I possessori del Paesaggio rurale producono sia beni privati che pubblici
Il Paesaggio rurale non dev'essere più considerato soltanto produttore di derrate alimentari, ma anche erogatore di servizi ai singoli ed alla collettività. Il Paesaggio rurale contribuisce a proteggere l'ambiente ed il territorio, a valorizzare le produzioni tipiche e di qualità, ad elevare il potenziale turistico di una determinata area ed ad accrescere lo sviluppo rurale.
Analisi delle caratteristiche dell’attività agricola nel Paesaggio rurale e dei prodotti realizzati
Il Paesaggio rurale attraverso l’azione dei suoi possessori che nella maggioranza non fanno la professione degli Imprenditori Agricoli si caratterizza per la coesistenza sia di una produzione di beni privati che pubblici.
Cosa sono i beni pubblici e i beni privati?
Come dici? Non sai qual è la differenza tra beni pubblici e privati? Non ti preoccupare, te la scrivo subito. I beni privati possono essere divisi tra diversi individui godendone in comune, quindi il possesso di quel bene porta alla riduzione del consumo di quello stesso bene da parte di altri individui. Invece i beni pubblici hanno la caratteristica della indivisibilità ovvero non può essere divisa tra diversi individui e quello del consumo congiunto che significa che tutti ne possono usufruire.
Esempio di beni privati e di beni pubblici
Il Paesaggio agrario produce, come noto, beni privati come i prodotti ortofrutticoli ma è altrettanto noto che produce altri beni come ad esempio il controllo dell’inquinamento. Ad esempio una foresta di dieci chilometri quadrati nella quale vivono circa 800 mila alberi, assorbe una quantità di 8.000 tonnellate di CO2 l'anno. La cattura della anidride carbonica ed il successivo sequestro permette di continuare ad utilizzare combustibili fossili, eliminando drasticamente le emissioni di CO2, un gas non inquinante ma considerato il principale responsabile dell'effetto serra.
La foresta degli Ulivi del Salento leccese
E quanto catturano i 9 milioni di alberi di olivo del Salento leccese? Da soli 10 volte quanto produce la centrale a carbone Federico II a Cerano (Brindisi) ovvero catturano e sequestrano le quantità di 8 milioni di tonnellate di CO2.
L’esternalità del Paesaggio rurale
I possessori del Paesaggio rurale producono beni che sono utili a tutta la collettività quindi c’è un rapporto tra bene paesaggio rurale ed esternalità.
Un’esternalità è l’effetto dell’azione di un soggetto economico sul benessere di altri soggetti non direttamente coinvolti.
Le funzioni svolte dall’agricoltura fatta dai possessori del Paesaggio rurale
Van Huylenbroeck nel 2007 ha così classificato le funzioni svolte dall’agricoltura:
1. “verdi” (gestione del paesaggio e della biodiversità);
2. “blu” (gestione delle risorse idriche e controllo delle inondazioni);
3. “gialle” (vitalità delle aree rurali, eredità storiche e culturali, amenità rurali);
4. “bianche” (sicurezza e salubrità degli alimenti).
I possessori di Paesaggio rurale producono prodotti che hanno le caratteristiche dell’esternalità
La multifunzionalità consiste nel fatto che la società riconosce all’agricoltura lo svolgimento di un insieme composito di funzioni che si affiancano a quella tradizionale di produzione di beni alimentari e non alimentari destinati al mercato. Elementi chiave per definire la multifunzionalità sono quindi l’esistenza di commodity e non-commodity output prodotti congiuntamente dal settore agricolo e la circostanza che alcuni dei prodotti non-commodity abbiano le caratteristiche di esternalità/beni pubblici.
Quantificazione della domanda di benefici esterni prodotti dal Paesaggio rurale
Negli ultimo anni abbiamo potuto leggere alcuni studi volti a quantificare la domanda di benefici esterni prodotti dal Paesaggio rurale mediante l’impiego di metodi diretti (valutazione contingente) ed indiretti (prezzo edonico) di valutazione monetaria (recenti rassegne Madureira et al. 2007; Randall, 2007 e di Van Huylenbroeck et al., 2007).
La consapevolezza della funzione del Paesaggio rurale
Io spero che la sensibilità di tutti noi sia di un qualche aiuto affinché ci sia consapevolezza della valutazione sui diversi modi di “fare agricoltura” dei possessori del Paesaggio rurale. Tutti ormai sappiamo che dal Paesaggio rurale deriva la quantità e soprattutto la qualità intrinseca dei prodotti e la consapevolezza di quest’ultima è necessaria per poter operare scelte di consumo in grado di determinare il nostro benessere fisico. C’è inoltre la necessità della consapevolezza della funzione di benessere sociale realizzato dai possessori del Paesaggio rurale poiché è quest’ultima che orienta le azioni del decisore pubblico nella formulazione delle politiche rivolte alla conservazione e valorizzazione del Paesaggio rurale.
di Antonio Bruno, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
Antonio Bruno è Laureato in Scienze Agrarie Dottore Agronomo iscritto all'Ordine di Lecce - Esperto in diagnostica urbana e territoriale e studente all'Università del Salento del Corso di laurea in Viticultura ed Enologia
mercoledì 30 marzo 2011
martedì 29 marzo 2011
Le pere Petrucine del Salento leccese
Le pere Petrucine del Salento leccese
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I consumi di pere si mantengono su livelli bassi: nella Ue a 27 risultano inferiori ai 6 chilogrammi annui pro capite. La produzione mondiale si attesta sui 21 milioni di tonnellate. Italia e Spagna registrano consumi superiori ai 10 chili all’anno, un livello che costituisce l’“obiettivo” anche per Germania e Gran Bretagna dove però le abitudini alimentari lo rendono difficilmente raggiungibile. In questa nota la proposta di coltivare in coltura specializzata una cultivar di pera presente nel Salento leccese
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“Ogni albero, ogni grossa pietra, ogni buca, ogni prato, ogni campo ha una propria individualità e spesso un nome. La stessa tendenza si manifesta nell’individualizzazione e spesso anche nella antropomorfizzazione dei periodi di tempo. Almeno un terzo dei giorni dell’anno sono individualmente distinti e il contadino non usa mai numeri, ma sempre nomi individuali per indicare queste date” – per la pressione del cristianesimo sostituendo, poi, “i santi ai giorni” (Thomas e Znaniecki, 1968: 171).
Quante pere c’erano nel Salento leccese?
In una pubblicazione del prof. Giacinto Donno la coltivazione degli alberi di pero nel Salento leccese alla fine degli anni 50 del secolo scorso era tutta in coltura promiscua e si attestava intorno ai 2mila e 500 ettari con una produzione di 11mila quintali di pere.
Gli alberi di pero si trovavano sparsi tra i vigneti, i ficheti, e oliveti. Le piante di pero venivano lasciate a se stesse e potevano essere anche si 100 anni e più. Alcune risultano innestate su franco, altre su perastro o perazzo (Pyrus communis L.) oppure sul calaprice (Pyrus amygdaliformis Vill.).
Mia madre e le pere “Petrucine” del Salento leccese
Mia madre me lo chiedeva sempre, ogni anno, era la sua una memoria di un gusto, di un sapore, di un’emozione ovvero le pere petrucine del Salento leccese. Mi diceva che da bambina lei le mangiava sempre e che purtroppo non se ne vendevano più.
La categoria sistematica di riferimento per un Dottore Agronomo è la varietà
Io ho imparato nei lunghi anni di studio prima all'Istituto Tecnico Agrario "Giovanni Presta" e poi alla Facoltà di Agraria dell'Università di Bari quello che mia madre mi diceva desiderando la sua pera “Petrucina” perché nell'ambito della mia professione di Dottore Agronomo la categoria sistematica di riferimento è la varietà. Perché? La spiegazione è presto data, infatti se io avessi detto a mia madre che a casa, nella fruttiera, campeggiavano delle splendide pere e che quindi poteva mangiare quelle, io avrei detto una cosa imprecisa perché dire solo pera non definisce il frutto specifico, ma per descrivere esaurientemente la pera dobbiamo aggiungere la sua varietà, infatti a mia madre mancavano tanto le pere petrucine e non una qualsiasi pera.
Ma com’è la pera Petrucina?
Una pera della varietà petrucina ha il sapore dolce dovuto al contenuto di carboidrati DIVERSO rispetto alle altre varietà e soprattutto alla presenza significativa di fruttosio che dona il gusto dolce, oltre alla presenza di sostanze quali vitamine e flavonoidi che variano da una varietà all’altra.
La pera di varietà tradizionale “Petrucina” siccome ha avuto un carattere di coltivazione diffusa e sistematica ecco si può anche definire cultivar che deriva dall’inglese cultiveted variety che poi significa intuitivamente “varietà coltivate”.
La petrucina è solo nei giardini della cinta della Città di Lecce e nella Grecia Salentina
Secondo lo studioso Francesco Minonne la pera “Petrucina” detta anche Medicina e Pera di San Pietro era anticamente molto diffusa e io sono d’accordo con lui, infatti mia madre la cercava perché da ragazza era facilmente reperibile in commercio. Sempre secondo Minonne oggi la “Petrucina” sarebbe relegata in vecchi giardini della cinta della città di Lecce e nella Grecia Salentina.
I componenti nutrizionali della pera Petrucina
La questione è comunque tutta giocata dai componenti nutrizionali più abbondanti nelle pere che sono i carboidrati (amido e glucosio), i quali variano tra una varietà e l’altra dall'8 e all'11%. Le pere presentano anche un buon contenuto di fibra. L'acido organico più abbondante è l'acido malico. I frutti maturi contengono discrete quantità di acetaldeide, sostanza ritenuta la responsabile dell'insorgenza del fenomeno del riscaldo (danno da conservazione del frutto). L'astringenza e il sapore amaro presente in alcune varietà, caratteri normalmente non desiderati, sono attribuiti alla presenza di sostanze tanniche, fenoliche e polifenoliche.
Per non avere la bocca piena di astringenti tannini ci vuole l’ammezzimento
Mi madre adorava queste piccole pere con la polpa bianca e granulosa che maturavano la prima decade di luglio. E allora come mai non si coltivano più anche se il sapore è ottimo?
Prima di tutto non le coltivano perché sono piccole, ma la ragione più profonda è che le pere Petrucine per essere gustate hanno bisogno dell’ammezzimento.
Come dici? Non sai cos’è l’ammezzimento? Non ti preoccupare caro, meglio così, se non io a che servirei? Allora devi sapere che se tu raccogli le pere petrucine queste sono ancora acerbe perché se sei impaziente e tenti di mangiarle appena colte dall’albero subirai il tipico effetto astringente provocato dall’elevato contenuto di tannini. Invece se sei paziente e prenderai le pere petrucine, riponendole ben distanziate l'una dall'altra, su un vassoio di cartone o cassetta di legno, conservandole in un luogo asciutto e senza luce, fino a che non avranno raggiunto la giusta maturazione allora proverai l’emozione di un gusto e sapore unico che ha segnato mia madre per il resto della sua vita.
La pera è una fonte di benessere
La pera è un concentrato di micronutrienti essenziali alla vita e fonte di benessere, quelli che le donano il colore e specificità del gusto, sono idratanti, in quanto contengono grandi percentuali di acqua ed hanno minerali ad alto livello di assimilabilità essendo inseriti in un ambiente biologicamente "attivo" a differenza dell'acqua di sorgente.
A fronte di un'alta concentrazione di micronutrienti, la pera generalmente si presenta con un tenore calorico e, salvo alcune eccezioni, con indice glicemico basso, in particolare se la pera è consumata integra di tutte le sue parti.
