Gli organismi viventi nascono, di norma, in un ambiente già
dato. Ambiente nel quale devono semplicemente trovare l’adattamento ottimale.
Ma gli stessi organismi, nel corso del tempo, interagiscono con l’ambiente che
propone istante dopo istante, delle perturbazioni che determinano nell’organismo
una trasformazione ed un adattamento. E questo adattamento agisce a sua volta
sull’ambiente che a sua volta di trasforma. Tutto questo fa dire che gli
organismi, istante dopo istante, imparano a sviluppare una strategia di
sopravvivenza inedita.
Il Mondo cambia e gli organismi viventi cambiano, cambiando
il Mondo attorno a sé, e in alcuni casi rendendolo migliore anche per gli
altri.
Un esempio è il castoro. Il castoro costruisce la propria
diga e così facendo modifica l’habitat che lo circonda, creando le condizioni
che consentono ad altre specie di vivere. Nel linguaggio tecnico diciamo che il
castoro è un costruttore di nicchie.
Nella condizione attuale del Salento leccese, potremmo
sostenere che i proprietari del Paesaggio Rurale del Salento leccese dovrebbero
essere come il castoro. Dovrebbero costruire nicchie.
Se fino ad oggi i proprietari del Paesaggio Rurale del
Salento leccese erano visti come complemento utile ma non necessario, leggerlo
attraverso la metafora del castoro permette di comprendere la sua capacità
generativa per l’intero ambiente che ci circonda.
Dal Settecento a oggi, ogni qual volta si è realizzata una
rivoluzione industriale questa ha determinato il passaggio di lavoratori e di coloro
che operavano in un certo settore ad un altro settore. La prima rivoluzione
industriale ha spinto alla fuoriuscita di forza lavoro dall’agricoltura alle
fabbriche. Il sovrappiù generato dalla rivoluzione industriale è andato così a
creare il secondario, ossia il settore industriale. La seconda rivoluzione
industriale, agli inizi del Novecento, ha invece creato il settore dei servizi,
il terziario. Oggi viviamo nel tempo di una nuova rivoluzione industriale e
dobbiamo chiederci dove finirà il sovrappiù sia di lavoro sia di produttività che
le nuove tecnologie del digitale e dell’intelligenza artificiale stanno per
determinare.
Dobbiamo chiederci dove andremo ad allocare questo sovrappiù
di forza lavoro e di produttività.
C’è chi avanza una prospettiva di neoconsumismo: si dovrebbe
spingere affinché questo sovrappiù diventi un volano per la domanda pagante,
con lo svantaggio di deumanizzare la società. Ci basta? Non credo proprio. C’è
infatti un’altra prospettiva che fa entrare in gioco il Paesaggio Rurale,
pensato come luogo che genera valore sociale nella forma di beni ambientali e
del cibo.
Proprio perché le nuove tecnologie consentono un avanzamento
rispetto ai bisogni elementari, dobbiamo usare questi avanzamenti per aumentare
la fruibilità di beni ambientali e del bene cibo.
Beni di cui c’è un bisogno estremo. Ma per far questo
torniamo al punto di partenza: ci vuole un soggetto capace di innovazione ambientale
ed alimentare e questo soggetto possono essere i proprietari del Paesaggio
Rurale del Salento leccese?
La mia risposta non può essere che negativa.
Gli imprenditori agricoli iscritti alla camera di Commercio di
Lecce sono circa seimila e solo mille di questi sono vere e proprie aziende che
producono per il mercato.
L’azione di questa Aziende agricole incide sul 20 o al
massimo 30 per cento dei 200mila ettari della Provincia di Lecce quindi su
40mila o al massimo 60 mila ettari. Ed i restanti 140mila ettari?
Come sappiamo tutti sono abbandonati perché i proprietari
hanno un’età che sfiora gli 80 anni oltre che per la dimensione della proprietà
che per il 60% non raggiunge l’ettaro e che nella stragrande maggioranza non
supera i due ettari e mezzo.
C’è chi afferma che la strada per questi ultimi sarebbe la
cooperazione. Francamente non credo che persone che sfiorano gli ottant’anni
abbiano tra le loro priorità quelle di costituire cooperative agricole.
Allora bisogna pensare in prospettiva. E soprattutto
dobbiamo cominciare a immaginare un Paesaggio Rurale che dia prosperità.
La prosperità deve essere inclusiva, non escludere. E
proprio le sfide della “Prosperità inclusiva” aprono quella dei beni comuni,
che comprende i digital commons, le piattaforme, le infrastrutture e le reti.
E se cominciassimo a pensare il Paesaggio Rurale del Salento
leccese nella sua qualità di bene comune? Ecco vi propongo di farlo, facciamo
questo gioco, ovvero pensiamo per un istante che il nostro Paesaggio Rurale non
è più proprietà di alcuni privati ma diventa un bene comune ovvero proprietà
della Comunità. E’ chiaro che subito vengono fuori delle domande.
Quale tipo di governance vogliamo dare a questi nuovi beni
comuni?
A tal riguardo, voglio fare riferimento alla Commissione
sulla Giustizia Economica ha diffuso un discussion paper titolato The Digital
Commonwealth. È un documento significativo, ma anche rivelatore.
Rivela che tutti avvertiamo l’esigenza di una governance per
i digital commons, ma su quale debba essere il modello di governance per
gestire i digital commons c’è ancora molta incertezza.
La mia proposta è che, su questo fronte, proprio i cittadini
del Salento leccese e le loro associazioni dovrebbero buttarsi a capofitto,
occupandosi della definizione di questa governance.
