martedì 19 novembre 2024

Il pungitopo: un piccolo grande arbusto dalle molteplici virtù


 Il pungitopo: un piccolo grande arbusto dalle molteplici virtù

di Antonio Bruno

Nel vasto e affascinante mondo delle piante, alcune specie spiccano non solo per il loro aspetto ornamentale ma anche per le molteplici proprietà che le rendono preziose per l'uomo. Il pungitopo (Ruscus aculeatus), conosciuto anche come rusco, è una di queste piante straordinarie, che unisce bellezza, utilità e una lunga storia di tradizioni e usi.

Identikit della pianta

Appartenente alla famiglia delle Liliacee, il pungitopo è un piccolo arbusto sempreverde che può raggiungere un’altezza massima di 80 centimetri. La sua vegetazione è particolarmente fitta e spinosa, caratterizzata dai peculiari cladodi – rametti secondari appiattiti che svolgono la funzione delle foglie. Questi cladodi, di un verde intenso e coriacei al tatto, terminano con una punta acuminata, da cui deriva il nome comune "pungitopo".

Nonostante le sue dimensioni contenute, il pungitopo è una pianta robusta, in grado di crescere in diverse condizioni climatiche, prediligendo tuttavia zone collinari ombrose e ben esposte. In Italia lo si può trovare praticamente ovunque, dal livello del mare fino ai 1.200 metri di quota nel Sud, pur essendo meno diffuso nelle pianure del Nord.

Fioritura e frutti

La stagione della fioritura, che avviene tra aprile e maggio, passa quasi inosservata: i piccoli fiori unisessuali, di colore discreto, compaiono nella pagina superiore dei cladodi. È in autunno, però, che il pungitopo dà il meglio di sé. Le sue bacche rosse, del diametro di circa 1 centimetro, spiccano come piccole gemme sulla vegetazione verde e persistono a lungo, spesso fino alla fine dell’inverno.

Sebbene queste bacche siano attraenti, non sono adatte al consumo umano per via del loro sapore sgradevole. Tuttavia, si rivelano fondamentali per la pianta: rappresentano il contenitore per uno o due semi, la chiave per la sua riproduzione. Curiosamente, nessun animale sembra cibarsene, una caratteristica insolita nel mondo vegetale.

Utilizzo nella tradizione e nella medicina

Il pungitopo ha una lunga storia di utilizzo, sia pratico che simbolico. Nel passato, i suoi rami spinosi venivano disposti intorno ai granai per tenere lontani i topi, un impiego che ne ha ispirato il nome. Nel periodo natalizio, i suoi rami decorati con bacche rosse diventano un elemento ornamentale tradizionale, simbolo di vitalità e prosperità.

Ma è in erboristeria che il pungitopo rivela il suo valore più significativo. Fin dall’antichità, i suoi rizomi – le radici sotterranee – sono stati utilizzati per preparare decotti dalle molteplici proprietà benefiche. Questi rimedi naturali si distinguono per gli effetti diuretici, sudoripari, sedativi e decongestionanti. Ancora oggi, il pungitopo è un alleato prezioso per il benessere, impiegato soprattutto per trattare disturbi legati alla circolazione e alla ritenzione idrica.

Un arbusto da scoprire e rispettare

Il pungitopo non è solo una pianta utile e decorativa; rappresenta anche un elemento importante degli ecosistemi locali. La sua capacità di crescere in ambienti difficili, spesso trascurati dall’uomo, lo rende una specie resiliente e indispensabile. È dunque fondamentale proteggerlo e rispettarne l’habitat, specialmente nelle zone in cui risulta più raro.

In conclusione, questo piccolo arbusto spinato ci offre un esempio straordinario di come la natura, nella sua semplicità, possa riservare sorprese e insegnamenti preziosi. Attraverso il pungitopo, possiamo ricordare che ogni pianta, anche la più umile, ha un ruolo fondamentale nella grande rete della vita.

