giovedì 1 maggio 2014

Giovanni Presta Dei pregi di cui l’olivo va adorno


 

Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci, tradotta letteralmente, significa: "Ha ottenuto tutti i voti (un consenso unanime) chi ha mescolato l'utile al dolce" (Orazio, Ars poetica, verso 343). In altre parole: "Raggiunge la perfezione chi sa unire l'utile al dilettevole".

Di tutti gli alberi noti che vivono sulla terra si può senz’altro dire che l’olivo è il migliore di tutti, si può affermare che l’olivo è il primo fra tutti e quindi che l’olivo è il re degli alberi.

Avventurosi sono di certo gli abitanti dei climi dolci dove alligna l’olivo. Si conseguenza tutti noi salentini siamo avventurosi!

L’olivo è incerto ma bello, buono, valido, convincente, ma solo in apparenza, troneggia come la quercia e come quest’ultima non depone mai tutte le foglie ma se ne libera saggiamente poco a poco quando già ne produce di nuove.

Il colore verde dell’olivo non né gaio né sfacciato ma quest’albero è di un verde cupo, che si può meglio dire verde matronale. E poi per il fatto stesso che le foglie dell’olivo sono verdi nella parte superiore e biancastre nella parte inferiore accade che quando sono scosse dal vento è possibile assistere a un colore misto dovuto al movimento che richiama fortemente il verde mare, ovvero  l’olivo è come Glauco figlio di Poseidone e di una Naiade che notoriamente non tratteneva mai per sé tutta l'abbondanza, ma la ripartiva tra gli amici e teneva per sé solo quanto bastava per nutrirsi e vivere alla giornata. Oltre ad essere generoso e di buon cuore, Glauco era anche bello come un dio, così l’olivo.

I rami dell’olivo ordinariamente sono di colore cenere anche se vi sono olivi con la corteccia di color verde limone e altre con la corteccia color verde nero. I rami si diffondono senza alcuna regolarità in ogni parte dell’albero e si distribuiscono elevandosi in vari palchi.

I rami che poi diventano secchi vengono recisi dal proprietario  o fatti recidere da personale chiamato allo scopo ma da ogni parte del tronco ne escono altri che vengono a loro volta tagliati.

Il tronco dell’olivo è sforacchiato, cavernoso, spaccato e  fin nella parte più interna può apparire senza corteccia ma nonostante questo l’olivo non muore. Ma se dall’estremo margine superiore  gli rimane anche un solo fil di verde da quello vegeta, rigermoglia , si riveste, si rafforza alla meglio e produce. L’olivo produce per lunghissimi anni a meno che un colpo di vento non lo divelga dalle radici per farlo schiantare sul terreno. Quell’olivo che pareva prossimo alla morte continua a vivere tanto da vedere i figli, i nipoti, i pronipoti di colui che aveva temuto per la sua morte.

Se l’olivo vegeta in un terreno e con il clima adatto fruttifica anche se non viene coltivato. Le conferme a tutto questo vengono da Tournefort in Voyage au Levant tom 2 lettre 22 che vede gli olivi di Efeso e Smirne; stessa cosa nell’Ircania che è una provincia della Persia come scritto da Salmon in Stato Presente del Mondo To. 5 Cap 6 e infine nelle vicinanze dell’antica città di Cirene in Africa come descritto da Bousching in Nuova Geografia Ediz. Venet. Tom 29 pagg 32,33.

L’olivo appena viene coltivato e potato per spronarlo eccolo che briosamente rientra nella produzione e si possono ammirare i nuovi germogli e i nuovi rami tanto che le cure che gli vengono fatte suscitano grande risposta.

L’olivo fa sfoggio delle ricchezze della natura che rappresenta quanto è in fiore e quando è in frutto ce lo ricorda V.Recherches che nel suo libro Philosoph. Sur les Grecs del Sig. de Paw part 1 parafrafo 8 scrive: “Bellissimo senza dubbio a vedersi un ulivo quand’egli è in fiore; più quanto se ne vegga una gran foresta. Interessante anche l’Iliade di Omero in cui volendo l’autore descrivere la caduta del vago e vezzoso giovane Euforbo morto in duello e disteso in terra da Melelao, lo assomiglia a un bel piantone di ulivo vago, verde, fiorito e ben vegnente che sia di botto divelto e gettato in terra da un fiero groppo di vento.

Dai rami dell’olivo trasuda un liquido che sulla brace sparge un profumo insieme innocente e soave. Il legno dell’olivo bruciato nel camino fa un fuoco allegro e durevole e se impiegato nei fabbricati come materiale di costruzione regge nei secoli come confermato da V. Theofrast de Histor. Plantar. Lib 5 cap. 5.

Se si sceglie e si usa il legno d’olivo per intarsiare ha un bel marezzato che non si ottiene nemmeno con quelli che vengono ritenuti i legni più ricercati. A questo proposito per avere un marezzo ritenuto il più bello è bene utilizzare le radici dell’olivo e quelle protuberanze o gobbe che si formano sulla ceppaia e sul tronco che vengono chiamate dai Greci Gongri mentre i salentini che pure grecizzano molte voci le chiamano Celone per la somiglianza che hanno con le testuggini.

Le olive (ovvero il frutto dell’albero di olivo) si ha la consuetudine di addolcirlo in acqua e sale (salamoia) per tenerlo in serbo per tutto l’anno tanto da utilizzarlo come graditissimo tornagusto a ogni mensa.

Le olive quando sono raccolte mature si può sperimentare che sia gustoso sia messo sotto le ceneri calde o soffritto in padella o anche crudo.

Le olive se vengono spremute anche a freddo o a mano danno un olio così fino, delicato, perfetto e di tanta durata che può essere utilizzato in moltissimi modi. L’olio delle olive non somiglia a nessun altro olio.

Infatti sono stati moltissimi gli olii che si usarono nelle diverse nazioni o per condimento dei cibi o per usarlo come combustibile nei lumi. Gli olii erano: l’olio di sesamo, l’olio di lentisco, l’olio di napo selvatico, di rafano, di vinaccioli, di ricino, l’olio di cocco, di palma di nimbo, di cartamo, di noce, di semi di faggio, l’olio di pesce ecc. ecc. tutti però sono di gran lunga inferiori all’olio d’oliva.

Tra i Romani e tra i Greci il butirro  [lat. butȳrum (e būty̆rum; cfr. burro), dal gr. βούτυρον] stesso si reputava e si ricusava come cibo di gente barbara e incolta. Insomma quando i Greci e i Romani dicevano Olio, intendevano solo l’olio d’oliva, tutti gli altri olii si sono trovati aggiunti per supplemento.

Inoltre sia la sansa e la stessa morchia sono fonte di profitto. In molti paesi produttori di olio i maiali pascolano la sansa di olive, in altri paesi si nutre il pollame.

Inoltre serviva ai forni così come ci conferma Plinio che dalla sansa ignis optissimus (dalla sansa si ottiene ottimo fuoco). La sansa era in uso anche a Babilonia: Mulieres autem circumdatae  finibus in viis sedent, succendentes ossa olivarum (le donne bruciavano i residui dell’olivo). E della morchia diremo in seguito.

Questo è l’olivo ed è diffuso per questo motivo ovunque il clima, il suolo e la politica del govermo l’hanno permesso, ed è perciò che l’olivo si dice, e si dirà sempre, che è il primo tra gli alberi della terra.
Giovanni Presta nel trattato Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l'olio, Parte Prima DELL’ULIVO, Capo I Dei pregi di cui l’olivo va adorno
 

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