Le prospettive Ecologiche dei Dottori Agronomi
L’Orto Botanico della Università del Salento ha la varietà di pera petrucina quindi si può tentare una sua moltiplicazione con conseguente coltivazione per produrre pere per il mercato perché …. “Un albero di pero non è mai solo quell’albero di pero: è quest’albero qui, davanti a me e radicato nella terra, e nessun altro, ed è, insieme nello stesso tempo, parte vivente di un habitat, che è parte di una comunità ecologica, che è parte di un ecosistema, parte a sua volta della biosfera.
Queste prospettive “ecologiche”, di cui Catton indica la carenza nelle scienze sociali, sono presenti e operanti entrambe nel pensiero e nella pratica dei Dottori Agronomi.
E, per noi, come uomini che fanno esperienza del mondo, la percezione e l’uso di quest’albero di pere “petrucine” è insieme immediata nel legame, o non legame, che abbiamo con la sua presenza, e mediata dai millenni di memorie collettive che hanno elaborato il rapporto e la percezione della comunità umana cui apparteniamo (che ci ha formati quali siamo) con quest’albero, quest’habitat, quest’ecosistema.”
Bibliografia
Annuario si Statistica Agraria – Istituto Centrale di Statistica – A.B.E.T.E. Roma 1956; 1957;1958
Masseria Ficazzara, Il pero
Francesco Minonne, I nomi e le piante: per una storia delle varietà agrarie del Salento
La frutta mediterranea: caratteristiche e proprietà nutrizionali, Informazioni gentilmente offerte dal Dott. Di Gioia Fabio laureato in scienze e tecnologie agrarie presso la facoltà d'agraria di Firenze.
Ispra, Quaderni, Frutti dimenticati e biodiversità recuperata
Giuseppe Pallotti, Interpera “fotografa” produzione e consumi
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I consumi di pere si mantengono su livelli bassi: nella Ue a 27 risultano inferiori ai 6 chilogrammi annui pro capite. La produzione mondiale si attesta sui 21 milioni di tonnellate. Italia e Spagna registrano consumi superiori ai 10 chili all’anno, un livello che costituisce l’“obiettivo” anche per Germania e Gran Bretagna dove però le abitudini alimentari lo rendono difficilmente raggiungibile. In questa nota la proposta di coltivare in coltura specializzata una cultivar di pera presente nel Salento leccese
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“Ogni albero, ogni grossa pietra, ogni buca, ogni prato, ogni campo ha una propria individualità e spesso un nome. La stessa tendenza si manifesta nell’individualizzazione e spesso anche nella antropomorfizzazione dei periodi di tempo. Almeno un terzo dei giorni dell’anno sono individualmente distinti e il contadino non usa mai numeri, ma sempre nomi individuali per indicare queste date” – per la pressione del cristianesimo sostituendo, poi, “i santi ai giorni” (Thomas e Znaniecki, 1968: 171).
Quante pere c’erano nel Salento leccese?
In una pubblicazione del prof. Giacinto Donno la coltivazione degli alberi di pero nel Salento leccese alla fine degli anni 50 del secolo scorso era tutta in coltura promiscua e si attestava intorno ai 2mila e 500 ettari con una produzione di 11mila quintali di pere.
Gli alberi di pero si trovavano sparsi tra i vigneti, i ficheti, e oliveti. Le piante di pero venivano lasciate a se stesse e potevano essere anche si 100 anni e più. Alcune risultano innestate su franco, altre su perastro o perazzo (Pyrus communis L.) oppure sul calaprice (Pyrus amygdaliformis Vill.).
Mia madre e le pere “Petrucine” del Salento leccese
Mia madre me lo chiedeva sempre, ogni anno, era la sua una memoria di un gusto, di un sapore, di un’emozione ovvero le pere petrucine del Salento leccese. Mi diceva che da bambina lei le mangiava sempre e che purtroppo non se ne vendevano più.
La categoria sistematica di riferimento per un Dottore Agronomo è la varietà
Io ho imparato nei lunghi anni di studio prima all'Istituto Tecnico Agrario "Giovanni Presta" e poi alla Facoltà di Agraria dell'Università di Bari quello che mia madre mi diceva desiderando la sua pera “Petrucina” perché nell'ambito della mia professione di Dottore Agronomo la categoria sistematica di riferimento è la varietà. Perché? La spiegazione è presto data, infatti se io avessi detto a mia madre che a casa, nella fruttiera, campeggiavano delle splendide pere e che quindi poteva mangiare quelle, io avrei detto una cosa imprecisa perché dire solo pera non definisce il frutto specifico, ma per descrivere esaurientemente la pera dobbiamo aggiungere la sua varietà, infatti a mia madre mancavano tanto le pere petrucine e non una qualsiasi pera.
Ma com’è la pera Petrucina?
Una pera della varietà petrucina ha il sapore dolce dovuto al contenuto di carboidrati DIVERSO rispetto alle altre varietà e soprattutto alla presenza significativa di fruttosio che dona il gusto dolce, oltre alla presenza di sostanze quali vitamine e flavonoidi che variano da una varietà all’altra.
La pera di varietà tradizionale “Petrucina” siccome ha avuto un carattere di coltivazione diffusa e sistematica ecco si può anche definire cultivar che deriva dall’inglese cultiveted variety che poi significa intuitivamente “varietà coltivate”.
La petrucina è solo nei giardini della cinta della Città di Lecce e nella Grecia Salentina
Secondo lo studioso Francesco Minonne la pera “Petrucina” detta anche Medicina e Pera di San Pietro era anticamente molto diffusa e io sono d’accordo con lui, infatti mia madre la cercava perché da ragazza era facilmente reperibile in commercio. Sempre secondo Minonne oggi la “Petrucina” sarebbe relegata in vecchi giardini della cinta della città di Lecce e nella Grecia Salentina.
I componenti nutrizionali della pera Petrucina
La questione è comunque tutta giocata dai componenti nutrizionali più abbondanti nelle pere che sono i carboidrati (amido e glucosio), i quali variano tra una varietà e l’altra dall'8 e all'11%. Le pere presentano anche un buon contenuto di fibra. L'acido organico più abbondante è l'acido malico. I frutti maturi contengono discrete quantità di acetaldeide, sostanza ritenuta la responsabile dell'insorgenza del fenomeno del riscaldo (danno da conservazione del frutto). L'astringenza e il sapore amaro presente in alcune varietà, caratteri normalmente non desiderati, sono attribuiti alla presenza di sostanze tanniche, fenoliche e polifenoliche.
Per non avere la bocca piena di astringenti tannini ci vuole l’ammezzimento
Mi madre adorava queste piccole pere con la polpa bianca e granulosa che maturavano la prima decade di luglio. E allora come mai non si coltivano più anche se il sapore è ottimo?
Prima di tutto non le coltivano perché sono piccole, ma la ragione più profonda è che le pere Petrucine per essere gustate hanno bisogno dell’ammezzimento.
Come dici? Non sai cos’è l’ammezzimento? Non ti preoccupare caro, meglio così, se non io a che servirei? Allora devi sapere che se tu raccogli le pere petrucine queste sono ancora acerbe perché se sei impaziente e tenti di mangiarle appena colte dall’albero subirai il tipico effetto astringente provocato dall’elevato contenuto di tannini. Invece se sei paziente e prenderai le pere petrucine, riponendole ben distanziate l'una dall'altra, su un vassoio di cartone o cassetta di legno, conservandole in un luogo asciutto e senza luce, fino a che non avranno raggiunto la giusta maturazione allora proverai l’emozione di un gusto e sapore unico che ha segnato mia madre per il resto della sua vita.
La pera è una fonte di benessere
La pera è un concentrato di micronutrienti essenziali alla vita e fonte di benessere, quelli che le donano il colore e specificità del gusto, sono idratanti, in quanto contengono grandi percentuali di acqua ed hanno minerali ad alto livello di assimilabilità essendo inseriti in un ambiente biologicamente "attivo" a differenza dell'acqua di sorgente.
A fronte di un'alta concentrazione di micronutrienti, la pera generalmente si presenta con un tenore calorico e, salvo alcune eccezioni, con indice glicemico basso, in particolare se la pera è consumata integra di tutte le sue parti.
Le prospettive Ecologiche dei Dottori Agronomi
L’Orto Botanico della Università del Salento ha la varietà di pera petrucina quindi si può tentare una sua moltiplicazione con conseguente coltivazione per produrre pere per il mercato perché …. “Un albero di pero non è mai solo quell’albero di pero: è quest’albero qui, davanti a me e radicato nella terra, e nessun altro, ed è, insieme nello stesso tempo, parte vivente di un habitat, che è parte di una comunità ecologica, che è parte di un ecosistema, parte a sua volta della biosfera.
Queste prospettive “ecologiche”, di cui Catton indica la carenza nelle scienze sociali, sono presenti e operanti entrambe nel pensiero e nella pratica dei Dottori Agronomi.
E, per noi, come uomini che fanno esperienza del mondo, la percezione e l’uso di quest’albero di pere “petrucine” è insieme immediata nel legame, o non legame, che abbiamo con la sua presenza, e mediata dai millenni di memorie collettive che hanno elaborato il rapporto e la percezione della comunità umana cui apparteniamo (che ci ha formati quali siamo) con quest’albero, quest’habitat, quest’ecosistema.”
Bibliografia
Annuario si Statistica Agraria – Istituto Centrale di Statistica – A.B.E.T.E. Roma 1956; 1957;1958
Masseria Ficazzara, Il pero
Francesco Minonne, I nomi e le piante: per una storia delle varietà agrarie del Salento
La frutta mediterranea: caratteristiche e proprietà nutrizionali, Informazioni gentilmente offerte dal Dott. Di Gioia Fabio laureato in scienze e tecnologie agrarie presso la facoltà d'agraria di Firenze.
Ispra, Quaderni, Frutti dimenticati e biodiversità recuperata
Giuseppe Pallotti, Interpera “fotografa” produzione e consumi
lunedì 28 marzo 2011
A proposito di Negroamaro
A proposito di Negroamaro
Antonio a proposito di Negroamaro, risulta essere il vino che nella Grande Distribuzione Organizzata GDO ha avuto il maggior incremento come vendite.
Se si leggono le retroetichette risulta che molti imbottigliano Negroamaro fuori regione.
Non siamo capaci di tenerci il valore aggiunto in casa.
Nonostante ció il prezzo pagato in campagna dell'uva é pari a circa 30/35 euro.
Le cantine sociali tranne qualche eccezione liquidano al massimo 20 euro/q.le. Prezzi che non coprono I costi.
Se poi qualcuno si prende la briga di confrontare I dati di quanti ettari sono coltivati a negroamaro e quanto vino negroamaro viene commercializzAto si hanno delle sorprese.
Saluti
Antonio Venneri http://www.biorganicwine.com/
Ciao Antonio vedi il seguente link http://www.beverfood.com/v2/news+article.storyid+3393.htm tutto va bene anzi meglio ma la superficie vitata cala. Nessuno dice perchè.
Saluti
Antonio Venneri http://www.biorganicwine.com/
REPORT ASSOENOLOGI 2010 - IL VINO ITALIANO ESCE DALLA CRISI GRAZIE ALL’EXPORT, MA I CONSUMI INTERNI SONO ANCORA DEBOLI. CALANO SUPERFICIE VITATA, PRODUTTORI DI UVA E IMBOTTIGLIATORI. I VINI A DENOMINAZIONE D’ORIGINE SONO DIVENTATI 386
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Con la fine del 2010, grazie alle vendite all’estero, si può dire che il vino italiano sta uscendo dalla crisi. Cala la superficie vitata. Aumenta il rapporto ettari/azienda, che è triplicato dagli anni Novanta a oggi. Continuano a scendere i consumi interni. E’ il quadro fatto da Assoenologi, l’Associazione Enologi Enotecnici Italiani, l’organizzazione di categoria che nel nostro paese rappresenta i tecnici vitivinicoli a consuntivo 2010.
