sabato 30 novembre 2024

Fermarsi per Vivere

 


Fermarsi per Vivere

Ti sei mai fermato a pensare a quanti siamo? Sette miliardi, otto fra poco, e dicono che nel 2050 saremo dieci. Dieci miliardi di persone che mangiano, bevono, respirano e consumano. Ogni giorno lasciamo un’impronta su questo pianeta. E non è solo una questione di numeri, è una questione di peso. Peso ecologico. Perché noi, nei paesi ricchi, non ci accontentiamo di poco: proteine a volontà, case piene di cose, auto, smartphone, tutto. Ma tutto questo ha un prezzo.

La natura ci dà tanto. Ci dà cibo, acqua pulita, aria respirabile. Ma non è infinita. Se prendiamo più di quello che riesce a rigenerare, è come fare debiti. E questi debiti non li pagheremo noi, li pagheranno quelli che verranno dopo. I nostri figli, i nostri nipoti.

Possiamo spingere la macchina: organismi più produttivi, pesticidi, fertilizzanti. Ma la terra è quella che è. Non si può allargare. E quando allarghiamo i campi, distruggiamo foreste, ecosistemi, biodiversità. Stessa cosa per il mare: possiamo pescare di più, ma anche i pesci hanno un limite.

È chiaro, no? Se continuiamo così, non basterà. Risorse finite, guerre per accaparrarsele, carestie, siccità. Migrazioni di massa. E il clima? Già ora sta cambiando, e non è un cambiamento positivo. Se non ci fermiamo, sarà la natura a fermarci. La domanda è: vogliamo aspettare che succeda o ci fermiamo prima?

Ed ecco la notizia che non ti aspetti: gli italiani si sono fermati. Senza piani, senza strategie. Semplicemente, abbiamo smesso di correre. La bomba demografica, per noi, si è sgonfiata. Non è per magia, è il risultato di benessere e istruzione. Dove la gente sta male, le donne iniziano a fare figli a tredici anni e non smettono più. Da noi studiano, lavorano, si costruiscono una vita. Non sono più solo madri, sono persone. E così puntiamo sulla qualità, non sulla quantità. Però siamo ancora troppi. I giovani non trovano lavoro, e senza lavoro non avranno una pensione. Se emigrano in massa, è perché qui non c’è spazio per loro.

E allora, invece di vedere che questa è una buona notizia, ci allarmiamo. “Chi pagherà le pensioni?”, si chiedono. Ma scusa, i giovani non riescono neanche a garantirsi la loro, che vuoi che paghino la tua? Raddoppia i giovani e avrai il doppio dei disoccupati. No, la crescita non è la soluzione. La crescita è il problema.

E nel frattempo, c’è chi sogna altri pianeti. “Andiamo a colonizzarli”, dicono. Ma se li trattiamo come trattiamo questo, quanto dureranno? Pensiamo davvero di trovare altri mondi già pronti, con aria, acqua e vita? O che possiamo portarceli dietro, i nostri ecosistemi? No, dai.

Il vero problema è che ci mancano le basi. Non ci hanno insegnato a capire come funziona la natura, il nostro rapporto con lei. Senza questa consapevolezza, continuiamo a vivere come se tutto fosse eterno. Ma non lo è. E fermarsi non è una sconfitta. Fermarsi è la cosa più saggia che possiamo fare.

venerdì 29 novembre 2024

Per valorizzare l’agricoltura come risorsa strategica per la Città di Lecce


Per valorizzare l’agricoltura come risorsa strategica per la Città di Lecce

Nel novembre del 2019, durante un incontro tra amministratori, esperti e rappresentanti del settore agricolo, fu elaborata una visione ambiziosa per il futuro della Città di Lecce: rendere l’agricoltura una risorsa strategica per lo sviluppo sostenibile del territorio. Cinque anni dopo, è necessario fare il punto sulla mancata realizzazione di questa visione, ribadendo l’importanza di trasformare queste idee in azioni concrete.

Un’opportunità unica da cogliere La Città di Lecce, con una superficie rurale di ben 257 chilometri quadrati, ha il potenziale per diventare un laboratorio a cielo aperto per l’innovazione agricola e la sostenibilità ambientale. Questa vastità di territorio, attualmente solo parzialmente coltivata, può essere trasformata in una leva per:

  1. Contrastare la crisi climatica

    • Adottare tecnologie avanzate per la previsione dei rischi e la gestione del territorio.

    • Rigenerare le aree colpite dalla Xylella, puntando su un modello agricolo resiliente e innovativo.

  2. Promuovere lo sviluppo economico locale

    • Creare nuove filiere produttive agricole basate sulla sostenibilità.

    • Sviluppare un marchio territoriale che valorizzi i prodotti locali, attragga investimenti e incrementi l’occupazione giovanile.

  3. Favorire la sinergia tra città e campagna

    • Integrare le aree periurbane nella pianificazione urbana, trasformandole in spazi produttivi e sostenibili.

    • Implementare il nuovo Piano di Sviluppo Rurale (PSR) regionale per incentivare iniziative eco-compatibili.

Impegni e obiettivi condivisi Nel corso dell’incontro del 2019, si è discusso del ruolo strategico di Lecce come modello di innovazione agricola a livello europeo, grazie alla presenza di:

  • Istituzioni locali e regionali: il presidente della Regione Puglia e gli assessori del Comune hanno espresso la volontà di lavorare per l’inclusione di Lecce nel PSR regionale.

  • Enti di ricerca e università: il contributo dell’Università del Salento e di altre istituzioni accademiche offre solide basi scientifiche e tecnologiche.

  • Rappresentanti del settore agricolo: associazioni come Coldiretti, Confagricoltura e il Distretto Agroalimentare hanno già indicato la disponibilità a collaborare.

Un invito all’azione Ora è il momento di tradurre in realtà le idee e gli impegni delineati:

  • Definizione e approvazione di un piano operativo che riprenda e sviluppi le proposte emerse durante l’incontro del 2019.

  • Attivazione di un tavolo permanente di lavoro tra amministrazione, università, associazioni agricole e altri attori territoriali.

  • Riclassificazione del territorio per consentire a Lecce di accedere ai fondi del PSR e avviare progetti di rigenerazione rurale.

