Illustrazione: Giornalino (Il) della Domenica, Direttore Luigi Bertelli (Vamba). Anno IV, n. 9. Firenze, 28 febbraio 1909.
Il mese di febbraio per queste province è uno dei più rigidi
dell'anno, come prova la statistica metereologica e illustrano alcune credenze
del popolo, le quali hanno, com'è noto, un fondamento pratico, dovuto alla
lunga prova e riprova di un dato fenomeno. Senza fermarmi in considerazioni
demologiche (*) generali, dirò che in gran parte questo mese non gode buona fama
presso il popolo, il quale, quantunque dica: Acqua de febbraru inche la
ranaru, pure mostra di non aver molta fiducia in esso. Un indizio se il
tempo si rimette al buono si può trarre, secondo il popolo, notando ciò che fa
il lupo il giorno 2 del mese. Il lupo esce allora dal suo nascondiglio e guarda
il tempo: se questo è cattivo, esso disfà il suo letto di strame (se
sconza la lettéra) prognosticando che in seguito la stagione continuerà
mite; se poi è bella giornata, esso torna a rifarsi il letto (se la
cconza), prevedendo che vi saranno ancora per un pezzo i rigori del
verno, concetto che il popolo esprime nel detto: Candelora chiara, la
lupa se spreca la tana (si prepara la tana). Il tempo, dunque, secondo
tale credenza potrebbe cominciare a divenir mite e buono, il che si vedrebbe
proprio da quel giorno, il giorno della Candelaia o Candelora come si dice in
dialetto, epoca, che, secondo un'altra credenza, segna il principio della
incubazione dei volatili : De la Candelora — ogne aceddrhu fa la coa (la
cova o, come dice una variante, hae oe —ha uova), proverbio che
corrisponde al A francese: la
Chandeleur-les yrandes dou-leurs, che non manca del solito spirito gallico.
Altro proverbio che accenna questo carattere dubbio del
mese, è quello che suona : Se Febbraru nu febbrariscia, Marzu male penza
che corrisponde al toscano: « Se febbraio non febbreggia, marzo cam-peggia
», il che vuol dire che febbraio dev'essere freddo, piovoso, brumale, chè, se
sarà mite, marzo, il quale del resto è d'infamato nome e d'ordinario non è mai
buono, sarà cattivo.
Si noti, qui di passaggio, la bellezza del verbo febbrarisciare,
il quale significa: «seguire l'indole e il carattere suo proprio, detto del
mese di febbraio». Allo stesso modo diciamo: Se scennaru nu scennariscia
, ecc. — il Calabrese ha pure febbrareggia, noi diciamo ancora marzu
marziscia, che corrisponde al siciliano marzo marzìa; anche il
provenzale ha il verbo febrerare e su questo conio, cioè su quello di trarre
dal nome del mese un verbo, il toscano foggia febbreggiare e marzeggiare, poco
usati in lingua.
Il carattere dubbio e incostante del mese, del resto, viene
dichiarato da altri dicteria, poiché il popolo dice ancora: Febbraru: mienzu
duce e mienzu maru, e altresì: De la Candelora—la ernata è fora. Tale
proverbio anzi è ricordato anche cosi: De la Candelora—la ernata è fora,
e se chioe acqua menuta, l'ernata fore è 'suta. Pero un'altra aggiunta
al primo verso dice; se la sai bene cuntare—c'è nu buenu quarantenale;
cioè; se sai bene contare quanto deve durare l'inverno, ce n'è per un'altra
quarantina di giorni.
Un altro detto conferma tale carattere del mese; esso dice: O
ca au o ca egnu —capu de state e cuda de jernu, oppure: capu de state
sempre me tegnu (mi chiamo) e l'equinozio, che si fa cadere al 25 del
mese, ne sarebbe una comprova: De santu Mattia—quantu la notte tanta la
dia. Se non che invece di « Mattia » che cade in quel giorno, credo che
si voglia parlare di « Matteo », forse accomodato per la rima o forse confuso
per affinità di parola, e che ricorre il 21 settembre: il detto alluderebbe
così all'equinozio di autunno; e credo ciò anche perché il popolo in varii
proverbi, che qui non è il caso di citare, mostra di avere cognizione esatta
tanto degli equinozi che dei solstizi.
