martedì 15 ottobre 2013

Il Piano Paesaggistico Territoriale della Regione Puglia Uno strumento necessario per migliorare la società locale attraverso un rinnovato rapporto con il proprio ambiente insediativo


Il Piano Paesaggistico Territoriale della Regione Puglia
Uno strumento necessario per migliorare la società locale
attraverso un rinnovato rapporto con il proprio ambiente insediativo 


daniele errico Agronomo (socio ordinario della Società dei territorialisti/e)

Il dibattito che si è scatenato a livello locale con l’adozione del Piano Paesaggistico
Territoriale della Regione Puglia, appare allo stesso tempo prevedibile e paradossale:
prevedibile è l’appiglio giustificativo delle contestazioni prevalenti, mentre paradossale è
la conseguente negazione della portata di rinnovamento culturale che il piano offre in un
contesto in cui la pianificazione stenta ad assumere la forma ordinaria di governo del
territorio.
Per alcuni il Piano bloccherà uno dei settori trainanti l’economia, come l’attività edilizia,
determinando condizioni peggiorative dell’attuale crisi economica.
Per altri, riconoscendo nel Piano uno strumento necessario per migliorare la società
locale, la sola lettura provoca una sorta di liberazione, poiché da quel riconoscimento
segue la chiara visione di come agire per produrre nuove forme di territorialità radicate
nella identità dei luoghi, e sperimentare forme nuove di “sviluppo” fondate sul
riconoscimento dei valori territoriali e basate su una forte autodeterminazione culturale,
economica e politica per la messa in valore delle peculiarità territoriali.
Il dibattito in corso sembra poggiare su un malinteso tra chi il piano ha avuto modo di
leggerlo e di seguirlo nel suo lungo processo di costruzione e chi, invece, di questo piano
ha letto poche righe di un comma o qualche articolo che esplicita le norme di
salvaguardia contenute nelle norme tecniche di attuazione del PPTR.
Tale malinteso, in realtà, ha radici ben più profonde e la questione è resa particolarmente
complessa dal rapporto o conflitto storicamente determinato tra tutela del paesaggio e
tutela della proprietà fondiaria che ancora oggi rappresenta la principale determinante
nell’uso del territorio.
Nel dibattito locale questo conflitto prende forma con le prescrizioni previste per gli
“ulteriori contesti paesaggistici” (art. 105, c. 2, NTA), individuati e disciplinati dal PPTR ai
sensi dell’art. 143 (c. 1, lettera e) del Codice del paesaggio, che escludono interventi in
contrasto con le specifiche misure di salvaguardia e utilizzazione.
Questi aspetti del dibattito fanno emergere il carattere prettamente culturale della
questione, che ha a che fare con un concetto ancora astratto di “paesaggio”, utilizzato
nel linguaggio corrente in modo piuttosto generico e superficiale, che rende di
conseguenza banale il significato di “pianificazione” o addirittura vuoto quello di
“pianificazione territoriale” e “paesaggistica”.
Un breve richiamo al contesto culturale in cui si è formato il concetto di paesaggio, ci fa
comprendere meglio i contenuti del dibattito e consente di ricordare che tale concetto
affonda le sue radici tra i principi fondamentali della Costituzione (articolo 9).
Se consideriamo l’incisiva formulazione dell’art. 9 <della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e
artistico della nazione>>, possiamo scorgere la matrice della principale legge oggi
vigente, il Codice dei beni culturali e del paesaggio (2004), che trova nelle due leggi
Bottai (1939), nella legge Galasso (1985) e nella Convenzione Europea del Paesaggio
(2000), rispettivamente, i precedenti normativi e i riferimenti fondamentali.
Con la legge Galasso assistiamo a un ampliamento del concetto di paesaggio, dal
momento che considera meritevoli di tutela non solo i luoghi di rilevante bellezza ma
anche i beni materiali e immateriali del territorio, mentre con la Convenzione Europea il
paesaggio viene riconosciuto giuridicamente <quadro di vita delle popolazioni, come espressione della diversità del loro patrimonio
comune culturale e naturale e come fondamento della loro identità>>.
La nuova lettura offerta dal Codice pone invece l’attenzione non solo sugli elementi
