L'incendio che distrugge le conifere del Salento leccese
Hai un giardino? Tu puoi piantare quello che vuoi! Il giardino rappresenta il luogo della libertà, puoi mettere dentro piante che hanno vissuto agli antipodi una accanto all’altra.
Se ci allontaniamo dal nostro giardino per guardare al Paesaggio che ci circonda allora c’è bisogno di grande attenzione. Nel paesaggio del Salento dobbiamo essere molto cauti quando ci viene l’idea di introdurre piante provenienti dalle altre parti del mondo.
Il discorso di Paolo Pejrone
Ho molto riflettuto sulle parole che ho ascoltato da Paolo Pejrone, architetto paesaggista, allievo di Russell Page, che ieri attraverso Radio 3 nella trasmissione Chiodo Fisso mi ha raccontato il modello di forestazione italiano ottocentesco, sciaguratamente importato da Germania e Austria, fondato sulle aristocratiche conifere contro una macchia mediterranea popolare e sicuramente più resistente e adatta alla difesa del nostro territorio.
Si, nel secolo scorso che si è puntato a piantare alberi estranei al Salento. Si bonificò la costa paludosa del leccese e degli Alimini e si misero specie che non erano originarie del Salento.
Queste piante che com’è evidente si sono adattate a fatica nel nostro ambiente hanno poi dovuto soccombere.
Una politica sbagliata di forestazione che ha copiato dall’Austria e dalla Germania ha imposto nel nostro Salento le famose pinete che sono sparse un po’ dappertutto e persino nella Città di Lecce con le pinete di San Cataldo.
Il fuoco che distrugge le conifere
Questi boschi di conifere puntualmente sono andate tutte a fuoco e continuano ad andare a fuoco e rischiano di scomparire e con loro il lavoro degli ex combattenti della prima guerra mondiale che furono impiegati in quei lavori dalla Società delle Bonifiche Ferraresi a cui lo Stato fascista aveva dato l’appalto per l’esecuzione di quei lavori.
Dove gli incendi sono frequenti noi avremmo dovuto piantare gli alberi e gli arbusti della nostra zona. Mi riferisco alla macchia mediterranea che è appunto originaria del nostro territorio.
Invece abbiamo assistito a queste foreste con una sola essenza appunto il pino così come accade alla Germania e all’Austria.
La macchia ha la caratteristica che dopo un incendio viene di nuovo fuori, per così dire risuscita.
Alcuni degli incendi:
http://www2.lecceprima.it/cronaca/fiamme-dolose-divorano-la-pineta-e-macchine-agricole.html
http://www2.lecceprima.it/cronaca/paura-a-torre-dell-orso-grosso-incendio-nella-pineta.html
http://www2.lecceprima.it/cronaca/appicca-le-fiamme-al-bosco-poi-prova-a-fuggire-in-vespa.html
http://www2.lecceprima.it/cronaca/di-nuovo-fiamme-a-santa-cesarea-a-fuoco-40-ettari.html
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http://www2.lecceprima.it/cronaca/tre-grossi-incendi-fiamme-vicino-a-case-e-alberghi.html
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http://www2.lecceprima.it/cronaca/fiamme-zona-montagna-spaccata-canadair-in-volo.html
http://www2.lecceprima.it/cronaca/caldo-record-e-incendi-divorati-cinque-ettari-di-bosco.html
La guida botanica del Salento
Chiedo soccorso alla Guida botanica del Salento scritto da S. Marchiori, P. Medagli, L. Ruggiero, , ed edito da Congedo Ed., Galatina 1998) e scopro che “La collocazione geografica della penisola salentina, lungo la linea ideale che, attraverso il Canale di Sicilia e la Calabria, collega la Tunisia all’Albania, ne fa uno degli elementi di congiunzione tra i due bacini, occidentale e orientale, del Mediterraneo, con notevoli conseguenze sulla composizione del suo patrimonio naturalistico, che viene a trovarsi nella zona di transizione tra due aree con peculiarità botaniche e zoologiche abbastanza evidenti. La vicinanza poi con la Penisola Balcanica fa del Salento, così come del promontorio garganico, una specie di ponte tra le due sponde dell’Adriatico. Le conseguenze di questa situazione geografica si ritrovano nelle caratteristiche della flora salentina, che comprende numerosi elementi propri dei due bacini, che si ritrovano al loro estremo di distribuzione, e una ricca serie di specie in comune con la sponda adriatica balcanica.
