domenica 29 settembre 2024

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno: il vino

 

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno: il vino


Intervistatore: Buongiorno, Dottore Bruno. Iniziamo con un tema controverso: il vino è considerato cancerogeno a causa del suo contenuto alcolico. Qual è la sua opinione al riguardo?

Dottore Bruno: Buongiorno. È vero che il vino, come qualsiasi bevanda alcolica, ha potenzialità cancerogene, ma è importante considerare la quantità e il tipo di vino. Ad esempio, c'è una notevole differenza tra un bicchiere di Amarone, che ha un tasso alcolico di circa 17 gradi, e un bicchiere di Prosecco, che si aggira intorno agli 11 gradi. È evidente che meno alcol significa minori rischi per la salute.

Intervistatore: Quindi, lei suggerirebbe che la consapevolezza nella scelta del vino può fare la differenza?

Dottore Bruno: Esattamente. Essere consapevoli delle proprie scelte, comprese le opzioni a minore contenuto alcolico, può aiutare a godere di un buon vino senza compromettere la salute. E, come ha sottolineato Michele Antonio Fino nel suo libro, la gioia di condividere un buon vino in buona compagnia può portare a esperienze positive, purché ci sia moderazione.

Intervistatore: Parlando della qualità del vino, il Professor Fino menziona che un tempo il vino era considerato migliore e più naturale. Cosa ne pensa?

Dottore Bruno: La percezione che il vino di un tempo fosse superiore è un mito. Prima del 1860, quando Pasteur scoprì il processo di fermentazione, i produttori seguivano pratiche rituali senza realmente comprenderne il funzionamento. Oggi, grazie alla scienza, abbiamo accesso a tecniche che ci permettono di produrre vino di alta qualità in modo più sicuro e consapevole.

Intervistatore: E per quanto riguarda la differenza tra la produzione tradizionale e quella moderna?

Dottore Bruno: Oggi, la produzione di vino è un processo biotecnologico. Non si tratta solo di pigiatura, ma di comprendere le reazioni chimiche coinvolte. Gli enologi moderni non si limitano a sperare che il vino venga bene; sanno esattamente come gestire il processo per ottenere risultati ottimali, senza l’uso di sostanze chimiche.

Intervistatore: Qual è la situazione attuale per i vigneti europei e italiani?

Dottore Bruno: Stiamo attraversando un periodo difficile a causa di condizioni climatiche imprevedibili. Ciò porta a una produzione inferiore e spesso di qualità non eccellente. Ad esempio, le piogge eccessive al Nord hanno compromesso la salute dell'uva, mentre al Sud la siccità ha reso l'uva troppo concentrata. Questi fattori, insieme alla contrazione del mercato, stanno mettendo in crisi i vignaioli.

Intervistatore: Cosa pensa del calo del consumo di vino, legato anche alle preoccupazioni per i rischi cancerogeni?

Dottore Bruno: È importante riconoscere che ogni alcol aumenta il rischio di alcune malattie. Tuttavia, se la diminuzione del consumo di vino significa una maggiore consapevolezza e un consumo responsabile, è un segnale positivo. Purtroppo, molti si stanno orientando verso superalcolici, che comportano rischi ancora maggiori.

Intervistatore: Che ruolo gioca l’educazione nella scelta del vino e nel consumo responsabile?

Dottore Bruno: L’educazione è fondamentale. Dobbiamo insegnare a leggere le etichette, prestando attenzione al contenuto alcolico e agli allergeni. Le scuole dovrebbero fornire informazioni sui rischi legati all'alcol, considerando che è illegale per i minori in Italia. Questo è un aspetto spesso trascurato.

Intervistatore: Quindi, lei propone un’educazione mirata sull'arte del vinificare?

Dottore Bruno: Assolutamente. Credo che corsi di consapevolezza sul vino, in particolare per i giovani, siano necessari per promuovere una cultura del consumo responsabile e informato. La conoscenza è potere, e nella produzione e nel consumo di vino, questo è ancora più vero.

Intervistatore: La ringrazio per il suo tempo e le sue preziose informazioni, Dottore Bruno.

Dottore Bruno: Grazie a voi. È stato un piacere.

 

sabato 28 settembre 2024

Intervista al Dott. Antonio Bruno sul miglioramento delle previsioni e degli interventi in caso di eventi estremi legati al cambiamento climatico

 

Intervista al Dott. Antonio Bruno sul miglioramento delle previsioni e degli interventi in caso di eventi estremi legati al cambiamento climatico


Intervistatore: Buongiorno Dott. Bruno, grazie per aver accettato di parlare con noi. Il progetto GeoSciences IR si propone di migliorare le previsioni e gli interventi in caso di eventi estremi legati al cambiamento climatico. Può spiegarci di più su questo progetto e sul suo obiettivo principale?

Dott. Antonio Bruno: Buongiorno e grazie a voi per l’invito. Il progetto GeoSciences IR rappresenta un passo importante verso una maggiore comprensione e gestione degli eventi estremi, come alluvioni e tempeste, che sono sempre più frequenti a causa del cambiamento climatico. L’obiettivo principale è sviluppare un’infrastruttura di ricerca integrata che consenta di combinare dati provenienti da diverse fonti, in particolare immagini satellitari e informazioni raccolte tramite droni, per mappare e monitorare il territorio in modo più dettagliato.

Intervistatore: È interessante sapere che le tecnologie avanzate come i droni e i satelliti sono coinvolti. Quali sono i vantaggi di utilizzare questi strumenti?

Dott. Antonio Bruno: Le immagini satellitari forniscono una visione ampia del territorio, ma possono avere limitazioni in termini di risoluzione spaziale e temporale. I droni, d'altra parte, offrono una precisione notevole e possono raccogliere dati a un livello di dettaglio che i satelliti non possono garantire. Integrando i dati raccolti da entrambi, possiamo avere un quadro più completo e dinamico delle aree vulnerabili, il che ci permette di pianificare interventi più efficaci.

Intervistatore: Il Dott. Domenico Capolongo ha menzionato l’importanza dei satelliti con sensori radar. Può spiegare come questi contribuiscono alla vostra ricerca?

Dott. Antonio Bruno: Certamente. I satelliti con sensori radar hanno la capacità di attraversare le nuvole e monitorare il territorio anche in condizioni meteorologiche avverse. Questo è fondamentale, soprattutto in caso di alluvioni, perché ci permette di analizzare in tempo reale come l’acqua si distribuisce sul territorio. Così possiamo creare mappe utili non solo per il monitoraggio durante un evento estremo, ma anche per prevedere scenari futuri.

