di Antonio Bruno
Il territorio del Salento leccese vive il dramma
dell’abbandono conseguenza della frustrazione degli imprenditori rimasti,
costretti a trasformarsi in commercianti perché oggi tutti vogliono vendere e
nessuno vuole più produrre.
La riforma agraria del 1950 si fece espropriando le
proprietà superiori ai 300 ettari (2.800 proprietari su 700mila ettari) con
l’ottenimento di 120mila intestatari di poderi e quote. Trent’anni dopo i dati
ci informano che i cittadini che uscirono dal bracciantato per accedere alla
proprietà contadina furono 80 mila.
La riforma 2021 che propongo
non prevede l'esproprio ma l'associazionismo obbligatorio di medi proprietari
assenteisti e di piccoli proprietari di fazzoletti di terra anziani.
È del tutto evidente che si deve prevedere un incentivo
perché queste famiglie accettino di buon grado la perdita di fatto della
disponibilità del bene. Il primo passo
quindi è individuarlo e calcolarne il costo.
Poi bisogna elaborare un business plan del consorzio per
stabilire la capacità imprenditoriale che lo stesso avrà nello gestire
economicamente la grande azienda che si verrebbe a costituire. Ciò è
indispensabile perché in assenza di questa capacità anche il consorzio prima o
poi lascerebbe incolte queste terre e non avremmo ottenuto invece la
prospettiva di sviluppo che tutti speriamo.
E’ mia opinione che il punto di partenza per una nuova
"Riforma Fondiaria" dovrebbe essere la consapevolezza che il
Paesaggio rurale è produttore di Servizi ecosistemici per tutta la collettività
e che la globalizzazione, per gli inferiori costi di produzione dei paesi
nostri concorrenti, rende non concorrenziale e fuori mercato la produzione di
cibo in Italia ad eccezione di brand di nicchia che, ad oggi, sono detenuti da
grandi Imprese di trasformazione.
Inoltre la stragrande maggioranza dei proprietari del
paesaggio rurale del Salento leccese, hanno i loro figli, che dovrebbero essere
le nuove generazioni in grado di sostituirli, collocati in settori diversi da
quello primario. La conseguenza di ciò e che oggi, ad occuparsi del Paesaggio
rurale, sono ancora le vecchie generazioni ovvero cittadini che oramai hanno 80
anni a cui noi gli auguriamo di potersene ancora occupare per molti anni, ma
siccome sappiamo che la vita umana non è eterna, la deriva non potrà che spiaggiare
in un abbandono del Paesaggio rurale senza alternative produttive.
Inoltre si deve prendere atto che il sostegno economico dell’Unione
Europea degli ultimi sessant’anni non ha prodotto occupazione in agricoltura.
Le cause sono da attribuirsi agli Imprenditori a titolo principale che non
investono più, perché ormai rassegnati a subire la concorrenza dei Paesi
dell'Africa Mediterranea che li vede disperatamente soccombenti. Invece i
piccoli proprietari per la loro età non hanno tra le priorità la creazione di
grandissime società multinazionali che potrebbero, a quel punto, affrontare la
concorrenza mondiale.
C’è anche da tener conto del fenomeno del riscaldamento
globale e della necessità di produrre cibo senza sottrarre altri territori alle
foreste. Non mi diffondo in questo tema perché a tutti noto.
La mia proposta è la costituzione di un Consorzio
Obbligatorio che sia un Ente di diritto pubblico economico, che desidero sia
oggetto di conversazione per un progetto Comune, cioè del Paesaggio gestito
direttamente dall'Ente Pubblico.
Prendendo atto che le politiche della Pac non hanno avuto
effetto per le ragioni esposte, per ovviare all'abbandono non resta che la
gestione diretta attraverso Enti pubblici o di diritto pubblico economico.
Osservo inoltre che se in questi sessant’anni gli imprenditori agricoli a
titolo principale non hanno aumentato gli occupati nel settore primario, invece
la soluzione che propongo, avrebbe come conseguenza un aumento
dell'occupazione.
L'obiezione sulla circostanza che, l'Operatore Agricolo, che
sia lo IAP oppure l'Ente Pubblico o di diritto pubblico economico, una volta
che si confronti con il mercato avrebbe le stesse identiche difficoltà che
hanno gli IAP oggi, può essere superata se abbandonassimo l’attuale
impostazione che considera il cibo come COMMODITIES.
La mia proposta è considerare il cibo come DIRITTO e quindi
di prevedere di affiancare alla produzione una logistica per la sua
distribuzione ai cittadini italiani. Con questa impostazione di programmazione
economica, unitamente ai servizi ecosistemici, il Paesaggio rurale entrerebbe a
pieno titolo nei BENI COMUNI e, di conseguenza, come per i beni culturali, la
sua tutela e salvaguardia entrerebbe tra i compiti dello Stato.
