Agricoltura perché? liberamente tratto dall’articolo del Dr. Nicola Gozzoli Presidente Insieme per la Terra
Per gli under 35 l’agricoltura è una strada tutta in salita:
in Italia dal 2010 al 2015 il 27,4% dei giovani ha dovuto chiudere l’azienda.
«Boom di giovani che tornano in campagna», «Non finisce gli
studi per dedicarsi alla pastorizia», «Ritornano gli antichi mestieri». Sono
solo alcuni dei titoli che capita di vedere sui giornali o in molti programmi
televisivi che la domenica raccontano l’agricoltura. Un’agricoltura molto
bucolica, spesso romantica, che fin dagli anni ’80, quando debuttò nei piccoli
schermi il film cult di Renato Pozzetto, Il Ragazzo di Campagna, propone un
modello che però è lontano dalla realtà.
Non porto camicie a quadri, non canto e non ballo sull’aia,
non bevo dal fiaschetto di paglia – anche se il buon vino non lo disprezzo –
parlo l’inglese e, per programmare l’attività in campagna, mi affido più ai
software che alle lune o ai calendari della nonna.
Fuori dagli spot la verità sulla vita del contadino è
certamente più vicina a quella che emerge dai dati di Unioncamere, aggiornati a
luglio 2015, raccolti e consultabili sul sito del Registro delle Imprese Camera
di Commercio.
Soffermandoci sui valori inerenti la panoramica giovanile,
la fotografia è la seguente: dal 2010 al 2015 in Italia le aziende agricole
gestite da under 35 che hanno chiuso sono 17.828 pari al -27,4 % del totale.
Un altro titolo che spesso si legge, riguarda l’aumento dei
giovani alla guida di imprese agricole. Invece l’Italia è il Paese europeo con
il più alto tasso di difficoltà nell’effettuare il ricambio generazionale.
Ricambio che poi non avviene, perché quando il figlio eredita l’azienda, nella
maggior parte dei casi solo alla morte del padre, questo o ha già intrapreso
un’altra carriera oppure l’azienda è già fallita.
Ultimo titolo che vorrei confutare è il rapporto tra
l’aumento di iscritti a facoltà universitarie di tipo agricolo, con un forte
ritorno alla Terra. Queste iscrizioni infatti, non portano a nuove imprese
agricole, anche perché il grande problema in Italia è l’accesso alla terra,
oltre che al credito, difficoltà che oggi rendono impossibile ad un giovane
partire da zero. Questo può avvenire solo in qualche programma della domenica,
verso l’ora di pranzo.
Nell’anno accademico 2014-2015, rispetto all’anno precedente
sono crollate dell’8.9% le iscrizioni ai corsi di Tecnologie e Scienze Agrarie,
pure Scienze Alimentari registra un calo del 17.5%. Unico corso che regge è
Produzioni animali con un incremento del 7.8%.
La provincia di Lecce ha aziende agricole che producono di
tutto, viste le caratteristiche geologiche e climatiche, che rendono la nostra
provincia davvero unica. A Lecce troviamo coltivati dai cereali al mais, dalla
bietola ai foraggi, dalla vite all’olio, dalla verdura al noce pecan, dalla
pesco al kiwi; nelle stalle la zootecnia è rappresentata da pecore, vacche da
latte, da carne, da galline e polli, dai conigli ai cavalli.
L’innovazione tecnologica è entrata nei nostri campi, dove
ormai sempre più aziende, specialmente quelle gestite da under 35, vedono
l’installazione sui trattori, di impianti satellitari che permettono di
lavorare conoscendo la superficie su cui si opera, determinando un minor spreco
di carburante. Questa tecnologia sta determinando una agricoltura sempre più
sostenibile e capace di intervenire in maniera mirata sui vari problemi. Anche
se non è’ finita l’epoca dei diserbi scellerati e non pianificati.
Innovazione è anche sapere scegliere nuove coltivazioni,
studiare il mercato assecondando una tendenza che fino pochi anni fa era inimmaginabile.
Si pensi al basilico, la stevia, il ritorno alla canapa, solo per citare alcuni
esempi.
Oggi l’imprenditore agricolo, così come lo definisce
l’articolo 2135 del codice civile italiano, è una figura che racchiude in sé
molte professionalità: per avere successo deve esser agronomo, fitopatologo,
economo, meterologo, analista di mercato, manager, burocrate, perché oggi le
conoscenze richieste sono maggiori rispetto a ieri. L’agricoltura è quindi un
bel settore dove lavorare, non certo perché lo dicono i media, ma perché lo si
percepisce dopo un solo giorno lontani dalla propria azienda.
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