Intervistatore: Sembra che questa ricerca sia estremamente pratica e immediatamente applicabile. Quali misure di adattamento e prevenzione gli scienziati stanno suggerendo per affrontare i rischi legati agli eventi estremi?

Dott. Antonio Bruno: La chiave è adottare politiche di gestione del territorio più sostenibili e preventive. Questo include migliorare la manutenzione di fiumi e infrastrutture idriche, nonché limitare la cementificazione eccessiva, che riduce la capacità naturale del suolo di assorbire l’acqua. Promuovere una gestione attiva del suolo e sviluppare sistemi di allerta rapida sono fondamentali per affrontare i rischi futuri.

Intervistatore: In Puglia, ha menzionato la complessità delle previsioni a causa delle caratteristiche geografiche. Può approfondire questo aspetto?

Dott. Antonio Bruno: Sì, in Puglia abbiamo bacini idrografici relativamente piccoli, il che rende le alluvioni flash un fenomeno comune. Questo comporta una sfida significativa nel lanciare allerta tempestive, dato il breve intervallo di tempo tra l'evento di pioggia e quello alluvionale. È cruciale migliorare i modelli di previsione e integrare i dati in tempo reale per affrontare questa problematica.

Intervistatore: Infine, ci sono preoccupazioni diffuse riguardo a un calo degli iscritti ai corsi di scienze ambientali. Qual è l’ approccio dell’Unisalento per attrarre nuovi studenti?

Dott. Antonio Bruno: Le mie informazioni mi restituiscono l’Ateneo leccese che sta lavorando attivamente per innovare i programmi didattici. È fondamentale che i giovani comprendano l'importanza della conoscenza del territorio e delle sue dinamiche, soprattutto in un periodo in cui il cambiamento climatico è una delle sfide più grandi del nostro tempo.

Intervistatore: Grazie, Dott. Bruno, per aver condiviso con noi queste informazioni preziose. È chiaro che il vostro lavoro di esperto in diagnostica urbana e territoriale ha un impatto significativo sulla nostra capacità di affrontare il cambiamento climatico.

Dott. Antonio Bruno: Grazie a voi per l'attenzione. È fondamentale che la società comprenda l’importanza della ricerca in questo campo per garantire un futuro più sicuro e sostenibile.

GEOSCIENCES IR

Un’Infrastruttura di Ricerca per la Rete Italiana dei Servizi Geologici

Progetto finanziato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR

Missione 4, “Istruzione e Ricerca” – Componente 2, “Dalla ricerca all’impresa” – Linea di investimento 3.1, “Fondo per la realizzazione di un sistema integrato di infrastrutture di ricerca e innovazione”

https://geosciences-ir.it/

venerdì 27 settembre 2024

La cooperazione è più forte della competizione

 


L'INTERVENTO

La cooperazione è più forte della competizione

STEFANO MANCUSO*

Le comunità di individui in grado di cooperare, siano essi della stessa specie o di specie diverse, sono uno dei motori più potenti dell'evoluzione. Come mai questa potente spinta evolutiva sia sempre stata meno considerata rispetto alla contraria forza della competizione individuale, riguarda una serie di importanti obiezioni, la più importante delle quali può essere riassunta nella seguente domanda: perché un individuo dovrebbe sprecare energie o affrontare pericoli senza ottenere in cambio alcun vantaggio personale?

Nel corso della terza edizione di Pianeta Terra Festival, a Lucca dal 3 al 6 ottobre prossimi, cercheremo di rispondere a questa fondamentale domanda, partendo dall'osservazione di Charles Darwin che ne L'origine dell'uomo e la selezione sessuale del 1871 scrive: man mano che l'uomo avanza nella civiltà e le piccole tribù si uniscono in comunità più grandi, la ragione direbbe a ogni individuo che dovrebbe estendere i suoi istinti e le sue simpatie sociali a tutti i membri della stessa nazione, anche se a lui personalmente sconosciuti. Una volta raggiunto questo punto, c'è solo una barriera artificiale a impedire che le sue simpatie si estendano agli uomini di tutte le nazioni».

*Direttore "Pianeta Terra Festival"-Lucca

Intervista con il Dottore Agronomo Antonio Bruno cosa fare della terra nei vasi di piante morte?

 Intervista con il Dottore Agronomo Antonio Bruno cosa fare della terra nei vasi di piante morte?


Intervistatore: Buongiorno, Dottor Bruno. Oggi parleremo di un argomento affascinante: la terra delle piante morte. Molti di noi tendono a considerarla come un rifiuto, ma lei sostiene che sia un “tesoro”. Può spiegarci perché?

Dottor Bruno: Buongiorno! È un piacere essere qui. La terra delle piante morte, sebbene appaia spenta, è in realtà ricca di nutrienti essenziali. Questi nutrienti sono cruciali per la crescita di nuove piante. Spesso, sottovalutiamo il suo potenziale e la gettiamo via, ma riutilizzarla può arricchire il nostro giardino e contribuire a un ciclo ecologico sostenibile.

Intervistatore: Quali sono i modi migliori per riutilizzare questa terra nel giardinaggio?

Dottor Bruno: Ci sono diversi metodi efficaci. Innanzitutto, possiamo mescolare la terra delle piante morte con nuovo terriccio per piantare semi o trapiantare altre piante. Questo processo aiuta a riciclare le sostanze nutritive. Un altro approccio è incorporarla nel compost: aggiungendo strati di questa terra al compost, arricchiamo il materiale organico e miglioriamo la qualità del suolo. Inoltre, mescolando la terra con acqua, possiamo creare un fertilizzante naturale da utilizzare per innaffiare le piante.

Intervistatore: È interessante! Ha anche accennato alla terra delle piante morte come difesa contro le infestazioni. Può approfondire questo aspetto?

Dottor Bruno: Certamente. La terra delle piante morte può ospitare microrganismi benefici e organismi del suolo che svolgono un ruolo fondamentale nella salute del giardino. Lasciare questa terra in angoli strategici può fungere da barriera naturale contro parassiti indesiderati. In questo modo, non solo riutilizziamo una risorsa, ma promuoviamo anche un ambiente più sano per le nostre piante.

Intervistatore: Qual è, secondo lei, il messaggio principale che i giardinieri dovrebbero portare a casa riguardo alla terra delle piante morte?

