lunedì 14 ottobre 2024

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno: Biodiversità Agricola e Sostenibilità

 


Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno: Biodiversità Agricola e Sostenibilità

Intervistatore: Dottor Bruno, può darci un quadro generale sulla biodiversità agricola e sull'uso delle specie vegetali nel mondo?

Dott. Antonio Bruno: Certamente. I ricercatori stimano che nel pianeta ci siano circa 250.000-300.000 specie di piante superiori, cioè piante vascolari. Di queste, circa 7.000 specie sono utilizzate per scopi alimentari. Tuttavia, nonostante questa ricchezza, ci concentriamo su un numero estremamente ridotto di specie per soddisfare il nostro fabbisogno calorico. In effetti, il 50% delle calorie che consumiamo a livello globale deriva solo da tre colture: grano, riso e mais. Aggiungendo altre nove colture, arriviamo a un totale di dodici specie che soddisfano la maggior parte delle nostre necessità alimentari.

Intervistatore: Questo sembra un numero molto ridotto di specie utilizzate rispetto alla biodiversità disponibile. Quali sono i rischi connessi a questa limitazione?

Dott. Antonio Bruno: È vero, l'utilizzo di così poche specie presenta dei rischi. La causa principale di questa concentrazione va ricercata nella Rivoluzione Verde, che ha focalizzato la ricerca sul miglioramento genetico di poche colture di base, come grano, riso, mais e patate. Questo ha sicuramente contribuito a ridurre la fame nel mondo, ma ha anche portato a una drammatica riduzione della diversità agricola. Questa limitazione del “portafoglio” di colture ci espone a rischi, sia in termini di resilienza dei sistemi agricoli che di sostenibilità.

Intervistatore: Può fare un esempio di come la mancanza di biodiversità possa rappresentare una minaccia?

Dott. Antonio Bruno: Un esempio lampante è quello della carestia irlandese della metà del XIX secolo. In Irlanda si coltivava prevalentemente una sola varietà di patata, che veniva moltiplicata vegetativamente. Quando la fitofthora, un fungo patogeno, attaccò questa varietà, la produzione di patate crollò, causando una grave carestia che portò alla morte di molte persone e una massiccia emigrazione verso gli Stati Uniti. Questo evento mostra chiaramente quanto sia rischioso dipendere da una sola specie o varietà.

Intervistatore: Lei ha menzionato il termine "portafoglio", può spiegarci meglio cosa intende?

Dott. Antonio Bruno: Mi piace fare un paragone con il settore bancario. Così come un buon consulente finanziario ci consiglia di diversificare i nostri investimenti per ridurre i rischi, lo stesso principio vale per l'agricoltura. Diversificare le colture che utilizziamo rende il sistema agricolo più resiliente e sostenibile. Se investiamo in una maggiore varietà di specie, riduciamo la vulnerabilità delle malattie, i cambiamenti climatici o altri eventi imprevisti.

Intervistatore: Qual è la situazione attuale in termini di conservazione della biodiversità agricola, e quali sono le prospettive future?

Dott. Antonio Bruno: Da un lato, vediamo una preoccupante tendenza verso l'uniformità agricola. Ad esempio, l'Italia importa gran parte del suo fabbisogno di grano da paesi come Canada, Ucraina e Australia, dove si coltivano poche varietà standardizzate. Le antiche varietà italiane, come quelle selezionate da Strampelli negli anni '20, stanno gradualmente scomparendo. Tuttavia, ci sono anche segnali positivi. Sempre più persone stanno riscoprendo il valore dei prodotti tipici locali, che sono strettamente legati alla biodiversità agricola e alle tradizioni culturali. Questo interesse può contribuire alla conservazione di specie e varietà locali.

Intervistatore: La riscoperta dei prodotti tipici locali può essere sufficiente per tutelare la biodiversità, o è necessario ripensare anche il modello economico attuale?

Dott. Antonio Bruno: È un tema complesso. La riscoperta dei prodotti tipici è importante e aiuta a mantenere viva la biodiversità locale, ma da sola non basta. L'agricoltura intensiva, che utilizza poche varietà per via delle economie di scala, continuerà a essere necessaria per soddisfare il fabbisogno alimentare globale. Tuttavia, credo che possiamo promuovere anche un'agricoltura più sostenibile e diversificata, soprattutto in aree che non possono beneficiare di un'agricoltura estensiva. Questi due modelli, intensivo ed estensivo, non sono in contrapposizione, ma possono coesistere. Dobbiamo trovare un equilibrio che soddisfi le esigenze nutrizionali di base, ma che allo stesso tempo preservi la biodiversità e promuova sistemi agricoli più sostenibili.

