sabato 15 giugno 2019

Cactoblastis cactorum ovvero la peste dei fichi d’India



Le foto sono di Francesco Drago


 
Cactoblastis cactorum. In alto la femmina, in basso il maschio. Foto: aphis.usda.gov

Il ciclo vitale di questo lepidottero e’ incentrato sull’opunzia: le femmine sessualmente mature  rilasciano all’alba feromoni sulle piante di opunzia e attirano i maschi. Dopo l’accoppiamento e un periodo di incubazione interna, la femmina depone una novantina di uova incollandole tra loro in modo da formare una struttura che sembra una spina del fico d’india. Dopo 23-28 giorni di incubazione (dipende dalla temperatura esterna) emergono le larve che subito scavano nei cladodi (le pale appiattite, che sono fusti modificati) della pianta e vi rimangono consumandola dall’interno, protette dalle spine del loro ospite. Le larve sono gregarie e conducono un’esistenza comunitaria all’interno delle pale del fico d’India. Dopo alcune mute raggiungono dimensioni di circa due, tre centimetri, dopo di che emergono all’esterno della pianta dallo stesso buco da cui tutte insieme, in fila indiana, erano entrate e si lasciano cadere per terra, dove impupano alla base della pianta ospite. L’insetto alato che ne emerge infine si disperde e le sue larve infesteranno, uccidendole o danneggiandole seriamente, altre piante. È efficientissima anche contro Opuntia stricta, l’infestante peggiore, che aveva resistito sino ad allora a tutti gli altri sistemi di lotta all’invasore.

La farfallina è efficientissima nel distruggere le opunzie e solo le opunzie: prima di rilasciarla (ben 2 milioni di uova!) furono condotti diversi test per vedere se avrebbe potuto avere effetti negativi sul resto dell’ecosistema, ma si è comportata benissimo: dove scompare l’opunzia scompare anche la farfallina. Test recenti hanno portato a concludere che l’insetto femmina è attirato dal metabolismo CAM delle opunzie (ma non da quello di altre specie di cactus), e per la precisione si basa sulla quantità di CO2 accumulata, un sistema di individuazione dell’ospite sicuramente insolito e molto sofisticato. La farfallina in Australia svolse così bene il suo compito nel lontano 1925 che fu ben presto introdotta anche in altri paesi dove c’era un problema analogo: Africa (Mauritius, Sant’Elena, Sud Africa, Tanzania), India e Pakistan, e i Caraibi. Giusto per mostrare un po’ l’altra faccia della medaglia, sfortunatamente dai Caraibi la Cactoblastis cactorum è arrivata sul continente Nord americano, dove sta pesantemente danneggiando delle specie autoctone di Opuntia. Non si può fare una frittata senza rompere le uova, ahimè, e ciò che va bene per la lontana Australia non va bene per delle isole così vicine al paese di origine.
E l’Italia?

In Italia abbiamo importato cinque specie di fico d’India, ma la piu’ comune e diffusa è l’Opuntia ficus-indica, e nelle regioni meridionali e nelle isole è facile vedere dei bei boschetti di questa specie alloctona. La pianta però, per motivi che mi sono misteriosi (ma che suppongo abbiano a che fare con l’inverno relativamente freddo che mal si adatta col metabolismo CAM), rimane confinata a piccole macchie spontanee che in genere vengono sfruttate commercialmente per la produzione dei frutti. Nessun bisogno quindi di introdurre la farfallina, anzi, sarebbe economicamente svantaggioso e mi priverebbe di uno dei miei frutti preferiti.




 Referenze:

Osmond, B., Neales, T., Stange, G. (2008) Curiosity and context revisited : crassulacean acid metabolism in the Anthropocene. Journal of experimental botany. 59, 7   pp. 1489-1502

http://www.northwestweeds.nsw.gov.au/prickly_pear_history.htm




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