Una nuova ricerca dimostra come, con costi irrisori, si
riesce a eliminare il 99% dei batteri presenti nell'acqua
09-01-2017
di Manlio Cafiero
La scarsità di acqua potabile pulita e sicura è una delle
principali cause di mortalità nel mondo in via di sviluppo. L'acqua potabile
deve avere una qualità elevata per quanto riguarda parametri fisici, chimici e
batteriologici, deve essere quindi adatta al consumo umano. Le sostanze
inquinanti più pericolose sono quelle di natura biologica come i batteri
patogeni (Escherichia coli, Salmonella typhi, Vibrio cholerae), i protozoi
(come la giardia) e i virus (adenovirus, enterovirus, epatite, rotavirus).
Un rapporto dell'OMS indica che ogni anno circa 1,6 milioni
di persone muoiono a causa di malattie diarroiche imputabili alla mancanza di
accesso ad acqua potabile. Il 90% delle morti è rappresentato da bambini al di
sotto dei 5 anni. È evidente come questo problema necessiti di un'attenta
riflessione da parte di tutti, anche dalla comunità scientifica che deve
attivarsi per fornire soluzioni.
Le tecnologie comuni per la disinfezione dell'acqua
comprendono la clorazione, la filtrazione, la disinfezione con raggi UV, la
pastorizzazione, l'ebollizione e il trattamento con ozono. Il trattamento con
cloro è efficace su larga scala ma poco applicabile in piccoli villaggi.
L'ebollizione è una metodologia sempre valida, tuttavia impensabile nei paesi
non sviluppati che non hanno accesso a quantitativi sufficienti di carburante.
La disinfezione con raggi UV è una tecnologia molto efficace ma necessita di
elettricità e manutenzione costantemente. I filtri domestici a carbone non
rimuovono i patogeni e svolgono la loro funzione solo con acque biologicamente
sicure. I filtri a sabbia e a membrana sono invece in grado di bloccare i
patogeni ma per utilizzarli è necessario avere conoscenze specifiche,
difficilmente rintracciabili in villaggi arretrati.
In questo contesto, trovare nuovi approcci semplici, poco
costosi, efficaci e facilmente disponibili potrebbe essere un fattore
determinante nella possibilità di fornire acqua potabile a tutta la popolazione
mondiale.
Come spesso accade, la natura è la miglior fonte di ispirazione.
I tessuti xilematici delle piante sono specializzati nella conduzione di linfa
dalle radici ai germogli. Lo xylema si è evoluto dalla necessità di fornire una
bassa resistenza alla risalita del liquido mantenendo pori molto piccoli per
evitare il fenomeno della cavitazione. La distribuzione e la dimensione di
questi pori, al massimo 500 nm, varia da specie a specie e potrebbe costituire un filtro economico che
blocca il passaggio dei patogeni. L'utilizzo dei vegetali, o di loro parti, in
questo ambito è effettivamente nuovo e interessante.
Le misurazioni del flusso di linfa delle piante suggeriscono
portate di diversi litri all'ora, che potrebbero essere replicabili con filtri
di una decina di cm di lunghezza usando la sola pressione gravitazionale nella
regolazione del passaggio dell'acqua.
In una ricerca del MIT sono state studiate le
caratteristiche di vari tessuti xylematici nella creazione di filtri per
rendere potabile l'acqua. Sono state analizzate le acque filtrate per osservare
quale filtro riesce a rimuovere la maggior quantità di batteri.
Sono state utilizzate nell'esperimento branche di Pinus
strobus. Sezioni di legno senza corteccia sono state inserite e fissate con
fascette all'estremità di un tubo in pvc. Il “filtro” è stato poi sciacquato
con acqua deionizzata per qualche minuto.
Le prove sono state effettuate facendo passare attraverso
questi filtri acqua deionizzata contenente un colorante rosso, delle nanosfere
di polistirene fluorescenti della misura di 20 nm, e una forma inattivata di
Escherichia coli.
L'esperimento mostra innanzitutto una maggior capacità di
filtrazione del legno precedentemente bagnato rispetto al legno asciutto.
Ricerche precedenti hanno mostrato come i tessuti xylematici
di piante a foglie caduche riuscivano a fermare colloidi d'oro con particelle
di dimensioni di 20 nm, risultando efficaci nella rimozione di virus.
Il primo risultato evidente agli occhi dei ricercatori è
stato quello che i filtri xilematici riuscivano a eliminare il colorante rosso
dall'acqua rendendola nuovamente trasparente. Le nanoparticelle da 20 nm invece
riesco a attraversare il sistema filtrante.
Con tre misure di filtri sono state poi osservate le
capacità di bloccare i batteri, in ogni caso lo xylema fresco riesce a
rimuovere il 99% dei microrganismi.
I ricercatori concludono affermando che la tecnologia dei
filtri xilematici potrebbe avere interessanti risvolti applicativi se adoperata
al punto di utilizzo dell'acqua, precedentemente filtrata con membrane al punto
di mandata. Questo porterebbe ad un abbassamento dei costi di impianto
conseguente la sostituzione dei filtri costosi con quelli di legno,
biodegradabili, efficienti nella rimozione dei batteri, completamente
rinnovabili.
Fonte: http://journals.plos.org
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