Questa straordinaria opportunità non deve essere persa. Lecce ha tutte le carte in regola per diventare un esempio virtuoso di come l’agricoltura possa rappresentare il motore di uno sviluppo economico, sociale e ambientale duraturo.

Conclusione L’elaborazione del 2019 rimane oggi un punto di riferimento fondamentale per il futuro di Lecce. Confidiamo in un immediato riscontro e nell’avvio concreto delle azioni necessarie, per rendere la nostra città un laboratorio di sostenibilità e innovazione agricola.

"Sciopero Generale a Lecce: Dibattito tra Critiche e Difesa della Democrazia Sindacale"



"Sciopero Generale a Lecce: Dibattito tra Critiche e Difesa della Democrazia Sindacale"

Ieri, a Lecce, si è svolta una manifestazione in occasione dello sciopero generale indetto da CGIL e UIL. Dopo aver condiviso una foto dell'evento sui social, mi sono imbattuto in una serie di commenti che esprimevano indignazione nei confronti dell'iniziativa. Tra le principali critiche, alcuni osservavano che lo sciopero fosse uno strumento di lotta politica utilizzato per delegittimare il governo Meloni, democraticamente eletto. Altri sostenevano che, durante i precedenti governi di sinistra, i sindacati non avessero organizzato mobilitazioni di simile portata, insinuando una presunta parzialità nelle loro azioni.

Questo dibattito offre l’occasione per riflettere sul ruolo dello sciopero generale, sulla sua importanza in una democrazia e sulla legittimità delle rivendicazioni sindacali, mettendo in discussione alcune percezioni diffuse e confrontandole con i fatti.

1. Lo sciopero come lotta politica contro un governo democraticamente eletto

  • Confutazione: Lo sciopero non è mai contro la "democrazia" o il diritto del governo di esistere, ma contro specifiche politiche che non rispondono adeguatamente ai bisogni dei cittadini, in questo caso dei lavoratori. La Costituzione italiana riconosce il diritto di sciopero (art. 40) proprio come strumento democratico per esprimere dissenso e promuovere il dialogo sociale. Contestare politiche non equivale a contestare la legittimità del governo.

2. Mancanza di scioperi durante i governi di sinistra

  • Confutazione: È una percezione errata. Gli scioperi si sono verificati anche sotto governi di sinistra, seppur con intensità variabile. I sindacati non agiscono in base al colore politico del governo, ma in risposta a specifiche politiche. Ad esempio:
    • Durante il governo Prodi (centrosinistra), ci furono scioperi contro la legge finanziaria del 2006.
    • Nei governi Renzi e Gentiloni, si sono verificati scioperi per le riforme del lavoro (come il Jobs Act) e le pensioni. Questo dimostra che i sindacati rispondono alle politiche percepite come dannose per i lavoratori, non alla collocazione politica del governo.

3. Il ruolo rituale e inefficace dello sciopero

  • Confutazione: Lo sciopero non è un rituale fine a se stesso. Serve per:
    • Portare le questioni lavorative al centro del dibattito pubblico.
    • Mobilitare i lavoratori, rafforzando la loro rappresentanza.
    • Creare pressione sul governo e sulle istituzioni per avviare un dialogo. Anche se l’impatto immediato non è sempre evidente, la storia dimostra che molti cambiamenti legislativi favorevoli ai lavoratori (dalle pensioni alle tutele salariali) sono stati ottenuti grazie a mobilitazioni sindacali.

4. Sindacati accusati di "fare politica"

  • Confutazione: I sindacati non possono evitare di interagire con la politica, perché molte delle questioni che trattano (pensioni, lavoro, sanità) sono di natura politica. Questo non significa "fare politica di partito". È normale e necessario che i sindacati dialoghino o si confrontino con i governi, perché le loro rivendicazioni richiedono scelte politiche e legislative.

5. Le richieste sindacali sono troppo generiche

  • Confutazione: Le richieste dei sindacati durante lo sciopero sono state specifiche e ben argomentate, riguardando:
    • L’aumento del potere d’acquisto attraverso salari adeguati all’inflazione.
    • Contrasto alla precarietà con contratti più stabili.
    • Difesa della sanità pubblica.
    • Politiche industriali che favoriscano crescita e sostenibilità. Si tratta di questioni concrete e documentate, non di piattaforme generiche. Inoltre, i sindacati hanno più volte chiesto di essere consultati preventivamente, non a decisioni prese, per una concertazione seria.

6. Il linguaggio e le pratiche sindacali sono obsolete

  • Confutazione: Il linguaggio rivendicativo dei sindacati è coerente con la loro funzione di rappresentare i lavoratori. Tuttavia, è importante notare che i sindacati italiani hanno anche mostrato apertura verso forme di concertazione. Sono i governi che spesso ignorano queste aperture, preferendo agire unilateralmente, come nel caso della recente manovra economica.

7. Mancanza di proposte concrete sui costi

  • Confutazione: I sindacati non sono organismi legislativi e non hanno accesso agli strumenti di bilancio del governo. Tuttavia, hanno avanzato proposte dettagliate, come:
    • Un utilizzo più equo delle risorse fiscali, tassando i grandi patrimoni e le rendite.
    • Investimenti in settori strategici come sanità e istruzione per promuovere crescita inclusiva.
    • Politiche di welfare che ridistribuiscano meglio le risorse.

8. Scarso confronto con modelli stranieri

  • Confutazione: I sindacati italiani non sono affatto isolati; guardano con interesse ai modelli nord-europei, che combinano concertazione e dialogo sociale. Tuttavia, affinché questo approccio funzioni, è necessario un impegno serio da parte del governo e delle associazioni imprenditoriali, che in Italia spesso mancano di tale disponibilità.

In conclusione, le critiche rivolte ai sindacati e agli scioperi appaiono basate su pregiudizi e interpretazioni parziali. Lo sciopero è uno strumento vitale per una democrazia e per il progresso sociale, e il suo utilizzo riflette una sana capacità di mobilitazione e rappresentanza.

Deforestazione e agricoltura: un problema che possiamo risolvere

 


Deforestazione e agricoltura: un problema che possiamo risolvere

Hai mai sentito parlare di deforestazione? Significa abbattere gli alberi di una foresta per fare spazio ad altre attività, come l'agricoltura o la costruzione di edifici. Questo sta succedendo in molte parti del mondo, soprattutto nelle aree tropicali, dove si trovano alcune delle foreste più grandi e importanti del nostro pianeta.