Antonio Bruno

Il Ruolo Centrale delle Cime di Rapa nella Tradizione Gastronomica Pugliese e il Beneficio per il Microbioma Intestinale


 Il Ruolo Centrale delle Cime di Rapa nella Tradizione Gastronomica Pugliese e il Beneficio per il Microbioma Intestinale

La cucina pugliese, ricca di tradizioni e sapori autentici, trova il suo culmine in piatti emblematici come le orecchiette con le cime di rapa. Questa coltivazione, diffusa e caratterizzata da una vasta variabilità, rappresenta un pilastro della tradizione agroalimentare della regione. La sua resistenza alla modernizzazione agricola e la sua diffusione basata sulla semina a spaglio testimoniano della sua importanza nella cultura culinaria locale.
Le varietà di cime di rapa, identificate in base al periodo di maturazione, al luogo di coltivazione e al ciclo colturale, sono tramandate attraverso una ricca nomenclatura che riflette la connessione tra la semina e le celebrazioni religiose. Questa pratica testimonia l'importanza della trasmissione orale delle conoscenze, che ha guidato i contadini nella coltivazione di ogni varietà in armonia con i ritmi naturali e culturali.
Galatina, celebre per la sua produzione di cime di rapa, ha attirato l'attenzione fin dal 1931, quando il fotografo Giuseppe Palumbo dedicò un articolo alle specialità gastronomiche salentine. Le rape di Galatina, esportate in quantità notevoli anche fuori provincia, sono elogiate non solo per il loro sapore delizioso ma anche per lo sviluppo perfetto di ogni pianta, un risultato della dedizione degli agricoltori locali alla coltivazione di qualità.
Oltre alla loro importanza nella tradizione culinaria, le cime di rapa hanno un legame profondo con la spiritualità e la ritualità dei giorni di magro, specialmente nelle vigilie dell’Immacolata Concezione e del Natale. Questi piatti, sebbene considerati poveri, rappresentano un'eccellenza della cucina locale e incarnano l'identità stessa della Puglia.
Ma c'è di più nella storia delle cime di rapa oltre al loro impatto sulla cultura gastronomica. La recente ricerca scientifica ha evidenziato il ruolo cruciale del consumo di verdure, come le cime di rapa, nel favorire il benessere umano attraverso il nutrimento del microbioma intestinale. Il microbioma, un complesso ecosistema di microrganismi che risiede nel nostro intestino, svolge un ruolo fondamentale nella salute generale dell'organismo.
Le cime di rapa, ricche di fibre, vitamine e minerali, forniscono un nutrimento prezioso per i batteri intestinali benefici. Consumare regolarmente verdure come le cime di rapa contribuisce a mantenere un equilibrio sano nel microbioma, supportando la digestione, rafforzando il sistema immunitario e influenzando positivamente la salute mentale.
In conclusione, le cime di rapa non sono solo un piatto delizioso che incarna la tradizione e l'identità pugliese, ma sono anche un alleato prezioso per il benessere intestinale. L'unione di gusto e salute nelle cime di rapa riflette la profonda connessione tra la cultura alimentare e il mantenimento della salute, dimostrando che ciò che è buono per il palato può anche essere benefico per il corpo, in particolare per il nostro prezioso microbioma intestinale.
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lunedì 18 novembre 2024

Da sempre mi tuffo nell'inesplorato

 


Questa cosa mi è sempre accaduta, e forse accadrà per sempre. Come una folata di vento che, senza preavviso, ti fa volare via un cappello. Da sempre mi tuffo nell'inesplorato, quel posto dove il mondo si mescola a qualcosa di completamente diverso, come se fossimo tutti in una gigantesca zuppa di idee e intuizioni. Mi ci portano un bagliore, un guizzo improvviso che può essere una parola letta su un treno, un libro che sfoglio distrattamente mentre il caffè colora il mio pensiero, o un racconto di un amico che non sta mai zitto, proprio quando non dovrebbe. A volte basta un film, ma non un film qualsiasi, uno che ha una scena dove una mucca suona la chitarra, e quella scena cambia tutto.

