Le foto sono di Francesco Drago
Il ciclo vitale di questo lepidottero e’ incentrato
sull’opunzia: le femmine sessualmente mature
rilasciano all’alba feromoni sulle piante di opunzia e attirano i
maschi. Dopo l’accoppiamento e un periodo di incubazione interna, la femmina
depone una novantina di uova incollandole tra loro in modo da formare una
struttura che sembra una spina del fico d’india. Dopo 23-28 giorni di
incubazione (dipende dalla temperatura esterna) emergono le larve che subito
scavano nei cladodi (le pale appiattite, che sono fusti modificati) della
pianta e vi rimangono consumandola dall’interno, protette dalle spine del loro
ospite. Le larve sono gregarie e conducono un’esistenza comunitaria all’interno
delle pale del fico d’India. Dopo alcune mute raggiungono dimensioni di circa
due, tre centimetri, dopo di che emergono all’esterno della pianta dallo stesso
buco da cui tutte insieme, in fila indiana, erano entrate e si lasciano cadere
per terra, dove impupano alla base della pianta ospite. L’insetto alato che ne
emerge infine si disperde e le sue larve infesteranno, uccidendole o
danneggiandole seriamente, altre piante. È efficientissima anche contro Opuntia
stricta, l’infestante peggiore, che aveva resistito sino ad allora a tutti gli
altri sistemi di lotta all’invasore.
La farfallina è efficientissima nel distruggere le opunzie e
solo le opunzie: prima di rilasciarla (ben 2 milioni di uova!) furono condotti
diversi test per vedere se avrebbe potuto avere effetti negativi sul resto
dell’ecosistema, ma si è comportata benissimo: dove scompare l’opunzia scompare
anche la farfallina. Test recenti hanno portato a concludere che l’insetto
femmina è attirato dal metabolismo CAM delle opunzie (ma non da quello di altre
specie di cactus), e per la precisione si basa sulla quantità di CO2
accumulata, un sistema di individuazione dell’ospite sicuramente insolito e
molto sofisticato. La farfallina in Australia svolse così bene il suo compito
nel lontano 1925 che fu ben presto introdotta anche in altri paesi dove c’era
un problema analogo: Africa (Mauritius, Sant’Elena, Sud Africa, Tanzania),
India e Pakistan, e i Caraibi. Giusto per mostrare un po’ l’altra faccia della
medaglia, sfortunatamente dai Caraibi la Cactoblastis cactorum è arrivata sul
continente Nord americano, dove sta pesantemente danneggiando delle specie
autoctone di Opuntia. Non si può fare una frittata senza rompere le uova, ahimè,
e ciò che va bene per la lontana Australia non va bene per delle isole così
vicine al paese di origine.
E l’Italia?
In Italia abbiamo importato cinque specie di fico d’India,
ma la piu’ comune e diffusa è l’Opuntia ficus-indica, e nelle regioni
meridionali e nelle isole è facile vedere dei bei boschetti di questa specie
alloctona. La pianta però, per motivi che mi sono misteriosi (ma che suppongo
abbiano a che fare con l’inverno relativamente freddo che mal si adatta col
metabolismo CAM), rimane confinata a piccole macchie spontanee che in genere
vengono sfruttate commercialmente per la produzione dei frutti. Nessun bisogno
quindi di introdurre la farfallina, anzi, sarebbe economicamente svantaggioso e
mi priverebbe di uno dei miei frutti preferiti.
Referenze:
Osmond, B., Neales, T., Stange, G. (2008) Curiosity and
context revisited : crassulacean acid metabolism in the Anthropocene. Journal
of experimental botany. 59, 7 pp.
1489-1502
http://www.northwestweeds.nsw.gov.au/prickly_pear_history.htm
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