Dottor Bruno: Il messaggio principale è che non dobbiamo vedere la terra delle piante defunte come un rifiuto, ma piuttosto come una risorsa preziosa. Il suo riutilizzo non solo nutre il nostro suolo, ma promuove la crescita delle piante e contribuisce alla salute generale del nostro giardino. È una scelta sostenibile che riflette un approccio ecologico al giardinaggio.

Intervistatore: La ringrazio, Dottor Bruno, per queste preziose informazioni. È chiaro che la terra delle piante morte ha molto da offrire.

Dottor Bruno: Grazie a lei! Spero che questa conversazione incoraggi più persone a considerare le potenzialità di ciò che spesso viene scartato.

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sul Corbezzolo del Salento

 

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sul Corbezzolo del Salento


Intervistatore : Dottor Bruno, lei ha scritto di recente un interessante articolo sui "rusciuli", il corbezzolo del Salento leccese. Cosa l'ha ispirata a parlare di questo frutto?

Antonio Bruno : I "rusciuli" hanno una storia affascinante, e sono profondamente radicati nella cultura del Salento. Mi ha sempre colpito il loro legame con il territorio e con la tradizione popolare, che purtroppo oggi rischia di andare perduto. Ho voluto riscoprire e raccontare la bellezza di questa pianta e dei suoi frutti, che per tanto tempo hanno accompagnato la vita quotidiana di generazioni di salentini.

Intervistatore : Nel suo scritto lei menziona una canzone popolare che esalta i "rusciuli". Qual è il legame tra questo frutto e la cultura salentina?

Antonio Bruno : Sì, la canzone popolare "Rusciuli russi, ci òle rusciuli?" rappresenta un chiaro esempio di come il corbezzolo fosse parte integrante della vita salentina. Questi frutti erano comuni e venivano offerti con leggerezza e allegria, come simbolo di abbondanza e convivialità. Le canzoni e i racconti popolari, come questa, sono testimonianze di una connessione profonda tra le persone e la natura che le circondava. In passato, il corbezzolo è stato raccolto, mangiato e condiviso, diventando parte di un immaginario collettivo che oggi riscopriamo con nostalgia.

Intervistatore : I frutti del corbezzolo non si trovano più facilmente come un tempo. Secondo lei, cosa ha contribuito alla loro scomparsa?

Antonio Bruno : Ci sono diversi fattori che hanno portato alla quasi scomparsa del corbezzolo nel Salento. Il cambiamento degli stili di vita, l'urbanizzazione e l'abbandono delle campagne hanno fatto sì che questa pianta, un tempo comune, fosse dimenticata. Inoltre, la sua raccolta è diventata meno frequente. Il corbezzolo richiede un ambiente specifico, la macchia mediterranea, che è spesso soggetta a incendi estivi, e solo chi conosceva davvero i tempi e i modi per raccoglierlo continuava a farlo.

Intervistatore : Nel suo articolo ha fatto riferimento a un aspetto curioso: i Romani raccomandavano di mangiare solo un frutto per volta. Può spiegarci meglio?

Antonio Bruno : Certo! Il nome latino della pianta, Arbutus unedo , deriva dall'espressione "unum edo", che significa "ne mangio uno". Questo perché i Romani avevano osservato che mangiare troppi frutti poteva causare disturbi gastrointestinali e persino un lieve stato di ebbrezza. Quando i corbezzoli maturano, infatti, contengono una discreta quantità di alcol. Quindi, la raccomandazione era di godere del loro sapore con moderazione.

Intervistatore : Ha parlato anche del ruolo del corbezzolo come simbolo patriottico durante il Risorgimento. Ce ne può parlare?

Antonio Bruno : Assolutamente! Il corbezzolo è stato associato ai colori della bandiera italiana: il bianco dei suoi fiori, il rosso dei suoi frutti e il verde delle foglie. Durante il Risorgimento, questi tre colori furono visti come un simbolo della lotta per l'unità d'Italia. È affascinante pensare come una pianta così umile sia diventata un simbolo di speranza e di lotta per l'indipendenza. È una di quelle storie che arricchiscono il legame tra natura e storia nazionale.

Intervistatore : Oltre al suo valore simbolico e storico, ci sono altri aspetti interessanti della pianta dal punto di vista agronomico?

Antonio Bruno : Il corbezzolo ha molte caratteristiche che lo rendono interessante anche dal punto di vista agronomico. È una pianta molto resistente, capace di rigenerarsi dopo un incendio, caratteristica che lo rende adatto alla nostra macchia mediterranea, spesso soggetta ad incendi estivi. È una pianta che contribuisce alla biodiversità e che, per via dei suoi frutti, attira molte specie di uccelli, favorendo la diffusione dei semi. Inoltre, ha anche un valore estetico: in inverno, la combinazione di fiori bianchi, frutti rossi e foglie verdi lo rende davvero unico.

Intervistatore : Crede che ci sia una possibilità di reintrodurre il corbezzolo nel Salento e farlo tornare parte della vita quotidiana?

Antonio Bruno : Lo spero davvero. Il corbezzolo è una pianta che potrebbe essere riscoperta, sia per il suo valore estetico che per la sua importanza storica e culturale. Credo che con un'adeguata campagna di sensibilizzazione e il supporto delle istituzioni locali, si possa lavorare per la sua reintroduzione nelle aree rurali del Salento. Inoltre, potrebbe diventare un simbolo della riscoperta delle nostre radici, unendo passato e futuro in un legame con il territorio.

Intervistatore : Grazie mille, dottor Bruno, per questa interessante chiacchierata e per aver condiviso con noi la storia del corbezzolo.

Antonio Bruno : Grazie a voi, è stato un piacere parlare di una pianta a cui sono molto legato. Spero che il corbezzolo possa tornare a occupare un posto speciale nel cuore dei salentini e non solo!


https://centrostudiagronomi.blogspot.com/2010/08/rusciuli-del-salento-leccese-corbezzolo.html 

 

mercoledì 25 settembre 2024

Intervista al Dott. Agronomo Antonio Bruno sul futuro delle professioni intellettuali

 

Intervista al Dott. Agronomo Antonio Bruno sul futuro delle professioni intellettuali


Intervistatore : Dott. Bruno, lei ha espresso opinioni molto critiche sulla recente delibera della Giunta Comunale di Lecce riguardante la creazione di una breve lista di esperti a consulenza gratuita. Potresti spiegare meglio la sua posizione?