Un’altra area di costruzione di nicchia riguarda le
intelligenze artificiali. L’intelligenza artificiale, oggi, o è sviluppata in
una modalità market driven o in una modalità state driven: o è guidata dalla
logica del profitto o da una logica statale (il modello cinese, per
intenderci).
Per quanto riguarda il Paesaggio rurale secondo me la logica
del profitto che è stata applicata in tutti questi decenni non ha funzionato.
Basta fare una passeggiata nel nostro territorio per accorgercene.
Ieri ho avuto uno scambio di opinioni su questo che vorrei
riportare qui di seguito:
Antonio Bruno:
Dopo stasera (dopo l’esposizione della ricerca del collega
Donato Ratano presso Masseria Stali) sono convinto ancora di più che il
neoliberismo economico non può essere applicato al Paesaggio Agrario
Piero Triggiani:
Anche tu non puoi essere libero di girare con quella barba e
quei baffi.
Sembri uno del vecchio testamento.
Non puoi essere neo liberale.
Non puoi essere dei miei.
Antonio Bruno:
Non sia mai che io approvi una cultura che esclude, che si
fonda sugli standard delle Aziende. Io parto dal presupposto che IL CIBO E' UN
DIRITTO.
Piero Triggiani:
Esclude?
CREA
Si un diritto illimitato.
Antonio Bruno:
Guarda io penso che la squadra più importante è quella che
perde. E lo sai perché? Perché se una squadra non perde come fa un'altra
squadra a vincere?
Piero Triggiani:
Antonio Bruno tifoso del Lecce capisco.
Domani voglio un punto dalla tua squadra
Alessandro Panico:
Finalmente! Sono pienamente d'accordo!
Antonio Bruno:
Il Neoliberismo ha già prodotto come risultato l'abbandono
dei campi che sono nella maggior parte incolti o, nella migliore delle ipotesi
il Paesaggio è caratterizzato dall'incuria e dal pressapochismo. Le proposte
che ho ascoltato non mi convincono. È da decenni che si attuano e il risultato
è quello che abbiamo tutti sotto gli occhi.
Mille persone che fanno gli Imprenditori Agricoli in
Provincia di Lecce che invece è popolata da poco più di 800mila persone. Ma
anche se fossero i 6mila iscritti alla Camera di Commercio, sarebbero sempre
una piccolissima, infinitesima e insignificante parte della popolazione della
Provincia. Se li mettessimo tutti insieme sarebbero poco meno degli abitanti
del Comune di Alliste.
Come fanno 6mila persone a gestire 180mila ettari?
Donato Caroppo:
Tutti vogliono vendere e nessuno produce
Antonio Bruno:
Giusto Donato Caroppo, questo è il problema della
concorrenza e della rivalità che è propria del liberismo economico
Donato Caroppo:
Preferisco i mille che i Benetton
Antonio Bruno:
Anch'io preferisco i mille. Ma i mille non sono riusciti a
coltivare tutti quegli ettari di terreno abbandonato. I mille non sono riusciti
a fare in modo di avere un Paesaggio non trascurato. Hanno curato gli ettari di
loro proprietà. Quanti? Un terzo del totale. E i due terzi? Quelli fatti da
tanti pezzettini microscopici? Per quelli tutti di proprietà di vecchietti di
80 anni non hanno potuto fare nulla.
Donato Caroppo:
Sono pagati per non produrre
Antonio Bruno:
Caro Donato Caroppo lo sappiamo. Quindi lo Stato comunque ha
una spesa. Pensa che la spesa dell'Agricoltura è quella più consistente
dell'Unione Europea. Ecco perché è bene che ci siano tecnici e salariati pagati
dalla Collettività, da tutti noi, che si prendono cura del paesaggio agrario
producendo cibo che sarà dato in cambio ai cittadini.
In questo modo si dà lavoro pagato a norma del contratto
collettivo e nello stesso tempo si ottiene un Paesaggio Agrario ben curato e
sano oltre che cibo italiano da dare agli italiani.
Ma per fare tutto questo il CIBO DEVE ESSERE UN DIRITTO PER
TUTTI E NON UN BENE ECONOMICO SUGLI SCAFFALI DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE
ORGANIZZATA CHE PAGA A PREZZI STRACCIATI IL CIBO AGLI AGRICOLTORI. Per questo tutti
vogliono vendere e nessuno vuole produrre.
Sandro Montagna:
Una su mille la dici giusta....perche' il resto?
Antonio Bruno:
Sandro Montagna secondo me il Neoliberismo economico NON
E'UMANO perché esclude.
Sandro Montagna:
Antonio Bruno stai parlando con un Sovranista che non compra
dai Supermercati
Angelo Perniola:
Non deve essere applicato a nulla(riferendosi al
neoliberismo economico). Male supremo
Domande cruciali, che attendono risposte.
Attendono risposte perché hanno oggi bisogno costitutivo di
un’etica. Ma di un’etica nuova.
La mia tesi è che non è possibile affidarsi al mercato per
il bene comune “Paesaggio Rurale del Salento leccese”.
Ci vuole un castoro Ente Pubblico che produca esternalità ambientali, culturali, turistiche e cibo per tutta la comunità.
L’immagine del castoro rende bene l’idea del passo che
dovremmo fare: il castoro crea la diga, la diga crea un ecosistema e in
quell’ecosistema vivono specie che prima non vivevano.
Il castoro produce esternalità positive a favore della
biodiversità. Senza nulla togliere ai compiti “tradizionali”, che devono
continuare, oggi il mondo dell’Agricoltura del Salento leccese non è in grado
di mettere in atto un agire per ottenere il perfezionamento o l’ottimizzazione
di ciò che ha fatto sinora. Se ci limitiamo a razionalizzare l’esistente crolla
l’innovazione sociale.
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