E’ da 400 milioni di anni che l’uomo è in pratica una
struttura aperta infatti sia le piante che sono arrivate per prime che gli
animali che sono arrivati dopo e quindi, infine, l’uomo vivono interagendo gli
uni con gli altri e con tutto attraverso una flora microbica che vive assieme a
tutti gli organismi vegetali, animali e uomo.
Ognuno di noi, ogni essere umano, ha 2 chili di
microorganismi e ogni grammo contiene 100 milioni di organismi diversi.
Ognuno di noi è una struttura aperta che interagisce con la
natura.
Il rapporto pianta suolo è fondamentale e la pianta non vive
senza la microbiologia della radice ovvero non vive senza i microbi che
stanno sulla radice.
Se ripristiniamo la microflora del suolo a contatto con la
radice della pianta otteniamo una agricoltura che avrà piante che possono
vegetare con meno cure di quante sono necessarie oggi. In definitiva questa agricoltura non
necessita di prodotti chimici per la cura e produce un frutto migliore dal
punto di vista del gusto e dell’effetto salutare nel corpo degli uomini e
degli animali che se ne nutrono.
Il caso del vitigno è emblematico. Lo stesso vitigno se
messo in terreni diversi da vini diversi. La stessa pianta di vite in piemonte
produce 35 vini diversi.
Perché con la stessa pianta produco 35 vini diversi?
Perché se metto un peperone ad Acaya ecco che ho il peperone
di Acaya e se, invece, metto la stessa varietà di peperone a Strudà la pianta non mi da più il
peperone di Acaya?
La stessa pianta di peperone da peperoni di sapore diverso a
seconda di dove questa pianta è coltivata, ovvero a seconda del suolo.
A Zollino si producono dei meravigliosi legumi, la
Fava e il Pisello di Zollino ma sono ottimi anche i fagioli che si producono in
quei terreni, le civaie di Zollino sono così buone e non hanno pari in
tutta la Puglia perché in quei terreni ci sono microbi particolari, si dice che
c’è una particolare microbiologia del suolo.
I microbi sono sessili, non si muovono, sono fermi li e si
possono eliminare solo uccidendoli. In
quei luoghi i microbi, insieme alla radice della pianta producono un effetto
molto avanzato di ingegneria genetica che oggi chiamiamo epigenetica. I Microorganismi producono
un cambiamento dell’espressione genica della pianta. I microorganismi leggono
un pezzo di quel Dna che viene chiamato spazzatura, invece di leggere un altro
pezzo di Dna e quindi interpretano il Dna della pianta in un certo modo invece
di interpretarlo in un altro.
Ecco perché la stessa pianta si pisello a Zollino produce un
certo aroma invece di un altro. In effetti la natura effettua una operazione di
alta ingegneria genetica che oggi noi chiamiamo epigenetica.
Si tratta di recuperare queste conoscenze anche alla luce
delle nostre aumentate capacità di distinguere un batterio dall’altro infatti
siamo in grado di leggere il Dna e distinguere microorganismi che ieri erano
sconosciuti.
Tale metodica fu ideata nel 1983 da Kary B. Mullis il quale ottenne, per questo, il Premio Nobel per la chimica (1993).
In funzione di questo oggi sappiamo che a secondo del microorganismo presente sulla radice possiamo avere un effetto invece di un altro e quindi possiamo avere una qualità del prodotto anzicchè un altra.
Tutto questo per chi come me ha una esperienza dell’agricoltura degli anni 50 – 60 è scontato perché i contadini sapevano benissimo che la qualità del prodotto era legata alla microbiologia di quel suolo. Ciò va in senso TOTALMENTE OPPOSTO A CIO’ CHE SI METTE IN ATTO OGGI OVVERO LA COLTURA IDROPONICA FUORI SUOLO.
La coltivazione degli ortaggi che acquistiamo dalla GDO non avviene più nel terreno ma avviene su un substrato inerte, lana di roccia, quella con cui si faceva l’isolamento dei muri per evitare che le radice delle piante entrino in contatto con il terreno.