Antonio Bruno : Certamente. La delibera della Giunta Comunale di Lecce, che prevede la creazione di una lista di professionisti per fornire consulenze gratuite, rappresenta un segnale molto preoccupante per il mondo delle professioni. Non solo va contro il principio dell'equo compenso, ma mortifica la dignità dei professionisti, in particolare dei giovani che, a differenza dei professionisti già affermati, non possono permettersi di lavorare gratuitamente.

Intervistatore : Quali sono le conseguenze di questa decisione, soprattutto per i giovani professionisti?

Antonio Bruno : È un provvedimento che rischia di penalizzare pesantemente i giovani professionisti. Questi ultimi si trovano già in una situazione di grande difficoltà economica e, in molti casi, non possono permettersi di accettare incarichi senza compenso. Chi, invece, può permetterselo sono i professionisti già affermati, che hanno meno necessità di farsi conoscere o di ottenere pubblicità. Questo crea una discriminazione evidente, escludendo una parte importante della nostra forza lavoro e privando i giovani della possibilità di crescere professionalmente attraverso incarichi remunerati.

Intervistatore : La delibera, però, è stata giustificata come un modo per ottenere consulenze specializzate per la città senza gravare ulteriormente sul bilancio comunale. Qual è la sua opinione a riguardo?

Antonio Bruno : Posso comprendere l'esigenza di ottimizzare le risorse comunali, ma questo non può avvenire a scapito dei professionisti. La consulenza professionale, soprattutto in ambiti così delicati come quelli giuridico-amministrativi, tecnici, economici e sociali, richiede tempo, competenze e assunzione di responsabilità. È impensabile che tali competenze possano essere fornite gratuitamente, non solo per una questione di dignità professionale, ma anche perché ciò potrebbe compromettere la qualità del lavoro. Un professionista che lavora senza compenso potrebbe essere meno motivato, o semplicemente impossibile a dedicare il tempo necessario per una consulenza di alta qualità.

Intervistatore : Ha parlato di un problema di metodo oltre che di merito. Cosa intende?

Antonio Bruno : Esatto. La delibera è stata adottata senza consultare preventivamente gli Ordini professionali, il che è già di per sé un grave errore. I professionisti non sono stati coinvolti nel processo decisionale, e questo ha creato una frattura tra l'amministrazione e le categorie professionali. Inoltre, la legge sull'equo compenso del 2023 annuncia chiaramente che il compenso deve essere proporzionato all'opera prestata. Creare una lista di esperti che lavorano gratuitamente è palesemente in contrasto con questa normativa.

Intervistatore : Quali sono le possibili soluzioni per evitare situazioni simili in futuro?

Antonio Bruno : La prima cosa da fare è revocare immediatamente questa delibera e aprire un tavolo di confronto con gli Ordini professionali. È necessario che l'amministrazione comprenda che il lavoro intellettuale, come ogni altro lavoro, merita una giusta remunerazione. Inoltre, credo sia importante stabilire un dialogo costruttivo e sistematico tra il Comune e i professionisti per garantire che le decisioni future siano prese in modo condiviso, rispettando le normative vigenti e tutelando la dignità di tutte le categorie.

Intervistatore : In chiusura, cosa si augura per il futuro delle professioni intellettuali in Italia?

Antonio Bruno : Mi auguro che si trovi presto un equilibrio tra le esigenze del mercato e la qualità delle prestazioni professionali. Il nostro lavoro richiede impegno, aggiornamento continuo e, spesso, notti insonni. Questo va riconosciuto e valorizzato, non svalutato con proposte di lavoro gratuito. Solo così potremo garantire una professione dignitosa per tutti, soprattutto per i giovani che sono il futuro del nostro settore.

 

martedì 24 settembre 2024

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sullo Stato gestore del paesaggio rurale

 

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sullo Stato gestore del paesaggio rurale


Giornalista: Dottore Bruno, nell'ultimo anno gli agricoltori italiani ed europei hanno vissuto difficoltà importanti, culminate nelle manifestazioni di piazza. Lei cosa ne pensa della situazione attuale?

Dott. Bruno: La situazione che stiamo vivendo è il risultato di politiche agricole comuni (PAC) che, pur essendo decise per il 30% a Bruxelles, sono per il 70% applicate e gestite a livello nazionale. Quindi, se gli ecoschemi si sono rivelati un fallimento, non possiamo puntare il dito solo verso l'Europa. Dobbiamo fare autocritica: quei meccanismi li abbiamo ideati noi stessi qui in Italia. È dentro i nostri confini che dobbiamo cercare le criticità e applicare i correttivi necessari. Ed è del tutto evidente che gli agricoltori che ci sono non sono in grado di portare avanti quanto è doveroso fare in campo agricolo, come più volte ho significato siccome il paesaggio rurale è un bene comune, siccome i proprietari si dimostrano pochi ed inadeguati, deve essere lo stato che deve gestire.

Giornalista: Si è parlato di un'emorragia nelle domande di aiuti PAC in Italia, con il 10% degli agricoltori che hanno rinunciato ai contributi. Come si spiega questa scelta?

Dott. Bruno: Sì, molti agricoltori hanno preferito rinunciare ai contributi europei piuttosto che sottostare ai vincoli produttivi imposti dalla PAC perrchè come ho guà detto non sono all’altezza delle responsabilità che devono essere prese in materia agricola. Questo è un segnale chiaro della difficoltà di gestire una burocrazia complessa che richiede un Ente pubblico e che data l’inadeguatezza della struttura a supporto dei pochi agricoltori rimasti è spesso percepita come soffocante. Il nostro sistema, invece di capire questo, invece di prendere atto che in tema di paesaggio agrario il libero mercato figlio del neoliberismo economico, non funziona, scarica sugli agricoltori costi e obblighi a cui non sono in grado di rispondere invece di dare tutto in mano a un ente pubblico.

Giornalista: Secondo lei, cosa si potrebbe fare per migliorare la gestione della PAC in Italia?

Dott. Bruno: Una delle prime cose da fare è coinvolgere maggiormente i tecnici professionisti assumendoli nell’ente pubblico, che purtroppo sono stati finora tenuti ai margini del processo decisionale. Il nostro apporto tecnico-scientifico è fondamentale per migliorare, semplificare e modernizzare i processi burocratici legati alla PAC. Dobbiamo razionalizzare e rendere più efficienti gli strumenti a disposizione delle imprese agricole, e per farlo serve un maggiore dialogo con i professionisti dottori agronomi.

Giornalista: Crede che ci sarà una vera modernizzazione?