Intervistatore: Quali sono le priorità per il futuro dell'agricoltura in termini di sostenibilità e biodiversità?

Dott. Antonio Bruno: La priorità è aumentare la biodiversità nei nostri sistemi agricoli. Dobbiamo valorizzare le specie meno utilizzate, promuovere pratiche agricole sostenibili e favorire la resilienza dei sistemi produttivi. Questo non riguarda solo la nutrizione, ma anche la capacità di affrontare le sfide future, come i cambiamenti climatici e la crescente domanda alimentare. Agricoltura e biodiversità devono andare di pari passo per garantire un futuro più sostenibile.

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Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno: La crisi climatica e l'estinzione della biodiversità

 


Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno: La crisi climatica e l'estinzione della biodiversità

Intervistatore : Dottor Bruno, parliamo della situazione critica che sta affrontando la Grande Barriera Corallina australiana. Cosa rappresenta la sua distruzione per l'ecosistema globale?

Dott. Antonio Bruno : La Grande Barriera Corallina è uno degli ecosistemi più straordinari del nostro pianeta, non solo per la sua bellezza ma per il ruolo cruciale che ricopre nella regolazione ambientale. È una struttura vivente costruita nel corso di millenni da generazioni di coralli, ed è strettamente legata al benessere dell'intero pianeta. La sua distruzione, causata dal riscaldamento globale, è un disastro per la biodiversità marina e per l'equilibrio climatico. Non è solo una perdita estetica, ma anche una grave minaccia per l'equilibrio dei gas atmosferici, tra cui il rapporto tra anidride carbonica e ossigeno. In questo senso, la Barriera è un po' come la foresta amazzonica, ma in mare.

Intervistatore : Il riscaldamento globale ha portato a onde di calore marino che hanno devastato questo ecosistema. Quanto è grave la situazione?

Dott. Antonio Bruno : È una situazione senza precedenti. I coralli sono estremamente sensibili agli sbalzi di temperatura. La metà della Grande Barriera è morta a causa di queste onde di calore che superano i limiti di tolleranza dei coralli. È uno scenario allarmante che gli scienziati australiani avevano previsto in passato, ma mai a questi livelli di gravità. Le ripetute onde di calore minano la capacità dei coralli di riprendersi, e ora siamo in una fase in cui la rigenerazione naturale di questi ecosistemi non riesce più a tenere il passo con i danni subiti.

Intervistatore : Ci sono altre conseguenze per la biodiversità? Come reagiscono le specie associate alla Barriera?

Dott. Antonio Bruno : Quando un ecosistema così vasto e complesso come la Grande Barriera si estingue, le specie che vi abitano si trovano davanti a tre scelte: estinguersi, evolversi per adattarsi alle nuove condizioni, oppure migrare. Molte specie legate alla Barriera Corallina stanno migrando verso altre zone più fresche, cercando acque che offrano condizioni più stabili. Una delle aree di approdo per queste specie tropicali è il Mediterraneo, dove le temperature hanno ormai raggiunto valori simili a quelli tropicali.

Intervistatore : Quindi il Mediterraneo sta diventando una sorta di "rifugio" per queste specie tropicali?

Dott. Antonio Bruno : Esattamente, il Mediterraneo sta diventando un punto di approdo per centinaia di specie tropicali. Il Canale di Suez ha facilitato l'ingresso di queste nuove specie, che trovano nel nostro mare un ambiente caldo e accogliente. Questo fenomeno ha portato alla formazione di nuove popolazioni, e forse arriveranno anche i coralli. Non dobbiamo dimenticare, però, che la presenza di queste specie tropicali è anche un segno di squilibrio. Le specie mediterranee autoctone, come le gorgonie, sono state devastate dalle onde di calore, subendo eventi di mortalità di massa. Siamo di fronte a una perdita significativa della biodiversità mediterranea.

Intervistatore : A livello di percezione, queste nuove specie vengono viste come "invasori" o "profughi climatici"?

Dott. Antonio Bruno : Questa è una domanda molto interessante. Le specie che si spostano non lo fanno per "invadere" nuovi territori, ma perché sono costrette a cercare un ambiente che permetta loro di sopravvivere. Sono, in effetti, dei profughi climatici, costretti a migrare a causa di condizioni ambientali insostenibili nel loro habitat originale. Tuttavia, la loro presenza nel Mediterraneo comporta una serie di impatti, tra cui la competizione con le specie autoctone, e questo potrebbe modificare profondamente l'equilibrio del nostro ecosistema marino.

