Xylella, germogli di speranza
Il prof. Luigi De Bellis del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche
ed Ambientali di UniSalento: «Avvisaglie di un possibile adattamento delle
piante di olivo al patogeno». Alcuni oliveti stanno rinverdendo, migliorando
l’aspetto delle campagne. Le azioni messe in atto da Osvaldo Santoro di Taviano
e Ivano Gioffreda di Sannicola
Premesso che al momento non esistono cure per le piante
infette da Xylella fastidiosa, così che il batterio rimarrà nel Salento per
decenni (con il contributo della scarsa sensibilità da parte delle
istituzioni), sono state notate le prime avvisaglie di un possibile adattamento
delle piante di olivo al patogeno a cui hanno contribuito comportamenti
virtuosi da parte di vari operatori.
Infatti, molti hanno notato che alcuni oliveti stanno
“rinverdendo” in modo da migliorare l’aspetto delle campagne salentine.
Due le azioni messe in atto rispettivamente di Osvaldo
Santoro di Taviano e Ivano Gioffreda di Sannicola.
A TAVIANO
Il primo ha innestato nel 2019 nell’agro Taviano la cultivar
Leccino su polloni prodotti da una trentina di piante centenarie della varietà
Ogliarola Leccese ottenendo, dopo circa 5 anni, produzioni elevate accompagnate
da scarsi sintomi di Xylella (foto 1 e 2).
La logica di questo intervento risiede nell’aver capitozzato
le piante infette, così da eliminare gran parte del batterio già presente
nell’albero, ed indurre lo sviluppo di polloni a partire da gemme avventizie o
da ovuli (sferoblasti), formazioni caratteristiche dell’olivo, inglobate nella
corteccia del colletto (la zona intermedia fra il fusto e la radice).
I polloni sfruttano inizialmente le risorse nutritive
immagazzinate nelle radici fino a quando le foglie prodotte non sviluppano una
significativa attività fotosintetica in grado di supportare l’ulteriore
crescita e la successiva produzione.
Naturalmente non c’è nessuna garanzia che i polloni prodotti
siano esenti da Xylella perché il batterio, definito dai patologi vegetali
“sistemico”, si muove liberamente in tutti i vasi xilematici, anche quelli
dell’apparato radicale, nonostante nella parte aerea sia maggiormente radicato,
anche a causa della continua azione degli insetti vettori (la celeberrima
“sputacchina”).
Comunque, l’aver eliminato la parte aerea infetta fa sì che
le parti basali rimanenti abbiano in ogni caso un ridotto inoculo del patogeno.
In aggiunta, è pressoché certo che durante la loro crescita
i polloni saranno a loro volta aggrediti ed infettati da nuove generazioni di
“sputacchine”, ripristinando nel tempo lo stato infettivo, ma questo
esattamente come accade per le varietà Leccino o Favolosa (FS17) definite a
ragione resistenti/tolleranti ma che, negli anni, possono deperire in caso di
gravi infezioni.
In breve, attraverso l’innesto di Leccino su polloni di
Ogliarola Salentina (o Cellina di Nardò) si crea un nuovo individuo la cui
parte aerea (innesto) cresce più rapidamente (rispetto ad una nuova pianta
messa a dimora) perché sfrutta l’apparato radicale del portainnesto, che già esplora
un significativo volume di terreno, e che appartiene ad una varietà molto meno
sensibile alla scarsa disponibilità di acqua, caratteristica che andrà
confermata da dati scientifici, ma che sicuramente sarà in parte conferita dal
portainnesto alla nuova pianta, che è ora per metà Ogliarola e per metà
Leccino.
FOTO 1
FOTO 2
A SANNICOLA
Invece Ivano Gioffreda, da anni, va dispensando consigli su
come mantenere vive le piante infette da Xylella, attraverso una gestione che
prevede potature indirizzate unicamente alla eliminazione dei rami disseccati,
lasciando intatte le parti apicali delle branche (tira-linfa), evitando quindi
le capitozzature.
In sostanza, l’indicazione corrisponde all’invito a non
abbandonare le piante.
La logica che sottintende l’intervento, anche in questo caso
è di una semplicità disarmante: è ovvio che un ammalato, pianta o essere umano,
deperisce più rapidamente in assenza di cure e attenzioni.
Il risultato di questa semplicissima pratica, applicata sia
su Cellina di Nardò che Ogliarola Salentina, è illustrato nelle foto 3 e 4:
piante rigogliose che sono ritornate produttive a buoni livelli (a detta di
alcuni proprietari “come non producevano da anni”, pur non disponendo di dati
storici) e che, soprattutto, contribuiscono a mantenere pressoché inalterato il
paesaggio con grande soddisfazione dei proprietari e delle persone che vivono
nelle vicinanze.
Vero è che un intervento di potatura annuale, oltre a
eventuali ulteriori piccoli interventi tra una potatura principale e l’altra,
hanno un costo. Ma i piccoli proprietari, che hanno intrapreso questa strada,
hanno ricevuto in cambio la gioia di veder nuovamente vegetare le proprie
piante.
In conclusione, gli esempi descritti non sono indirizzati a
curare le piante dal patogeno od a ottenere alte produzioni per unità di
superficie (obiettivo di impianti superintensivi); si tratta di interventi
rivolti verso una rapida rigenerazione del paesaggio con varietà tipiche (anche
se in un caso solo come portainnesto), scelte dagli agricoltori salentini
secoli fa, perché valutate adatte ai terreni e al clima del Salento,
caratterizzato da estati siccitose.
FOTO 3
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