese, già messo seriamente a dura prova", denuncia il presidente di Coldiretti Puglia, Savino Muraglia.

Il moscerino causa danni gravi e irreversibili su diverse specie produttrici di frutta con buccia sottile come ciliegie, fragole e l'uva nei vigneti, rileva Coldiretti Puglia, si sta diffondendo indisturbato in assenza di efficaci antagonisti naturali ed è già stato individuato in 12 regioni italiane e in 13 Paesi europei.

“In provincia di Bari, BAT, Lecce, Taranto e Brindisi, secondo le rilevazioni degli ultimi mesi di BugMap, è stata segnalata la presenza della cimice asiatica - aggiunge il presidente Muraglia - particolarmente pericolosa per l’agricoltura perché prolifica con il deposito delle uova almeno due volte all`anno con 300-400 esemplari alla volta che con le punture rovinano i frutti rendendoli inutilizzabili, col rischio di compromettere seriamente parte del raccolto. La Puglia non può permettersi l’invasione di altri virus alieni, dopo la ‘tristeza’ degli agrumi, il punteruolo rosso, fino ad arrivare alla Xylella fastidiosa".

L’arrivo di fitopatologie, parassiti e virus provenienti da altri continenti è favorito dall’intensificarsi degli scambi commerciali, attraverso i quali arrivano in Puglia, dove trovano un habitat favorevole a causa dei cambiamenti climatici, aggiunge Coldiretti Puglia.

“Se la Xylella fastidiosa, che sta facendo strage di ulivi nel Salento proviene dal Costa Rica, il punteruolo rosso che ha letteralmente falcidiato le palme secolari pugliesi è originario dell’Asia sudorientale e della Melanesia. Inoltre, la Puglia convive da anni con una virosi, l’alter ego della Xylella fastidiosa con le dovute differenze – di cui si parla poco, nonostante sia altrettanto virulenta. La ‘Tristeza’ degli agrumi, causata dal Citrus Tristeza Virus (CTV)proveniente dall’Asia Minore, appartenente al gruppo dei Closterovirusche, per cui nostri agricoltori sono costretti ad esportare agrumi con foglia sui mercati comunitari solo se accompagnati da passaporto delle piante, poiché il virus si trasmette attraverso la parte vegetale e non attraverso i frutti. I controlli in uscita sui prodotti agricoli pugliesi non sono altrettanto pressanti e stringenti su piante e prodotti esteri con un danno incalcolabile per l’agricoltura pugliese", conclude il presidente Muraglia


IL MOSCERINO DEI PICCOLI FRUTTI: LA DROSOPHILA SUZUKII
Origini e diffusione
Il moscerino dei piccoli frutti Drosophila suzukii (Diptera: Drosophilidae), originaria del sud-est asiatico,
è comparso in Europa nel 2008 in Spagna e in Italia (Toscana), diffondendosi successivamente in tutto il
continente. In Italia, D. suzukii si è diffusa in pochi anni dal Nord al Sud e nelle Isole, con la prima
segnalazione in Campania nel 2012.
Diffusione mondiale del fitofago Drosophila suzukii (Matsumura) .                       Fonte: EPPO
Uno degli aspetti più preoccupanti di questo insetto è la sua elevata polifagia. In Italia i maggiori danni economici sono stati osservati su ciliegio, mirtillo, fragola e altri piccoli frutti (mora, lampone, fragolina). Su vite i danni diretti sono limitati ad alcune cultivar con buccia sottile, tuttavia D. suzukii può contribuire alla maggiore diffusione del marciume acido. Inoltre, può ovideporre in frutti non graditi ma danneggiati od in fase avanzata di maturazione di varie specie, come pesco, albicocco, melo, fico e kaki, trovando in questi frutti un ottimo substrato per lo sviluppo larvale. Inoltre, D. suzukii si può sviluppare nei frutti di numerose specie selvatiche (rovo, sambuco, gelso, caprifoglio, viburno, etc.) che in funzione dell’epoca di maturazione dei frutti offrono all’insetto una costante fonte alimentare nel corso della stagione.
Morfologia, ciclo biologico e danni.
Gli adulti di D. suzukii misurano 2-3 mm di lunghezza e sono caratterizzati da occhi rossi, torace di colore marrone-giallastro e strisce nere sull’addome. Il dimorfismo sessuale nell’adulto è molto evidente. Il maschio si distingue per una macchia scura in prossimità dell’apice distale delle ali e per due pettini di setole scure sui primi due tarsomeri delle zampe anteriori. La femmina, a differenza di altri drosofilidi, presenta un robusto ovipositore seghettato con cui può facilmente incidere la buccia dei frutti sani e deporre nel loro interno le uova.
Adulti di Drosophila suzukii (Matsumura). A sinistra esemplare di femmina. A destra maschio con le tipiche macchie sulle ali.