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All’estero si vende più vino italiano e a un prezzo più alto
“Le cifre 2010 - afferma il direttore generale di Assoenologi, Giuseppe Martelli - lasciano intravedere un incremento di vendite all’estero non solo quantitativo ma anche di introiti che, se confermati nel 2011, potrebbero far ipotizzare una inversione di rotta. La congiuntura a livello internazionale è pesante ma il vino italiano, sia pur manifestando degli spiragli superiori ad altri prodotti agroalimentari, non rimane più in balia della schizofrenia dei mercati”.
In Italia si produce meno vino che in passato
Dal punto di vista della produzione, nel 2010, l’Italia ha prodotto 45,5 milioni di ettolitri di vino, ossia il 3,3% in meno sulla media quinquennale, attestata su 47 milioni di ettolitri. Il che significa che a livello strutturale il settore si sta contraendo sensibilmente (nel 2000, si produssero 54,1 milioni di ettolitri), ma con prospettive di sviluppo assai interessanti per le aziende che hanno saputo interpretare e gestire la crisi. Il business del settore complessivamente ha tenuto sul 2009, rimanendo sui 13,5 miliardi di euro, con una netta flessione di introiti nei primi mesi dell’anno poi recuperata sui mercati internazionali.
Più di un quarto dei vigneti in meno in 20 anni
La superficie vitata destinata alla produzione di uve da vino continua a calare. In Italia nel 1990 era di 970.000 ettari e oggi è di 702.000 (-27,6%), ma con una maggiore specificazione e con un deciso incremento della superficie azienda/ettaro, che è quasi triplicata, passando da una media di 1 ettaro degli anni ‘90 ai quasi 3 ettari di oggi. Negli ultimi vent’anni si sono persi 268.000 ettari, ovvero più di quanti ne hanno oggi Lombardia, Puglia e Sicilia messe insieme, ma ricompattando il settore e specializzandolo, nonostante la tendenza manifestata nel 2010 a un’ulteriore diminuzione, visti gli estirpi (Ocm vino) e la scarsa remunerazione.
In dieci anni la Sicilia ha quasi dimezzato la produzione di Vino
Un dato su tutti può mostrare l’entità della contrazione: la Sicilia nel 2000 produceva 7,1 milioni di ettolitri e nel 2010 ne ha prodotti 4,3, migliorando però sensibilmente la sua produzione, nella convinzione che bisogna “produrre per vendere e non per distruggere” con assurde distillazioni.
Noi italiani consumiamo meno di 43 litro pro capite all’anno
Sul fronte dei consumi interni, siamo arrivati a meno di 43 litri pro-capite, un valore, secondo Assoenologi, destinato a calare ulteriormente; si prevede che i consumi scenderanno sotto i 40 litri, entro il 2015.
All’estero vendiamo di più e a prezzi più alti
Buone nuove, invece, dai mercati esteri. Se il 2009 è stato caratterizzato dalla instabilità dei mercati internazionali che, a fronte di incrementi di vendita, hanno continuato a far registrare decrementi di introiti, la situazione e decisamente cambiata nei primi mesi 2010. “Da febbraio si è registrata - aggiunge Martelli - una inversione di tendenza tanto che gli ultimi dati disponibili parlano di vendite all’estero in crescita dell’8,1% in quantità e del 9,8% in valore rispetto allo stesso periodo dello scorso anno”. Il vino italiano nel mondo continua a piacere e ad essere richiesto con performance migliori di quelle dei nostri principali competitor. Un dato di fatto che implica diverse positive considerazioni.
Le stime prevedono un ulteriore aumento di vendite di vino all’estero
“L’anno appena passato è stato - spiega Martelli - un anno molto importante per il vino italiano, caratterizzato da una prima parte concentrata al recupero delle perdite imputabili alla crisi finanziaria internazionale e da una seconda, in particolare l’ultimo trimestre, improntata alla crescita dei volumi e valori. Tra gli aspetti positivi è da rilevare la crescita dei mercati extra-europei e la contemporanea crescita del valore medio unitario, che ha dato un respiro alle imprese. Le stime prevedono un valore export intorno ai 3,8 miliardi di euro e un volume di 22 milioni di ettolitri”.
Il mese di novembre ha fatto registrare un picco inedito: il valore export ha superato per la prima volta la barriera dei 400 milioni di euro, 414 per l’esattezza, e la soglia dei 2,2 milioni di ettolitri.
Ed ecco i dati di vendita di vino all’estero paese per paese
La fase espansiva dei nuovi mercati è molto evidente: Cina +145% e Russia +69%. Ottima la performance del mercato canadese +67,5%, Danimarca +37,1%, Paesi Bassi + 32,2%. I due grandi mercati Germania e Stati Uniti mostrano una vivace dinamicità +14,4% e +16,3% rispettivamente. Non meno importanti i segnali che giungono dalla Svizzera +15,5%.
Sul versante dei volumi è da segnalare la stanchezza del mercato britannico verso l’offerta italiana che nell’arco del 2010 gennaio-novembre ha accumulato una contrazione del -4,2%, contrazione che tende a crescere come risulta da dato di novembre -34,0%. In leggera flessione le consegne in Svizzera -1,1% e -4,2% in novembre, imputabili ad una minor domanda di prodotto sfuso. In recupero le flessioni di Svezia e Norvegia che in compenso mostrano una lievitazione dei valori. Molto sostenuta la domanda in novembre in: Cina +218%, Russia +123%, Canada +50%, Corea del Sud 34%, Danimarca +30%, Paesi Bassi +24%.
I vini bianchi battono i vini rossi 60 a 40
Secondo Assoenologi, cambiano i gusti e i bianchi battono i rossi. Nel 2010, infatti, è stato registrato un ulteriore decremento della richiesta di vini rossi che, fatta eccezione per alcuni mercati, rimangono in subordine a quelli bianchi. Il dato è confermato anche dai risultati di produzione: i vini bianchi hanno quasi raggiunto il 60% del totale delle vendite mentre i rossi e i rosati sono scesi al 40%, capovolgendo la situazione rispetto a dieci anni fa.
Sono più di un terzo in meno le aziende che producono più vino
Nel 2010, si è ulteriormente accentuato il decremento delle strutture produttive di uva da vino (-2%) passate dalle 700.000 del 2000, a circa 450.000 (-36%).
Così come sono continuati a diminuire gli imbottigliatori, scesi da 30.000 del 2005, a meno di 25.000 (-16,8%).
Aumentano poco i vini Dop e restano immutati gli Igt
Mentre, se nel 2009 i vini a denominazione di origine erano 363, a fine del 2010, sono arrivati a 386, con un incremento del 6,3%. I vini a Indicazione geografica tipica alla fine del 2009 erano 118 e questo numero è rimasto invariato anche nel 2010. “Sovente si tende a paragonare il numero delle denominazioni di origine italiane con quelle francesi - prosegue il direttore generale di Assoenologi - che sono circa 500, un numero superiore a quelle del nostro paese. Stando a questi dati, quindi non è vero che in Italia i Dop sono molti di più di quelli francesi, anzi”.
Focus - I numeri del vino 2010 (fonte: Assoenologi)
Produzione di vino: 45,5 milioni di ettolitri
Superficie destinata alla produzione di uve da vino: 702.000 ettari
Strutture produttrici di uve: 450.000
Imbottigliatori: 25.000
Doc/Docg (Dop): 386
Igt (Igp): 118
Consumo pro-capite annuo: 43 litri
Crescita percentuale dell’export in valore: 8,1%
Crescita percentuale dell’export in volume: 9,8%
Valore complessivo export: 3,8 miliardi di euro
Volume complessivo export: 22 milioni di ettolitri
Antonio a proposito di Negroamaro, risulta essere il vino che nella Grande Distribuzione Organizzata GDO ha avuto il maggior incremento come vendite.
Se si leggono le retroetichette risulta che molti imbottigliano Negroamaro fuori regione.
Non siamo capaci di tenerci il valore aggiunto in casa.
Nonostante ció il prezzo pagato in campagna dell'uva é pari a circa 30/35 euro.
Le cantine sociali tranne qualche eccezione liquidano al massimo 20 euro/q.le. Prezzi che non coprono I costi.
Se poi qualcuno si prende la briga di confrontare I dati di quanti ettari sono coltivati a negroamaro e quanto vino negroamaro viene commercializzAto si hanno delle sorprese.
Saluti
Antonio Venneri http://www.biorganicwine.com/
Ciao Antonio vedi il seguente link http://www.beverfood.com/v2/news+article.storyid+3393.htm tutto va bene anzi meglio ma la superficie vitata cala. Nessuno dice perchè.
Saluti
Antonio Venneri http://www.biorganicwine.com/
REPORT ASSOENOLOGI 2010 - IL VINO ITALIANO ESCE DALLA CRISI GRAZIE ALL’EXPORT, MA I CONSUMI INTERNI SONO ANCORA DEBOLI. CALANO SUPERFICIE VITATA, PRODUTTORI DI UVA E IMBOTTIGLIATORI. I VINI A DENOMINAZIONE D’ORIGINE SONO DIVENTATI 386
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Con la fine del 2010, grazie alle vendite all’estero, si può dire che il vino italiano sta uscendo dalla crisi. Cala la superficie vitata. Aumenta il rapporto ettari/azienda, che è triplicato dagli anni Novanta a oggi. Continuano a scendere i consumi interni. E’ il quadro fatto da Assoenologi, l’Associazione Enologi Enotecnici Italiani, l’organizzazione di categoria che nel nostro paese rappresenta i tecnici vitivinicoli a consuntivo 2010.
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All’estero si vende più vino italiano e a un prezzo più alto
“Le cifre 2010 - afferma il direttore generale di Assoenologi, Giuseppe Martelli - lasciano intravedere un incremento di vendite all’estero non solo quantitativo ma anche di introiti che, se confermati nel 2011, potrebbero far ipotizzare una inversione di rotta. La congiuntura a livello internazionale è pesante ma il vino italiano, sia pur manifestando degli spiragli superiori ad altri prodotti agroalimentari, non rimane più in balia della schizofrenia dei mercati”.
In Italia si produce meno vino che in passato
Dal punto di vista della produzione, nel 2010, l’Italia ha prodotto 45,5 milioni di ettolitri di vino, ossia il 3,3% in meno sulla media quinquennale, attestata su 47 milioni di ettolitri. Il che significa che a livello strutturale il settore si sta contraendo sensibilmente (nel 2000, si produssero 54,1 milioni di ettolitri), ma con prospettive di sviluppo assai interessanti per le aziende che hanno saputo interpretare e gestire la crisi. Il business del settore complessivamente ha tenuto sul 2009, rimanendo sui 13,5 miliardi di euro, con una netta flessione di introiti nei primi mesi dell’anno poi recuperata sui mercati internazionali.
Più di un quarto dei vigneti in meno in 20 anni
La superficie vitata destinata alla produzione di uve da vino continua a calare. In Italia nel 1990 era di 970.000 ettari e oggi è di 702.000 (-27,6%), ma con una maggiore specificazione e con un deciso incremento della superficie azienda/ettaro, che è quasi triplicata, passando da una media di 1 ettaro degli anni ‘90 ai quasi 3 ettari di oggi. Negli ultimi vent’anni si sono persi 268.000 ettari, ovvero più di quanti ne hanno oggi Lombardia, Puglia e Sicilia messe insieme, ma ricompattando il settore e specializzandolo, nonostante la tendenza manifestata nel 2010 a un’ulteriore diminuzione, visti gli estirpi (Ocm vino) e la scarsa remunerazione.