Dott. Bruno: Noi professionisti siamo pronti a collaborare con il governo e con le rappresentanze del mondo agricolo che rappresentano i pochissimi agricoltori rimasti in Italia per ridisegnare un sistema più semplice e funzionale. Il modello attuale è inadeguato, e spesso si trasforma in un peso per gli agricoltori. Ad esempio, perché Agea e Ismea sono due organismi distinti e non collaborano insieme? Entrambi raccolgono dati preziosi sulle imprese agricole, ma non li condividono. Ecco ad esempio l’ente pubblico che potrebbe gestire il paesaggio agrario. Questo è un chiaro esempio di come la burocrazia possa essere migliorata e messa al servizio del bene comune paesaggio agarrio.

Giornalista: Il caso del fondo Agricat è stato molto discusso. Cosa ne pensa?

Giornalista: Ha accennato alla formazione e al ricambio generazionale. Quali sono le sue preoccupazioni in questo campo?

Dott. Bruno: Il ricambio generazionale è fondamentale ma non c’è. Ci vuole un Ente pubblico che assuma i giovani con un regolare contratto di lavoro a tempo indeterminato e per capirlo basta dare uno sguardo ai dati attuali che sono fallimentari per gli imprenditori agricoli. Le aziende agricole giovani sono circa 36mila su una platea di 800mila, troppo poche. Inoltre, sono fortemente incentivate dai fondi del PSR, ma questo ai giovani non serve! Ai giovani serve uno stipendio! Serve un cambiamento che parta dello Stato: dobbiamo avvicinare i giovani al territorio e alle attività produttive, e portare il paesaggio agrario nelle scuole. La scuola deve tornare a essere un luogo di formazione continua, non solo accademica ma anche professionale e i diplomati devono essere assunti da un Ente pubblico che gli garantisce uno stipendio. Potrebbero essere conivolti anche gli immigrati, per favorire la loro integrazione e formazione.

Giornalista: Come si può raggiungere questo obiettivo?

Dott. Bruno: Bisogna ripartire dallo Stato, che deve ritrovare la sua missione originale: formare tecnici e operatori per il settore agricolo e non solo. Si potrebbero anche utilizzare centri di alfabetizzazione e formazione per gli immigrati. Ma per fare tutto questo uno Stato che abbia a cuore il paesaggio agrario che richiamo di perdere. I professionisti in grado di leggere e affrontare i problemi reali ci sono manca un Ente che li assuma e gli dia uno stipendio. Solo con un'azione congiunta tra Stato, scuola, imprese e professionisti possiamo affrontare le sfide future dell'agricoltura italiana.

Giornalista: Grazie per il suo tempo e per le sue riflessioni, Dottore Bruno.

Dott. Bruno: Grazie a voi per l'attenzione.

 

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno: "L'Innovazione Robotica come Svolta per l'Agricoltura Italiana"

 

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno: "L'Innovazione Robotica come Svolta per l'Agricoltura Italiana"


Intervistatore: Dottor Bruno, in Giappone i robot come Akebono e Aigamo stanno rivoluzionando l'agricoltura, in particolare nella gestione del diserbo nelle risaie. Come vede l'introduzione di simili tecnologie in Italia, in contesti rurali magari più tradizionali?

Dott. Antonio Bruno: L'agricoltura italiana è ricca di tradizioni, ma come in molte altre parti del mondo, stiamo affrontando problemi legati al calo della forza lavoro, all'invecchiamento degli agricoltori e ai costi crescenti. L'introduzione di robot come Akebono potrebbe rappresentare una svolta anche qui. La possibilità di automatizzare compiti complessi, come il diserbo, libererebbe gli agricoltori da lavori manuali estenuanti, migliorando l'efficienza e la qualità del raccolto. L'Italia, con la sua varietà di colture e microclimi, potrebbe beneficiare di queste innovazioni, specialmente nelle aree dove la manodopera scarseggia.

Intervistatore: La robotica può davvero avere un impatto significativo nel rilanciare le economie rurali, come si spera che avvenga a Niigata?

Dott. Antonio Bruno: Assolutamente sì. L'Italia, con le sue numerose piccole e medie aziende agricole, spesso si trova a dover affrontare problemi di competitività. La robotica agricola può aumentare la produttività e ridurre i costi, ma soprattutto può attirare giovani verso questo settore. I giovani italiani sono molto legati alla tecnologia, e la possibilità di gestire un'azienda agricola con l'ausilio di macchine all'avanguardia può rendere l'agricoltura più appetibile. L'esperienza del Giappone è illuminante: tecnologie come quelle sviluppate da FieldWorks non solo migliorano l'efficienza, ma rendono anche l'agricoltura più sostenibile.

Intervistatore: Il progetto in Giappone mira anche a rendere l'agricoltura biologica più accessibile. In che modo i robot possono favorire un'agricoltura più sostenibile in Italia?

Dott. Antonio Bruno: I robot possono giocare un ruolo chiave nella riduzione dell'uso dei prodotti chimici detti fito farmaci o pesticidi, grazie alla loro precisione. In Giappone, Akebono e Aigamo eliminano le erbacce meccanicamente, riducendo la necessità di diserbanti chimici e, di conseguenza, l'impatto ambientale. In Italia, una maggiore diffusione di queste tecnologie potrebbe incentivare la transizione verso pratiche biologiche. Inoltre, queste soluzioni tecnologiche possono monitorare la salute del suolo e delle colture, permettendo interventi mirati e riducendo lo spreco di risorse come l'acqua e i fertilizzanti.


Intervistatore: L'idea di una "bioeconomia circolare" in cui la tecnologia gioca un ruolo centrale è affascinante. Pensa che questo modello possa essere replicato in Italia?

Dott. Antonio Bruno: Assolutamente. Il concetto di bioeconomia circolare è molto in linea con le politiche agricole europee e italiane, che puntano a un'agricoltura più sostenibile e innovativa. I robot potrebbero diventare una componente cruciale per creare sinergie tra agricoltura, industria e tecnologia. Immaginiamo un sistema dove i rifiuti agricoli vengono riutilizzati per produrre energia, o dove le nuove tecnologie permettono di integrare l'agricoltura con altre industrie locali, creando nuove opportunità di lavoro e sviluppo economico. L'Italia ha le capacità e le risorse per intraprendere questa strada.

Intervistatore: Dal punto di vista pratico, quali sarebbero le principali sfide per l'introduzione dei robot agricoli nel nostro paese?