Gli adulti si nutrono delle sostanze zuccherine di frutti sovramaturi o marci caduti a terra, o prodotte da nettari. Le uova, difficilmente visibili ad occhio nudo, sono munite di due processi respiratori che sporgono dal frutto. Le larve sono apode, bianche, a maturità raggiungono 3-4 mm di lunghezza; esse si nutrono della polpa del frutto e si impupano sia all’interno che all’esterno dei frutti attaccati. Le pupe di circa 3 mm hanno la caratteristica di avere ad un apice due peduncoli stellati.
La durata del ciclo vitale varia da poche settimane a più di un mese, in base alle condizioni climatiche, risultando più breve a temperature elevate. Una femmina di D. suzukii può deporre fino a 300-400 uova durante la sua vita, con una media di 7-15 uova/giorno ed 1-3 uova/frutto. Lo svernamento è assicurato dagli adulti in ripari vari (vegetazione, lettiera di foglie, corteccia, ambienti antropici, etc.), riuscendo a sopravvivere a temperature molto basse, anche prossime a 0°C. La maggiore attività degli adulti si manifesta a intorno ai 20°C ed in condizioni di elevata umidità. A temperature superiori ai 30°C si osserva una riduzione della longevità ed un aumento della sterilità nei maschi. A temperature ottimali (20-25°C) la D. suzukii può compiere fino a 13 generazioni/anno. Le condizioni di climatiche di scarsa piovosità e bassa umidità ostacolano la sopravvivenza e l’attività di D. suzukii.
La femmina ovidepone preferibilmente nei frutti maturi od anche in fase di invaiatura; più femmine possono ovideporre nello stesso frutto. Le larve si nutrono a spese dell’endocarpo dei frutti, causandone un rapido disfacimento. I frutti attaccati si riconoscono generalmente per la presenza di una depressione molle al tatto. L’ovideposizione favorisce, inoltre, la penetrazione nel frutto di patogeni secondari come funghi e batteri agenti di marciumi.

Danni su drupe di ciliegio. 
Sono visibili fenomeni di disfacimento della polpa,
fori larvali e processi di marcescenza.


Controllo delle infestazioni ed attività di monitoraggio in regione Campania
La lotta a questo dittero deve tendere necessariamente alla riduzione delle popolazioni di adulti prima che possano ovideporre. Il comportamento di questo carpofago rende la difesa con la lotta chimica alquanto complessa poiché si presenta la necessità di intervenire in prossimità e durante la raccolta; è preferibile dunque prediligere sostanze attive con tempi di carenza brevi. Le sostanze attive autorizzate contro il fitofago sono: Acetamiprid su ciliegio, Spinosad su vite, e in autorizzazione provvisoria per 120 gg dal 1/6/2016 al 28/9/2016 Spinetoram (pesco e lampone in serra) e Cyantaniliprole (ciliegio) dal 4/5/2016 al 12/8/2016. I trattamenti insetticidi previsti per la difesa da altre avversità possono essere efficaci anche contro D. suzukii.
Per ottimizzare i risultati della lotta chimica è consigliabile adottare delle buone pratiche agronomiche come la raccolta e l’eliminazione dei frutti non commercializzabili e l’uso di reti anti insetto. Metodi di lotta alternativi alla lotta chimica come la cattura massale con trappole innescate con aceto di mele o altri attrattivi liquidi e l’uso di antagonisti naturali non danno ancora risultati soddisfacenti generalizzabili per il contenimento del dittero e necessitano di essere valutati nelle diverse realtà agricole.