Secondo uno studio scientifico, oltre il 90% della deforestazione nelle regioni tropicali è causata dall’agricoltura. Le foreste vengono abbattute per creare campi coltivabili o pascoli per gli animali. Questo sembra necessario per produrre cibo, ma il problema è che una parte della deforestazione non serve davvero a far crescere le coltivazioni. Questo fenomeno viene chiamato "deforestazione inutile".

Perché esiste la deforestazione inutile?

Gli scienziati hanno scoperto che almeno un terzo dei terreni deforestati non viene usato per l'agricoltura. Questo succede per vari motivi:

  • Alcuni terreni vengono disboscati per fare speculazioni, cioè per venderli o usarli più tardi, ma poi restano abbandonati.

  • Altri progetti agricoli vengono iniziati, ma non funzionano per colpa di errori o terreni inadatti.

  • Gli incendi, a volte, distruggono le foreste senza che nessuno riesca a usarle.

Quali sono i prodotti che causano più danni?

Ci sono alcuni prodotti agricoli che contribuiscono molto alla deforestazione. Tra questi ci sono:

  • Carne bovina: per allevare le mucche servono grandi pascoli.

  • Soia: spesso usata come cibo per gli animali.

  • Olio di palma: usato in molti prodotti, come biscotti e cosmetici.

Molti di questi prodotti vengono esportati in altri paesi, ma in alcuni casi la deforestazione è causata dalla domanda di cibo all’interno dello stesso paese. Questo succede, ad esempio, in Africa, dove si disboscano foreste per coltivare cereali e allevare animali.

Cosa possiamo fare per aiutare?

La soluzione a questo problema è trovare un equilibrio tra agricoltura e protezione delle foreste. Gli scienziati suggeriscono alcune idee per ridurre la deforestazione:

  • Promuovere l'agricoltura sostenibile: usare i terreni già coltivati in modo più efficiente, senza abbattere nuove foreste.

  • Proteggere le foreste con leggi più severe e controlli più efficaci.

  • Evitare sprechi di cibo: se tutti consumassimo solo il necessario, ci sarebbe meno bisogno di nuove coltivazioni.

Anche noi possiamo fare la nostra parte. Quando facciamo la spesa, possiamo scegliere prodotti che rispettano l'ambiente, ad esempio quelli con certificazioni che garantiscono che non provengano da terreni deforestati. Ogni piccolo gesto conta per proteggere il nostro pianeta!

Antonio Bruno

I Boschi Che Nascono Da Soli: Una Storia di Natura e Cambiamento

 

Porto Selvaggio

I Boschi Che Nascono Da Soli: Una Storia di Natura e Cambiamento

Hai mai pensato a come i boschi si formano? Non sempre è l’uomo a piantare alberi. A volte la natura prende il controllo e fa crescere nuovi boschi proprio dove non c’erano prima. Questo fenomeno si chiama espansione forestale, ed è successo in molti paesi, tra cui l’Italia.

Cosa è successo nei boschi italiani?

All’inizio del 1900, molte persone che vivevano in campagna o in montagna hanno deciso di trasferirsi in città. Perché? Principalmente per cercare lavoro e una vita più comoda. Questo abbandono delle campagne ha lasciato molti campi e pascoli vuoti, senza più nessuno che li coltivasse o che portasse a pascolare gli animali. La natura ha fatto il resto: le piante hanno iniziato a crescere da sole, prima piccoli arbusti, poi alberi più grandi. E così, negli anni, si sono formati i cosiddetti boschi di neoformazione.

Dove nascono questi boschi?

I boschi di neoformazione si trovano un po’ dappertutto, ma sono stati studiati di più nelle zone di montagna e collina. Nelle pianure, invece, sono ancora poco conosciuti. Ad esempio, nella pianura padana, nel Veneto, esiste un bosco di neoformazione chiamato bosco di Armedola, che si estende per circa 12 ettari. Questo bosco è un ottimo esempio di come la natura riesca a riempire gli spazi lasciati dall’uomo.

Perché è importante proteggere questi boschi?

I boschi di neoformazione non sono importanti solo per la natura, ma anche per noi. Aiutano a migliorare la qualità dell’aria, offrono rifugio a molti animali e contribuiscono a rendere il nostro ambiente più bello e sano. Tuttavia, non tutti apprezzano questi boschi: a volte, alcune persone li tagliano o li rimuovono solo perché preferiscono vedere un paesaggio “pulito”, senza vegetazione spontanea.

Per evitare che questi boschi vengano distrutti, si potrebbero creare delle regole speciali di tutela. Queste regole servirebbero a proteggere i boschi e a gestirli nel modo migliore, ad esempio decidendo quali parti lasciare crescere liberamente e quali mantenere sotto controllo.

Come possiamo aiutarli?

Gli esperti suggeriscono di prendere spunto da alcune regioni, come il Trentino, dove sono già stati creati criteri per gestire i boschi di neoformazione. Ad esempio, si può stabilire che un bosco venga lasciato crescere liberamente, ma anche tenuto d’occhio per evitare che diventi troppo disordinato o che crei problemi. Questi criteri potrebbero essere applicati anche in pianura, come nel bosco di Armedola, per far sì che la natura continui a fare il suo corso senza ostacoli.

Una lezione dalla natura

I boschi di neoformazione ci insegnano qualcosa di importante: la natura è capace di rigenerarsi e di adattarsi. Però, ha bisogno del nostro aiuto per essere protetta e valorizzata. Anche se non siamo noi a piantare gli alberi, possiamo imparare a rispettare questi nuovi boschi e a lasciarli crescere. Chi sa quali meraviglie potranno regalarci in futuro?

Ora che conosci questa storia, guardati intorno: magari vicino a te c'è un piccolo bosco di neoformazione che aspetta solo di essere scoperto e apprezzato!

Antonio Bruno


Il bosco di Tricase

Immense distese di uliveti, incorniciati da muretti a secco e rocce calcaree. Questo è il suggestivo panorama che si apre all’ interno del Parco Naturale regionale Costa Otranto – Santa Maria di Leuca e Bosco di Tricase. La riserva comprende ben dodici comuni del territorio salentino.