costitutivi del paesaggio ma anche alle relazioni tra le diverse componenti: è proprio
questa rinnovata attenzione alle interrelazioni tra gli elementi costitutivi del paesaggio che
porta a individuare come oggetti di tutela non solo i “beni paesaggistici” ma anche gli
“ambiti di paesaggio” e gli ulteriori “contesti paesaggistici”.
Questo aspetto assume una certa rilevanza nella comprensione del paesaggio, poiché
permette una più appropriata conoscenza delle caratteristiche delle componenti
paesaggistiche, la cui interrelazione, ampiamente riconosciuta dalla disciplina
dell’ecologia del paesaggio, consente una lettura integrata della struttura, delle funzioni
e delle trasformazioni, e quindi delle “proprietà emergenti” del paesaggio, delle qualità o
criticità presenti. In altre parole, si può affermare che ogni componente paesaggistica
assume una sua particolare rilevanza in funzione del ruolo svolto nel più ampio sistema
ambientale di appartenenza: un riferimento contestuale necessario tanto alla sua
conservazione o tutela, quanto alla sua trasformazione.
E’ su queste basi che il dibattito dovrebbe riflettere più a fondo, per comprendere i
contenuti e le strategie di un Piano che guarda al paesaggio come “luogo dell’abitare” e
che ha tra le sue finalità quelle di rifondare il modello di sviluppo socioeconomico
attraverso un lungo processo di decodificazione delle relazioni co-evolutive fra
insediamento umano e ambiente.
In realtà, il Piano invita a guardare verso una prospettiva più lontana dell’immediato
presente e lo fa usando una più vasta visione, costruita attraverso una densa narrazione
di lunga durata. Una prospettiva che ha a che fare con il futuro e che oggi pone a tutti gli
abitanti di un territorio una significativa domanda: in che modo pensiamo di partecipare
alla costruzione di una prospettiva futura capace di riportare il nostro eco-sistematerritoriale
entro una giusta e sensata forma di governo che, oltre a curare le “patologie
territoriali” e a valorizzarne le risorse, renda anche e finalmente saggi i suoi abitanti?
Ponendo in questo modo la domanda, è facile rendersi conto che i termini del dibattito
oltre ad essere prevedibili e paradossali assumono anche il carattere dell’assurdo, poiché
è impensabile assecondare l’agonia di una crisi (non solo economica) in cui, per
rimediare, ci si ostina a utilizzare le stesse pratiche che in diversi modi hanno concorso a
scatenarla.
In questa cornice concettuale, il piano paesaggistico assume i connotati di una
“questione” non solo socio-economica ma anche etica e allo stesso tempo politica, che
nella sua complessa espressione deve affrontare altre questioni, di senso e di valore,
dotate di rilevanza pubblica e non solo privata: è questo il motivo che impone al Piano di
valutare storicamente il rapporto che una civiltà, con la sua gerarchia di valori sociali e
culturali, intrattiene con il suo ambiente di vita.
Un dovere che deriva dal fatto che il paesaggio non ha a che fare unicamente con un
mero rendiconto economico o con un astratto ideale di bellezza (o con la sua
negazione), ma riguarda un lungo e lento processo di costruzione che ha a che fare con
la storia, con i cicli di civilizzazione che in essa si sono succeduti e con la moltitudine di
generazioni che hanno contribuito a generarlo.
Il paesaggio, come espressione identitaria dei luoghi di vita, dà voce non solo alle
popolazioni attuali ma anche a quelle del passato (quelle che il paesaggio lo hanno
faticosamente costruito, gestito e lasciato a noi come preziosa eredità) e a quelle del
futuro, verso cui deve tendere il nostro principio di responsabilità.
Il nuovo Piano della Regione Puglia, prima ancora di rappresentare uno strumento
innovativo per il governo del territorio e del paesaggio, è un documento culturale che
sottende una chiara visione politica del territorio inteso come bene collettivo. Ed è in
questa particolare piegatura semantica che deve essere riconosciuta la sua filosofia, che
trova nella sua impostazione culturale gli obiettivi generali e le principali strategie
territoriali che ruotano intorno allo scenario futuro di uno “sviluppo locale autosostenibile”.