Trappola innescata con aceto e attrattivo per il monitoraggio di adulti di
Drosophila suzukii (Matsumura).


D. suzukii è stabilmente insediata in tutto il territorio della regione Campania. Nell’ultimo triennio i danni più rilevanti sono stati osservati su ciliegio (20-25% di frutti infestati), sebbene variabili con l’annata. Ad esempio, in alcuni comprensori, si è passati da un 20% di frutti infestati nel 2014 ad assenza di danni nel 2015, caratterizzato da inverno e primavera poco piovosi rispetto a quanto avvenuto l’anno precedente.
Danni economici sono stati osservati su colture fuori suolo di fragola a raccolta estivo-autunnale, fragolina e mora. Non sono stati osservati danni su pesco e albicocco. Per quest’ultima specie in un solo frutteto è stata osservata un infestazione attiva di D. suzukii su frutti molto maturi, oltre la maturazione commerciale, non raccolti.
I numerosi campioni di uva, provenienti da zone dove la presenza del carpofago è stata accertata con trappole su varietà diverse, solo raramente e in misura non superiore al 2% hanno evidenziato acini infestati, anche in presenza di marciume acido. Nel 2016 sono stati eseguiti campionamenti nelle diverse provincie della Campania: Caserta (Caserta, Pastorano, Falciano del Massico, Mondragone, Sessa Trappola innescata con aceto e attrattivo per il monitoraggio di adulti di Drosophila suzukii (Matsumura). Aurunca, Maiorisi di Teano, Vitulazio), Salerno (Battipaglia, Montecorvino Rovella, Castel San Giorgio) e Benevento (Airola). Il monitoraggio eseguito con bottiglie trappole ha evidenziato la presenza di D. suzukii nella quasi totalità delle località campionate, confermando quanto rilevato dal 2012 al 2015, cioè che la specie si è stabilmente infeudata in tutto il territorio della Campania.
Ogni campionamento è consistito nella raccolta di frutti maturi suscettibili all’attacco. Le colture più attaccate nel 2016 sono state il ciliegio, con danni fino al 28% a (Falciano del Massico), mostrando rispetto al 2015 un incremento della forbice percentuale di frutti danneggiati (0-4% nel 2015). Su fragolina si è registrato il 76% di frutti danneggiati a metà maggio; attacco che si è ridotto al 8% alla fine del mese di giugno. Nel mese di giugno 2016 sono state monitorate coltivazioni di more e lamponi dove si è registrato un danno del 22% e del 50%, rispettivamente. Non è stata rilevata attività trofica di D. suzukii, su pesco e albicocco sui frutti raccolti. Nelle stesse zone (Falciano e Sessa Aurunca) i frutti asintomatici o con presenza di aree marcescenti sono stati raccolti tra giugno ed agosto ma non hanno evidenziato sviluppo o danno riconducibile ad attacco di D. suzukii.
Siti monitorati nel 2016