C’era un collega, un uomo di numeri e tendenze, che un giorno mi guardò con l’espressione di chi ha appena visto un unicorno in ascensore. Mi disse: “Ma come? Tu, che sei il Vice Direttore Generale, ti metti a cantare e pubblichi i tuoi video su YouTube, Instagram e Facebook? Ma ti rendi conto che così parti sempre da zero? Ti stai mettendo in gioco!”. Lo guardai, e dentro di me pensai che lui non capisse proprio nulla. Ma in fondo, aveva ragione. Ogni volta che fai qualcosa di nuovo, sembra che ricominci dal nulla, come se l’universo ti dicesse: “Va bene, ti faccio partire da zero, ma se lo fai con convinzione, potresti finirlo al numero mille, o al numero infinito, che fa lo stesso.”

Oggi, con il giornalismo, è la stessa storia. Mi sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti, ma è come se ogni volta che scrivo o racconto qualcosa, mi stessi tuffando nel buio con la sola speranza di trovarci un arcobaleno. Non si sa mai dove si va a finire. È un gioco dove il punto di partenza non esiste, e ogni articolo è una scommessa, un po' come ballare sotto la pioggia sperando che qualcuno noti i tuoi passi. Ma, come sempre, mi ci metto in gioco. Ogni giorno è una nuova opportunità, una nuova chance di sbagliare e di risorgere, come una fenice che dimentica come volare ma ci prova lo stesso. E poi, sì, sogno di fare il giornalista anche dove non sono ancora riuscito, nel posto in cui non sono mai stato, in un angolo remoto dove l’informazione è fatta di sogni e chiacchiere tra stelle. E così, continuo, mi metto in gioco, come se fosse una scommessa che l’universo mi ha lanciato, e non so mai se perderò o vincerò. Ma almeno mi sono tuffato.

Antonio Bruno

Convinzioni Surreali


 Convinzioni Surreali

Le convinzioni possono trasformarsi in motivazioni tanto forti da portare un individuo a compiere atti di pura follia, come un pinguino che, un giorno, decide di diventare arciere, sfidando ogni legge della natura e della fisica. Magari per protestare contro l’imperversare del caldo estivo in Antartide, dove le stagioni sono solo uno scherzo della geografia. "Basta ghiaccio!" dice, e scocca la prima freccia verso un iceberg, come se fosse la cosa più sensata del mondo.

Prendiamo ad esempio una volta in cui un uomo si presentò a una conferenza sul cambiamento climatico indossando un impermeabile fatto interamente di foglie secche. Non si trattava di una semplice dichiarazione estetica, ma di un atto ideologico profondo, una protesta contro l’umidità atmosferica, una rivendicazione della purezza dell’essere asciutti. Certo, nessuno gli chiese mai come facesse a respirare, ma la sua visione del mondo sembrava un’eco lontana di qualche filosofia buddista rivisitata dai Vichinghi.

Eppure, non è sempre necessario andare così lontano. Ci sono persone che credono che la pizza sia un alimento da consumare solo alle 17:47 del pomeriggio, per una questione astrolinguistica: il formaggio si fonde meglio durante l’ora in cui la Terra è inclinata a 23,5 gradi verso il Sole. Una convinzione che li ha spinti a pubblicare un manifesto con la scritta “Il futuro della pizza è alle 17:47, o niente”.

Poi ci sono i cosiddetti “anti-montanisti”, coloro che sostengono che le montagne siano in realtà un complotto architettato da un'antica civiltà aliena per distrarre l’umanità dalla vera natura della Terra: piatta, ma con un piccolo buco in mezzo dove si trova una base segreta di marziani, che ci osservano mentre discutiamo se le piante sentano o meno la musica.

E a proposito di marziani, esiste una corrente di pensiero che crede fermamente che il vero problema del nostro pianeta sia che non abbiamo mai davvero chiesto aiuto ai girasoli. “Potevano salvarci, ma non li abbiamo ascoltati”, dicono, guardando con disperazione quei fiori che, al massimo, si girano verso il sole e sbuffano.

Per fortuna, non tutti sono così estremi. Alcuni semplicemente affermano che la verità si trova nel gelato alla menta, ma solo se lo mangi indossando un cappello a forma di iguana. Perché, come tutti sappiamo, un cappello giusto può cambiare tutto, anche la percezione dell’universo.