Dott. Antonio Bruno: Le sfide principali riguardano soprattutto l'investimento iniziale e lo scarso numero degli agricoltori. Molti agricoltori italiani potrebbero vedere queste tecnologie come un costo elevato o come qualcosa di complicato da gestire. È qui che entra in gioco il ruolo delle istituzioni e delle università, le prime devono prendere direttamennte la gestione del paesaggio rurale abbandonato istituendo un Ente pubblico, le università devono fornire il supporto tecnico e finanziario necessario per rendere queste soluzioni accessibili. Iniziative come quelle della Nagaoka University of Technology, che coinvolgono diversi attori, dai governi locali alle cooperative agricole, potrebbero essere un modello da seguire anche qui.

Intervistatore: In conclusione, quali sono le prospettive future per l'agricoltura robotica in Italia?

Dott. Antonio Bruno: Le prospettive sono molto promettenti. Stiamo entrando in un'era in cui l'agricoltura diventerà sempre più tecnologica. Se riusciamo a superare le barriere iniziali, i robot agricoli potrebbero diventare una parte integrante delle nostre aziende. Non si tratta solo di migliorare la produttività, ma di ripensare completamente il modo in cui facciamo agricoltura, rendendola più sostenibile, più efficiente e più attraente per le nuove generazioni. Sono fiducioso che, come sta avvenendo a Niigata, anche in Italia i robot possano essere uno strumento di rinascita per le nostre aree rurali.

Intervistatore: Grazie, Dottor Bruno, per aver condiviso con noi queste riflessioni.

Dott. Antonio Bruno: Grazie a voi, è sempre un piacere parlare di come l'innovazione può migliorare il nostro settore.

 

lunedì 23 settembre 2024

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sulla viticoltura in Puglia

 

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sulla viticoltura in Puglia


Intervistatore: Buongiorno Dottore Bruno, grazie per essere qui con noi oggi. Volevo iniziare la nostra conversazione parlando della viticoltura in Puglia. Ci può spiegare quanto sia importante il vino pugliese per l'economia italiana?

Dott. Antonio Bruno: Buongiorno e grazie a voi per l'invito. Il vino pugliese ha un ruolo cruciale nell'economia italiana; pensi che due litri su dieci prodotti in Italia portano il marchio «made in Puglia». Negli ultimi anni, dopo la crisi degli anni Ottanta, abbiamo visto un notevole recupero e un consolidamento della nostra posizione, tanto che ora siamo al secondo posto in Italia per produzione vinicola.

Intervistatore: Questo è davvero impressionante! Quali sono le principali varietà di vino che rappresentano la Puglia?

Dott. Antonio Bruno: In Puglia, predominano i vitigni a bacca nera come il Negro Amaro, il Primitivo e l’Uva di Troia. Queste varietà sono emblematiche del nostro territorio, con il Negro Amaro che si trova soprattutto nel Salento, il Primitivo nel centro della regione e l’Uva di Troia a nord. Abbiamo anche vitigni bianchi di grande qualità, come il Bombino Bianco e la Malvasia Bianca.

Intervistatore: La Puglia è famosa anche per le sue denominazioni di origine. Può parlarci di questo aspetto?

Dott. Antonio Bruno: Certamente. La Puglia conta 32 denominazioni di origine protetta (DOP) e 6 indicazioni geografiche protette (IGP). Questo sistema non solo protegge le nostre tradizioni, ma aiuta anche a promuovere la qualità e l'identità dei nostri vini. Inoltre, con oltre 90.000 ettari di vigneti, ci collochiamo al terzo posto in Italia per superficie vitata, il che è un ottimo segnale per la nostra viticoltura.

Intervistatore: Parliamo dei dati economici. Qual è il valore attuale delle produzioni di vino in Puglia?

Dott. Antonio Bruno: Il valore delle nostre IGP è di circa 543 milioni di euro, mentre per le DOP si attesta sui 228 milioni di euro. Questi numeri dimostrano non solo l'importanza economica del settore, ma anche il suo potenziale di crescita, specialmente in un contesto di innovazione e internazionalizzazione.

Intervistatore: Ha menzionato l’innovazione. Può dirci qualcosa di più riguardo agli investimenti recenti nel settore vitivinicolo pugliese?

Dott. Antonio Bruno: Tra il 2014 e il 2021, la Puglia ha beneficiato di circa 227 milioni di euro da aiuti OCM vino, con il 68% di queste risorse destinate alla ristrutturazione e riconversione dei vigneti. Questo è stato fondamentale per migliorare la qualità del nostro vino e per adattarci alle nuove sfide del mercato.

Intervistatore: E per quanto riguarda l’enoturismo? Quali opportunità vede per la Puglia in questo settore?

Dott. Antonio Bruno: L'enoturismo ha un enorme potenziale in Puglia, ma c'è ancora molto da fare. Le cantine possono investire di più nella promozione delle storie e delle tradizioni che circondano i loro vini. Questo non solo aiuta a generare fatturato, ma arricchisce anche l'esperienza del visitatore, facendo scoprire la bellezza del nostro territorio.

Intervistatore: Ultima domanda, Dottore: come vede il futuro del vino pugliese nei prossimi anni?

Dott. Antonio Bruno: Sono ottimista. Con la continua innovazione, l'attenzione alla qualità e il crescente interesse per il nostro patrimonio vitivinicolo, credo che il vino pugliese continuerà a guadagnare prestigio sia a livello nazionale che internazionale. La chiave sarà rimanere fedeli alle nostre tradizioni, pur abbracciando nuove tecnologie e mercati.

Intervistatore: Grazie mille, Dottore Bruno, per il suo tempo e le sue preziose informazioni. È stato un piacere parlare con lei.

Dott. Antonio Bruno: Grazie a voi! È stato un piacere condividere la nostra passione per il vino pugliese.

 

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sulla produzione di vino biologico in Puglia

 

Intervista al Dottore Agronomo Antonio Bruno sulla produzione di vino biologico in Puglia 


Intervistatore: Buongiorno, Dottor Bruno. La Puglia si sta affermando come una delle regioni leader nella produzione di vino biologico. Quali sono i fattori che hanno contribuito a questo successo?

Dott. Bruno: Buongiorno. La Puglia, come il "tacco d'Italia", ha una tradizione vitivinicola molto radicata e un clima favorevole, che favorisce la coltivazione della vite. Negli ultimi anni, c’è stata una crescente consapevolezza dei benefici dell'agricoltura biologica, sia per la salute del consumatore che per la sostenibilità ambientale. Inoltre, i finanziamenti e i bandi regionali hanno incentivato molti agricoltori a convertire le loro pratiche verso il biologico.

