Passeggiando tra gli oliveti del Salento leccese, ci si
trova di fronte a tappeti verdi che al tocco ricordano cuscini morbidi e
vellutati: si tratta di solito di piantine di muschio. Se si osserva più da
vicino ogni singolo ‘cuscinetto’ ci si accorge che è formato da numerose
piantine (per esempio di Polytrichum commune) distinte l’una dall’altra. Ognuna
ha un piccolo asse lungo non più di 2 o 3 cm, con numerose e minuscole
appendici di colore verde considerate foglie, anche se, a differenza delle
‘vere’ foglie, non sono formate da tessuti specializzati ma da un unico e
semplice strato di cellule.
La facilità con cui i cuscinetti di muschio si staccano
dalla superficie su cui si sviluppano (la corteccia degli alberi, i muri, le
rocce o il terreno) dipende dal fatto che non posseggono vere e proprie radici
ma solo piccole appendici, dette rizoidi, cioè sottili filamenti formati da
cellule disposte una di seguito all’altra. Servono soprattutto ad ancorare la
pianta e solo in parte aiutano ad assorbire acqua e sali minerali, sostanze che
una volta prelevate si diffondono omogeneamente fino a raggiungere tutte le
parti del corpo della pianta, che i botanici chiamano tallo.
Muschi, Sfagni ed Epatiche fanno parte delle Briofite,
piante che derivano dalle alghe e che hanno conquistato la terraferma nell’Era
Paleozoica. Il loro corpo semplice è detto tallo ed è privo di radici, fusti e
foglie veri e propri. Vivono soprattutto negli ambienti umidi, dove è
disponibile l’acqua indispensabile per la loro vita e per la loro riproduzione,
che può essere asessuata o sessuata
Nel Salento, ma nella Puglia in genere, le difficili
condizioni economiche dell’olivicoltura che non è mai decollata, ha fatto si
che fossero distribuite tonnellate di Roundop sulle “terre rosse” che si sono
trasformate pedologicamente in strati massificati privi di micro e
macroporosità, in buona sostanza in suoli anossici (privi di aria) dove le
componenti microbiologiche, e biotiche in genere, hanno cessato di svolgere la
loro importante funzione “autorigenerativa” di sostanza organica e elementi
nutritivi.
Gli ulivi del Salento da anni sono trattati come campi da
tennis dove è consuetudine scopare e raccogliere le olive cadute su queste
pavimentazioni rosse, rese ormai impermeabili. Nessuno può negare i lagunaggi
che si creano oggi sui nostri campi olivetati dopo le piogge invernali, acque
che rimangono in superficie per lunghi, lunghissimi periodi di tempo,
trasformando i nostri oliveti in paesaggi degni delle risaie vercellesi.
Allagamenti che anche in questo caso vanno ad alterare i processi di
ossidoriduzione di questi delicati pedoambienti che sono ormai arrivati a
collassare e a far deflocculare i colloidi argillosi causa di deserificazione e
perdita di produttività di migliaia di ettari.
Nessun commento:
Posta un commento