In dieci anni la Sicilia ha quasi dimezzato la produzione di Vino
Un dato su tutti può mostrare l’entità della contrazione: la Sicilia nel 2000 produceva 7,1 milioni di ettolitri e nel 2010 ne ha prodotti 4,3, migliorando però sensibilmente la sua produzione, nella convinzione che bisogna “produrre per vendere e non per distruggere” con assurde distillazioni.
Noi italiani consumiamo meno di 43 litro pro capite all’anno
Sul fronte dei consumi interni, siamo arrivati a meno di 43 litri pro-capite, un valore, secondo Assoenologi, destinato a calare ulteriormente; si prevede che i consumi scenderanno sotto i 40 litri, entro il 2015.
All’estero vendiamo di più e a prezzi più alti
Buone nuove, invece, dai mercati esteri. Se il 2009 è stato caratterizzato dalla instabilità dei mercati internazionali che, a fronte di incrementi di vendita, hanno continuato a far registrare decrementi di introiti, la situazione e decisamente cambiata nei primi mesi 2010. “Da febbraio si è registrata - aggiunge Martelli - una inversione di tendenza tanto che gli ultimi dati disponibili parlano di vendite all’estero in crescita dell’8,1% in quantità e del 9,8% in valore rispetto allo stesso periodo dello scorso anno”. Il vino italiano nel mondo continua a piacere e ad essere richiesto con performance migliori di quelle dei nostri principali competitor. Un dato di fatto che implica diverse positive considerazioni.
Le stime prevedono un ulteriore aumento di vendite di vino all’estero
“L’anno appena passato è stato - spiega Martelli - un anno molto importante per il vino italiano, caratterizzato da una prima parte concentrata al recupero delle perdite imputabili alla crisi finanziaria internazionale e da una seconda, in particolare l’ultimo trimestre, improntata alla crescita dei volumi e valori. Tra gli aspetti positivi è da rilevare la crescita dei mercati extra-europei e la contemporanea crescita del valore medio unitario, che ha dato un respiro alle imprese. Le stime prevedono un valore export intorno ai 3,8 miliardi di euro e un volume di 22 milioni di ettolitri”.
Il mese di novembre ha fatto registrare un picco inedito: il valore export ha superato per la prima volta la barriera dei 400 milioni di euro, 414 per l’esattezza, e la soglia dei 2,2 milioni di ettolitri.
Ed ecco i dati di vendita di vino all’estero paese per paese
La fase espansiva dei nuovi mercati è molto evidente: Cina +145% e Russia +69%. Ottima la performance del mercato canadese +67,5%, Danimarca +37,1%, Paesi Bassi + 32,2%. I due grandi mercati Germania e Stati Uniti mostrano una vivace dinamicità +14,4% e +16,3% rispettivamente. Non meno importanti i segnali che giungono dalla Svizzera +15,5%.
Sul versante dei volumi è da segnalare la stanchezza del mercato britannico verso l’offerta italiana che nell’arco del 2010 gennaio-novembre ha accumulato una contrazione del -4,2%, contrazione che tende a crescere come risulta da dato di novembre -34,0%. In leggera flessione le consegne in Svizzera -1,1% e -4,2% in novembre, imputabili ad una minor domanda di prodotto sfuso. In recupero le flessioni di Svezia e Norvegia che in compenso mostrano una lievitazione dei valori. Molto sostenuta la domanda in novembre in: Cina +218%, Russia +123%, Canada +50%, Corea del Sud 34%, Danimarca +30%, Paesi Bassi +24%.
I vini bianchi battono i vini rossi 60 a 40
Secondo Assoenologi, cambiano i gusti e i bianchi battono i rossi. Nel 2010, infatti, è stato registrato un ulteriore decremento della richiesta di vini rossi che, fatta eccezione per alcuni mercati, rimangono in subordine a quelli bianchi. Il dato è confermato anche dai risultati di produzione: i vini bianchi hanno quasi raggiunto il 60% del totale delle vendite mentre i rossi e i rosati sono scesi al 40%, capovolgendo la situazione rispetto a dieci anni fa.
Sono più di un terzo in meno le aziende che producono più vino
Nel 2010, si è ulteriormente accentuato il decremento delle strutture produttive di uva da vino (-2%) passate dalle 700.000 del 2000, a circa 450.000 (-36%).
Così come sono continuati a diminuire gli imbottigliatori, scesi da 30.000 del 2005, a meno di 25.000 (-16,8%).
Aumentano poco i vini Dop e restano immutati gli Igt
Mentre, se nel 2009 i vini a denominazione di origine erano 363, a fine del 2010, sono arrivati a 386, con un incremento del 6,3%. I vini a Indicazione geografica tipica alla fine del 2009 erano 118 e questo numero è rimasto invariato anche nel 2010. “Sovente si tende a paragonare il numero delle denominazioni di origine italiane con quelle francesi - prosegue il direttore generale di Assoenologi - che sono circa 500, un numero superiore a quelle del nostro paese. Stando a questi dati, quindi non è vero che in Italia i Dop sono molti di più di quelli francesi, anzi”.
Focus - I numeri del vino 2010 (fonte: Assoenologi)
Produzione di vino: 45,5 milioni di ettolitri
Superficie destinata alla produzione di uve da vino: 702.000 ettari
Strutture produttrici di uve: 450.000
Imbottigliatori: 25.000
Doc/Docg (Dop): 386
Igt (Igp): 118
Consumo pro-capite annuo: 43 litri
Crescita percentuale dell’export in valore: 8,1%
Crescita percentuale dell’export in volume: 9,8%
Valore complessivo export: 3,8 miliardi di euro
Volume complessivo export: 22 milioni di ettolitri
domenica 27 marzo 2011
Se tutto va bene nel settore del vino del Salento leccese perchè si continuano a svellere i vigneti?
Da Antonio Venneri, che abitualmente aggiungere alla sua firma la qualifica, “contadino” ho ricevuto la seguente e mail:
Ciao Antonio,
A Taviano hai divulgato dei dati sulla vitivivinicoltura nel Salento. E' possibile averli? Hai per caso dei dati sugli ettari svelti negli ultimi anni o meglio per quanti ettari nell'ultimo anno è stata fatta domanda di svellimento. Sono dei dati importanti che fotografano la situazione vitivinicola.
Tutti dicono che bisogna prendere esempio senza tenere conto di quei dati.
I grandi marchi salentini di vino per la maggior parte acquistano l'uva a prezzi che non remunerano i costi sostenuti.
Le cantine che hanno vigneti hanno un costo della materia prima che è il doppio di quella pagata dalla cantine che effettuano solo vinificazione.
Le cantine cooperative quando pagano l'uva la pagano ad un prezzo che copre appena le spese di raccolta.
Alla fine di ciò i grandi marchi mettono sul mercato vini ad un prezzo per bottiglia a partire da 0,70 cent. (prezzi all'ingrosso per grossi quantitativi) , le cantine sociali vendono il vino ad imbottigliatori di fuori regione ad un prezzo a partire da euro 0,20 per lt , i pochi sfortunati che hanno vigneti e cantina possono mettere il vino a non meno di euro 1,50 per bottiglia.
E' una situazione che prima o poi scoppierà e bisogna farlo presente a chi di dovere altrimenti rischiamo di essere sempre e costantemente in emergenza.
Se tutto va bene perchè si continuano a svellere vigneti e a non impiantarli?
Saluti
Antonio
Carissimo Antonio,
di seguito riporto i dati che mi hai chiesto.
Secondo i dati del catasto agricolo del 1929 nella Provincia di Lecce il vigneto ricopriva una superficie di 36.319 ettari.
Nel 1949 i dati sulla superficie ricoperta da vigneto forniti dall’Ufficio Provinciale statistico – economico dell’Agricoltura di Lecce (U.P.S.E.A.) registravano 60.600 ettari di vigneto in coltura specializzata e 5.910 in coltura promiscua.
Cos'è l'U.P.S.E.A. ?
Siccome da più parti mi viene chiesto cosa sia stato l’Ufficio Provinciale statistico – economico dell’Agricoltura di Lecce (U.P.S.E.A.) approfitto della circostanza per ricordare a me stesso che gli Uffici provinciali statistico—economici dell’agricoltura erano gli uffici periferici dell’Ufficio statistico—economico dell’agricoltura (U.N.S.E.A.), ismuim mn D. Lgs. Lt. 85, 26 aprile 1945, alle dipendenze del Ministero dell’agricoltura e delle foreste, con il compito di rilevare e segnalare dati statistici ed economici che interessavano la produzione agricola, di raccogliere e controllare le denunce di produzione agricola e di organizzare le consegne di prodotti sottoposti ad ammasso e vincolo. Gli Uffici provinciali erano gli uffici esecutivi, che operavano sotto il controllo degli Ispettorati provinciali dell’Agricoltura. L’organizzazione periferica era completata, dove necessario, da Uffici di zona alle dipendenze degli Uffici provinciali, con giurisdizione su uno o più comuni. Uffici comunali statistico— economici dell’agricoltura (U.C.S.EA.) erano attivi anche nella provincia di Lecce. Gli U.P.S.E.A. ereditarono le funzioni dei Consorzi agrari e dei vari Enti Economici, — riuniti, con L. 566, 18 maggio 1942, in un’uniica associazione, l’A.N.E.EA. — soppressi con D.L. 579, G.U. 223, 13 settembre 1944, che istituiva l’Ufficio nazionale servizi dell’agricoltura, articolato in uffici provinciali e comunali.
L’U.N.S.E.A. fu soppresso con L. 64, 22 febbraio 1951.
In provincia di Lecce le calamità atmosferiche degli anni 1955; 1957 e 1959 danneggiarono i vigneti e la successiva indagine tra il 1969 e il 1972 condotta dall’ormai soppresso Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura attestò i vigneti della Provincia di Lecce alla fine del 1980 a 36.000 ettari.
I dati Istat del 2005 riportano nella Provincia di Lecce una superficie investita a vigneto di 13.831 ettari.
Recentemente il Presidente Coldiretti Lecce mi ha riferito che la superficie è scesa a 9mila ettari di cui solo 5mila sono produttivi.
Le modificazioni in atto
Mi sento di aggiungere che è noto a tutti che il mercato del vino è “globale”, offrendo a chi possiede produzioni di qualità, “occasioni di affari d’oro”.
Ma è altrettanto noto a tutti che sono in atto profonde modifiche nella geografia dei consumi, nella provenienza della produzione e nei paesi protagonisti del mercato.
Il primo dato significativo riguarda i consumi che come tutti sappiamo si stanno spostando dai mercati tradizionali dell’Europa mediterranea come il nostro Paese, la Francia e la Spagna a nuove aree quali Regno Unito, Paesi Scandinavi, Giappone ed U.S.A., senza contare le potenzialità ancora inesplorate dei paesi asiatici.
Il Salento leccese ha oggi maggiori possibilità di esportare vini di qualità ma, anche nuovi Paesi allungano la loro pericolosa ombra sul mercato dell’U.E., dove hanno buone carte da giocare grazie ai costi più bassi e mi riferisco alla concorrenza dei paesi del “Nuovo mondo” – Australia, Argentina, Cile, Nuova Zelanda, ecc.
Questa la situazione.