Intervistatore: I dati mostrano che la Puglia è seconda solo alla Sicilia per ettari coltivati secondo metodi biologici. Come si spiega questa differenza?

Dott. Bruno: La Sicilia ha una superficie vitata molto ampia, con circa 30.000 ettari di vigneti biologici. La Puglia, con circa 15.000 ettari, ha comunque fatto passi da gigante, ma la Sicilia ha una tradizione storica e una varietà di vitigni che la rendono un leader consolidato. Tuttavia, la crescita della Puglia nel biologico è molto promettente e potrebbe portare a un avvicinamento nei prossimi anni.

Intervistatore: Ha menzionato i bandi regionali. In che modo queste iniziative stanno influenzando la transizione verso l'agricoltura biologica?

Dott. Bruno: I bandi offrono finanziamenti significativi, con misure specifiche per la conversione delle superfici agricole da convenzionale a biologico. Ad esempio, la Puglia ha recentemente messo a disposizione 18 e 20 milioni di euro per supportare gli agricoltori in questo percorso. Queste risorse sono cruciali per chi desidera investire nella sostenibilità e nell’innovazione, contribuendo così a una maggiore diffusione del biologico.

Intervistatore: A livello nazionale, l'Italia ha prodotto circa 2,2 milioni di ettolitri di vino biologico. Qual è la sua opinione sulle prospettive future del settore?

Dott. Bruno: Le prospettive sono molto positive. La crescita del vigneto biologico è stata impressionante, con un incremento del 600% negli ultimi 20 anni. L'Europa, in particolare, sta guidando questa tendenza, e l'Italia, insieme a Spagna e Francia, continua a rappresentare una fetta significativa della produzione mondiale. Credo che ci sia un potenziale inespresso, soprattutto in regioni come la Puglia, che possono ancora espandere la loro produzione e rafforzare la loro posizione nel mercato internazionale.

Intervistatore: Quali sono le principali sfide che i produttori di vino biologico devono affrontare?

Dott. Bruno: Una delle sfide più importanti è la gestione dei costi. L'agricoltura biologica può richiedere investimenti iniziali elevati e una maggiore attenzione nella gestione delle risorse. Inoltre, la competizione con il vino convenzionale, spesso venduto a prezzi più bassi, può rendere difficile per i produttori biologici affermarsi. Infine, è fondamentale educare i consumatori sui benefici del vino biologico, affinché possano comprendere il valore aggiunto di queste produzioni.

Intervistatore: In conclusione, quali consigli darebbe ai giovani agronomi e viticoltori che desiderano intraprendere una carriera nel settore del vino biologico?

Dott. Bruno: Consiglio di formarsi continuamente e di rimanere aggiornati sulle tecniche di coltivazione biologica. È importante anche costruire reti di contatto e collaborazioni con altri produttori e istituti di ricerca. Infine, suggerisco di non avere paura di innovare e sperimentare; il settore del biologico è in continua evoluzione e offre molte opportunità per chi è pronto a coglierle.

Intervistatore: La ringrazio, Dottor Bruno, per il suo tempo e per le informazioni preziose che ci ha fornito.

Dott. Bruno: Grazie a voi per l’opportunità di parlare di un tema così importante e attuale.

 

domenica 22 settembre 2024

Intervista al Dott. Antonio Bruno: La Creatività tra Scienza e Arte

 

Intervista al Dott. Antonio Bruno: La Creatività tra Scienza e Arte 


Intervistatore: Buongiorno, Dott. Antonio Bruno, grazie per essere qui con noi. Oggi parleremo di un tema che unisce due mondi spesso percepiti come distanti: la creatività nella scienza e nell'arte. Per iniziare, qual è la sua visione sulla creatività? È un dono innato o una capacità che possiamo sviluppare?

Dott. Antonio Bruno: Grazie a voi per l'invito. La creatività è un tema affascinante perché, come accade spesso in questi ambiti, ci sono più risposte. Per alcuni può sembrare un dono innato, una sorta di ispirazione che arriva nei momenti più inaspettati. Tuttavia, io penso che la creatività sia una capacità che si può allenare e affinare. È il risultato di un insieme di esperienze, errori e riflessioni. Che sia arte o scienza, alla base c'è sempre l'abilità di vedere connessioni nuove e inusuali tra elementi che già conosciamo.

Intervistatore: Interessante! Lei in una sua intervista a evidenziato il ruolo fondamentale dell'errore nel processo creativo. Ci dica, come si può applicare questo concetto al mondo scientifico?

Dott. Antonio Bruno: Penso che l’errore sia un punto cruciale. In scienza, così come in arte, l'errore è un componente fondamentale del processo creativo. Quando conduciamo esperimenti o formuliamo teorie, spesso incontriamo ostacoli e sbagliamo. È proprio grazie a questi errori che impariamo e riadattiamo le nostre ipotesi. La creatività, in fondo, non è altro che la capacità di trasformare un fallimento in un'opportunità di miglioramento. È un processo continuo di tentativi e aggiustamenti, che alla fine porta alla scoperta.

Intervistatore: In effetti, lei stesso ha parlato di creatività come un atteggiamento. Ci può spiegare questa sua visione?

Dott. Antonio Bruno: Assolutamente. La creatività è un'attitudine mentale, un modo di porsi di fronte a problemi complessi. La creatività non è qualcosa che accade casualmente, ma è il risultato di una mente allenata a osservare, collegare e innovare. Nella scienza, ad esempio, cerchiamo sempre di fare domande nuove o migliorare le risposte già esistenti. Questo richiede una mentalità aperta e pronta ad esplorare percorsi non convenzionali. È un atteggiamento che si può coltivare con il tempo e con l'esperienza.

Intervistatore: Humberto Maturana, invece, ha definito la creatività come un fenomeno spontaneo degli esseri viventi. Secondo lei, qual è il ruolo dell'ambiente nel favorire questa spontaneità creativa?

Dott. Antonio Bruno: Maturana ha un punto di vista molto interessante. La creatività è certamente legata all'interazione con l'ambiente. Ogni individuo, fin dalla nascita, crea il proprio mondo attraverso l'esperienza diretta. Se l'ambiente circostante stimola la curiosità e permette di esplorare senza troppe restrizioni, la creatività si libera in maniera naturale. Questo vale per i bambini, ma anche per gli adulti. È fondamentale che l'ambiente educativo e familiare non limiti la curiosità, ma anzi gli incoraggiamenti. Così, si apre uno spazio di riflessione e invenzione continua.