venerdì 21 giugno 2019

1905 introduzione della sulla (Hedysarum coronarium L.) nel Salento


La sulla (Hedysarum coronarium L.) è una pianta foraggera appartenente alla famiglia delle Fabaceae, che cresce spontanea in quasi tutti i Paesi del bacino del Mediterraneo.
Il termine Hedysarum è composto dai termini greci hedys (=dolce) e saron (=scopa) con cui Teofrasto designava una leguminosa sconosciuta che probabilmente era idonea a essere usata come scopo e probabilmente aveva o un odore o sapore dolce, mentre "coronarius" rimanda invece all'idea di una corona, ed è riferito al fiore (coronato, fiori a corona). Sulla fa invece riferimento al termine castigliano zulla usato per indicare la pianta in Spagna, nome che si è poi diffuso anche in Italia.
Nel 1905 il collega G. D’Ambrosio responsabile della Cattedra Ambulante di Brindisi illustra le caratteristiche e la tecnica colturale di questa pianta.
Ho lasciato anche una prova sperimentale in cui si confronta la concimazione organica (Letame) del frumento con quella chimica effettuata sempre dal collega G. D'Ambrosio ad Ostuni (Brindisi) nell'azienda agricola di proprietà del Sig. Francesco Melpignano
Buona lettura!







Il nespolo comune (Mespilus germanica L.)



I Greci antichi lo chiamavano méspilon e nespolo deriva dal latino Mespilium tradotto dal greco mespilon che si riferisce a biancospini orientali simili a questa pianta da frutto.
Le meddhre (Mespilus germanica) erano frutti consacrati al dio greco Crono e al Dio latino Saturno perché era considerato utile arma di difesa contro le energie negative degli stregoni.
Pare che il primo maggio, secondo la credenza, gli stregoni potessero privare la pianta del fogliame rendendola sterile per non riprodurre i suoi frutti, ma solo se la pianta non era stata benedetta.
Anticamente i medici credevano che avesse il potere di regolare i flussi intestinali. Questa utilizzazione riprese all’inizio del secolo con una sperimentazione a livello ospedaliero da parte di un medico francese, il Dott. Mercier, che ottenne buoni risultati sulla regolazione delle diarree.
Nel Bollettino della Società dei naturalisti in Napoli è riportato uno scritto del Della Porta sulle varietà di nespolo (Mespibis germanica L.) che si coltivavano ai suoi tempi:
“I nostri nespoli sono di due specie, uno a frutto grande quasi quanto una mela, coi rami privi di spine, ed è coltivato e perciò ha perduto l'abito selvatico; l'altro, irto di spine, che nasce nelle selve e nei luoghi incolti , a frutto piccolo e più acerbo e che appena si può mangiare dopo che si è maturato lungo tutto l'inverno, e a Napoli lo chiamano niespolo canino. Ve n'è poi una terza specie, a frutto più stretto ed allungato, senza noccioli, che credo piuttosto un prodotto della coltura e della bontà del terreno, piuttosto che un genere diverso, perché dallo stesso albero si hanno frutti rotondi con nòccioli e frutti oblunghi e senza noccioli”
Quindi ci sono tre varietà di nespolo cioè il Mespilus germanica L., che corrisponde al nespolo canino; il M. g. apyrena, che è Vinternis ossihìis carens di Della Porta; e il M. g. fructìt maximo, che è quello descritto.
Il nespolo è un albero che ha avuto origine nella penisola balcanica sud orientale, nel Caucaso, in Crimea, nel Nord dell'Iran ed in Turkmenistan. Il nome germanica che fu adottato da Linneo perché riteneva che la presenza molto forte dell’albero in Germania era indicativa del fatto che quella terra fosse l'area d'origine.
Era noto insieme al cotogno come frutto astringente infatti Nicolas Alexander, benedettino, nel 1751 scriveva: “lo si impiega all’interno ancor verde, nei flussi di ventre, la dissenteria, i vomiti, la nausea e in tutti i casi in cui le fibre rilasciate hanno bisogno di essere ristrette”.
Henry Leclerc medico francese 1870-1955 scrittore del libro “Lineamenti di Fitoterapia” fece uno sciroppo di nespolo che risultò efficace nelle diarree infantili.
L'albero può raggiungere l'altezza di 6 metri ed è caratterizzato quasi sempre da un tronco storto. Le foglie sono grandi e caratterizzate da una leggera peluria nella pagina inferiore e una seghettatura vicino alla punta, i fiori sono bianchi.
Interessante la maturazione dei frutti: ricordate il vecchio adagio “col tempo e con la paglia maturano le nespole”? Bene, le nespole o meddrhe vengono raccolte in autunno e lasciate ammorbidire in un cesto mettendogli accanto un paio di mele per un paio di mesi. In questo modo diventano dolci, altrimenti sono molto astringenti.
La decozione delle foglie e dei frutti è utile come gargarismo nei mal di gola.
La tradizione popolare conosceva l’impiego antidolorifico, in caso di mal di stomaco, dei frutti secchi polverizzati.
Il decotto dei frutti freschi, non ancora maturi, era somministrato nelle affezioni epatiche.
Forse ho scritto delle nespole, perché il tempo è galantuomo, lo riscontro in ogni circostanza perchè con il tempo “i muri si abbassano” .
Bibliografia