Infine riporto i risultati di un sondaggio commissionato da www.winenews.it e realizzato nel 2009 dalla Facoltà di Scienze sociali, politiche e del territorio dell’Università del Salento.
Land contro brand
Nel nostro Paese vi sono due opposti modelli di marketing enologico: da una parte le denominazioni-icona, quelle più note e prestigiose, dal Brunello di Montalcino al Barolo, dal Chianti Classico alla Franciacorta, dal Nobile di Montepulciano al Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, che garantiscono qualità e valore ai consumatori; dall’altra le denominazioni meno forti o poco conosciute, che vanno avanti grazie alla notorietà dei brand aziendali, di specifiche etichette o dei vitigni autoctoni del territorio.
Il sondaggio
Il sondaggio, che ha coinvolto un campione di 300 enonauti (amanti di vino e web), di età compresa tra i 20 e i 60 anni, era volto ad approfondire gli elementi che determinano la differente percezione d’immagine del prodotto vino, e quindi l’impatto che l’identità territoriale ha sul comportamento d’acquisto del consumatore, prendendo in esame alcuni tra i più importanti terroir dell’enologia italiana.
L’associazione mentale del territorio ai suoi vini
In particolare, si è voluto individuare l’associazione mentale del territorio ai suoi vini, cercando di comprendere se i relativi ricordi siano dipendenti dai singoli brand (specifiche etichette o cantine di produzione) o dalle denominazioni di origine dei vini (Doc e Docg).
Per i grandi vini, le denominazioni di origine rappresentano un enorme punto di forza per i territori
I risultati confermano che, per i grandi vini, le denominazioni di origine rappresentano un enorme punto di forza per i territori, nonché il vettore di identificazione con le loro produzioni, fino a prescindere, talvolta, anche dal potere di mercato che possono avere i singoli brand. Ne sono un esempio il Brunello di Montalcino, il Barolo, l’Asti Spumante, il Franciacorta, il Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, il Nobile di Montepulciano. Insomma, il consumatore acquista in primis “il Brunello di Montalcino”, e solo in un secondo momento si concentra sulla scelta del produttore.
Il Salento è per gli enonauti sinonimo di Negramaro
In altri territori, come la Sicilia, il Salento o il Trentino, le denominazioni riscuotono un appeal decisamente minore, ed i consumatori dimostrano di avere altri riferimenti, citando i produttori, i vitigni o addirittura i nomi specifici dei vini. Un caso emblematico è quello del Salento, a cui la maggior parte degli intervistati associa il Negroamaro - uno dei più antichi vitigni del territorio, non avente però un’autonoma Doc o Docg - che probabilmente deve la sua notorietà più a fattori legati ad eventi mediatici (omonimo gruppo musicale, notte della taranta, ecc.), mentre solo una modesta percentuale degli intervistati ricorda il Salice Salentino, storica Doc della regione e madre di suoi importanti vini ed aziende.
Denominazioni e flussi eno-turistici
L’indagine di www.winenews.it e Università del Salento mette in luce anche il rapporto tra forza delle denominazioni e flussi eno-turistici: secondo il sondaggio il territorio di Montalcino è quello decisamente più noto (il 98% degli intervistati ha affermato di conoscerlo), a conferma dell’attenzione da parte dei consumatori verso l’origine dei vini importanti. A seguire Chianti e Trentino (entrambi 96%), Montepulciano (94%), Salento e Franciacorta (entrambi 93%), Asti e Langhe (entrambi 91%), Conegliano e Valdobbiadene (89%) e, infine, Sicilia (82%).
L’enoturismo del Salento è ancora una chimera
Il gap della notorietà dei territori diviene maggiore quando si considera la percentuale di persone che li hanno visitati. É evidente come territori tradizionalmente a vocazione enoturistica siano quelli maggiormente gettonati: al primo posto si colloca il Chianti (l’80% lo conosce perché lo ha visitato), seguito da Trentino (il 69%), Montalcino (67%), Montepulciano (il 57%), Franciacorta (56%), Sicilia (53%), Langhe (49%), Asti (47%), Salento (47%), Conegliano e Valdobbiadene (40%). Un caso particolare è rappresentato dal Trentino, la cui percentuale di visitatori conferma l’importanza delle politiche sinergiche tra produzione locali e valorizzazione del patrimonio paesaggistico-culturale attivate negli ultimi anni. In tutti gli altri casi, le percentuali dimostrano che, pur essendoci un grado di conoscenza complessiva rilevante, le esperienze in termini di viaggi si dimezzano: ciò evidenzia la necessità di spingere ed incrementare le pur note ed evidenti potenzialità dell’enoturismo.
Per l’acquisto del vino è importante il rapporto qualità - prezzo
Agli enonauti è stato anche chiesto quali sono i fattori più importanti presi in considerazione nel momento di acquistare un vino. I dati rilevano che per i consumatori l’importanza maggiore nell’atto d’acquisto è rappresentata dal rapporto qualità-prezzo (60% delle risposte), dalla precedente soddisfazione (36%), dal rispetto delle aspettative ante-acquisto. A seguire assumono importanza la natura autoctona dei vitigni (27%), la ricerca di sensazioni legate ai luoghi di origine (24%), il desiderio di provare nuovi gusti (18%), il brand del produttore (16%). Risultano invece poco importanti ai fini della ripetizione del consumo il ricordo di un evento speciale o l’occasione in cui il vino viene bevuto.
Ma qual è il modello di marketing potenzialmente vincente nel futuro?
Secondo Monica Fait, ricercatrice dell’Università del Salento e responsabile della ricerca: “il lavoro sin qui svolto ci consente di confermare alcuni assunti di base che la letteratura manageriale e l’evidenza empirica da sempre asseriscono, ovvero l’importanza dell’associazionismo, testimoniata dal ruolo dei Consorzi di tutela per la valorizzazione delle Doc e Docg, nonché la necessità di ricercare il giusto equilibrio tra qualità e prezzo di vendita. Va altresì menzionata l’attenzione - ormai crescente - che il consumatore pone alla conoscenza dell’origine del vino. Tale informazione, pur costituendo un assunto di base confermato dai molteplici studi sugli effetti del country of origin, deve costituire per i territori che hanno intrapreso la via della qualità e dell’eccellenza un elemento essenziale per il successo delle proprie produzioni”.
l’identikit degli enonauti
Infine, ecco l’identikit degli enonauti di www.winenews.it: prevalentemente maschi (79%), il 52% di loro ha un’età compresa fra i 30 e i 45 anni; hanno un elevato titolo di studio (l’85% ha conseguito il diploma di scuola media superiore o la laurea), godono di un buono/ottimo livello socio-economico (imprenditore, bancario, avvocato, commercialista, ingegnere, medico, agente di commercio, architetto, commerciante…).
di Antonio Bruno Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master’s Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
Bibliografia
Eleonora Ciolfi, Sondaggio Winenews-Università del Salento: tra land e brand, ecco i due volti dell’Italia del vino.
sabato 26 marzo 2011
Il Dottore Agronomo Carmelo Buttazzo ha sbancato l’oro d’Italia!
Il Dottore Agronomo Carmelo Buttazzo ha sbancato l’oro d’Italia!
La seconda edizione del concorso “L’Oro d’Italia” organizzato da Olea, insieme con “Le Gocce d’Oro” e “L’Olio dell’Unità d’Italia”, ha visto ieri 26 marzo 2011 a Ugento in provincia di Lecce la presentazione delle graduatorie nel corso della manifestazione “extravergine@ugento” .
Un sabato 26 marzo 2011 tutto all’insegna dell’olio extravergine d’oliva. Prima mi sono recato all’Assemblea del Collegio dei Perito Agrari, ho salutato il Presidente Massimo De Nitto e qui sono stato contattato dal Presidente di Coldiretti Lecce Ing. Pantaleo Piccino. Lui posteggia e mi fa segno di aspettare, mi chiede di andare a Ugento alle 17 e 30 perché ci sarebbe stata la premiazione dei migliori Oli extravergine d’oliva d’Italia.
Il concorso "L'Oro d'Italia®"
Mi ha detto che il concorso, "L'Oro d'Italia®" che mette a confronto le eccellenze degli oli italiani nella vasta gamma della loro variabilità che rappresenta il punto di forza della produzione delle aziende più impegnate e distintesi con prodotti di qualità elevata.
Si sono confrontati i migliori olii extravergine d’oliva d’Italia
Così, ne "L'Oro d'Italia®", si sono confrontati sia gli oli "extravergini" che quelli fregiati da riconoscimento europeo DOP e IGP.
Detto questo, il Presidente Piccino mi ha spiegato che sono stati estrapolati gli extravergini "monovarietali", "biologici", "oli extremi" ottenuti da oliveti del nord-Italia e il Comitato ha stabilito di assegnare un premio denominato "L'Oro di Puglia" e "L'Oro del Salento" concorsi di marchio depositato, ai primi oli della Regione Puglia e a quelli del Salento leccese perché è stato significativo il numero dei campioni presentati.
La valutazione degli olii
L’Ing. Pantaleo Piccino mi ha garantito che a valutare tutti gli oli, nell'anonimato assoluto garantito da un pubblico ufficiale, è stata una Giuria costituita da capi-panel, membri di panel e assaggiatori professionisti utilizzando la scheda predisposta da OLEA http://www.oroditalia.info/index.html per i concorsi che, da anni, attiva e conduce riscuotendo riconoscimenti per la serietà e per il ritorno di immagine ai partecipanti.
Hanno vinto quelli che si sono fatti accompagnare da un Dottore Agronomo
Alle 17 e 30 sono nello splendido contenitore del Museo Archeologico di Ugento del Salento leccese, chiacchieriamo con l’Assessore Provinciale Francesco Pacella, parliamo di olio, di alberi d’olivo e della necessità di comunicare le eccellenze dell’olio.
Si! Perché di questo si tratta. Bisogna crederci ed ecco che a vincere la sfida sono aziende tutte guidate da un Dottore Agronomo che le ha accompagnate nella produzione di olive sane e che ha poi convinto un Oleificio Cooperativo ad aprire prima per molire le olive sane da cui è sgorgato l’oro del Salento leccese che è divenuto Oro d’Italia!
Il Dottore Agronomo Carmelo (detto Nino) Buttazzo
Ci sono tutte le aziende vincitrici che puoi consultare qui http://www.olea.info/news.asp?id=304 e hanno dovuto prendere atto tutti che il Dottore Agronomo Carmelo (detto Nino) Buttazzo ha saccheggiato quattro primi posti! Per non contare gli innumerevoli premi secondo e terzo posto che ha ottenuto che hanno costellato questa serata di Ugento tutta d’oro per il nostro buon Nino.
Il primo premio all’olio “Don Nino”
In suo onore l’imprenditore che ha vinto un primo premio ha chiamato l’olio premiato “Don Nino”. Sinceramente devo scrivere quello che penso, devo riferire delle tante passerelle di iniziative che si fanno sull’olio, ma nello stesso tempo devo assolutamente affermare che l’impegno e la professionalità del collega Nino Buttazzo determina la produzione di oli extravergine d’oliva che si classificano ai primi posti in Italia dimostrando che le varietà di alberi d’olivo del Salento leccese producono delle olive che danno olio qualità eccellente!
Nino Buttazzo ha vinto nonostante la Lebbra dell’Olivo
Il problema della Lebbra dell’olivo non ha nemmeno sfiorato le aziende che sono state seguite dal collega Nino Buttazzo infatti tutte gli oli prodotti dalle aziende che lui ha seguito si sono classificati ai primi posti in Italia!
