lunedì 17 giugno 2019

DOTT. GIUSEPPE GUGLIELMI, ALCUNE SPECIALITÀ ORTICOLE DELLA PROVINCIA DI LECCE


Dopo più di un secolo, 111 anni per la precisione, è straordinario verificare che certe piante non sono più così usate nel nostro territorio per l'alimentazione. Mi riferisco alla Salsola saliva di Tenore, allo Smyrnium olusatrum (it. marcerone) e al cucumis flexuosus che continua ad essere coltivato in Armenia. Una bella carrellata delle orticole della Provincia di Lecce a cura del collega Dottore Agronomo Giuseppe Guglielmi. Buona lettura.

DOTT. GIUSEPPE GUGLIELMI
ALCUNE SPECIALITÀ ORTICOLE  DELLA  PROVINCIA DI LECCE

Cerignola - Stab. Tip. Cibelli 1908

Benché ogni regione abbia delle specialità orticole, pure in alcune località vi sono di quelle abbastanza caratteristiche sia in ordine alla produzione, sia in rapporto al consumo ed al modo come esse entrano nella nostra alimentazione. Queste specialità risentono di condizioni locali tanto per ciò che riguarda migliore utilizzazione di speciali fattori, quanto perché intervengono come soddisfazione di speciali bisogni. Così in Terra d' Otranto vi sono specialità orticole che meritano di essere alquanto illustrate. In generale la coltura ortense à relativamente scarsa, prevalendo I' orto di famiglia, benché però non manchino presso i centri più popolosi orti a scopo di industria. Intorno a Brindisi, Ostuni, Lecce, Galatina ed Otranto si fa coltura specialissima, utilizzando le scarse acque che' si ricavano da pozzi e ad Otranto servendosi delle acque del fiume Idro in quella plaga che, per i suoi deleteri effetti ora in via di diminuzione per le bonifiche in corso, è detta « Mala vicina ». 

Distinguiamo queste specialità in due categorie nella prima comprendendo quelle che riguardano la coltivazione e nell' altra quelle che riguardano il consumo. Della prima categoria l’importanza maggiore è assunta dalla coltivazione della cicoria salentina, detta comunemente in provincia catalogna, forse in omaggio all' antica domi-nazione spagnola. Essa presenta una sottorazza detta brindisina. Questa cicoria, varietà importante del Cicorium intybus Linneo, è stata messa in commercio dalla casa Dammann sotto il nome di Cichorium intybus asparagoides ; ma dato il suo portamento e tutti i suoi caratteri deve considerarsi piuttosto come una razza del Cichorium intybus latifoifum del Pasquale, quella cioè che a Napoli è indicata col nome di cicorioni o talli di S. Pasquale.

La cicoria salentina si suol coltivare come produzione primaverile, seminandola al principio dell'autunno e trapiantandola a fine autunno e a volte anche durante l'inverno. Ben vero però se ne fa anche coltivazione estiva ma soltanto presso Ostuni ed Otranto; in questo caso richiedendo copiose irrigazioni, il prodotto si suole indicare col nome di cicorie all’acqua. Caratteristica di questa cicoria è che il fusto si eleva unico guarnito di foglie che tendono sempre più a restringersi e l’apice presenta un aspetto che ricorda lontanamente un turione di asparago. La razza tipica assume grande sviluppo fogliare e le foglie, piuttosto frastagliate e runcinate, hanno la rachide tinta in carminio nella pagina inferiore come carminio pure è il fusto il quale è liscio, lucido e grosso alla base circa 3 centimetri. Nella sottorazza brindisina le foglie sono meno intagliate con l’apice relativamente tondeggiante, le rachidi verde-pallido ed il fusto, che è di color verde analogo alle foglie, è molto più sottile e di rado oltrepassa cm. 1 e 1/2. La raccolta si fa tagliando il fusto a circa 3 - 4 centimetri dal suolo lasciandovi la rosa delle foglie. Di esso si utilizza la parte apicale tenera, fornita delle foglie che l'accompagnano la quale spesso rappresenta un terzo circa dell' intero fusto che suol raccogliersi quando ha oltrepassato i 35 - 40 centimetri. 