Addentrarsi in questo polmone verde, significa riscoprire il volto più antico del territorio. Una ricca e rigogliosa vegetazione rinvigorisce ogni angolo di questo Eden, fino a degradare dolcemente lungo la costa. 

Tra gli alti promontori che si affacciano sul mare, si trovano incastonati gioielli storico-architettonici tipici locali e interessanti fenomeni di carsismo come grotte e doline. Di inestimabile valore, conservano tracce di un lontano passato: il Parco infatti è stato testimone dei primi insediamenti umani già a partire dall’era del Paleolitico.

Da non perdere è la maestosa Quercia vallonea, un vero e proprio monumento naturale che con i suoi 900 anni è uno degli alberi più vecchi d’ Italia.

Il parco naturale di Porto selvaggio

Nel territorio di Nardò, lungo la costa ionica, si estende la punta di diamante delle aree protette leccesi: il Parco naturale regionale di Porto Selvaggio e Palude del Capitano, inestimabile patrimonio storico e paesaggistico. 

Un fitto bosco di pini d’Aleppo e una rigogliosa macchia mediterranea, tinteggiano lo sfondo del litorale fino alla baia di Porto Selvaggio, costellato da grotte e “spunnulate” (grotte a cui è crollata la volta formando dei laghetti di acqua salmastra).

Il parco restituisce scorci panoramici da cartolina. In particolar modo, nel tratto che conduce alla graziosa spiaggia di Porto Selvaggio: il mare dai colori chiari e cristallini presenta fondali rocciosi ricchi di vita subacquea, tutti da scoprire. La pineta che circonda la spiaggia rende la riserva di Porto Selvaggio un luogo unico e rilassante.

Il bosco è inoltre abitato da una ricca varietà di fauna locale, tra cui è possibile avvistare volpi, donnole, ricci, camaleonti e falchi.


mercoledì 27 novembre 2024

Lo Stato per debellare la rendita terriera e l’estrema parcellizzazione fondiaria


 

Lo Stato per debellare la rendita terriera e l’estrema parcellizzazione fondiaria

Il territorio della Puglia ha come Asset lo sviluppo nel settore primario e del turismo.  I nodi principali che frenano lo sviluppo dell’agricoltura locale sono la rendita dei grandi e medi proprietari terrieri intesa come entrata continuativa senza costo, o almeno senza costo contemporaneo e l’estrema parcellizzazione della restante parte del territorio dovuta ai processi ereditari dei piccoli proprietari. Ecco una proposta di intervento dello Stato per affrontare i nodi principali che frenano lo sviluppo dell’agricoltura in Puglia e migliorare il contesto socio-economico della regione, strutturata in modo sostenibile:


1. Riorganizzazione Fondiaria e Incentivi alla Istituzione di Ente Agricolo di Stato

  • Obiettivo: Contrastare la rendita dei grandi proprietari terrieri e ridurre la frammentazione dei piccoli appezzamenti.
  • Azioni:
    • Creazione di un Fondo per la Riorganizzazione Territoriale per incentivare la vendita o l’affitto di terreni agricoli sottoutilizzati.
    • Promozione dell’Ente agricolo di Stato attraverso agevolazioni fiscali e contributi per favorire l’aggregazione di piccoli proprietari.
    • Semplificazione normativa per l’attivazione di nuovi processi agricoli innovativi.

2. Potenziamento delle Infrastrutture Irrigue

  • Obiettivo: Modernizzare la rete idrica e garantire l’accesso equo alle risorse idriche per l’agricoltura.
  • Azioni:
    • Investimenti nel potenziamento e digitalizzazione della rete irrigua tramite fondi PNRR e la Programmazione 2021-2027.
    • Creazione di un sistema di controllo e monitoraggio per prevenire sprechi e ottimizzare l’uso dell’acqua.
    • Sostegno all’adozione di tecnologie di irrigazione sostenibili, come il sistema a goccia.

3. Programma di Innovazione Tecnologica e Ricerca in Agricoltura

  • Obiettivo: Sostenere la competitività e la sostenibilità dell’ Ente Agricolo di Stato.
  • Azioni:
    • Attivazione di partenariati pubblico-privati per sviluppare soluzioni tecnologiche nel settore primario, come agricoltura di precisione e agroecologia.
    • Potenziamento dei centri di ricerca regionali per lo sviluppo di colture resilienti ai cambiamenti climatici.
    • Creazione di un portale unico per l'accesso a dati meteorologici e agricoli per supportare le decisioni operative.

4. Sostegno al Mercato del Lavoro Agricolo e Ritorno dei Giovani

  • Obiettivo: Creare opportunità di lavoro sicure e attrattive per i giovani e combattere la precarietà.
  • Azioni:
    • Reintroduzione della Decontribuzione Sud con durata almeno quinquennale per sostenere il costo del lavoro e attrarre giovani professionisti.
    • Avvio di programmi formativi in agricoltura 4.0 e gestione aziendale per nuove generazioni di agricoltori.
    • Finanziamenti a fondo perduto per startup agricole innovative gestite da under 40.

5. Creazione di Filiera Turistico-Agricola

  • Obiettivo: Integrare il settore primario con il turismo per creare sinergie economiche.
  • Azioni:
    • Promozione di percorsi enogastronomici e culturali legati alle produzioni tipiche pugliesi.
    • Incentivi all’Ente agricolo di Stato per trasformarsi in agriturismi o fattorie didattiche.
    • Creazione di un marchio regionale “Puglia Sostenibile” per valorizzare prodotti e servizi locali.

6. Politiche per il Benessere Sociale e Qualità della Vita

  • Obiettivo: Frenare la fuga di capitale umano migliorando la qualità dei servizi.
  • Azioni:
    • Investimenti nella sanità pubblica per migliorare l’accesso e la qualità dei servizi, con ricadute positive sull’occupazione.
    • Potenziamento dell’istruzione tecnica e universitaria con focus su settori strategici per la regione.
    • Incentivi fiscali e contributi per attrarre giovani famiglie e professionisti in aree rurali.