Antonio Bruno

Viaggiare Gratis nel Mondo: Lavorare in Fattorie Biologiche con il WWOOF

 


Viaggiare Gratis nel Mondo: Lavorare in Fattorie Biologiche con il WWOOF

Lavorare in fattorie biologiche di tutto il mondo in cambio di ospitalità è possibile grazie al WWOOF (World Wide Opportunities on Organic Farms), un’organizzazione internazionale che connette volontari e aziende agricole biologiche. Nato nel Regno Unito circa trent’anni fa, il WWOOF è diventato una rete globale presente in numerosi Paesi, inclusa l’Italia, con l’obiettivo di promuovere l’agricoltura sostenibile e uno stile di vita vicino alla natura.

Per partecipare, non serve essere esperti di agricoltura: è sufficiente amare la campagna e voler imparare. I volontari, chiamati WWOOFer, collaborano con le aziende agricole per alcune ore al giorno, dedicandosi alla cura degli animali o alla coltivazione, in cambio di vitto e alloggio. Ma il WWOOFing non è solo lavoro: è un’esperienza educativa e culturale, che permette di scoprire il territorio, apprendere tecniche agricole sostenibili e condividere momenti di vita quotidiana con le famiglie ospitanti.

WWOOF Italia, l’associazione nazionale, coordina le attività nel nostro Paese, dove sono affiliate aziende agricole biologiche, molte delle quali si trovano in Toscana. I volontari possono scegliere la fattoria che meglio risponde ai loro interessi, anche organizzando soggiorni itineranti. Spesso l’esperienza si prolunga oltre le aspettative, creando legami profondi tra ospiti e host.

Un aspetto fondamentale è la natura volontaria dello scambio, senza compensi economici. La tessera WWOOF, obbligatoria sia per i volontari che per le aziende, include un’assicurazione annuale e garantisce trasparenza nel rapporto. Per partecipare, è necessario versare una quota di 24 euro, che dà accesso alla lista delle aziende aderenti.

Il WWOOFing è un’opportunità unica per viaggiare, immergersi nelle tradizioni locali e supportare le fattorie biologiche. Non è solo un modo economico di scoprire il mondo, ma un percorso di crescita personale, fatto di lavoro, solidarietà e scambio culturale.

Antonio Bruno

 il sito: https://org.wwoof.it/it/ 

Programma organico di rigenerazione del paesaggio rurale salentino di CONFINDUSTRIA LECCE











 

Xylella, germogli di speranza

 

Attualità

Xylella, germogli di speranza

Il prof. Luigi De Bellis del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali di UniSalento: «Avvisaglie di un possibile adattamento delle piante di olivo al patogeno». Alcuni oliveti stanno rinverdendo, migliorando l’aspetto delle campagne. Le azioni messe in atto da Osvaldo Santoro di Taviano e Ivano Gioffreda di Sannicola

 

Premesso che al momento non esistono cure per le piante infette da Xylella fastidiosa, così che il batterio rimarrà nel Salento per decenni (con il contributo della scarsa sensibilità da parte delle istituzioni), sono state notate le prime avvisaglie di un possibile adattamento delle piante di olivo al patogeno a cui hanno contribuito comportamenti virtuosi da parte di vari operatori.

 

Infatti, molti hanno notato che alcuni oliveti stanno “rinverdendo” in modo da migliorare l’aspetto delle campagne salentine.

 

Due le azioni messe in atto rispettivamente di Osvaldo Santoro di Taviano e Ivano Gioffreda di Sannicola.

 

A TAVIANO

Il primo ha innestato nel 2019 nell’agro Taviano la cultivar Leccino su polloni prodotti da una trentina di piante centenarie della varietà Ogliarola Leccese ottenendo, dopo circa 5 anni, produzioni elevate accompagnate da scarsi sintomi di Xylella (foto 1 e 2).

 

La logica di questo intervento risiede nell’aver capitozzato le piante infette, così da eliminare gran parte del batterio già presente nell’albero, ed indurre lo sviluppo di polloni a partire da gemme avventizie o da ovuli (sferoblasti), formazioni caratteristiche dell’olivo, inglobate nella corteccia del colletto (la zona intermedia fra il fusto e la radice).