Intervistatore: Spesso si tende a pensare che i creativi siano gli artisti, mentre i matematici o gli scienziati siano meno coinvolti in processi creativi. Lei cosa non pensa?

Dott. Antonio Bruno: Questa è una concezione molto diffusa, ma errata. La creatività non è appannaggio esclusivo dell'arte. Anche in matematica e nelle scienze c'è una grande componente creativa. L'atto di formulare una teoria o di risolvere un'equazione complessa richiede immaginazione e originalità. Gli scienziati devono continuamente trovare modi nuovi di interpretare dati, costruire esperimenti e formulare ipotesi. È vero che i campi dell'arte e della scienza hanno approcci diversi, ma alla base c'è la stessa forza creativa: la capacità di vedere oltre il noto e scoprire nuove possibilità.

Intervistatore: Parlando di intuizione, lei ha descritto l'intuizione come una sorta di "altro io" che ci accompagna. Qual è il suo rapporto con l'intuizione nella scienza?

Dott. Antonio Bruno: L'intuizione è un aspetto cruciale anche in ambito scientifico. È quella sensazione che ti guida quando affronti un problema e non hai ancora tutte le risposte. Molto spesso, l'intuizione deriva dall'esperienza e dal riconoscimento di schemi ricorrenti. Non si tratta di qualcosa di magico o misterioso, ma di un processo mentale molto sofisticato che combina ciò che già conosciamo per creare nuove connessioni. Nella scienza, l'intuizione ci permette di esplorare soluzioni che non erano immediatamente evidenti.

Intervistatore: Secondo lei, è possibile insegnare la creatività? Come si può favorire questo processo?

Dott. Antonio Bruno: Maturana ha espresso un concetto molto bello: la creatività non si insegna, si libera. Credo fermamente in questo. Non si può "insegnare" a essere creativi nel senso tradizionale del termine, ma si può creare un ambiente che permette alla creatività di emergere. È importante fornire spazi di libertà in cui le persone possono fare domande, sperimentare e anche sbagliare. Solo così si possono aprire le porte alla creatività, tanto in scienza quanto in arte. La chiave è lasciare che le persone seguano la propria curiosità e trovino il proprio modo di esprimere idee innovative.

Intervistatore: Grazie mille, Dott. Bruno, per questo dialogo stimolante. Ha fornito molti spunti di riflessione su come arte e scienza possono incontrarsi sul terreno comune della creatività.

Dott. Antonio Bruno: Grazie a voi. È sempre un piacere poter parlare di questi temi che uniscono mondi apparentemente distanti.

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sabato 21 settembre 2024

Intervista al Dott. Antonio Bruno sulla tutela ambientale

 

Intervista al Dott. Antonio Bruno sulla tutela ambientale


Intervistatore: Buongiorno, Dott. Bruno. Oggi parleremo di un tema molto attuale: la stewardship, ovvero la gestione responsabile delle risorse naturali. Qual è, secondo lei, l'importanza di questo concetto nel contesto attuale?

Dott. Antonio Bruno: Buongiorno. La stewardship è cruciale perché rappresenta un modo di pensare e agire che può fare la differenza nel nostro approccio alla sostenibilità. È fondamentale non solo per preservare gli ecosistemi e la biodiversità, ma anche per garantire un uso sostenibile delle risorse, come aria, acqua e suolo, in un momento in cui il cambiamento climatico sta avendo effetti devastanti.

Intervistatore: Recentemente, Ipsos ha condotto un'indagine che mostra una divisione tra apatici, scettici e impegnati nella difesa dell'ambiente. Cosa ne pensi di questi dati?

Dott. Bruno: I risultati sono piuttosto preoccupanti. In Italia, il 42% della popolazione si mostra apatica o scettica riguardo alle questioni ambientali. Questo è un chiaro indicativo di una disconnessione tra le persone e le problematiche ambientali, che può ostacolare l'adozione di politiche più sostenibili. Dobbiamo lavorare per sensibilizzare e coinvolgere anche questo gruppo, altrimenti rischiamo di non riuscire a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità.

Intervistatore: Nella ricerca si fa anche riferimento a due gruppi tra gli "impegnati": gli ottimisti angosciati ei guardiani del pianeta. Qual è la differenza tra questi due approcci?

Dott. Bruno: Gli ottimisti angosciati sono coloro che, pur vivendo un'ansia per le problematiche ambientali, mantengono una certa fiducia nel progresso e nella capacità di innovazione. D'altra parte, i guardiani del pianeta hanno una visione più critica e collettivista, con una forte urgenza per il cambiamento sistemico e un'attenzione particolare alle ingiustizie sociali. È importante che entrambe le visioni collaborino per costruire soluzioni efficaci.

Intervistatore: Parlando di giustizia sociale, come si può collegare questo aspetto alla gestione ambientale?

Dott. Bruno: La giustizia sociale è una parte integrante della stewardship. Non possiamo affrontare la crisi ambientale senza considerare gli impatti sociali delle nostre azioni. La transizione verso un modello più sostenibile deve essere equa e inclusiva; altrimenti, rischiamo di aumentare le disuguaglianze esistenti. La sfida è quella di creare un'economia più armonica, che distribuisca equamente i benefici ei costi della transizione green.

Intervistatore: Quali sono, secondo lei, i passi concreti che dovrebbero essere intrapresi per migliorare la situazione attuale?

Dott. Bruno: Dobbiamo promuovere politiche pubbliche che incentivano l'uso sostenibile delle risorse, supportando anche l'educazione ambientale per sensibilizzare le nuove generazioni. Inoltre, è fondamentale coinvolgere le comunità locali nel processo decisionale e garantire che le soluzioni proposte siano accessibili a tutti, specialmente ai più vulnerabili.

Intervistatore: Infine, quale messaggio vuole lasciare ai lettori riguardo alla stewardship?

Dott. Bruno: Il messaggio chiave è che ognuno di noi ha un ruolo nel proteggere il nostro pianeta. La stewardship non è sola responsabilità dei governi o delle grandi aziende; anche le scelte quotidiane dei singoli cittadini possono fare la differenza. È il momento di passare dalle parole ai fatti e di impegnarsi attivamente per un futuro sostenibile.

Intervistatore: La ringrazio, Dott. Bruno, per il suo tempo e per le sue preziose considerazioni.

Dott. Bruno: Grazie a voi. È sempre un piacere discutere temi così importanti.