Un giovane di 24 anni
Ieri sera sono stato chiamato per effettuare una premiazione a un ragazzo. Gli ho chiesto quanti anni avesse e mi ha risposto che aveva 24 anni, gli ho detto che nel giro di un lustro avrebbe vinto il premio per aver prodotto il miglior olio d’oliva extravergine del Mondo!
Ieri sera non c’erano i postulanti dell’olio (detto di chi insiste nell'avanzare richieste per ottenere favori o anche per ricevere udienza)
Ieri sera ad Ugento non c’erano i piagnistei e le facce tristi di uomini che con la mano tesa chiedono l’elemosina di un aiuto economico dello Stato o dalla Pac dell’Europa, non c’erano i fervorini dei sindacalisti o dei faccendieri che tentano di strappare aiuti che poi utilizzano, nella migliore delle ipotesi, per la speculazione finanziaria dei pannelli fotovoltaici vendendo i diritti di superficie del Paesaggio rurale del Salento leccese a Spagnoli, olandesi o tedeschi.
L’olivicoltura del terzo millennio
A Ugento del Salento leccese c’erano le aziende che facendosi accompagnare da un Dottore Agronomo hanno vinto i primi premi in Italia, c’erano i giovani, c’erano i sorrisi e le speranze dell’agricoltura del terzo millennio.
Più volte ho sostenuto che da soli non si va da nessuna parte, la presunzione del bastare a se stessi è venuta da troppi aiuti di Stato. Anche di questo ho scritto più volte, ho affermato senza paura di essere smentito, che bastava produrre olio, qualsiasi olio, che tanto c’era chi ti dava i soldi e te ne dava così tanti dal guardarti bene dall’investirli nell’agricoltura.
Se ti accompagna un Dottore Agronomo hai un’altra possibilità
A Ugento si è dimostrato che c’è un’altra possibilità. A Ugento abbiamo potuto vedere che guidati da un Dottore Agronomo si ottengono grossi risultati e oli che poi danno un alto reddito.
Salento alza la testa! Basta chiedere l’elemosina! Basta chiedere aiuti! Imitiamo le buone pratiche e chiamiamo un Dottore Agronomo per essere accompagnati nella produzione dell’olio. Un Dottore Agronomo che pagheremo solo ed esclusivamente se ci farà produrre un olio da trofeo, come è accaduto il 26 marzo 2011 a Ugento del Salento leccese dove il Dottore Agronomo Nino Buttazzo, il nostro don Nino, ha saccheggiato i premi dell’olio d’Italia!
di Antonio Bruno, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
La seconda edizione del concorso “L’Oro d’Italia” organizzato da Olea, insieme con “Le Gocce d’Oro” e “L’Olio dell’Unità d’Italia”, ha visto ieri 26 marzo 2011 a Ugento in provincia di Lecce la presentazione delle graduatorie nel corso della manifestazione “extravergine@ugento” .
Un sabato 26 marzo 2011 tutto all’insegna dell’olio extravergine d’oliva. Prima mi sono recato all’Assemblea del Collegio dei Perito Agrari, ho salutato il Presidente Massimo De Nitto e qui sono stato contattato dal Presidente di Coldiretti Lecce Ing. Pantaleo Piccino. Lui posteggia e mi fa segno di aspettare, mi chiede di andare a Ugento alle 17 e 30 perché ci sarebbe stata la premiazione dei migliori Oli extravergine d’oliva d’Italia.
Il concorso "L'Oro d'Italia®"
Mi ha detto che il concorso, "L'Oro d'Italia®" che mette a confronto le eccellenze degli oli italiani nella vasta gamma della loro variabilità che rappresenta il punto di forza della produzione delle aziende più impegnate e distintesi con prodotti di qualità elevata.
Si sono confrontati i migliori olii extravergine d’oliva d’Italia
Così, ne "L'Oro d'Italia®", si sono confrontati sia gli oli "extravergini" che quelli fregiati da riconoscimento europeo DOP e IGP.
Detto questo, il Presidente Piccino mi ha spiegato che sono stati estrapolati gli extravergini "monovarietali", "biologici", "oli extremi" ottenuti da oliveti del nord-Italia e il Comitato ha stabilito di assegnare un premio denominato "L'Oro di Puglia" e "L'Oro del Salento" concorsi di marchio depositato, ai primi oli della Regione Puglia e a quelli del Salento leccese perché è stato significativo il numero dei campioni presentati.
La valutazione degli olii
L’Ing. Pantaleo Piccino mi ha garantito che a valutare tutti gli oli, nell'anonimato assoluto garantito da un pubblico ufficiale, è stata una Giuria costituita da capi-panel, membri di panel e assaggiatori professionisti utilizzando la scheda predisposta da OLEA http://www.oroditalia.info/index.html per i concorsi che, da anni, attiva e conduce riscuotendo riconoscimenti per la serietà e per il ritorno di immagine ai partecipanti.
Hanno vinto quelli che si sono fatti accompagnare da un Dottore Agronomo
Alle 17 e 30 sono nello splendido contenitore del Museo Archeologico di Ugento del Salento leccese, chiacchieriamo con l’Assessore Provinciale Francesco Pacella, parliamo di olio, di alberi d’olivo e della necessità di comunicare le eccellenze dell’olio.
Si! Perché di questo si tratta. Bisogna crederci ed ecco che a vincere la sfida sono aziende tutte guidate da un Dottore Agronomo che le ha accompagnate nella produzione di olive sane e che ha poi convinto un Oleificio Cooperativo ad aprire prima per molire le olive sane da cui è sgorgato l’oro del Salento leccese che è divenuto Oro d’Italia!
Il Dottore Agronomo Carmelo (detto Nino) Buttazzo
Ci sono tutte le aziende vincitrici che puoi consultare qui http://www.olea.info/news.asp?id=304 e hanno dovuto prendere atto tutti che il Dottore Agronomo Carmelo (detto Nino) Buttazzo ha saccheggiato quattro primi posti! Per non contare gli innumerevoli premi secondo e terzo posto che ha ottenuto che hanno costellato questa serata di Ugento tutta d’oro per il nostro buon Nino.
Il primo premio all’olio “Don Nino”
In suo onore l’imprenditore che ha vinto un primo premio ha chiamato l’olio premiato “Don Nino”. Sinceramente devo scrivere quello che penso, devo riferire delle tante passerelle di iniziative che si fanno sull’olio, ma nello stesso tempo devo assolutamente affermare che l’impegno e la professionalità del collega Nino Buttazzo determina la produzione di oli extravergine d’oliva che si classificano ai primi posti in Italia dimostrando che le varietà di alberi d’olivo del Salento leccese producono delle olive che danno olio qualità eccellente!
Nino Buttazzo ha vinto nonostante la Lebbra dell’Olivo
Il problema della Lebbra dell’olivo non ha nemmeno sfiorato le aziende che sono state seguite dal collega Nino Buttazzo infatti tutte gli oli prodotti dalle aziende che lui ha seguito si sono classificati ai primi posti in Italia!
Un giovane di 24 anni
Ieri sera sono stato chiamato per effettuare una premiazione a un ragazzo. Gli ho chiesto quanti anni avesse e mi ha risposto che aveva 24 anni, gli ho detto che nel giro di un lustro avrebbe vinto il premio per aver prodotto il miglior olio d’oliva extravergine del Mondo!
Ieri sera non c’erano i postulanti dell’olio (detto di chi insiste nell'avanzare richieste per ottenere favori o anche per ricevere udienza)
Ieri sera ad Ugento non c’erano i piagnistei e le facce tristi di uomini che con la mano tesa chiedono l’elemosina di un aiuto economico dello Stato o dalla Pac dell’Europa, non c’erano i fervorini dei sindacalisti o dei faccendieri che tentano di strappare aiuti che poi utilizzano, nella migliore delle ipotesi, per la speculazione finanziaria dei pannelli fotovoltaici vendendo i diritti di superficie del Paesaggio rurale del Salento leccese a Spagnoli, olandesi o tedeschi.
L’olivicoltura del terzo millennio
A Ugento del Salento leccese c’erano le aziende che facendosi accompagnare da un Dottore Agronomo hanno vinto i primi premi in Italia, c’erano i giovani, c’erano i sorrisi e le speranze dell’agricoltura del terzo millennio.
Più volte ho sostenuto che da soli non si va da nessuna parte, la presunzione del bastare a se stessi è venuta da troppi aiuti di Stato. Anche di questo ho scritto più volte, ho affermato senza paura di essere smentito, che bastava produrre olio, qualsiasi olio, che tanto c’era chi ti dava i soldi e te ne dava così tanti dal guardarti bene dall’investirli nell’agricoltura.
Se ti accompagna un Dottore Agronomo hai un’altra possibilità
A Ugento si è dimostrato che c’è un’altra possibilità. A Ugento abbiamo potuto vedere che guidati da un Dottore Agronomo si ottengono grossi risultati e oli che poi danno un alto reddito.
Salento alza la testa! Basta chiedere l’elemosina! Basta chiedere aiuti! Imitiamo le buone pratiche e chiamiamo un Dottore Agronomo per essere accompagnati nella produzione dell’olio. Un Dottore Agronomo che pagheremo solo ed esclusivamente se ci farà produrre un olio da trofeo, come è accaduto il 26 marzo 2011 a Ugento del Salento leccese dove il Dottore Agronomo Nino Buttazzo, il nostro don Nino, ha saccheggiato i premi dell’olio d’Italia!
di Antonio Bruno, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
venerdì 25 marzo 2011
Massimo Gargano incontra la Bonifica del Salento leccese
Massimo Gargano incontra la Bonifica del Salento leccese
Venerdì 25 marzo alle ore 15 e 30 nella Sala Conferenze del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” di Ugento (Lecce) Massimo Gargano Presidente dell’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni ha incontrato la Bonifica del Salento leccese.
Con l’acqua dei Consorzi di Bonifica si può fare agricoltura da reddito
Il Presidente Gargano ha ricordato a tutti che nel lontano settembre del 2008 la Conferenza Stato-Regioni diede il via libera al riordino dei consorzi e che da allora la bonifica è stata riposizionata nel terzo millennio e con essa la sicurezza idrogeologica e idraulica da offrire ai cittadini.
I Consorzi di Bonifica rappresentano la centralità del territorio e dell’agricoltura. La funzione irrigua di fatto rappresenta anche la multifunzionalità dei consorzi e dell’agricoltura perché senza l’acqua si possono coltivare solo il grano e il miglio invece per le colture che danno più reddito, per gli ortaggi, è essenziale che ci sia la possibilità di usare l’acqua.
L’importanza dell’autogoverno dei Consorzi di Bonifica
Il Presidente Gargano ha poi ricordato il ruolo dei consorzi di bonifica e la validità dell’istituto consortile fondato sull’autogoverno dei soggetti beneficiari delle azioni svolte. Soprattutto in ossequio al principio della sussidiarietà che in sintesi si potrebbe riassumere nella formula: se un ente che sta "più in basso" è capace di fare qualcosa, l’ente che sta "più in alto" deve lasciargli tale compito e sostenerne l’azione.
Ciò che fa il Consorzio di Bonifica
Gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, ha aggiunto Gargano, non posso essere svolti dai Comuni o dalle Province perché sono compito che può essere svolto con efficacia solo daii Consorzi di Bonifica che si collocano in Europa essendo le uniche strutture in grado di rispondere in pieno al concetto espresso in tutti regolamenti comunitari sull’acqua del bacino idrografico omogeneo.
I Consorzi per il riuso delle acque reflue in agricoltura
Inoltre il Presidente dell’Anbi ha ricordato che i Consorzi sulla base del Codice ambientale già fanno moltissimo in Puglia, infatti il Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” ha predisposto progetti per il riuso delle acque depurate.