La parte spinale utilizzabile è indicata volgarmente col nome di cime di cicorie o semplicemente cime. Sviluppandosi ulteriormente il fusto rami-fica in modo analogo al tipo del cicorium latifolium. Nondimeno tutta la pianta è meno scabra al tatto e le calatidi della cicoria salentina hanno squame meno ricche di peli. La sottorazza brindisina tende maggiormente ad esser glabra e mentre la razza tipica salentina ripullula dando 3 o 4 nuovi polloni, relativamente più sottili, la brindisina li dà addirittura esilissimi: arrivano ad avere qualche volta la grossezza d'una penna d' oca. Nondimeno questi possono asportarsi e, lasciando la pianta sul terreno, può riuscire relativamente comodo, se non economico, il poter raccogliere di tratto in tratto altri polloni. La razza tipica si presta meno a queste raccolte successive. L' uso di queste cicorie è diffuso per tutta la provincia e si estende anche in parte della prov. di Bari. È stata introdotta anche nella coltivazione degli orti di Napoli e propriamente a San Giovanni a Barra, ma è stata quasi smessa perchè il prezzo che si ricava sulla piazza di Napoli, dove la nostra cicoria non è abbastanza conosciuta e pregiata, non pagava abbastanza il terreno che era occupato per molto tempo. Sulla piazza di Napoli era conosciuta col nome di cicorione forestiero, cicoria, leccese e cicoria catalogna. A Roma se ne trova pure un po’ sul mercato, ma è confusa spesso con i polloni della cicoria spontanea e si indica col nome di pontarelle. (1) Le cicorie si usano d'ordinario lessate, condite con olio, talvolta come insalata cotta con l’aceto, tal altra saldale all' olio. Speciale però è l’uso di condirle, quando sono lessate, con sugo di stufato o ragout. Ed ora col diffondersi delle conserve di pomodoro, si condiscono anche col sugo di pomodoro. I rimessiticci più frequentemente si usano crudi all' insalata.
Un' altra specialità orticola della prov. di Lecce è la cosiddetta Salessia corrispondente alla Salsola saliva di Tenore, che è la forma coltivata della salsola soda che nasce con altre specie non aduli sul litorale dell'Adriatico. Noto a questo proposito che molti trattati di orticoltura erroneamente riferiscono la specie coltivata col nome di salsola o capelli del diavolo alla salsola cali, perché non bisogna dimenticare che la salsola cali, analogamente alla salsola tragus, è spinosa. Il prof. Cosimo De Giorgi nei « brevi cenni della di Martino Marinosci » la confonde con la salicornia herbacca.

É. vero per altro che anche la salicornia herbacca si usa come la salsola saliva e si indica dal volgo con lo stesso nome ; ma essa si raccoglie allo stato spontaneo sul littorale inondato dal mare e che frequentemente si usa nella prov. di Bari col nome di salsodde. La salsola si coltiva in quasi tutti gli orti di famiglia, ma è notevole il fatto che d' ordinario non se ne raccolgano i semi e si lascia marcire la pianta sul posto : alla primavera le piantine che sono nate spontanee si trapiantano in righe alla distanza di circa 50 cm. La raccolta si fa successivamente ed il prodotto utile è rappresentato dalle parti tenere apicali del ramo, che qualcuno usa insalata  cruda, ma più spesso si usano all' insalata cotta e non manca chi le usa saldale all'olio. Il sapore riesce sempre gustoso, fresco ed è una delle verdure che si digeriscono facilmente anzi si pretende che aiuti la digestione forse per la soda che vi è contenuta.
Col nome di zivirnia si coltiva, benché poco estesamente , lo Smyrnium olusatrum (it. marcerone) che è 1' ipposdino di Dicscoride e non l’ olusatro degli antichi (vedi G. Della Porta « Le ville »). Questa pianta frequente ad Ischia ed altrove nelle nostre provincie meridionali allo stato spontaneo, non è forse ora usata come pianta alimentare che soltanto in Terra d' Otranto. Infatti l'aroma della pianta, secondo il Gussone, nauseante, non è generalmente accetto. Sembra però che nella prov. di Lecce si segua una tradizione di gusto ; ma mentre gli antichi ne usavano la radice e le foglie analogamente al sedano, crude o cotte, e specialmente come contorno al pesce, oggi se ne usano le infiorescenze prima che si aprano, quando ancora sono avvolte dalle foglie bratteali che costituiscono un apice relativamente globoso e che si adoperano fritte o alla pastuccia.