7. Monitoraggio e Valutazione

  • Obiettivo: Garantire trasparenza e misurare l’efficacia degli interventi.
  • Azioni:
    • Istituzione di un Osservatorio Regionale per lo Sviluppo Agricolo e Rurale per monitorare l’andamento delle misure.
    • Coinvolgimento di università e istituti di ricerca nella valutazione delle politiche attuate.
    • Comunicazione regolare dei risultati alla cittadinanza per aumentare la fiducia nelle istituzioni.

Questa proposta si basa su un approccio integrato che combina innovazione, sostenibilità e inclusione sociale, favorendo il rilancio del settore primario e del turismo come motori di sviluppo per la Puglia.

Antonio Bruno

 

La Crisi Climatica e il Futuro dell’Agricoltura: Una Storia di Adattamento e Innovazione

 


La Crisi Climatica e il Futuro dell’Agricoltura: Una Storia di Adattamento e Innovazione

di Antonio Bruno 

Negli ultimi dieci anni, il nostro pianeta ha mostrato segnali sempre più evidenti di una crisi climatica in atto. Non è solo una questione per gli scienziati o i governi: sta cambiando il modo in cui viviamo, mangiamo e lavoriamo. Anche per grandi aziende agricole italiane, come Bonifiche Ferraresi (BF Spa), questa emergenza non è più qualcosa che riguarda il futuro, ma un problema del presente da affrontare subito.

Che cos’è la crisi climatica?

La crisi climatica è un insieme di problemi causati dall'aumento delle temperature globali. Questo cambiamento è dovuto soprattutto alle attività umane, come bruciare combustibili fossili e disboscare le foreste. Questi cambiamenti stanno rendendo più difficile coltivare il cibo che troviamo ogni giorno nei supermercati. Come ha scritto il giornalista David Wallace-Wells sul New York Times, “i supermercati oggi mostrano quanto il nostro sistema sia fragile, colpito da pandemie, guerre e soprattutto dal cambiamento climatico”.

Cosa sta facendo Bonifiche Ferraresi?

BF Spa, uno dei più grandi gruppi agricoli italiani, ha deciso di affrontare questa sfida creando nuove soluzioni. Dal 2023, ha iniziato progetti in Paesi con climi ancora più difficili, come Ghana, Algeria ed Egitto. Per farlo, ha investito 45 milioni di euro in un centro di ricerca e formazione chiamato BF Educational, situato a Jolanda di Savoia, in provincia di Ferrara.

Secondo Francesco Pugliese, il responsabile di BF Educational, il centro è come un laboratorio gigante dove la ricerca scientifica e la formazione vanno di pari passo. Da una parte si studiano nuove tecnologie, dall’altra si formano esperti capaci di applicarle.

Le nuove tecnologie per salvare l’agricoltura

Il cambiamento climatico sta costringendo gli agricoltori a trovare nuove soluzioni per coltivare su terreni che stanno cambiando. Tra le tecnologie più innovative ci sono:

  • Miglioramento genetico: Non si tratta di creare organismi geneticamente modificati (Ogm), ma di selezionare piante più resistenti alle sfide attuali, come la siccità o l’invasione di parassiti.

  • Sensori e agricoltura di precisione: Questi dispositivi aiutano gli agricoltori a capire meglio quando e dove c'è bisogno di acqua o fertilizzanti. Ad esempio, con sensori e dati satellitari, si può risparmiare acqua preziosa e ridurre l’uso di prodotti chimici, proteggendo l’ambiente.

  • Intelligenza artificiale: L’AI permette di trasformare l’esperienza di esperti in modelli digitali che possono aiutare agricoltori di tutto il mondo. Se un esperto di pomodori sa come affrontare certi problemi, il machine learning può usare questa conoscenza per aiutare anche altri agricoltori.

  • Agrofisica: Questa nuova disciplina trasferisce tecnologie mediche, come le scansioni PET, al mondo dell’agricoltura. Questi strumenti permettono di capire lo stato di salute del suolo e delle piante senza distruggerle, rendendo possibile monitorare la fertilità dei terreni in tempo reale.

Perché serve formarsi?

Il lavoro in agricoltura oggi è più complicato di quanto si possa pensare. Non basta conoscere le piante, bisogna anche saper usare macchinari avanzati, tecnologie digitali e strumenti scientifici. Ecco perché BF Educational organizza corsi e master per giovani studenti e professionisti che vogliono imparare a gestire queste nuove sfide.

Secondo Pugliese, “un agronomo oggi deve sapere non solo come crescere le piante, ma anche come usare l’informatica, i sensori e l’ingegneria per adattarsi a un mondo in continua evoluzione”.

Un futuro da costruire insieme

La crisi climatica ci mostra che il mondo sta cambiando e che dobbiamo cambiare con esso. Grazie alla scienza, alla tecnologia e a persone preparate, possiamo immaginare un futuro in cui l’agricoltura è capace di nutrire tutti, anche in un pianeta diverso da quello che conosciamo. Come dice il proverbio, “non possiamo fermare il vento, ma possiamo costruire mulini a vento”: BF Spa sta facendo proprio questo.

sabato 23 novembre 2024

"Ulivi millenari: il fallimento della gestione locale e l’urgenza di un intervento statale"

 


"Ulivi millenari: il fallimento della gestione locale e l’urgenza di un intervento statale"

di Antonio Bruno

La gestione del problema Xylella fastidiosa nella provincia di Lecce è un caso emblematico di come l'inazione e la mancanza di iniziativa locale possano trasformarsi in una tragedia culturale, ambientale ed economica. In 13 anni, nonostante i fondi pubblici erogati, non si è riusciti a rigenerare il paesaggio rurale né a proteggere adeguatamente gli ulivi, simbolo millenario di Puglia. Di fronte a questa realtà, diventa urgente ripensare il modello di gestione del territorio.

Un confronto con altre realtà, come quelle descritte nell’iniziativa del Parco degli Ulivi Monumentali di Ostuni, evidenzia l’enorme differenza di approccio. Qui, piccoli proprietari inglesi, francesi e australiani, uniti agli operatori locali, hanno attivato un progetto pionieristico: la creazione della prima zona speciale di conservazione al mondo per contrastare il batterio. Il progetto non si limita a interventi simbolici, ma punta a obiettivi chiari e misurabili, come l’innesto di 300 ulivi entro il 2025 e di 1.000 entro il 2026, grazie a un partenariato tra privati e associazioni no-profit come A.m.o. Puglia e Save the Olives.