Tutto questo è perché gli agricoltori moderni considerano il terreno come un potenziale pericolo in quanto è li, nel suolo, che può annidarsi un eventuale microorganismo patogeno.
Tutta la coltivazione del Nord Europa, della Francia del Belgio ma anche in una parte cospicua del Nord Italia è fatta in serre su materiale inerte che viene detto FUORI SUOLO.
In queste serre viene realizzato un ambiente sterile e CHI DOVESSE AVVENTURARSI IN in queste serre PER ACCEDERVI DEVE INDOSSARE un camice bianco, la cuffia per coprire i capelli e sopra le scarpe le soprascarpe di cotone.
In effetti è un po’ come entrare in una camera sterile. Il tutto perché la coltivazione effettuata in questo modo è informata dal pericolo che qualche microorganismo possa inquinare la serra.
Questa che ho descritto è la realtà agricola che oggi viene ritenuta più avanzata dal punto di vista tecnologico.
Quello che in questa nota sostengo è la necessità di recuperare il rapporto suolo – pianta mettendo a contatto delle radici i microorganismi che sono utili alla sviluppo dell’ecosistema suolo.
Si è scoperto che gli antiossidanti presenti sulla mela, sul pomodoro o sul peperone coltivati sul suolo pieno di microorganismi sono di gran lunga superiori rispetto alla quantità di antiossidanti delle stesse piante coltivate FUORI SUOLO.
Questo dimostra che la chimica non consente alla pianta l’espressione genetica o epigenetica adatta per cui ciò che si produce in serra è sempre e comunque un prodotto di seconda scelta.
In pratica quel prodotto sarà bello dal punto di vista estetico ma se si va ad analizzare le qualità del contenuto in sostanze che fanno bene si dovrà prendere atto che il prodotto in serra è molto povero di sostanze che fanno bene alla salute questo perché la sua genetica (epigenetica) è diversa.
Recuperare il contatto radice suolo significa recuperare la biodiversità, la diversità della qualità che è parte integrante della produzione di qualità italiana e dei prodotti tipici e quindi recuperare anche un rapporto con il territorio.
Tanto per essere concreti ciò che distingue il prodotto di un territorio non è LA LANA DI ROCCIA DEL FUORI SUOLO, ma la composizione dell’ecosistema dei microorganismi del nostro suolo.
La diversità altimetrica, di latitudini, di temperature ed esposizione del territorio italiano da la possibilità di avere centinaia di suoli con contenuti tipici di microorgamnismi che danno prodotti tipici di quel territorio a patto che le piante siano a contatto con quei microorganismi che fanno esprimere quel Dna con l’epigenetica.
Quindi la diversità dei sapori che rendono il prodotto tipico è legata alla biodiversità dei microorganismi del terreno che attivano quel pezzo di Dna in quella pianta processo che noi chiamiamo epigenetica.
Oggi siamo in possesso di una biotecnologia innovativa in agricoltura che permette su una pianta come ad esempio il Mais applicando un consorzio microbiologico al momento della semina di 15 chili per ettaro, di ottenere una produzione del 12 – 30 % più alta rispetto agli stessi ibridi coltivati senza il consorzio microbiologico.
Tutto questo grazie al recupero di una sanità del sistema pianta suolo.
Alcune malattie come la flavescenza dorata potrebbero essere affrontate in questo modo ovvero partendo dalla sanità della radice.
Grazie a questa tecnologia dei consorzi di microorganismi si può aumentare di molto la qualità del prodotto finale che può essere misurata ed è quindi un dato scientifico analitico, si possono diminuire di molto le esigenze nutrizionali dal punto di vista chimico della pianta perché la pianta funziona meglio; ma la cosa più importante è che, in questo modo, possiamo diminuire le esigenze di difesa della pianta perché quest’ultima si difende molto meglio oltre a recuperare la tipicità dei prodotti in funzione della natura e diversità dei suoli perché il pomodoro prodotto su lana di roccia nel Salento non sarà diverso da quello prodotto dagli olandesi.
Nessun commento:
Posta un commento