Intervistatore : Quali sono, dunque, le conseguenze a lungo termine della crisi climatica sia per la Grande Barriera Corallina che per il Mediterraneo?

Dott. Antonio Bruno : La catastrofe climatica sta rapidamente distruggendo la biodiversità globale, con conseguenze devastanti per l'equilibrio naturale. La perdita della Grande Barriera Corallina non solo impoverisce esteticamente il nostro pianeta, ma priva il mondo di uno dei suoi regolatori climatici più importanti. Allo stesso tempo, nel Mediterraneo stiamo assistendo ad un drammatico cambiamento nella composizione delle specie, con un aumento delle temperature che sta eliminando progressivamente le specie autoctone e favorendo l'insediamento di quelle tropicali. Questi cambiamenti sono sintomatici di un problema molto più vasto: il nostro stile di vita, basato su un consumo insostenibile di risorse e su un'economia che lascia dietro di sé terra bruciata, sta distruggendo i pilastri della vita sul pianeta.

Intervistatore : Cosa si può fare, concretamente, per invertire questa tendenza?

Dott. Antonio Bruno : La strada da percorrere è lunga e richiede cambiamenti radicali. Prima di tutto, dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni di carbonio per limitare il riscaldamento globale. Dobbiamo anche proteggere e ripristinare gli ecosistemi naturali, come le foreste e le barriere coralline, che sono fondamentali per il mantenimento dell'equilibrio climatico. Non ci sono soluzioni facili, né soldi che possono compensare i danni che stiamo infliggendo al nostro pianeta. Tuttavia, abbiamo ancora la possibilità di agire, dobbiamo farlo con urgenza e determinazione.

Intervistatore : Grazie, dottor Bruno, per il suo tempo e per la sua analisi approfondita.

Dott. Antonio Bruno : Grazie a voi. Spero che le mie parole possano sensibilizzare ulteriormente l'opinione pubblica e spingere una riflessione collettiva sul nostro impatto sul pianeta.

venerdì 11 ottobre 2024

Il Verde Pubblico: Un Patrimonio da Valorizzare per il Futuro delle Città

 

Il Verde Pubblico: Un Patrimonio da Valorizzare per il Futuro delle Città


In un’epoca in cui il cambiamento climatico non è più un’ipotesi ma una realtà quotidiana, la gestione e l’ampliamento del verde pubblico rappresentano uno degli strumenti più potenti per mitigare gli effetti devastanti del riscaldamento globale. Gli spazi verdi nelle città non sono solo un lusso estetico o un luogo di svago, ma rivestono un ruolo fondamentale nel garantire la sostenibilità urbana, migliorare la qualità dell’aria e la salute pubblica, e contrastare le isole di calore, fenomeno sempre più comune nelle aree urbane.

Il Ruolo Cruciale del Verde Urbano

Le piante e gli alberi hanno una straordinaria capacità di assorbire CO2, contribuendo a ridurre l’inquinamento atmosferico e migliorare la qualità dell’aria. Questo effetto è vitale, soprattutto in contesti urbani densamente popolati, dove l’inquinamento prodotto da traffico, industrie e riscaldamento domestico raggiunge spesso livelli allarmanti. Oltre a questo, il verde pubblico agisce come un regolatore termico: ombreggiando le aree urbane e raffreddando l’ambiente circostante, gli alberi aiutano a contrastare le ondate di calore, riducendo la temperatura anche di diversi gradi nelle zone limitrofe.

Secondo uno studio del National Center for Biotechnology Information, la presenza di spazi verdi è direttamente correlata a una migliore salute fisica e mentale della popolazione. Passeggiare in un parco, rilassarsi in una piazza alberata o semplicemente godere della vista del verde riduce lo stress, migliora l’umore e favorisce la socializzazione, creando una rete di connessione tra gli abitanti della città. Inoltre, contribuisce a diminuire patologie respiratorie e cardiovascolari, spesso esacerbate dall’inquinamento atmosferico.

La Sfida dell’Isola di Calore

Uno degli effetti più preoccupanti del riscaldamento globale nelle città è il fenomeno delle isole di calore, dove il cemento, l’asfalto e le superfici riflettenti intrappolano il calore, innalzando le temperature rispetto alle aree periferiche o rurali. Questi sbalzi termici non solo aumentano il consumo energetico per il raffreddamento degli edifici, ma peggiorano anche la qualità della vita per milioni di cittadini.