Inoltre c’è da tenere conto che i contratti associativi sono
stati aboliti nel 1982 e non sono più stati ripristinati e che la Pac finanzia la rendita e non le attività di manutenzione del
territorio.
Dalle mie riflessioni e dai contatti che ho preso, i
contratti di mezzadria e quelli di colonia parziaria non sarebbero adeguati all'interesse
dei nostri giovani. Per loro sarebbe preferibile un contratto di lavoro
subordinato per favorire l'ingresso nel settore di personale che non proviene
dal Mondo agricolo. La mia opinione deriva dalla circostanza che i figli dei
proprietari 80enni del Paesaggio non hanno dimostrato sino ad oggi alcun
interesse a tali contratti e, meno che mai hanno interesse gli IAP che, anche
loro in maggioranza, preferirebbero transitare nel lavoro dipendente.
L’ipotesi è un'agricoltura parallela a quella delle imprese
con attività produttive. Un consorzio obbligatorio - ente pubblico a cui devono
aderire i proprietari assenteisti ed i piccoli proprietari di fazzoletti di
terra anziani. Il consorzio deve pagare uno stipendio a tutti i lavoratori e
deve provvedere alla manutenzione del paesaggio.
Tale opportunità può essere perseguita solo da chi non
riesce più a condurre la sua azienda. La mia proposta nasce dalla presa d’atto
delle circostanze che vedono le motivazioni nell’abbandono o la mancanza di
sostenibilità ambientale ed economica. Invece per chi comunque desideri
continuare nell’attività imprenditoriale potrà farlo.
Ci sarà ancora chi sceglierà di fare l'imprenditore
agricolo? Perché dovrebbe farlo? Gli aiuti diretti della Pac in questi 25 anni
hanno già demotivato ampiamente gli agricoltori deprimendo le loro capacità
imprenditoriali. Se si offre loro di diventare dipendenti pubblici,
sceglieranno sicuramente questa strada.
A questo punto la domanda che si pone è la seguente: dove l’Ente
pubblico troverà le risorse per finanziare tale sistema?
La mia proposta è che i servizi ecosistemici resi dal
Paesaggio rurale debbano essere oggetto di un contributo, siccome danno luogo a
un beneficio a tutti i cittadini. Tale tassa dovrà essere versata o alla
fiscalità generale e poi distribuita ai Consorzi o Enti pubblici, o riscossa attraverso
l’emissione, da parte del Consorzio o Ente, di appositi ruoli a carico degli
abitanti del territorio in funzione dei benefici ricevuti per abitante. Tali
servizi, come noto dalla letteratura scientifica, sono calcolabili e tale
redazione dell’ammontare del tributo per cittadino dovrà essere affidata all’Ente
o Consorzio.
Inoltre il paesaggio rurale fornisce le commodities necessarie
per l’alimentazione, la qual cosa verrà garantita dalla produzione e dalla
logistica per la distribuzione.
Il personale del Consorzio obbligatorio o dell’Ente pubblico
gestore del Paesaggio rurale, sarà remunerato attraverso le provviste
rivenienti dalle rimesse dalla fiscalità generale o dall’incasso di ruoli da
parte dell’Ente la cui somma è determinata attraverso il calcolo del ristoro
per i servizi ecosistemici e per il riparto delle spese necessarie alla produzione
e distribuzione della quantità di commodities consegnate.
Si potrebbe prendere come modello il Sistema Sanitario
Nazionale o anche quello scolastico.
In conclusione la provvista dei prodotti agricoli per i
cittadini viene garantita a tutti dall’Ente pubblico. Ciò non esclude le
produzioni agricole da parte di imprenditori privati.
Siccome lo Stato, come per l’istruzione, e per la sanità, garantisce
il diritto al cibo, l’acquisto dei prodotti dei privati dovrà essere a totale
carico dei cittadini. Non sottovaluterei la possibilità dei produttori privati
di essere presenti nei mercati esteri con il brand Made in Italy che dovrebbe
essere interdetto alla produzione pubblica. Inoltre per la funzione sociale
degli imprenditori privati che danno lavoro ai cittadini, così come accade per
le scuole private, lo Stato riconosce il diritto al ristoro dei servizi
ecosistemici e potrebbe riconoscere dei contributi a fondo perduto o dei
finanziamenti a tasso agevolato.
La mia è una bozza di discussione aperta al contributo di
tutti i colleghi.
Faccio presente ancora una volta che tale proposta nasce
dalla consapevolezza che gli imprenditori agricoli professionali del territorio
del Salento leccese, hanno dichiarato di non essere in grado di gestire il
paesaggio rurale frammentato oltre al che per la loro denuncia quotidiana
attraverso tutti mezzi a loro disposizione, dell’insostenibilità economica
della loro impresa al punto di preferirle un lavoro subordinato.
Antonio Bruno
Nessun commento:
Posta un commento