L'inerzia dell'applicazione pratica: il caso Xylella e il paradigma neoliberista
di Antonio Bruno
Nel 1747, il medico britannico James Lind dimostrò con il primo esperimento clinico controllato che lo scorbuto, malattia devastante che affliggeva i marinai, poteva essere prevenuto consumando agrumi, ricchi di vitamina C. Nonostante l’evidenza scientifica, la Royal Navy impiegò quasi mezzo secolo per adottare sistematicamente il succo di lime, perdendo migliaia di vite a causa di scetticismo e inerzia. Questo episodio storico illustra come la scienza, priva di un’efficace applicazione pratica, rimanga sterile.
Oggi, il dramma si ripete con la diffusione della Xylella fastidiosa, il batterio killer degli ulivi che minaccia il paesaggio agrario della Puglia. La lotta contro questa emergenza ha prodotto un impressionante sforzo scientifico, con 15 progetti di ricerca in corso e un investimento di 50 milioni di euro da parte di governi e istituzioni europee. Tra le iniziative emergono studi su cultivar resistenti, metodi di controllo del batterio e degli insetti vettori, nonché nuove tecniche di diagnosi. Tuttavia, questo impegno rischia di essere vano senza un’effettiva traduzione sul campo.
Xylella: scienza senza governance
Il monitoraggio in Puglia rappresenta un’eccellenza mondiale, analizzando oltre 100.000 campioni all’anno. Tuttavia, l’assenza di una cabina di regia nazionale, capace di coordinare le varie attività di ricerca, ostacola l’efficacia delle azioni. Inoltre, come emerso in una recente audizione alla Commissione Agricoltura della Camera dei deputati, il batterio continua ad avanzare, complice l’inerzia climatica e istituzionale. Mentre gli scienziati propongono misure pratiche, come l’utilizzo di varietà resistenti attraverso sovrainnesti, l’implementazione su larga scala rimane frammentaria.
Nella Piana degli Ulivi Monumentali, patrimonio unico che si estende da Carovigno a Polignano a Mare, l’avanzata del batterio è meno rapida rispetto al basso Salento, ma non per questo meno allarmante. Il mancato intervento tempestivo potrebbe tradursi in una perdita irrimediabile di questo paesaggio iconico.
Il fallimento del neoliberismo agrario
Il caso della Xylella dimostra l’inadeguatezza di un approccio neoliberista al paesaggio agrario, dove la competizione tra soggetti privati e la delega esclusiva ai singoli imprenditori agricoli non garantiscono soluzioni efficaci. Come accaduto per la Royal Navy nel XVIII secolo, anche oggi l’assenza di un intervento centralizzato e coordinato comporta il rischio di sacrificare intere economie locali e patrimoni culturali sull’altare dell’inerzia politica e della frammentazione.
L’agricoltura pugliese, e in particolare il suo paesaggio, è un bene collettivo che va preservato non solo per ragioni economiche, ma anche culturali ed ecologiche. Questo obiettivo richiede un approccio integrato e pubblico, che solo lo Stato può garantire. Serve un Ente apposito, con risorse adeguate e una visione strategica, per salvaguardare un patrimonio che appartiene a tutti noi.
Conclusione
La lezione di James Lind e dello scorbuto, così come quella odierna della Xylella fastidiosa, ci ricorda che la scienza, da sola, non basta. Il neoliberismo, con la sua fede nella gestione privata, non può rispondere a emergenze collettive come quelle del paesaggio agrario. È tempo che lo Stato torni a essere protagonista, istituendo un Ente dedicato alla protezione del nostro patrimonio agricolo, per garantire un futuro sostenibile e condiviso.
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