RICORDI DI UN PIONIERE DELLA
RIFORMA FONDIARIA
La riforma agraria, iniziata nei primi anni ’50 per
effetto della “Legge Sila” e della subito successiva “Legge Stralcio”, ebbe un
ruolo importante per lo sviluppo dell'agricoltura e del suo indotto, a
cominciare dal riscatto di migliaia di famiglie di contadini, i più poveri, non
solo nel meridione d’Italia, ma anche in Maremma e nella bassa Romagna. Da solo
l’Ente di Riforma Fondiaria di Puglia, Basilicata e Molise trasformò 180.000
ettari di latifondo in poderi unifamiliari o in quote integrative di
piccolissime proprietà particellari.
Fu il disagio post-bellico, che spesso significava
autentica fame e che formava una miscela esplosiva, che impose questo massiccio
intervento posto in essere molto prima che il miracolo economico della
ricostruzione nel Nord Italia, in Germania, in Svizzera, in Francia richiamasse
tante braccia da sguarnire anche le zone rurali ad agricoltura più consolidata.
In seguito si sollevarono tante facili critiche che
sono state smentite dai fatti: è sotto gli occhi di tutti che ancora oggi i
poderi sono attivi e quasi tutti con i campi irrigati, anche se le case sono
per lo più solo appoggi stagionali.
Ma quello che voglio riuscire a comunicarvi è il
mondo di allora che è oggi inimmaginabile e lo faccio io che sono figlio di uno
delle centinaia di tecnici agricoli che furono impegnati nell'attività di
riforma fondiaria. In queste poche righe cercherò di rievocare qualche aspetto
di quel mondo sulla base dei ricordi che mi ha trasmesso mio padre.
Già! Mio padre, l’agronomo Antonio Ferro, che
cominciò giovanissimo ad operare, alle dipendenze dell'Ente di Riforma
Fondiaria di Puglia, Basilicata e Molise, nella zona di Policoro, in quella
vasta pianura alluvionale, ora magnifica, che si estende da Taranto alla
Calabria, protetta a Nord dalla corona terminale ionica degli Appennini. Oggi
sono divenuti terreni fertilissimi, tutti irrigati, e in gran parte capaci di
colture più precoci di quelle siciliane. Ma allora erano diffusamente malarici,
paludosi d’inverno, aridi d’estate, solo estensivi latifondi granari, tanto che
i paesi erano arroccati sulle colline, da Ginosa a Mottola, ecc.,.
Qui vale la pena menzionare i ricordi di mio padre:
nei più di 6.000 ettari dei baroni Berlingeri, appena mietuto il grano e prima
di autorizzare la gente ad andarci a spigolare, venivano fatte passare orde di
tacchini!
Gli interventi furono giganteschi: dighe per regimare
le acque a monte, bonifica idraulica e impianti irrigui collettivi a valle,
costruzione della rete degli appoderamenti, dalle strade in terra stabilizzata
(così valide che le tecniche e i laboratori necessari furono anche esportati in
Persia, ecc.) alle case, alle borgate di servizio (scuole, centro medico,
Chiesa, uffici, negozi).
Qui riporto un altro ricordo di papà: la zona era
così povera, anche di popolazione, che per occupare questi nuovi poderi fu
necessario importare famiglie dall’interno della Basilicata. Immaginate questa
scena: dopo la riunione in piazza in cui il Ministro Fanfani distribuì gli
attestati di proprietà agli assegnatari, una donna anziana chiese a papà di far
portare le donne presenti a vedere il mare (sic!). Caricate su alcuni Leoncini
(autocarri attrezzati con panche per il trasporto persone) e arrivate al mare
espressero la loro emozione con questo gesto, cominciato dalla donna più
anziana: senza badare ai loro costumi caratteristici, sollevarono leggermente
la veste ed entrarono nell’acqua, vi intinsero la mano e fecero il Segno della
Croce. A questo punto delle rievocazioni, papà non riusciva a trattenere la
commozione.
Dopo alcuni anni a Policoro, papà fu nominato
Direttore del Centro di Colonizzazione di Gaudiano, nella valle dell’Ofanto.
Anche là i latifondisti erano costretti dalla malaria ad ingaggiare personale
in più, per compensare le falcidie. Erano indimenticabili le torme dei
mietitori e, prima, dei raccoglitori delle fave, che dormivano per terra, sui
marciapiedi di Lavello, avvolti nei loro tabarri.
Mentre la nuova diga del Rendina regimava le acque,
per l’inverno e per l’estate, anche là veniva costruita la rete di strade, di
case, di borgate rurali, mentre nel campo dimostrativo comparivano le fragole e
persino gli asparagi e il centro avicolo distribuiva pulcini. Com’era bello il
tramonto, dietro al monte Vulture, a fine primavera quando il grano duro
Cappelli era già altissimo e, frusciando, sembrava onde del mare! E com’era
prezioso il parco di centinaia di trattori, in prevalenza cingolati, che
operavano sia i primi dissodamenti sia le arature ordinarie, sia la mietitura,
i trasporti, grazie alle cooperative di servizio!
Oggi la valle dell’Ofanto è tutta a pescheti,
tendoni di uva e oliveti intensivi.
Dopo alcuni anni a Gaudiano, per mio padre arrivò il
trasferimento a Gravina di Puglia (Centro di Colonizzazione di Dolcecanto), poi
la Direzione provinciale, prima di Bari e poi di Lecce con l'interim di
Brindisi.
La fase della trasformazione si era evoluta: dalle
cooperative di servizi collettivi e dalle mutue bestiame si passò a sviluppare
cooperative di primo grado specializzate: oleifici, cantine sociali,
cooperative ortoflorofrutticole e poi anche consorzi di cooperative: centrale
del vino, centrale dell’olio di oliva, consorzio ortofrutticolo, sviluppo delle
serre e del mercato dei fiori.
Sono innumerevoli i ricordi, bellissimi come quelli
della riuscita di tutte, dico tutte, le cooperative di primo grado, grazie alla
fideiussione dell’Ente per i mutui bancari, tutelata solo dalla presenza di un
funzionario amministrativo dello stesso Ente con il ruolo di presidente del
collegio sindacale, da un consigliere tecnico, anch’esso dell’Ente, e dalla
supervisione costante del coordinatore delle cooperative e del direttore
provinciale dell’Ente (in questo caso mio padre).
Indimenticabile fu la visita dell’Ambasciatore degli
Stati Uniti, il prof. Gardner accompagnato dalla moglie. Fu spiegato loro che
l’Arneo era tanto pietroso che all’inizio era stato incluso fra le zone di
riforma solo per un’insurrezione popolare; poi però gli appoderamenti, che
sembravano destinati al fallimento, diventarono fonte di grande ricchezza,
grazie ad estesi impianti irrigui collettivi che rendevano produttivi quei
terreni superficialissimi, ma per ciò stesso fonti di colture precoci e
pregiate. Mentre sotto i loro occhi c’era l’esteso biancheggiare di serre di
fiori in tutta la valle di Rodegaleto, le figlie di un assegnatario portarono
mazzi di gladioli e di rose bellissime per loro e per la scorta e la signora si
commosse profondamente.
Caro papà, quando moristi un Senatore commentò “E’
un’epoca che è finita“.
Questo ricordo veramente grato va a moltissimi
funzionari dell’Ente che con lo stesso entusiasmo operarono.
Lecce, 13 febbraio 2013
Dott.
Agr. Giuseppe Mauro Ferro
Accademico
dei Georgofili
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