A Lecce, come ha sottolineato l’urbanista Toto Mininanni, la famosa piazza Libertini potrebbe diventare un esempio virtuoso di come ripensare gli spazi pubblici in funzione delle sfide climatiche. L’idea di trasformare la piazza in un grande giardino verde non solo valorizzerebbe il contesto storico e architettonico della città, ma creerebbe anche un “polmone verde” in grado di mitigare le alte temperature e ridurre l’inquinamento atmosferico. Questa soluzione risponderebbe all’esigenza di ridurre le superfici impermeabilizzate, sostituendo l’asfalto con il verde, permettendo all’acqua piovana di essere assorbita dal suolo e reintegrando le riserve d’acqua sotterranee.

Le Città del Futuro: Più Verdi, Più Sostenibili

Molte città in Europa e in Italia stanno già tracciando la strada verso una gestione più sostenibile del territorio urbano. Parigi, ad esempio, ha lanciato un ambizioso piano di "forestazione urbana" che prevede la piantumazione di migliaia di nuovi alberi, mentre Milano si sta impegnando nella creazione di numerosi parchi e giardini verticali. Anche in Italia, città come Torino e Bologna stanno sperimentando la creazione di “green belts” intorno alle aree urbane per aumentare la biodiversità e migliorare la resilienza climatica.

L’urbanista Mininanni sostiene che, per affrontare la crisi climatica, le città devono adottare soluzioni innovative e coraggiose, come la riduzione delle superfici asfaltate e la promozione di una maggiore copertura verde. Un aspetto da non sottovalutare è il ciclo dell’acqua: piantare alberi e creare spazi verdi aiuta a migliorare la gestione delle risorse idriche, favorendo l’assorbimento dell’acqua piovana nel sottosuolo, riducendo il rischio di allagamenti e garantendo una riserva idrica naturale.

L’importanza della Partecipazione Pubblica

Perché le città diventino più verdi e vivibili, è fondamentale che le amministrazioni locali e i cittadini collaborino attivamente. Le decisioni sulla destinazione e l’uso degli spazi pubblici devono coinvolgere tutti gli attori della comunità, in modo da rispondere alle esigenze locali e creare una visione condivisa di uno sviluppo sostenibile.

Il verde pubblico, quindi, non è solo un accessorio urbano, ma uno strumento cruciale per affrontare le sfide del futuro. Se gestito con lungimiranza, può trasformarsi in un alleato potente nella lotta contro il cambiamento climatico, migliorando la qualità della vita dei cittadini e proteggendo l’ambiente. Le città del domani dovranno essere più verdi, più resilienti e più attente alla salute del pianeta, e il verde pubblico sarà il cuore pulsante di questa trasformazione.

 

I frutti simbolo dell'autunno: melagrana, cotogno e cachi nel paesaggio agricolo salentino

 

I frutti simbolo dell'autunno: melagrana, cotogno e cachi nel paesaggio agricolo salentino

Antonio Bruno Dottore Agronomo


Tre frutti che, più di altri, segnano l'arrivo dell'autunno nel nostro territorio sono la melagrana, il cotogno e il cachi. Questi frutti non solo sanciscono il cambio di stagione, ma incarnano anche una tradizione agricola profondamente radicata nel Mediterraneo, e in particolare nel Salento. Come afferma lo storico dell'agricoltura Vito Teti, "l'agricoltura mediterranea è un mosaico di sapienze antiche e biodiversità millenaria, in cui ogni pianta racconta storie di adattamento, sopravvivenza e relazione tra uomo e ambiente" .

Origini e diffusione nel Mediterraneo

La melagrana ( Punica granatum ) e il cotogno ( Cydonia oblonga ) hanno origini asiatiche, provenendo da regioni come l'Iran e il Caucaso, da dove si sono diffusi lungo le rotte commerciali e che collegavano l'Oriente al Mediterraneo. Questi frutti furono presto accolti nella dieta e nella simbologia dei popoli del Mediterraneo, diventando simboli di fertilità e abbondanza. Il cachi ( Diospyros kaki ), originario della Cina, è giunto in Europa più tardi, durante il XIX secolo, ma si è rapidamente acclimatato alle condizioni climatiche favorevoli dell'Italia meridionale, grazie anche alle sue doti di resistenza e adattabilità. Il cachi, conosciuto anche come “mela d'Oriente”, è diventato parte integrante del paesaggio agricolo locale, fino a essere considerato un frutto autunnale tipico delle campagne salentine.