Si noti che l’aroma acre fa ritenere la pianta velenosa, cosi in provincia di Napoli come in altro prossime la pianta essendo biennale, le infiorescenze si raccolgono al secondo anno ed è questa la ragione per la quale più che farne larga coltivazione nell' orto le si destina un posto appartato e spesso si raccoglie il prodotto dal margine dei campi e dagli oliveti dove, essendovi un po' d' ombra, riesce possibile la vita di questa pianta la quale vuole siti relativamente freschi.
Fra le altre specialità orticole della nostra provincia, merita di essere annoverata anche la senape per l' uso che se ne fa. La senape (sinapis alba) si coltiva nell'orto e se ne fa coltivazione autunnale per avere il prodotto, e coltivazione primaverile solo negli orti dove è possibile disporre di notevole quantità di acqua. È noto che in generale questa pianta si coltiva largamente anche nella provincia di Bari in pieno campo, ma si fa per la raccolta del seme. Nella nostra provincia invece si coltiva la senape bianca per poterne usare le infiorescenze con la parte tenera del fusto e le tenere foglie analogamente a quello  che si fa del broccolo di rapa. Le successive coltivazioni hanno costituita una razza alquanto fissata di senape che si distingue per il maggiore sviluppo che assumono le infiorescenze. Si usa nell' alimentazione cotta condita con olio oppure all'insalata, o anche saltata all'olio. Comunemente si indica col nome di sanapu. Le altre specie di senape, come la senape nera (sinapis nigra) detta dal volgo sinapu acreste non infrequente nei campi e la sinapis erucoides (volg. ramasciulu ) frequentissima nelle vigne, pure si usano nell' alimentazione ma solamente cotte e condite con olio. Queste ultime però riescono cibo meno digeribile e meno gustoso per il sapore amaro e leggermente piccante il quale nella senape bianca è relativamente attenuato pur essendo abbastanza sensibile. Un' altra pianta, che pure merita di essere ricordata perché non frequente negli orti di altra regione che non sia la pugliese, è il popone trombetta detto localmente cocomerazzo corrispondente al cucumis flexuosus che qualche autore erra confondendolo col c. anguinus. Se ne usano i frutti teneri analogamente a quello che si fa del cetriolo (cucumis sativus).


D'ordinario da noi poco si coltiva il cetriolo il quale richiede molta acqua in proporzione e poi ha lo svantaggio di fruttificare meno e per più breve tempo. Il cucumis flexuosus invece dà frutto per più lungo tempo, si adatta anche in terreni non da orto ed il frutto riesce meno profumato del cetriolo ma più tenero e gustoso.
Degna di essere ricordata, è la produzione delle cosiddette meloncelle. I frutti dei comuni poponi (cucumis melo) quando sono acor teneri ed hanno raggiunto la grandezza di un uovo d' oca o poco più, si usano nell' alimentazione come frutta analogamente ai cetrioli. L’uso di asportare, successivamente questo frutto obbliga la pianta, che d'ordinario non suol portare a maturazione perfetta che da 2 a 4 frutta, a produrre a volte fino oltre una ventina. Questo frutto localmente è detto meloncella, cucumella ecc.
Un altro uso, comunissimo in Terra d’Otranto, è quello dei frutti teneri della zucca di Napoli bastarda o zucca berbera (volg. cucuzza duce) la quale si adopera a mo' dei comuni zucchini ed è tenuta in qualche pregio.
Per le piante di questa specie va ripetuto lo stesso fatto in ordine al numero dei frutti come per il popone. Nella stessa famiglia delle cucurbitacee occorre ricordare una speciale pratica la quale veramente riguarda più la conservazione anziché la produzione. Il cocomero ( citrollus vulgaris Schrad. ) coltivato nei migliori terreni da orto, presenta in terra d' Otranto, forse più che altrove del mezzogiorno d' Italia, un' estesa serie di variazioni specialmente nella colorazione dei semi; indice questo forse della influenza di importazione dalle coste orientali dell'Adriatico. Per conservare il cocomero, comunemente detto mellone d’acqua, il quale generalmente poco vi si presta, si suole sotterrare, quando i frutti sono maturi, l'intera pianta col frutto e poi verso il Natale, qualche volta anche in gennaio, si scavano e spesso si trova in perfetto stato. Ben vero però la perdita è molto frequente. Questa pratica potrebbe essere sostituita dalla stratificazione in sabbia come qualcuno ha tentato. Un' altra pratica che pure è di uso comunissimo nella nostra provincia è quella delle cipolle porraie (volg. sponsali ) che consiste nell' affidare al' terreno in autunno le cipolle che vanno spontaneamente in succhio. Ciò si pratica per non fare esaurire il bulbo e per utilizzare la parte che è in via di ricostituzione per potere a suo tempo andare in fiore. Questa pratica ha tratto origine dal fatto che da noi manca una buona razza di cipolle serbevoli per l'inverno. Si comincia nonpertanto ad introdurre la cipolla della Rocca ma anche questa tende a perdere la sua serbevolezza e, forse per la frequente umidità invernale, va in succo con molta anticipazione.
Queste brevi note illustrative valgano a dimostrare come, anche nel campo dell' orticoltura, la nostra provincia occupi un posto non meno importante delle altre provincie meridionali.
(1) Nello scorso anno la cattedra di Lecce spedì un chilogramma di semi di cicoria di Brindisi al prof. Calvino, Direttore della Cattedra di Agricoltura di Porto Maurizio. Non sappiamo quali risultati, abbia dato la coltivazione di questo ortaggio nella Riviera Ligure.










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