Questo modello dimostra come una visione comunitaria e strategica possa generare risultati tangibili. La gestione di 25 ettari già assicurati come area di conservazione non solo tutela gli ulivi monumentali, ma rappresenta un laboratorio di innovazione agronomica, sostenibilità e turismo ecologico, con l’ambizione di integrarsi nel programma Green Citizens dell’Unesco.

In netto contrasto, la situazione nella provincia di Lecce continua a essere dominata da una richiesta passiva di risorse, senza alcuna visione strategica né interventi incisivi. È evidente che i proprietari terrieri locali, sia grandi sia piccoli, hanno fallito nel ruolo di custodi del paesaggio. Questa incapacità di agire in 13 anni è la prova che la gestione del paesaggio rurale non può più essere affidata a loro.

Conclusione: è tempo di un cambio radicale. Lo Stato deve assumere la responsabilità diretta del paesaggio agrario nella provincia di Lecce. Come dimostrano progetti virtuosi come quello di Ostuni, solo una gestione centralizzata, basata su obiettivi scientifici, può garantire la protezione e la valorizzazione di un patrimonio unico al mondo. L’inerzia e l’assenza di iniziativa locale sono costate troppo, e il futuro degli ulivi millenari non può più essere lasciato nelle mani di chi ha dimostrato di non saper agire.

Antonio Bruno

venerdì 22 novembre 2024

Intervista al Dott. Antonio Bruno, esperto in diagnostica urbana e territoriale, sul cambiamento climatico e le sue implicazioni per l’agricoltura in Puglia

 


Intervista al Dott. Antonio Bruno, esperto in diagnostica urbana e territoriale, sul cambiamento climatico e le sue implicazioni per l’agricoltura in Puglia

Dott. Bruno, il cambiamento climatico è ormai una realtà innegabile. Quanto è preoccupante la situazione in Puglia?
La situazione in Puglia è decisamente critica. I dati presentati dall'ultimo Rapporto Città-Clima di Legambiente sono allarmanti: la regione è al terzo posto in Italia per numero di eventi meteorologici estremi, con 17 episodi registrati nel 2024. Questo include grandinate, trombe d’aria e piogge intense che danneggiano i raccolti e mettono a rischio l’economia agricola, un pilastro fondamentale del nostro PIL. Inoltre, la siccità, con una riduzione delle piogge del 46% nei primi sette mesi del 2024 rispetto alla media trentennale, ha avuto effetti devastanti su colture chiave come l’olivo, i vigneti, gli alberi da frutto e il grano.

Quali sono le ripercussioni economiche di questa situazione?
Le ripercussioni sono profonde. Solo per il 2024, si stima che la produzione di olio d'oliva in Puglia sarà all'80% rispetto al 2023, con conseguenze pesantissime per una regione che rappresenta circa il 50% della produzione nazionale. L’impatto non riguarda solo l’olio: la mancanza di piogge e l’aumento delle temperature hanno colpito la produzione di miele, con una riduzione stimata fino al 95%, e danneggiato gravemente altre colture strategiche. Se consideriamo le stime nazionali del Piano di adattamento climatico, senza interventi concreti, il settore agroalimentare rischia perdite economiche annuali pari a 12,5 miliardi di euro entro il 2050.

Come si può affrontare questa emergenza? Quali soluzioni suggerisce?
Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici del 2023 individua 361 misure, di cui 28 dedicate all’agricoltura. Tuttavia, queste misure necessitano di attuazione immediata. Per adattarci ai nuovi scenari, è essenziale un cambio di paradigma: dobbiamo passare all’agroecologia, ridurre l’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici, e investire in pratiche sostenibili. La micro-irrigazione, ad esempio, è una soluzione efficace per ridurre lo spreco idrico, specialmente se combinata con l’uso di acque reflue depurate.

E per quanto riguarda il consumo di suolo, un altro tema critico?
Una legge contro il consumo di suolo è indispensabile. In Puglia, la pressione sulle aree agricole è forte, ma dobbiamo proteggere i terreni coltivabili e promuovere sistemi di agroforestazione, che combinano alberi e colture per migliorare la resilienza ai cambiamenti climatici. È importante anche ridurre il carico zootecnico, una delle principali fonti di emissioni di gas serra.

Quale ruolo possono giocare le tecnologie e la ricerca in questo processo di adattamento?
Le tecnologie moderne offrono strumenti cruciali per monitorare e mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Non si tratta di massimizzare le produzioni, ma di ridurre gli input negativi, ottimizzando l’uso delle risorse e supportando gli agricoltori con dati e modelli predittivi. Anche la promozione del biologico, incentivandone l’adozione nelle mense scolastiche o negli ospedali, può contribuire a un’agricoltura più sostenibile.

Ci sono altre strategie a cui pensa per rilanciare l’agricoltura pugliese?
Un aspetto da non sottovalutare è il rilancio dell’occupazione agricola, oggi limitata a un milione di occupati in tutta Italia. Favorire il lavoro in agricoltura, soprattutto nelle aree interne e nelle zone colpite da eventi estremi, può contribuire a ricostruire il tessuto economico e sociale. Inoltre, dovremmo rivalutare le colture tradizionali in base alla loro resilienza climatica, magari spostandole in aree più alte o meno soggette a condizioni climatiche avverse.

In conclusione, qual è la priorità assoluta per il futuro?
La priorità è agire subito, senza rimandare. Il cambiamento climatico non aspetta, e ogni ritardo costa caro in termini di vite umane, economia e ambiente. Implementare il Piano di adattamento, proteggere il nostro suolo, investire in sostenibilità e tecnologie sono passi fondamentali per garantire un futuro all’agricoltura pugliese e all’intero Paese. La consapevolezza è alta, ora servono azioni concrete.

Grazie, Dott. Bruno, per il suo contributo prezioso.
Grazie a voi per l’attenzione su un tema così cruciale.



Come sta andando la Puglia nella lotta al cambiamento climatico? Dal database CIRO una panoramica delle performance aggiornate della regione, con punti di forza e fronti su cui migliorare.

EMISSIONI: la Puglia registra emissioni pro capite più alte della media nazionale, soprattutto per via delle alte emissioni industriali; anche gli assorbimenti naturali non sono alti in rapporto alla superficie della Regione. 