Questi alberi, piantati tradizionalmente in orti e frutteti familiari, spesso fuori dai circuiti delle coltivazioni intensive, sono oggi una preziosa testimonianza della biodiversità agricola del nostro territorio. In un'epoca in cui l'agricoltura moderna tende a concentrarsi su poche varietà ad alto rendimento economico, piante come la melagrana, il cotogno e il cachi ricordano l'importanza di conservare una diversità genetica fondamentale non solo per il gusto, ma anche per la resilienza degli ecosistemi agricoli.

Una risorsa per il futuro: la resilienza nell'agricoltura

La mia speranza è che ci sia un rinnovato interesse verso questi alberi e questi frutti, non solo come patrimonio culturale, ma anche come risorsa per un'agricoltura più sostenibile. Come osserva lo scienziato agronomo Salvatore Ceccarelli, "la biodiversità è la nostra assicurazione contro l'imprevedibilità dei cambiamenti climatici" . La diversità genetica offerta da specie tradizionali come la melagrana, il cotogno e il cachi rappresenta un'importante risorsa per affrontare le sfide del futuro: un ambiente in continuo cambiamento, la scarsità dell'acqua, e l'aumento delle temperature.

Piantare alberi come la melagrana, il cotogno e il cachi non è solo un gesto nostalgico, ma un atto concreto di resilienza. Queste piante, che hanno saputo adattarsi alle condizioni mediterranee, potrebbero infatti fornire una risposta all'esigenza di colture meno dipendenti dall'uso intensivo di risorse idriche e chimiche, contribuendo così a un modello agricolo più ecologico e autosufficiente. Secondo la FAO, "le varietà tradizionali, spesso adattate a condizioni locali difficili, possiedono una resistenza naturale agli stress biotici e abiotici che potrebbero risultare cruciali nei decenni a venire" .

Il patrimonio di biodiversità del Salento

La biodiversità è il fondamento della nostra agricoltura, della nostra alimentazione e, più in generale, del nostro futuro. Ogni pianta antica che conserviamo è una risorsa genetica inestimabile. Nel Salento, abbiamo la fortuna di ospitare una straordinaria varietà di frutti, molti dei quali sono stati trascurati dall'agricoltura moderna, orientata verso la monocultura e l'efficienza economica. Tuttavia, come dimostra uno studio condotto dall'Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), le colture tradizionali come la melagrana, il cotogno e il cachi offrono benefici non solo dal punto di vista nutrizionale, ma anche ecologico .

La riscoperta di questi frutti potrebbe avere impatti significativi non solo sulla conservazione della biodiversità, ma anche sulla salute degli ecosistemi. Le coltivazioni diversificate favoriscono un ambiente più equilibrato, riducendo l'incidenza di parassiti e malattie e migliorando la qualità del suolo. Un ritorno alla coltivazione di frutti tradizionali, anche in chiave moderna, potrebbe quindi rappresentare una risposta efficace alle sfide poste dai cambiamenti climatici.

Conclusione

In un mondo che deve fare i conti con i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità, il valore di piante come la melagrana, il cotogno e il cachi risulta evidente non solo per la loro storia, ma anche per il loro potenziale nell'agricoltura del futuro. La mia speranza è che le nuove generazioni riscoprano questi alberi e li considerano non solo come una risorsa culturale, ma come uno strumento per costruire un'agricoltura più resiliente e sostenibile. Preservare e promuovere la biodiversità agricola è un atto di responsabilità verso il nostro territorio e verso le generazioni future.

In questo senso, piantare melagrane, cotogni e cachi diventa un gesto concreto di cura verso il nostro pianeta, un segno di consapevolezza e di impegno verso una nuova agricoltura, capace di coniugare tradizione e innovazione, passato e futuro.

Antonio Bruno


Fonti:

  • Vito Teti, Paesaggi Mediterranei: Storie e Colture (Milano: Rizzoli, 2008), p. 56.
  • Salvatore Ceccarelli, Biodiversità in agricoltura e sostenibilità (Roma: Edizioni Lavoro, 2016), p. 89.
  • FAO, Biodiversità per l'alimentazione e l'agricoltura , Rapporto FAO, 2019.
  • INRAN, Studi sulle colture tradizionali italiane , Rapporto di ricerca INRAN, 2020.

 

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sul Verde Urbano e l'Approccio Ecosistemico

 Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sul Verde Urbano e l'Approccio Ecosistemico 


Intervistatore: Buongiorno, Dottor Bruno. Viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti sociali e ambientali, e il tema del verde urbano assume un ruolo sempre più centrale. Come si inserisce l’approccio ecosistemico nella gestione del verde urbano e quali sono i principali benefici?