Piano nazionale di invasi medio-piccoli collinari e di pianura
Ma Massimo Gargano ha ricordato a tutti ciò che i Consorzi di Bonifica potrebbero fare in tema di fitodepurazione delle acque e sugli usi plurimi. Secondo il Presidente Gragano bisogna comunque guardare oltre, perché la prossima sfida è l’incremento delle risorse idriche disponibili, considerato che, ad oggi, si utilizzano solo 8 dei 300 miliardi di metri cubi d’acqua che, annualmente, piovono in Italia. Per questo, l’A.N.B.I. insiste nel richiedere un Piano nazionale di invasi medio-piccoli collinari e di pianura, cui abbinare nuove opportunità economiche come la produzione microidroelettrica.
L’acqua dei reflui del Salento leccese
Oggi l’ acqua dopo essere stata utilizzata viene depurata e per così dire “buttata” o nella rete idrografica oppure nei campi di spandimento e la parte di essa che non evapora arriva nella falda, e noi attraverso delle pompe, con dispendio enorme di energia, la riportiamo alla luce e la utilizziamo. Ma quest’acqua non potrebbe essere per così dire “conservata” da qualche parte come appunto previsto da Piano nazionale di invasi medio-piccoli collinari e di pianura?
Il progetto invasi dalle cave del Salento leccese
Sia nella Conferenza Organizzativa interregionale all’Assessore regionale Fabiano Amati, che al Commissario dell’ex Agensud Iodice è stato proposto il progetto “invasi dalle cave del Salento leccese”. La Provincia di Lecce con una popolazione di circa 800.000 abitanti ed un consumo idrico pro capite di 120 litri giornalieri, produce circa 35 milioni di metri cubi di acque reflue all’anno. Supponendo una profondità media delle cave dismesse di 5 metri avremmo una superficie di circa 700 ettari di laghi che diviso per i cento comuni della Provincia di Lecce darebbero in media 7 ettari di cava per trasformata in un lago!
Immaginate un lago di sette ettari vicino a casa vostra, in ogni comune, non è bello? Per farvi un idea, il lago di Alimini Grande che si trova nei pressi di Otranto, ha l’asse maggiore di 2600 metri, quello minore compreso tra i 300 e 800 metri; i fondali raggiungono come massima profondità i 4 metri e la superficie complessiva è di 130 ettari. Insomma si tratterebbe di avere 7 laghi alimini nel Salento leccese. Qualcuno ha mai pensato a quanti ettari si potrebbero irrigare? Prevedendo un consumo di mille metri cubi per ettaro potremmo irrigare 35mila ettari dei 200mila e cioè circa il 20% della superficie totale! E soprattutto potremmo evitare di sottrarre alla falda profonda quella quantità di acqua!
Un agronomo Bonificò in Sardegna con il riso
Ad Arborea. In Sardegna, grazie agli sforzi e alla fatica del Dottore Agronomo Rino Giuliani è stata svolta un importantissima funzione nell’economia agricola dell’Oristanese. Il Dottore Agronomo Rino Giuliani progettò le prime risaie nei terreni bonificati ed improduttivi dello stagno del Sassu.
Il Presidente Gargano ci ha rivelato che quell’acqua era gestita dal Consorzio di Bonifica ma nello steso tempo ci ha amaramente detto che da quando il Consorzio non ha più la gestione ad Arborea in Sardegna sono rimaste pochissime risaie, decimate dal costo troppo alto dell’acqua.
Quando si tolgono le competenze ai Consorzi di Bonifica si fa male al territorio
In Sicilia, ai consorzi di bonifica, sono state tolte le competenze in materia di tutela idrogeologica, così come nelle Marche, altra regione colpita ora da gravi emergenze. Ma ciò che accede ogni giorno dimostra la necessità di rafforzare la salvaguardia del territorio dove, ha affermato il Presidente dell’Anbi, i consorzi di bonifica sono rimasti l’unico presidio permanente e la cui professionalità, unanimemente riconosciuta, è spesso determinante per prevenire o contenere situazioni di emergenza, a testimonianza di come la “sussidiarietà applicata” sia elemento fondamentale nella tutela degli interessi della popolazione. Ne sono recente testimonianza, fra l’altro, le apprezzate e molteplici azioni dei Consorzi di bonifica nelle alluvioni del Veneto e della Toscana dell’autunno 2010.
Il Presidente Gargano ha poi riferito che il Piano per la Riduzione del Rischio Idrogeologico, è stato aggiornato dall’Anbi. Tale piano prevede in tutta Italia, 2.519 progetti cantierabili per un importo complessivo di circa 5.723 milioni di euro, recuperabile anche attraverso una proiezione quindicennale dell’impegno di spesa da realizzarsi mediante mutui; è una soluzione già adottata nel recente passato e che permetterebbe l’immediato avvio di centinaia di cantieri, con evidenti ricadute occupazionali ma che, soprattutto, impedirebbe l’aggravarsi della critica situazione del territorio dove, in un solo anno, le esigenze sono cresciute di oltre il 30% (+ 1.540,185 milioni di euro). Il Presidente Massimo Gargano ha ricordato che in soli sei giorni gli ingegneri della società di gestione Nexco sono riusciti a ripristinare un tratto dell'autostrada a nord di Tokyo devastata dal terremoto dell'11 marzo. Poche ore dal sisma di 9 gradi Richter la strada era piena di voragini di alcuni metri sull'asfalto disarticolato e sconnesso, oggi la strada è stata ricostruita. Se finalmente tutti ci rendessimo conto che affidando ai Consorzi di Bonifica risorse adeguate per la progettazione e la gestione avremmo maggiore efficienza anche noi faremmo lo stesso clamore nel mondo così come ha fatto l’opera dei giapponesi.
di Antonio Bruno Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master’s Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
Venerdì 25 marzo alle ore 15 e 30 nella Sala Conferenze del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” di Ugento (Lecce) Massimo Gargano Presidente dell’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni ha incontrato la Bonifica del Salento leccese.
Con l’acqua dei Consorzi di Bonifica si può fare agricoltura da reddito
Il Presidente Gargano ha ricordato a tutti che nel lontano settembre del 2008 la Conferenza Stato-Regioni diede il via libera al riordino dei consorzi e che da allora la bonifica è stata riposizionata nel terzo millennio e con essa la sicurezza idrogeologica e idraulica da offrire ai cittadini.
I Consorzi di Bonifica rappresentano la centralità del territorio e dell’agricoltura. La funzione irrigua di fatto rappresenta anche la multifunzionalità dei consorzi e dell’agricoltura perché senza l’acqua si possono coltivare solo il grano e il miglio invece per le colture che danno più reddito, per gli ortaggi, è essenziale che ci sia la possibilità di usare l’acqua.
L’importanza dell’autogoverno dei Consorzi di Bonifica
Il Presidente Gargano ha poi ricordato il ruolo dei consorzi di bonifica e la validità dell’istituto consortile fondato sull’autogoverno dei soggetti beneficiari delle azioni svolte. Soprattutto in ossequio al principio della sussidiarietà che in sintesi si potrebbe riassumere nella formula: se un ente che sta "più in basso" è capace di fare qualcosa, l’ente che sta "più in alto" deve lasciargli tale compito e sostenerne l’azione.
Ciò che fa il Consorzio di Bonifica
Gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, ha aggiunto Gargano, non posso essere svolti dai Comuni o dalle Province perché sono compito che può essere svolto con efficacia solo daii Consorzi di Bonifica che si collocano in Europa essendo le uniche strutture in grado di rispondere in pieno al concetto espresso in tutti regolamenti comunitari sull’acqua del bacino idrografico omogeneo.
I Consorzi per il riuso delle acque reflue in agricoltura
Inoltre il Presidente dell’Anbi ha ricordato che i Consorzi sulla base del Codice ambientale già fanno moltissimo in Puglia, infatti il Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” ha predisposto progetti per il riuso delle acque depurate.
Piano nazionale di invasi medio-piccoli collinari e di pianura
Ma Massimo Gargano ha ricordato a tutti ciò che i Consorzi di Bonifica potrebbero fare in tema di fitodepurazione delle acque e sugli usi plurimi. Secondo il Presidente Gragano bisogna comunque guardare oltre, perché la prossima sfida è l’incremento delle risorse idriche disponibili, considerato che, ad oggi, si utilizzano solo 8 dei 300 miliardi di metri cubi d’acqua che, annualmente, piovono in Italia. Per questo, l’A.N.B.I. insiste nel richiedere un Piano nazionale di invasi medio-piccoli collinari e di pianura, cui abbinare nuove opportunità economiche come la produzione microidroelettrica.
L’acqua dei reflui del Salento leccese
Oggi l’ acqua dopo essere stata utilizzata viene depurata e per così dire “buttata” o nella rete idrografica oppure nei campi di spandimento e la parte di essa che non evapora arriva nella falda, e noi attraverso delle pompe, con dispendio enorme di energia, la riportiamo alla luce e la utilizziamo. Ma quest’acqua non potrebbe essere per così dire “conservata” da qualche parte come appunto previsto da Piano nazionale di invasi medio-piccoli collinari e di pianura?
Il progetto invasi dalle cave del Salento leccese
Sia nella Conferenza Organizzativa interregionale all’Assessore regionale Fabiano Amati, che al Commissario dell’ex Agensud Iodice è stato proposto il progetto “invasi dalle cave del Salento leccese”. La Provincia di Lecce con una popolazione di circa 800.000 abitanti ed un consumo idrico pro capite di 120 litri giornalieri, produce circa 35 milioni di metri cubi di acque reflue all’anno. Supponendo una profondità media delle cave dismesse di 5 metri avremmo una superficie di circa 700 ettari di laghi che diviso per i cento comuni della Provincia di Lecce darebbero in media 7 ettari di cava per trasformata in un lago!
Immaginate un lago di sette ettari vicino a casa vostra, in ogni comune, non è bello? Per farvi un idea, il lago di Alimini Grande che si trova nei pressi di Otranto, ha l’asse maggiore di 2600 metri, quello minore compreso tra i 300 e 800 metri; i fondali raggiungono come massima profondità i 4 metri e la superficie complessiva è di 130 ettari. Insomma si tratterebbe di avere 7 laghi alimini nel Salento leccese. Qualcuno ha mai pensato a quanti ettari si potrebbero irrigare? Prevedendo un consumo di mille metri cubi per ettaro potremmo irrigare 35mila ettari dei 200mila e cioè circa il 20% della superficie totale! E soprattutto potremmo evitare di sottrarre alla falda profonda quella quantità di acqua!
Un agronomo Bonificò in Sardegna con il riso
Ad Arborea. In Sardegna, grazie agli sforzi e alla fatica del Dottore Agronomo Rino Giuliani è stata svolta un importantissima funzione nell’economia agricola dell’Oristanese. Il Dottore Agronomo Rino Giuliani progettò le prime risaie nei terreni bonificati ed improduttivi dello stagno del Sassu.
Il Presidente Gargano ci ha rivelato che quell’acqua era gestita dal Consorzio di Bonifica ma nello steso tempo ci ha amaramente detto che da quando il Consorzio non ha più la gestione ad Arborea in Sardegna sono rimaste pochissime risaie, decimate dal costo troppo alto dell’acqua.