ENERGIA: i consumi di energia pro-capite della Puglia sono fra i più bassi del Paese e il mix energetico si discosta particolarmente dalla media nazionale, soprattutto per gli alti consumi di carbone. 

RINNOVABILI: la Puglia è la seconda regione italiana per kW installati nel 2022 con 17,8 kW pro capite (contro una media nazionale di 10,2); tuttavia la quota di rinnovabili è ancora leggermente inferiore alla media nazionale.  

TRASPORTI: la Puglia presenta performance abbastanza positive per quanto riguarda il settore dei trasporti, come testimoniato dalle basse emissioni settoriali pro-capite e da uno dei tassi di motorizzazione più bassi del Paese; per quanto riguarda le auto elettriche, la quota sulle immatricolazioni nel 2022 è stata inferiore alla media nazionale, così come anche il numero di passeggeri in rapporto alla popolazione trasportati dal trasporto pubblico locale. 

EDIFICI: la performance del settore degli edifici in Puglia è molto positiva, sia in termini di efficienza generale dei consumi delle abitazioni (201 kWh/mq, contro una media nazionale di 227) che di emissioni settoriali pro-capite e di quota di consumi elettrici (pari al 30%); meno positivi invece i risultati sulla quota di edifici in classe A.  


Fonte: https://italyforclimate.org/puglia-le-performance-per-contrastare-il-cambiamento-climatico/ 

giovedì 21 novembre 2024

L'inerzia dell'applicazione pratica: il caso Xylella e il paradigma neoliberista

 


L'inerzia dell'applicazione pratica: il caso Xylella e il paradigma neoliberista 

di Antonio Bruno

Nel 1747, il medico britannico James Lind dimostrò con il primo esperimento clinico controllato che lo scorbuto, malattia devastante che affliggeva i marinai, poteva essere prevenuto consumando agrumi, ricchi di vitamina C. Nonostante l’evidenza scientifica, la Royal Navy impiegò quasi mezzo secolo per adottare sistematicamente il succo di lime, perdendo migliaia di vite a causa di scetticismo e inerzia. Questo episodio storico illustra come la scienza, priva di un’efficace applicazione pratica, rimanga sterile.

Oggi, il dramma si ripete con la diffusione della Xylella fastidiosa, il batterio killer degli ulivi che minaccia il paesaggio agrario della Puglia. La lotta contro questa emergenza ha prodotto un impressionante sforzo scientifico, con 15 progetti di ricerca in corso e un investimento di 50 milioni di euro da parte di governi e istituzioni europee. Tra le iniziative emergono studi su cultivar resistenti, metodi di controllo del batterio e degli insetti vettori, nonché nuove tecniche di diagnosi. Tuttavia, questo impegno rischia di essere vano senza un’effettiva traduzione sul campo.

Xylella: scienza senza governance

Il monitoraggio in Puglia rappresenta un’eccellenza mondiale, analizzando oltre 100.000 campioni all’anno. Tuttavia, l’assenza di una cabina di regia nazionale, capace di coordinare le varie attività di ricerca, ostacola l’efficacia delle azioni. Inoltre, come emerso in una recente audizione alla Commissione Agricoltura della Camera dei deputati, il batterio continua ad avanzare, complice l’inerzia climatica e istituzionale. Mentre gli scienziati propongono misure pratiche, come l’utilizzo di varietà resistenti attraverso sovrainnesti, l’implementazione su larga scala rimane frammentaria.

Nella Piana degli Ulivi Monumentali, patrimonio unico che si estende da Carovigno a Polignano a Mare, l’avanzata del batterio è meno rapida rispetto al basso Salento, ma non per questo meno allarmante. Il mancato intervento tempestivo potrebbe tradursi in una perdita irrimediabile di questo paesaggio iconico.

Il fallimento del neoliberismo agrario

Il caso della Xylella dimostra l’inadeguatezza di un approccio neoliberista al paesaggio agrario, dove la competizione tra soggetti privati e la delega esclusiva ai singoli imprenditori agricoli non garantiscono soluzioni efficaci. Come accaduto per la Royal Navy nel XVIII secolo, anche oggi l’assenza di un intervento centralizzato e coordinato comporta il rischio di sacrificare intere economie locali e patrimoni culturali sull’altare dell’inerzia politica e della frammentazione.

L’agricoltura pugliese, e in particolare il suo paesaggio, è un bene collettivo che va preservato non solo per ragioni economiche, ma anche culturali ed ecologiche. Questo obiettivo richiede un approccio integrato e pubblico, che solo lo Stato può garantire. Serve un Ente apposito, con risorse adeguate e una visione strategica, per salvaguardare un patrimonio che appartiene a tutti noi.

Conclusione

La lezione di James Lind e dello scorbuto, così come quella odierna della Xylella fastidiosa, ci ricorda che la scienza, da sola, non basta. Il neoliberismo, con la sua fede nella gestione privata, non può rispondere a emergenze collettive come quelle del paesaggio agrario. È tempo che lo Stato torni a essere protagonista, istituendo un Ente dedicato alla protezione del nostro patrimonio agricolo, per garantire un futuro sostenibile e condiviso.

mercoledì 20 novembre 2024

Giornata degli Alberi 2024

 


Giornata degli Alberi 2024

Tre giorni di eventi per celebrare il verde

Il Coordinamento per gli Alberi e il Verde Urbano di Lecce, in occasione della Giornata Nazionale degli Alberi, organizza Talee 2024, un’iniziativa già alla terza edizione, che ha ricevuto il Patrocinio del Comune di Lecce e la collaborazione del Polo Biblio-museale di Lecce, dedicata agli alberi in città, che si svolgerà a Lecce con tre appuntamenti per divulgare nuove conoscenze e prassi per la gestione del rischio arboreo, far conoscere le diverse specie botaniche esistenti e le loro capacità di adattamento e resilienza in ambiente urbano e, in ultimo, per diffondere la cultura ecologista e le prassi e politiche necessarie per l’ambiente e la società umana.

Oggi 21 novembre 2024 dalle 11 alle 12.30, viale San Nicola (nei pressi di Porta Napoli), la dimostrazione di valutazione del rischio arboreo e divulgazione del Protocollo Areté, metodo per indagare il Sistema Albero nella sua complessità. Questo evento, aperto come i seguenti a tutta la cittadinanza, è dedicato anche al personale tecnico dell’Amministrazione Comunale e a tutti i professionisti interessati al tema della gestione degli alberi in città.