Antonio Bruno: Buongiorno e grazie per questa opportunità. L'approccio ecosistemico si basa sul considerare la città non solo come un insieme di edifici e infrastrutture, ma come un sistema complesso dove gli elementi naturali interagiscono strettamente con quelli artificiali. Il verde urbano, in quest’ottica, diventa una componente fondamentale per rendere la città più vivibile e resiliente, soprattutto alla luce dei cambiamenti climatici che stiamo affrontando. Pensiamo, ad esempio, alle ondate di calore: gli alberi e le piante hanno la capacità di abbassare la temperatura grazie all’evapotraspirazione e all’ombra che offrono. Questo non solo migliora la qualità dell’aria, ma riduce anche il rischio di eventi estremi come le alluvioni, trattenendo l’acqua piovana e favorendo la sua infiltrazione nel suolo.

Intervistatore: In effetti, con l’aumento previsto della popolazione urbana e l'intensificarsi di eventi climatici estremi, la questione del verde urbano diventa cruciale. Può parlarci di come questo approccio possa aiutare a mitigare questi rischi?

Antonio Bruno: Assolutamente. Le previsioni indicano che, entro il 2050, circa l’81% della popolazione italiana vivrà in aree urbane, e questo significa una maggiore concentrazione di persone esposte a rischi climatici come ondate di calore e alluvioni. L’approccio ecosistemico permette di agire preventivamente, integrando il verde nelle città per aumentare la loro capacità di adattamento. Per esempio, gli alberi possono abbassare la temperatura di oltre 4°C grazie all’ombra e all’evapotraspirazione, e una vegetazione ben curata può intrappolare le particelle inquinanti, migliorando la qualità dell'aria. Inoltre, il verde aiuta a ridurre l’impatto delle piogge intense, prevenendo allagamenti attraverso la protezione dei suoli dall'erosione e favorendo l’infiltrazione dell’acqua.

Intervistatore: Questo sembra avere un impatto non solo ambientale, ma anche sulla salute e il benessere dei cittadini. Quali altri benefici possiamo aspettarci dalla presenza di aree verdi nelle città?

Antonio Bruno: I benefici sono molteplici. Oltre alla riduzione delle temperature e al miglioramento della qualità dell’aria, gli spazi verdi hanno un impatto diretto sul benessere psicofisico delle persone. La presenza di parchi, giardini e alberi nelle aree urbane offre un luogo di svago e relax, riducendo lo stress e favorendo l’attività fisica. Inoltre, un aspetto spesso sottovalutato è il risparmio energetico: la vegetazione circostante agli edifici agisce come isolante naturale, riducendo la necessità di riscaldamento in inverno e raffrescamento in estate. Si stima che il verde possa ridurre i consumi energetici di oltre il 10%, il che si traduce non solo in un risparmio economico per i cittadini, ma anche in un minor impatto ambientale.

Intervistatore: Molto interessante. Ha accennato al concetto di "servizi ecosistemici". Può spiegarci meglio cosa sono e come vengono applicati al contesto urbano?

Antonio Bruno: Certo. I servizi ecosistemici sono i benefici che l’ecosistema fornisce a chi lo abita. De Groot li ha suddivisi in quattro grandi categorie. La prima è quella dei servizi di regolazione, come il bilancio energetico, la regolazione del clima e il controllo del ciclo idrologico. Poi ci sono i servizi di produzione, come l’ossigeno, il cibo e l’acqua. Seguono i servizi di supporto, che riguardano il sostegno alla coltivazione e alla ricreazione. Infine, ci sono i servizi di informazione, che includono valori estetici, culturali e scientifici. In un contesto urbano frammentato, come quello delle nostre città, questi servizi sono spesso ridotti, ma possiamo compensare questa frammentazione con la creazione di infrastrutture verdi che offrano più benefici possibili.

Intervistatore: Dunque, possiamo dire che un ecosistema urbano sano non solo rende le città più resilienti, ma anche più vivibili e sostenibili. Qual è il ruolo del pianificatore urbano in tutto questo?

Antonio Bruno: Esattamente. Il pianificatore urbano ha un ruolo fondamentale nella progettazione di spazi verdi che non siano solo estetici, ma funzionali al benessere complessivo della città. Deve considerare il verde come un'infrastruttura strategica, in grado di migliorare la qualità dell'aria, mitigare le temperature e ridurre i rischi idrogeologici. È un lavoro complesso che richiede competenze multidisciplinari, ma è l’unica strada per garantire città più resilienti e capaci di affrontare le sfide future.