Giancarlo Bounous, Elvio Bellini, Gabriele Beccaro, Laura Natarelli: Piccoli Frutti e Fruttiferi minori in montagna tra innovazione e tradizione
Markus Kobold:Liquori d'erbe e grappe medicinali
I Nostri frutti nelle TRADIZIONI POPOLARI e nella fitoterapiaCategoria Etnobotanica, Frutti, Tradizioni Popolari Contributo al Convegno sui Frutti Dimenticati di Casola Valsenio http://www.etnobotanica.org/category/tradizioni-popolari/
Bollettino della Società dei naturalisti in Napoli 1914 http://www.archive.org/stream/bollettinodellas26soci/bollettinodellas26soci_djvu.txt
Henry Leclerc : Lineamenti di Fitoterapia
Elvio Bellini – Edgardo Giordani: Riscopriamo i fruttiferi minori

Nespolo comune - Mespilus germanica L.
Generalità
Il Nespolo (Mespilus germanica L.) secondo recenti studi è originario dell'areale caucasico, ma anche con primi nuclei di diffusione in Iran, in Turchia fino alla Grecia. Oggi è diffuso in tutta Europa come pianta spontanea nei boschi di latifoglie o come rinselvatichita negli incolti.
Appartiene alla Famiglia delle Rosaceae. Molto resistente al freddo invernale, si spinge fino ai mille metri di quota. La sua diffusione fu favorita moltissimo dai romani e prese piede a tal punto che in Germania al momento di classificarla, Linneo sospettandone l’origine in quest'area, la chiamò Mespilus germanica. Albero di modeste dimensioni, può raggiungere al massimo i cinque metri d'altezza, ma solitamente ha uno sviluppo ben pia' modesto. La corteccia dei rami da marrone scuro diventa chiara e poi, come sul tronco, grigia. Le foglie, grandi, hanno margine intero e sono dentellate solo all'apice. Hanno forma ovale, picciolo molto corto, e sono piu' frequenti nella parte distale dei rami. Inizialmente opache per la presenza di una leggera peluria che resta solo sulla pagina inferiore, divengono in autunno di uno splendido colore ramato. I fiori che a maggio si aprono al vertice dei rametti fruttiferi, sono grandi e isolati, di colore bianco con cinque petali e portano entrambi i sessi. Pianta autofertile, il Nespolo ha un'elevata percentuale di allegagione. Il frutto, la nespola, è un falso frutto dato dall'ingrossamento del ricettacolo attorno ai frutti veri e propri. Di forma riconoscibilissima, tondeggiante, con un'ampia depressione apicale, coronata dai residui del calice, ha un corto peduncolo e una resistente buccia che per grana, colore e consistenza ricorda il cuoio. I semi sono in numero di cinque, duri e legnosi.
Per l'alto contenuto in tannini i frutti non possono essere consumati alla raccolta. Necessitano di ammezzimento, una fermentazione di maturazione ottenuta deponendo i frutti all'interno di cassette di legno ricoperte di paglia e poste in un locale fresco. I frutti devono essere consumati a mano a mano che giungono a maturazione perché il processo di fermentazione non si arresta e i frutti possono rapidamente degradarsi. In seguito all'ammezzimento la polpa diventa bruna, molle, zuccherina, di consistenza pastosa, leggermente acidula e gradevole. In questo caso è consigliato il consumo come dessert. Con la trasformazione si ottengono: marmellate, gelatine, salse e varie preparazioni culinarie.
I nespoli vengono usati inoltre per la produzione di bevande alcoliche, quali brandy, liquori, schnaps. I frutti immaturi sono stati anche utilizzati per chiarificare vino e sidro. Rustica, resistente e molto bella, è apprezzata come pianta ornamentale. Con il tannino della corteccia, delle foglie e dei frutti immaturi si effettua la concia delle pelli. Il legno, di color bruno-giallognolo, è molto duro e viene utilizzato per lavori al tornio; fornisce inoltre un ottimo carbone.