Domenica 24 novembre, dalle 10 alle 12, passeggiata botanica itinerante da Porta Napoli al giardino delle Mura Urbiche - aperto per l’occasione - attraverso i parchi arborei del Circolo tennis “Mario Stasi” e dell’area c.d. “ex Carlo Pranzo”. La passeggiata sarà un’occasione di conoscenza di alcune specie botaniche esistenti e delle loro strategie di adattamento e resilienza in ambiente urbano e si articolerà in momenti divulgativi alternati a letture e accompagnamenti musicali. Mercoledì 4 dicembre, infine, dalle 18 alle 20, presso la Biblioteca Bernardini, ex Convitto Palmieri, presentazione del libro “Le parole giuste. Glossario ecologista”, una collettanea a cura di A Sud, edita da Fandango editore. La presentazione ha l’obiettivo di divulgare conoscenze e strumenti indispensabili per la partecipazione dei cittadini al dibattito e alle scelte su ambiente ed ecologia.

Città più ’green’ : "Così si riduce il rischio di danni alluvionali"

Le piante in città: benefici ambientali, gestione sostenibile e risparmio energetico. Intervista a Francesco Ferrini sull'importanza del verde urbano per migliorare la qualità della vita e contrastare il dissesto idrogeologico.


Un mondo più verde per migliorare la vivibilità delle città e favorire il risparmio energetico. Le piante possono contribuire non poco alla qualità della vita dei centri urbani. Ne abbiamo parlato con Francesco Ferrini, docente di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree presso il Dipartimento di Scienze e tecnologie agrarie, alimentari, ambientali e forestali (Dagri) dell’Università di Firenze e presidente del Distretto Vivaistico Ornamentale di Pistoia.
Quali sono gli effetti delle piante nei centri abitati?
"Oltre a sottrarre anidride carbonica e rilasciare ossigeno, le piante contribuiscono a ridurre l’inquinamento atmosferico, mitigano l’effetto "isola di calore" rendendo l’ambiente più confortevole durante l’estate. Inoltre, aiutano a trattenere l’acqua piovana, riducendo il rischio di allagamenti. Non secondari sono gli effetti su salute e benessere mentale. Dal punto di vista psicologico, il verde riduce lo stress e favorisce l’interazione sociale, migliorando il senso di comunità e la qualità della vita urbana".
Qual è il giusto approccio per gestire il verde in città? E quanti alberi servono?
"Occorre un approccio integrato e sostenibile, tenendo conto sia dei benefici ambientali che delle esigenze della comunità. Questo implica una pianificazione a lungo termine, con la scelta di specie vegetali non solo autoctone, ma soprattutto in grado di far fronte ai cambiamenti climatici, l’adozione di tecniche di gestione ecologiche e l’implementazione di spazi verdi accessibili a tutti. È essenziale coinvolgere i cittadini nella cura del verde, creando un senso di responsabilità collettiva. L’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda almeno 9 mq di verde urbano per abitante, e uno studio dell’Onu suggerisce di piantare almeno un albero per ogni tre abitanti. Un parametro attualmente considerato è il 30% almeno di copertura arborea, percentuale che pochissime città italiane possono raggiungere".
Le piante possono contribuire a limitare il dissesto idrogeologico?
"Svolgono un ruolo cruciale nella prevenzione e limitazione del dissesto idrogeologico. Le radici stabilizzano il suolo, riducendo l’erosione. Le radici trattengono il terreno, migliorandone la struttura e riducendo la possibilità che piogge intense provochino cedimenti. Inoltre, gli alberi intercettano grandi quantità di acqua piovana con le chiome e attraverso le radici, rallentando il flusso superficiale dell’acqua. La chioma aiuta anche a disperdere la forza delle precipitazioni, riducendo il rischio di erosione. In aree collinari e montuose, dove il dissesto idrogeologico è comune, la presenza di vegetazione è essenziale per mitigare questi rischi. La riforestazione e la corretta gestione del verde possono quindi contribuire significativamente alla riduzione dei fenomeni di dissesto, migliorando la capacità di assorbimento del terreno e la sua stabilità".
Alberi ed energia: quali legami ci sono?
"Le piante convertono l’energia solare in energia chimica, immagazzinata sotto forma di zuccheri. E questa capacità è alla base di molte fonti energetiche rinnovabili. Poi le piante possono essere utilizzate per produrre energia rinnovabile. Biomasse vegetali, come legna, scarti agricoli e colture dedicate (mais, canna da zucchero), vengono trasformate in biocarburanti (bioetanolo, biodiesel) o utilizzate direttamente per produrre calore ed elettricità. A questo si aggiunge il loro uso come isolanti naturali: la vegetazione urbana, come tetti e pareti verdi, riduce il consumo energetico degli edifici".
L’uso delle piante può quindi contribuire al risparmio energetico?
"Certamente, soprattutto in contesti urbani. Ad esempio, alberi e vegetazione ben posizionati possono ridurre la necessità di condizionamento durante i mesi estivi, abbassando il consumo energetico. Le coperture vegetali sugli edifici (tetti e pareti verdi) agiscono come isolanti termici, riducendo la dispersione di calore in inverno e mantenendo gli edifici freschi d’estate. Questo migliora l’efficienza energetica, riducendo il bisogno di riscaldamento e raffreddamento. Alberi e siepi possono fungere da barriere naturali contro il vento, proteggendo edifici e spazi aperti. Riducendo la velocità del vento, aiutano a diminuire la dispersione termica degli edifici e quindi la richiesta energetica per il riscaldamento. In sintesi, la corretta gestione del verde urbano e l’uso strategico delle piante non solo migliorano l’efficienza energetica degli edifici, ma contribuiscono anche a rendere le città più sostenibili e vivibili".

fonte: https://www.quotidiano.net/speciali/energia/citta-piu-green-cosi-a8fbd5b5?fbclid=IwY2xjawGrvLlleHRuA2FlbQIxMAABHX6XCT-iDpSY434hyDp_LKMYYjoW-XXBDwFlvmtA5FvCmrzXmr4nfrcGFA_aem_c71EKM97Y2DHW99r3D-WHg&live