Il Piano regionale è, dunque, la manifestazione politica di un’esigenza di sviluppo
diversamente orientato, un bisogno e allo stesso tempo un’idea cui dare tutta la forza
politica per rispondere alla sfida di una globalizzazione economica che ha generato lo
strapotere dei mercati sui luoghi e la conseguente crisi epocale che tutti conosciamo:
uno strapotere che ha reso le politiche locali sempre più dipendenti da quelle globali,
annullando ogni efficacia di intervento sulle variabili locali della crisi; uno strapotere che
ha prodotto un graduale saccheggio delle risorse territoriali, una progressiva
destrutturazione delle identità, l’accrescimento delle diseguaglianze e una forte
esclusione sociale, oltre a una crescente precarietà e nuove forme di povertà.
La chiara visione politica che il Piano sottende è chiamata a ripensare e a
“riterritorializzare” le prospettive di sviluppo regionale, riconoscendo la necessità di
riconsiderare strategicamente la dotazione di risorse endogene in un territorio con una
forte dipendenza esogena delle sue economie, nella prospettiva di metterle in valore e
garantire un modello di sviluppo socio-economico diversamente orientato, basato sulle
peculiarità, vocazioni e potenzialità territoriali.
Si tratta di un progetto di territorio che persegue, come necessaria condizione, lo sviluppo
di “coscienza di luogo” (Magnaghi, 2010) o nuova consapevolezza sul modo in cui il
territorio, attraverso la sedimentazione di saperi e sapienze ambientali, garantisce la
riproduzione delle condizioni ecologiche, biologiche, economiche e sociali delle
comunità in esso insediate.
Un progetto di territorio che deve cogliere i legami tra le grandi trasformazioni globali e
l’emergere di un rinnovato senso di appartenenza ai luoghi, per sviluppare l’idea di un
nuovo approccio al governo del territorio necessario a costruire comunità consapevoli,
della propria storia e identità, aperte al mondo e proiettate al futuro con una particolare
attenzione ai propri luoghi di vita.
Un Piano che riconosce nella varietà, tipicità e bellezza dei paesaggi di Puglia la
manifestazione di una cultura specifica in cui si esprime un’altrettanto specifica identità.
Un Piano regionale che guarda non solo alla pervasiva crisi economica, affermando
nuove forme di riappropriazione del <>, fondate sul
riconoscimento delle peculiarità socio-economiche, culturali e ambientali del territorio e
sulla cura e valorizzazione delle risorse locali; ma anche alla perdurante crisi culturale che
caratterizza i nostri tempi, preoccupandosi di individuare le regole necessarie tanto alla
riproduzione delle risorse, quanto alla “produzione sociale di territorio”.
Se consideriamo, inoltre, lo “scenario di riferimento” in cui interviene il Piano, possiamo
intuire quanto sia sconfortante il quadro valutativo del “progetto di territorio” che si è
realizzato negli ultimi 40 anni. Un quadro che denuncia una profonda crisi culturale, che
ha prodotto e produce degrado ambientale, consumo di suolo e un profondo disordine
insediativo, con una progressiva dissipazione di risorse e un crescente costo sociale per
rigenerarle.
In queste condizioni di contesto e nella volontà di affermare un nuovo sistema di valori,
capaci di dare nuovo senso alla produzione di nuove forme di territorialità, basate sulla
sovranità alimentare e produttiva, sulla chiusura locale dei cicli ambientali dell’acqua,
dell’energia e dei rifiuti, affermando nuove relazioni tra città e campagna, il Piano ci
consegna una nuova e più forte tensione etica per ricomporre i conflitti, in un quadro di
riconoscimento di beni comuni come il territorio, l’ambiente e il paesaggio.
Questa “via pugliese alla pianificazione”, riconosciuta da altre regioni come fortemente
innovativa, fissa le precondizioni di un processo che porta al cambiamento e al
rinnovamento della cultura locale per la valorizzazione dal basso del territorio, attraverso
l’autoriconoscimento identitario e la riappropriazione di percorsi di autodeterminazione
culturale, economica e politica.
Se questi aspetti esplicitano le ragioni del nuovo Piano, il dibattito in corso dovrebbe
quantomeno chiedersi, supportato dal beneficio del dubbio, se i cambiamenti da
ostacolare siano effettivamente quelli contenuti e rappresentati nel PPTR Puglia.
Racale, 10 ottobre 2013.


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