Intervistatore: Grazie, Dottor Bruno, per questa analisi così completa e interessante. C’è un messaggio finale che vorrebbe lasciare ai nostri lettori?

Antonio Bruno: Vorrei sottolineare l'importanza di un cambio di mentalità. Non possiamo più vedere il verde urbano come un elemento accessorio o puramente decorativo. Il verde è una risorsa essenziale per la nostra salute, per la qualità della vita e per la resilienza delle nostre città. Siamo tutti responsabili nel proteggerlo e valorizzarlo, e dobbiamo iniziare a pensare in modo sistemico e integrato, considerando la natura come parte integrante del tessuto urbano.

Intervistatore: Grazie ancora per il suo tempo e le sue riflessioni.

giovedì 10 ottobre 2024

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sull’insetto che minaccia i fichi nel Salento

 

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sull’insetto che minaccia i fichi nel Salento


Intervistatore: Buongiorno Dottor Bruno, grazie per aver accettato di parlarci di una questione così attuale e preoccupante per l'agricoltura pugliese. Può spiegarci brevemente che cos’è Cryphalus dilutus e perché rappresenta una minaccia per i fichi?

Dott. Bruno: Buongiorno a voi. Cryphalus dilutus è un piccolo coleottero, di meno di 3 millimetri di lunghezza, originario del Sud-Est asiatico. È stato identificato per la prima volta in Italia nel 2021, e da allora ha iniziato a causare il disseccamento di numerosi alberi di fico, soprattutto nella zona del Salento. Questo insetto scava gallerie sotto la corteccia, compromettendo il vigore della pianta e portando alla sua morte. La situazione è davvero allarmante, soprattutto considerando che in altre regioni, come Malta e Sicilia, i danni sono stati devastanti.

Intervistatore: Abbiamo letto che la produzione di fichi nel Salento è già diminuita a causa di questo parassita. Quali sono i sintomi principali che i coltivatori devono osservare?


Dott. Bruno: I sintomi più evidenti includono ingiallimento fogliare, disseccamento dei rami e morte della pianta. Sulla corteccia, è possibile notare i fori di sfarfallamento dell’insetto e la presenza di larve e adulti. Inoltre, l'insetto è un vettore di funghi patogeni, come Fusarium e Ceratocystis, che possono aggravare ulteriormente la situazione. È importante che i coltivatori siano vigili e segnalino tempestivamente qualsiasi cambiamento nelle loro piante.

Intervistatore: Sappiamo che la prevenzione è fondamentale in questi casi. Quali misure possono adottare gli agricoltori per proteggere i propri fichi?

Dott. Bruno: Esattamente. La prevenzione è cruciale. Gli agricoltori dovrebbero abbattere le piante compromesse e rimuovere i rami colpiti per evitare che l'infestazione si propaghi. È anche fondamentale distruggere il materiale vegetale di risulta, preferibilmente tramite bruciatura, prima dello sfarfallamento degli adulti, che solitamente avviene in primavera. Al contempo, è necessario monitorare attentamente le piante, in particolare quelle più vecchie, che sembrano essere le più vulnerabili.

Intervistatore: In base alla sua esperienza, quali potrebbero essere le prospettive future per la coltivazione di fichi in Puglia, considerando la presenza di C. dilutus?


Dott. Bruno: Le prospettive sono incerte. La situazione attuale è simile a quella affrontata con la Xylella fastidiosa nell’olivicoltura, dove la perdita di piante è stata massiccia. Se non vengono adottate misure efficaci di controllo e prevenzione, rischiamo di vedere un ulteriore declino della produzione di fichi. È fondamentale che venga effettuata ricerca approfondita sulla biologia di C. dilutus e sulle sue interazioni con le piante e i funghi patogeni, affinché possiamo sviluppare strategie di contenimento efficaci.

Intervistatore: Dottor Bruno, grazie per la sua disponibilità e per le preziose informazioni. È chiaro che il futuro dei fichi in Puglia dipende da un’azione collettiva e dalla ricerca scientifica.

Dott. Bruno: Grazie a voi per l'attenzione su questo tema cruciale. Solo unendo forze e conoscenze possiamo affrontare questa sfida e proteggere le nostre tradizioni agricole.