Cenni Storici
Le prime coltivazioni di nespolo risalgono al I millennio a.C. lungo le rive del Mar Caspio, diffondendosi successivamente in Asia Minore per raggiunge poi la Grecia e l'Italia. La nespola, già conosciuta in epoca romana, ebbe la massima diffusione nel Medio Evo, quando entrò a far parte della farmacopea domestica, come febbrifugo, astringente, regolatrice delle funzioni intestinali oltre che diuretico e attivo sull'apparato epato-biliare. Ciò grazie ai suoi componenti: tannino, sostanze peptiche, vari acidi organici (malico, acetico, citrico, formico e tartarico), zuccheri e vitamina C.
Con l'avvento delle attività agricole maggiormente redditizie, si iniziarono a trascurare le essenze che non fornivano un elevato interesse economico, così, nei frutteti le piante di nespolo andarono via via scomparendo; continuò invece ad avere il suo posto nell'hortus conclusus dei conventi, dove ancora oggi vengono coltivate le piante medicinali e le essenze aromatiche indispensabili per fabbricare gli elisir e i tonificanti che caratterizzano la produzione delle erboristerie dei monasteri e delle abbazie. Normalmente quella che compare sulle nostre tavole è la nespola comune, molto saporita e dolce, dalla duplice azione: consumata da acerba è astringente e anti-diarroica, viceversa quando viene assunta quando è matura, regola in maniera completa le funzioni intestinali. La polpa bianco-rosata, compatta al momento della raccolta, dopo varie settimane di maturazione, diventa morbida e di colore giallo-arancio intenso. Tanto più il frutto è acerbo tanto maggiore è la quantità di tannini, molecole ad azione antiossidante, che danno la sensazione di asciutto in bocca e provocano un effetto astringente sull'intestino. Al contrario, nel frutto maturo i tannini si trasformano in zuccheri e il frutto diventa un blando lassativo. La nespola contiene anche una giusta quantità di acido formico, acetico, che determinano il gusto acidulo, oltre che fibre alimentari solubili che distendono le pareti dello stomaco riempiendolo d'acqua dando un maggior senso di sazietà. La nespola ricca di potassio, magnesio e caroteni è consigliata a chi svolge attività fisica prolungata (camminate, ciclismo...) perché permette al fisico di recuperare rapidamente acqua, sali minerali e antiossidanti. Per le sue proprietà, la nespola, non andrebbe dimenticata, anzi bisognerebbe tributarle maggiore rispetto e, visto che si tratta di un frutto che deve essere raccolto ancora acerbo anche... pazienza per farlo maturare. Nel frenetico mondo contemporaneo andrebbero riscoperte le nespole della saggezza, legate a un adagio popolare il tempo e con la paglia maturano le nespole" che, nella filosofica virtù della pazienza, ci suggerisce di saper attendere per ogni cosa il momento opportuno.
Tecnica colturale del Nespolo
MATERIALE DI PROPAGAZIONE E PORTINNESTO
Il materiale utilizzato per la propagazione del nespolo dovrà provenire dalle piante madri selezionate per le buone caratteristiche agronomiche delle piante e per quelle qualitative dei frutti. Il portainnesto da utilizzare per gli impianti dovrà essere il cotogno "autoctono" perché di tipo vigoroso e resistente al calcare.
Per quanto riguarda le tecniche d'innesto è possibile scegliere tra quello a gemma dormiente da eseguirsi verso la fine agosto, oppure a triangolo da effettuarsi a fine inverno.