Ne risulta una composizione floristica di grande interesse scientifico per gli studi di biogeografia del Mediterraneo, oltre che per gli studi di sistematica. Un interesse reso ancora più grande dal discreto numero di specie rare od endemiche.”
Ma qual'era la vegetazione originaria del Salento?
Leggiamo ancora dal libro Guida botanica del Salento:
“Come molte altre zone del Mediterraneo il Salento era un tempo, prima che l’uomo operasse le trasformazioni suddette, ricoperto dalla foresta sempreverde mediterranea. Specie dominante era il leccio (Quercus ilex), accompagnato da poche altre specie arboree come la quercia virgiliana (Quercus virgiliana), ed altre di minor altezza quali l’alloro (Laurus nobilis), l’alaterno (Rhamnus alaternus), il corbezzolo (Arbutus unedo) ed il viburno-tino (Viburnum tinus). Numerose le entità lianose che arrampicandosi ai tronchi degli alberi portano, talora, i loro fiori e i loro frutti al di sopra dello strato arboreo: il caprifoglio mediterraneo (Lonicera implexa), lo smilace (Smilax aspera) e la rosa di S.Giovanni (Rosa sempervirens).”
Nel 2050 il Salento leccese sommerso dall'acqua
Vi ricordate quei manifesti inquietanti che campeggiavano a Lecce e che mostravano la città sott'acqua? Ebbene molti studi dimostrano che l’attività umana sta stravolgendo il nostro pianeta. Basta guardare le foto che mostrano i ghiacciai di dieci anni fa e quello che è rimasto oggi per prendere atto che in Groenlandia si sono dimezzati. I grafici sull’incidenza di eventi castrofici, come gli uragani e le onde anomale, raccontano che sono raddoppiati negli ultimi 30 anni. La malaria è riuscita ad arrivare a 7000 piedi fin sulle Ande colombiane. Epidemie dai contorni incerti minacciano larghe parti del pianeta. Ed ecco il perchè di quei manifesti infatti se si continua così nel 2050 un milione di specie animali e vegetali saranno irrimediabilmente scomparse, l’Artico sarà sciolto e il livello delle acque salirà di 20 piedi e per questo potremo dire addio al nostro Salento e con ogni probabilità andremo a fare il bagno sull’Appennino.
Facciamo la nostra parte
I boschi svolgono una pluralità di funzioni che vanno da quelle più prettamente produttive a quelle, ugualmente fondamentali, a carattere ambientale come le funzioni di difesa idrogeologica, naturalistica, paesaggistica, oltre che quelle turistiche e ricreative.
Peccato che i soldi pubblici siano stati “buttai” in numerosi rimboschimenti effettuati su suoli (spessissimo poveri) con conifere (soprattutto pino d'Aleppo) e quasi sempre abbandonati a sè stessi. Tale scelleratezza se non sventata ha dato luogo alla necessità di urgenti interventi che mirino a dare ai soprassuoli strutture definitive e, ovunque sia possibile, l'avviamento alla costituzione di boschi naturaliformi mediante la graduale immissione di latifoglie autoctone.
Lecce e Brindisi le Province più povere di verde
Lecce e Brindisi sono le province italiane in assoluto più povere di verde, rispettivamente con un coefficiente di boscosità dell'1,4 e 1,5.
L’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio (INFC) del 2005 permette di definire la composizione delle specie arboree pugliesi (indicatore iniziale di obiettivo n. 19) e, in particolare, di evidenziare come ben il 73% della superficie forestale regionale sia rappresentato dalla macrocategoria delle latifoglie (quasi tutto nella provincia di Foggia) e solo il 13,8% da conifere (quasi tutto nelle province di Lecce, Brindisi e Taranto).
Meno male che il patrimonio forestale pugliese si contraddistingue per una interessante presenza della Macchia mediterranea (oltre 15.000 ettari sulla base delle informazioni ISTAT) che rappresenta circa il 5,7% di quella complessiva italiana e il 10,5% di quella del Mezzogiorno. Ed è per questo che potremmo fare nostro l'appello per togliere le conifere per tornare alla macchia mediterranea che ieri ha fatto Paolo Pejrone. Caro Pejrone io ci ho provato, saremo ascoltati? Se così non fosse prepariamo le valige prima del 2050 e trasferiamoci tutti sull'appennino.
di Antonio Bruno
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