 

La Dittrichia viscosa (L.) Greuter

 


La Dittrichia viscosa (L.) Greuter, appartenente alla famiglia delle Asteraceae, è una pianta comunemente conosciuta nel Salento con il nome di erba "pulicara". Questa specie vegetale, spesso sottovalutata per la sua diffusione in ambienti marginali e incolti, riveste un ruolo cruciale nella tutela dell'ecosistema e, in particolare, nella salvaguardia delle api. Negli ultimi anni, l'importanza delle api come insetti impollinatori è divenuta centrale nel dibattito ambientale, soprattutto alla luce delle crescenti minacce alla loro sopravvivenza, tra cui l'uso massiccio di pesticidi e la presenza di parassiti devastanti come la Varroa destructor. In questo contesto, la Dittrichia viscosa si sta rivelando un vero e proprio alleato per il mondo dell'apicoltura.

La relazione tra Dittrichia viscosa e le api

Le api, principali impollinatori del nostro pianeta, sono costantemente alla ricerca di fonti di polline e nettare per alimentare le proprie colonie. La Dittrichia viscosa, con la sua fioritura tardiva che si estende fino all'autunno inoltrato, rappresenta una risorsa fondamentale, fornendo polline abbondante proprio in un periodo in cui le fonti di cibo per le api scarseggiano. Questa pianta si distingue, dunque, come un elemento chiave nella dieta delle api, soprattutto nei momenti critici in cui altre piante smettono di fiorire.

Tuttavia, la funzione della Dittrichia viscosa non si esaurisce nell'essere un semplice "distributore" di polline. La sua particolarità risiede anche nella capacità di agire come una sorta di scudo naturale contro il principale nemico delle api: la Varroa destructor. Questo acaro parassita, originario dell'Asia, ha causato una vera e propria emergenza nell'apicoltura moderna, essendo in grado di devastare interi alveari. La Varroa si nutre del sangue delle api, indebolendo l'organismo degli insetti e favorendo la diffusione di virus che portano spesso alla morte dell'intera colonia.

Il ruolo della Dittrichia viscosa nella lotta alla Varroa

Una delle caratteristiche più interessanti della Dittrichia viscosa è il suo forte odore. Questa pianta emette un aroma intenso che ha la capacità di interferire con il sistema di comunicazione delle api, basato sull'emissione di feromoni. I feromoni sono sostanze chimiche prodotte dalle api che regolano molte delle loro attività sociali, inclusa la difesa dell'alveare. La Varroa destructor sfrutta i feromoni delle api per individuare le larve e gli adulti su cui parassitare.

Qui entra in gioco l'importanza della Dittrichia viscosa. Il suo odore intenso sembra coprire l'emissione dei feromoni delle api, creando una sorta di "confusione" che disorienta la Varroa, rendendola meno efficiente nel localizzare le sue vittime all'interno dell'alveare. In questo modo, la pianta agisce come un deterrente naturale, riducendo l'infestazione degli alveari senza l'uso di sostanze chimiche dannose per l'ambiente.

Un modello di sostenibilità ambientale

La Dittrichia viscosa rappresenta, quindi, un esempio perfetto di come la natura possa offrire soluzioni efficaci e sostenibili a problematiche complesse come la protezione delle api e la lotta ai parassiti. Questo ruolo di "guardiano" delle api si inserisce in una visione più ampia di gestione sostenibile degli ecosistemi. L'utilizzo di piante come la Dittrichia viscosa per proteggere gli alveari è un approccio che promuove l'equilibrio naturale e riduce la dipendenza dai pesticidi chimici, spesso nocivi non solo per gli insetti ma anche per l'uomo e per l'ambiente.

Inoltre, la presenza della Dittrichia viscosa in aree marginali e poco coltivate sottolinea la sua capacità di adattamento a condizioni ambientali difficili, rendendola una pianta facilmente reperibile e non esigente in termini di cura o coltivazione. Questo ne fa un alleato prezioso per l'apicoltura, soprattutto in zone come il Salento, dove le condizioni climatiche possono essere particolarmente sfidanti.

Conclusione

La Dittrichia viscosa, attraverso il suo contributo nella fornitura di polline e nella difesa contro la Varroa destructor, svolge un ruolo fondamentale nella tutela delle api e, più in generale, nella conservazione della biodiversità. Promuovere la conoscenza e l'uso di questa pianta nelle pratiche agricole e apistiche può rappresentare un passo importante verso un modello di agricoltura più rispettoso degli equilibri naturali. Le api, essendo fondamentali per la nostra sicurezza alimentare e per il mantenimento degli ecosistemi, meritano tutta la nostra attenzione, e la Dittrichia viscosa potrebbe essere una delle chiavi per garantirne la sopravvivenza.

Attraverso una gestione oculata delle risorse naturali, possiamo non solo proteggere le api, ma anche contribuire a preservare il nostro futuro e quello delle generazioni a venire.

Antonio Bruno