Oltre di questi proverbi, il popolo ne ha altri che
attribuiscono al mese un carattere assolutamente cattivo. Febbraru — dice
un proverbio — curtu e maru; un altro: Febbraru è mulu, perché
non è figlio legittimo dell'anno, come gli altri mesi, avendo esso ventotto
giorni, e perché « tira sempre calci », per dirla con frase volgare, cioè: è
freddo e tempestoso anch'esso, anzi tanto è freddo, giunge a dire il popolo in
un altro proverbio, che se li giurni soi li aìa tutti — facìa quagghia lu
mieru intra le utti, farebbe coagulare il vino! Tale carattere mi sembra
sia il vero del mese, il quale, come dicevo a principio, per queste regioni è
davvero uno dei mesi più freddi, se non il più freddo, dell'anno. E sì che esso
non ha tutti i giorni che, come gli altri mesi, dovrebbe avere, e che è mulu,
o, come pur si dice, è muzzu, è mozzo!
Ma come va che febbraio è il più corto mese dell'anno?
Tale domanda ha dovuto il popolo rivolgere a sé stesso, e
per spiegarsi la cosa ha creato questo racconto.
Una vecchia pastora, negli ultimi giorni di gennaio,
credendo che il tempo cattivo fosse terminato, trasse fuori a pascolare il suo
gregge, esclamando tutta allegra:
Alla facce de scennaru e de febbraru, le pecureddhe
mei tutte alla atu;
l'ultimo verso ha questa variante:
le pecureddrhe mei le le tegnu paru, volendo dire con
ciò che il freddo non gliele aveva decimate.
Indispettito Gennaio, che allora aveva ventotto
giorni, corse dal fratello Febbraio che ne aveva trentuno, e gli chiese alcuni
giorni in prestito per vendicarsi della vecchia insolente, dicendogli:
Uei me dài do' tre giurni te li toi, quantu bidi a sta
ecchia cee ni fazzu?
— E quando me
li restituirai? — domandò Febbraio che era pur disposto a darglieli essendo
anche lui stato offeso dalla vecchia.
— Mai gli rispose Gennaio.
Il povero Febbraio udì crai (domani) invece di mai e
non trovò alcuna difficoltà ad accontentare il fratello.
Allora in quei tre giorni Gennaio tirò fuori tanto
freddo e vento, tanta pioggia e neve, che le pecore della vecchia morirono
quasi tutte assiderate, perché ne scamparono solo quelle che essa potè riparare
sotto la gonnella.
Ecco perché Febbraio conta ventotto giorni e gli
ultimi tre di Gennaio sogliono chiamarsi li giurni de la ecchia e sono perciò ventosi
e rigidi.
Queste leggenda, oltre ad avere varianti nella nostra stessa
provincia, é comune ad altre località; la trovo, per esempio, in Capitanata e
in Sicilia, dove si racconta. che Aprile impresta qualche giorno a Marzo, del
quale si vuol far risaltare la perfidia per il rincrudimento della stagione
solito a verificarsi in detto mese.
In Provenza si racconta qualche cosa di simile: la vecchia
insulta il mese di Febbraio diendo:
Adieu, Febriè ! 'Mè ta febrerado
m'as fa ni pèu ni pelado,
cioè: <<addio Febbraio! Coi tuoi freddi non mi hai
toccato nè pelo né pelle ».
Adirato Febbraio, s'imprestò tre giorni di Marzo e fece
morire le pecore della vecchia, la quale però comprò delle vacche e alla fine
del mese ripetè lo stesso insulto.
Marzo ferito dalle sue parole, si rivolse ad Aprile
chiedendogli tre giorni, che ebbe e con le brinate fece sciupar l'erba, e la
vecchia vide morire di nuovo le sue bestie.
Tutte queste leggende non fanno che confermare il fatto che
in febbraio e in marzo può incominciare la buona stagione, ma che d'ordinario
però l'inverno continua ancora crudo e inclemente. Venti, piogge, brinate, nevi
non ne mancano; ma quando noi abbiamo la, neve, la stagione è migliore di quella
in cui non si hanno, che piogge; il popolo lo sa per prova, poichè dice: Sutta
la nie, pane; sutta l'acqua fame, proverbio che ha la seguente
variante: Cu l'acqua fridda la fame; cu la nie rossa la pane ;
concetto questo che si conferma con altro detto: Chiange lu pecuraru quandu
fiocca, rite qiuandu se mangia la recotta ; cioè la neve apparentemente
sembra un danno, perocchè i raccolti saranno poi abbondanti, il che è provato
anche da ragioni scientifiche.
Lecce 25 febbraio 1909, FRANCESCO D' ELIA
(*) Demologia: Studio della cultura popolare. Il termine d.
viene utilizzato in alcune nazioni europee di lingua neolatina (per es.,
Francia, Spagna, Portogallo) in alternativa alla parola inglese folklore. In
Italia tale settore disciplinare è in buona parte coincidente con la storia
delle tradizioni popolari e con gli studi del folclore, ed è stato inteso anche
in senso peculiare come studio delle culture subalterne in quanto contrapposte
alla cultura egemonica.
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