IMPIANTO E CONDUZIONE DEL NESPOLO
Il Nespolo ha una fioritura molto tardiva (maggio), per cui non teme le gelate tardive.
Terreno
E' una pianta molto rustica, per cui si adatta perfettamente ai terreni fertili dove non necessita di concimazioni, né di irrigazioni, se non nel caso di annate particolarmente siccitose (irrigazione di soccorso) e nell'anno di impianto.
Sistema d'impianto e forma di allevamento
Le forme di allevamento più consigliate sono il vaso, per le piante isolate, e il fusetto, per le piante in filare. In ogni caso la pianta ha bisogno di sostegno per evitare lo sradicamento in caso di temporali di forte intensità o di forte produzione. Il sesto d'impianto consigliato è di mt 4,00-4,20 tra le fila e mt 1,30 -1,60 sulla fila.
Concimazione
La pianta non necessita di alcuna concimazione in quanto la fertilità, la composizione chimica e biologica, nonché la struttura dei terreni tendenzialmente di medio impasto, fanno sì che si creino quelle caratteristiche e peculiarità, tali da permettere all'essenza di soddisfare le esigenze nutritive e renderne un suo sviluppo completo.
Potature e diradamento
La potatura di produzione va eseguita annualmente, asportando la totalità dei rami di un anno, troppo vigorosi, e il 50% dei rami che hanno prodotto, per stimolare la pianta ad emettere nuova vegetazione in quanto produce sul legno dell'anno. Il diradamento è quasi sempre necessario e va fatto il più presto possibile per liberare la pianta dalla produzione eccessiva e quindi ottenere frutti di grossa pezzatura.
CONTROLLO DELLE MALATTIE ED INSETTI
Il Nespolo non risulta esser stato attaccato da parassiti, e quindi non necessita di alcun intervento antiparassitario.

GESTIONE DEL TERRENO
Il terreno va lasciato inerbire e periodicamente sfalciato.
RACCOLTA DEI FRUTTI
Va eseguita nella seconda decade di novembre con i frutti perfettamente asciutti per evitare lo sviluppo di muffe nel punto di distacco del picciolo durante la conservazione. Dopo la raccolta i frutti vanno immagazzinati in luogo fresco ed arieggiato dentro casse, sotto uno strato di paglia di 10-12 cm, in attesa della maturazione (ammezzimento) che inizia dopo tre-quattro settimane. Inoltre il clima umido e nebbioso migliora il processo di maturazione, conferendo al frutto particolari caratteristiche organolettiche.
CARATTERISTICHE PER IL CONSUMO
Al momento del consumo il frutto deve essere completamente ammezzito con buccia di colore ruggine intenso e polpa di colore ruggine chiaro. Il frutto intero sano, privo di marciumi, parassiti, ammaccature e umidità non deve presentare sapori e odori estranei. Le dimensioni minime per il prodotto di PRIMA QUALITA' devono essere le seguenti: - diametro trasversale mm 35; lunghezza frutto mm 35; peso gr 24. Le dimensioni minime per il prodotto EXTRA devono essere le seguenti: - diametro trasversale mm 42; lunghezza frutto mm 42; peso gr 34. Esistono frutti che possono arrivare e superare i 46 mm di diametro trasversale e i 50 gr di peso.
PRESENTAZIONE DEL PRODOTTO E CONFEZIONAMENTO
Dovrà avvenire in imballaggi tali da garantire una gradevole immagine, conferire un'adeguata attrattiva nei confronti del consumatore e garantire una protezione adeguata al prodotto. In ogni confezione i frutti dovranno essere di peso e dimensione uniformi e sì consiglia l'utilizzo di cestini da 500 gr o massimo 1 Kg.