 

I polloni sfruttano inizialmente le risorse nutritive immagazzinate nelle radici fino a quando le foglie prodotte non sviluppano una significativa attività fotosintetica in grado di supportare l’ulteriore crescita e la successiva produzione.

 

Naturalmente non c’è nessuna garanzia che i polloni prodotti siano esenti da Xylella perché il batterio, definito dai patologi vegetali “sistemico”, si muove liberamente in tutti i vasi xilematici, anche quelli dell’apparato radicale, nonostante nella parte aerea sia maggiormente radicato, anche a causa della continua azione degli insetti vettori (la celeberrima “sputacchina”).

 

Comunque, l’aver eliminato la parte aerea infetta fa sì che le parti basali rimanenti abbiano in ogni caso un ridotto inoculo del patogeno.

 

In aggiunta, è pressoché certo che durante la loro crescita i polloni saranno a loro volta aggrediti ed infettati da nuove generazioni di “sputacchine”, ripristinando nel tempo lo stato infettivo, ma questo esattamente come accade per le varietà Leccino o Favolosa (FS17) definite a ragione resistenti/tolleranti ma che, negli anni, possono deperire in caso di gravi infezioni.

 

In breve, attraverso l’innesto di Leccino su polloni di Ogliarola Salentina (o Cellina di Nardò) si crea un nuovo individuo la cui parte aerea (innesto) cresce più rapidamente (rispetto ad una nuova pianta messa a dimora) perché sfrutta l’apparato radicale del portainnesto, che già esplora un significativo volume di terreno, e che appartiene ad una varietà molto meno sensibile alla scarsa disponibilità di acqua, caratteristica che andrà confermata da dati scientifici, ma che sicuramente sarà in parte conferita dal portainnesto alla nuova pianta, che è ora per metà Ogliarola e per metà Leccino.

 


 

FOTO 1

 


FOTO 2

A SANNICOLA

Invece Ivano Gioffreda, da anni, va dispensando consigli su come mantenere vive le piante infette da Xylella, attraverso una gestione che prevede potature indirizzate unicamente alla eliminazione dei rami disseccati, lasciando intatte le parti apicali delle branche (tira-linfa), evitando quindi le capitozzature.

 

In sostanza, l’indicazione corrisponde all’invito a non abbandonare le piante.

 

La logica che sottintende l’intervento, anche in questo caso è di una semplicità disarmante: è ovvio che un ammalato, pianta o essere umano, deperisce più rapidamente in assenza di cure e attenzioni.

 

Il risultato di questa semplicissima pratica, applicata sia su Cellina di Nardò che Ogliarola Salentina, è illustrato nelle foto 3 e 4: piante rigogliose che sono ritornate produttive a buoni livelli (a detta di alcuni proprietari “come non producevano da anni”, pur non disponendo di dati storici) e che, soprattutto, contribuiscono a mantenere pressoché inalterato il paesaggio con grande soddisfazione dei proprietari e delle persone che vivono nelle vicinanze.

 

Vero è che un intervento di potatura annuale, oltre a eventuali ulteriori piccoli interventi tra una potatura principale e l’altra, hanno un costo. Ma i piccoli proprietari, che hanno intrapreso questa strada, hanno ricevuto in cambio la gioia di veder nuovamente vegetare le proprie piante.

 

In conclusione, gli esempi descritti non sono indirizzati a curare le piante dal patogeno od a ottenere alte produzioni per unità di superficie (obiettivo di impianti superintensivi); si tratta di interventi rivolti verso una rapida rigenerazione del paesaggio con varietà tipiche (anche se in un caso solo come portainnesto), scelte dagli agricoltori salentini secoli fa, perché valutate adatte ai terreni e al clima del Salento, caratterizzato da estati siccitose.

 

 


FOTO 3

 


Fonte:

https://www.ilgallo.it/dai-comuni/taviano/xylella-germogli-di-speranza/?fbclid=IwY2xjawGocSpleHRuA2FlbQIxMQABHTlNX-Nfb0jxkOXgYAPvkweGMKPQoC3wOUXbU48cx3eG4fJA6H2qcGYmEA_aem_q82iMcagVDDYGe_3sYp0gQ