Quando si tolgono le competenze ai Consorzi di Bonifica si fa male al territorio
In Sicilia, ai consorzi di bonifica, sono state tolte le competenze in materia di tutela idrogeologica, così come nelle Marche, altra regione colpita ora da gravi emergenze. Ma ciò che accede ogni giorno dimostra la necessità di rafforzare la salvaguardia del territorio dove, ha affermato il Presidente dell’Anbi, i consorzi di bonifica sono rimasti l’unico presidio permanente e la cui professionalità, unanimemente riconosciuta, è spesso determinante per prevenire o contenere situazioni di emergenza, a testimonianza di come la “sussidiarietà applicata” sia elemento fondamentale nella tutela degli interessi della popolazione. Ne sono recente testimonianza, fra l’altro, le apprezzate e molteplici azioni dei Consorzi di bonifica nelle alluvioni del Veneto e della Toscana dell’autunno 2010.
Il Presidente Gargano ha poi riferito che il Piano per la Riduzione del Rischio Idrogeologico, è stato aggiornato dall’Anbi. Tale piano prevede in tutta Italia, 2.519 progetti cantierabili per un importo complessivo di circa 5.723 milioni di euro, recuperabile anche attraverso una proiezione quindicennale dell’impegno di spesa da realizzarsi mediante mutui; è una soluzione già adottata nel recente passato e che permetterebbe l’immediato avvio di centinaia di cantieri, con evidenti ricadute occupazionali ma che, soprattutto, impedirebbe l’aggravarsi della critica situazione del territorio dove, in un solo anno, le esigenze sono cresciute di oltre il 30% (+ 1.540,185 milioni di euro). Il Presidente Massimo Gargano ha ricordato che in soli sei giorni gli ingegneri della società di gestione Nexco sono riusciti a ripristinare un tratto dell'autostrada a nord di Tokyo devastata dal terremoto dell'11 marzo. Poche ore dal sisma di 9 gradi Richter la strada era piena di voragini di alcuni metri sull'asfalto disarticolato e sconnesso, oggi la strada è stata ricostruita. Se finalmente tutti ci rendessimo conto che affidando ai Consorzi di Bonifica risorse adeguate per la progettazione e la gestione avremmo maggiore efficienza anche noi faremmo lo stesso clamore nel mondo così come ha fatto l’opera dei giapponesi.
di Antonio Bruno Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master’s Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
giovedì 24 marzo 2011
Quelli dell’Agrario di Lecce!
Quelli dell’Agrario di Lecce!
Incontrarsi nell’atrio della scuola che hai frequentato per cinque anni, dopo tanti anni. Sorrisi, frasi, discorsi. Un settore che conta le sue vittorie, i risultati professionali, le criticità e le prospettive. Tutto questo è accaduto stasera presso l’Istituto Tecnico Agrario “Giovanni Presta” di Lecce con tanta emozione e tanto entusiasmo.
Nessuno che abbia trovato da ridire, tutti disponibili a fare per mettere a disposizione dei giovani e dei docenti le esperienze maturate nel lavoro e negli anni.
Dalle 17 alle 18 e 30 tutti hanno raccontato la loro storia, fatta dagli scherzi degli altri studenti che raggiungevano il capoluogo, quelli del liceo e delle altre scuole che non riuscivano a capire a cosa dovesse servire un diploma di Perito Agrario, la suola degli zappatori, la scuola dei contadini. Già! dei contadini, di quelli che non sanno cosa sia scansare le fatiche. Come puoi evitare ciò che ti fa stare bene? Il lavoro con il corpo, muovendo i muscoli, le braccia le gambe per spostare zolle di paesaggio, per sistemarle in maniera tale da consentirgli di darti un frutto, un prodotto che ti permette di nutrirti e di nutrire le altre persone umane. Come può essere un Perito Agrario terra, terra uno scansafatiche? Lavoro e poi ancora lavoro, siamo stati addestrati a questa scuola del lavoro e da questo luogo siamo andati a fare un po’ di tutto, ti ritrovi un Perito Agrario che fa il Dottore Agronomo, ma anche il Medico o l’Avvocato, o l’insegnante o ancora l’impiegato del Comune, il Professore di Università o che ha uno studio di libero professionista.
Volti fieri quelli di questa sera, volti abituati agli scherni e ai dileggi, che hanno subito il destino del contadino “scarpa grossa e cervello fino” che hanno dovuto dare un senso a quel raccogliere olive o tabacco, mentre il rosso tramonto si spandeva tra i giganti del Mediterraneo, quei nove milioni di olivi che da secoli fanno da ombrello al Paesaggio rurale del Salento leccese.
Scrivo di getto, per esprimere tutta la mia soddisfazione per una “convocazione attraverso la rete”, io senza internet sarei uno che scrive e ripone i suoi fogli nel cassetto, anzi no, siccome sono vanitoso non avrei mai scritto, non ha alcun senso scrivere qualcosa che nessuno leggerà. Adesso che ci penso però l’ho fatto! Ha ragione chi afferma che “mai dire mai” davvero, mai dire mai anche per la scrittura dei miei quintali di lettere che nessuno ha mai letto e che con ogni probabilità nessuno mai leggerà. Come mai dire mai e ti capita che comunque, pur amando la letteratura e la storia, pur filosofeggiando in giovinezza, arrivi all’Agrario di Lecce perché te l’ha indicato l’oggetto del tuo desiderio.
Mi sono perso lo so, ma è per dire che oggi abbiamo deciso di fare una iniziativa pubblica che abbia una copertura mediatica e che possa far giungere la “lieta notizia” della costituenda Associazione ex allievi dell’Istituto Tecnico Agrario “Giovanni Presta” di Lecce a tutte le migliaia di colleghi che sono nel Salento e oltre i confini di questa penisola che si stende a Oriente nel mediterraneo.
L’oleologo Luigi Caricato mi ha dato l’incarico di relazionare su questa sera, davvero è difficile, è complicato scrivere le emozioni, le espressioni dei visi, le inflessioni delle voci, gli sguardi di tanti colleghi, dei tantissimi Periti agrari di stasera. Una cosa però è apparsa evidente a tutti, la gioia e la disponibilità di spendersi per l’Agrario di Lecce, la certezza di cogliere frutti meravigliosi e speciali da porgere ai giovani, quei “benedetti figli” che sono così temerari, incoscienti e meravigliosamente folli da intraprendere un ciclo di studi all’Agrario di Lecce. E’ arrivata la prof.ssa Fiorentina De Masi che ha salutato il suo vicario prof. Luigi Paladini e che ha fatto scattare in piedi noi tutti. Una signora ma anche una dirigente e, a scuola, la sindrome dell’allievo ti ritorna, come allora, che dovevamo alzarci ogni ora all’arrivo del professore e ogni volta che giungeva la visita del preside.
Caro dott. Caricato qui ci vuole lei, con la sua Milano, con il suo narrare l’olio, ci vuole lei che ha fatto l’Agrario di Lecce per farlo divenire ciò che è, ovvero la palestra dell’Ambiente che è come tutti sanno al 99% Paesaggio Rurale. Ci vuole il contributo delle donne e degli uomini che hanno passato i 5 anni più importanti della loro vita, che sono quelli dai 12 anni ai 18 anni, quegli anni che ti manifesti per quello che sei, che sei stato e che sarai per il resto della tua vita. Un periodo che rimane impresso, indelebile nell’esperienza di ognuno, anni con i genitori ma anche con i compagni di classe, con le prime ragazze, i primi baci i primi fremiti e le prime sofferenze e delusioni.
L’Agrario di Lecce, il simbolo di ciò che sono e di ciò che sarò per sempre. Queste parole devono risuonare nella mente di tutti noi per risvegliare quel sentimento, quell’amicizia tra persone che fa della nostra professione il mestiere che ti conduce al successo.
Non è detto che il successo sia quello che è considerato da questa società, ma di sicuro tra queste mura, quelle dell’Agrario, sono maturate idee, passioni, sogni, desideri che poi nel corso degli anni si sono realizzati, ciò che si realizza è un successo e chi lo realizza è una persona di successo.
Poi s’è fatto tardi, c’è chi, per esserci, è venuto con la moglie all’uscita della visita dal cardiologo, chi è partito da Erchie, chi ha lasciato l’Università della Basilicata, siamo venuti all’Agrario di Lecce tutti uniti e disponibili per questa straordinaria avventura. Tutti insieme siamo quelli dell’Agrario di Lecce, quelli che hanno successo e che si stanno spendendo per il territorio e la gioventù!
di Antonio Bruno Dottore Agronomo Master Degree IMD Esperto in Diagnostica Urbana e Territoriale
Incontrarsi nell’atrio della scuola che hai frequentato per cinque anni, dopo tanti anni. Sorrisi, frasi, discorsi. Un settore che conta le sue vittorie, i risultati professionali, le criticità e le prospettive. Tutto questo è accaduto stasera presso l’Istituto Tecnico Agrario “Giovanni Presta” di Lecce con tanta emozione e tanto entusiasmo.
Nessuno che abbia trovato da ridire, tutti disponibili a fare per mettere a disposizione dei giovani e dei docenti le esperienze maturate nel lavoro e negli anni.
Dalle 17 alle 18 e 30 tutti hanno raccontato la loro storia, fatta dagli scherzi degli altri studenti che raggiungevano il capoluogo, quelli del liceo e delle altre scuole che non riuscivano a capire a cosa dovesse servire un diploma di Perito Agrario, la suola degli zappatori, la scuola dei contadini. Già! dei contadini, di quelli che non sanno cosa sia scansare le fatiche. Come puoi evitare ciò che ti fa stare bene? Il lavoro con il corpo, muovendo i muscoli, le braccia le gambe per spostare zolle di paesaggio, per sistemarle in maniera tale da consentirgli di darti un frutto, un prodotto che ti permette di nutrirti e di nutrire le altre persone umane. Come può essere un Perito Agrario terra, terra uno scansafatiche? Lavoro e poi ancora lavoro, siamo stati addestrati a questa scuola del lavoro e da questo luogo siamo andati a fare un po’ di tutto, ti ritrovi un Perito Agrario che fa il Dottore Agronomo, ma anche il Medico o l’Avvocato, o l’insegnante o ancora l’impiegato del Comune, il Professore di Università o che ha uno studio di libero professionista.
Volti fieri quelli di questa sera, volti abituati agli scherni e ai dileggi, che hanno subito il destino del contadino “scarpa grossa e cervello fino” che hanno dovuto dare un senso a quel raccogliere olive o tabacco, mentre il rosso tramonto si spandeva tra i giganti del Mediterraneo, quei nove milioni di olivi che da secoli fanno da ombrello al Paesaggio rurale del Salento leccese.
Scrivo di getto, per esprimere tutta la mia soddisfazione per una “convocazione attraverso la rete”, io senza internet sarei uno che scrive e ripone i suoi fogli nel cassetto, anzi no, siccome sono vanitoso non avrei mai scritto, non ha alcun senso scrivere qualcosa che nessuno leggerà. Adesso che ci penso però l’ho fatto! Ha ragione chi afferma che “mai dire mai” davvero, mai dire mai anche per la scrittura dei miei quintali di lettere che nessuno ha mai letto e che con ogni probabilità nessuno mai leggerà. Come mai dire mai e ti capita che comunque, pur amando la letteratura e la storia, pur filosofeggiando in giovinezza, arrivi all’Agrario di Lecce perché te l’ha indicato l’oggetto del tuo desiderio.
Mi sono perso lo so, ma è per dire che oggi abbiamo deciso di fare una iniziativa pubblica che abbia una copertura mediatica e che possa far giungere la “lieta notizia” della costituenda Associazione ex allievi dell’Istituto Tecnico Agrario “Giovanni Presta” di Lecce a tutte le migliaia di colleghi che sono nel Salento e oltre i confini di questa penisola che si stende a Oriente nel mediterraneo.
L’oleologo Luigi Caricato mi ha dato l’incarico di relazionare su questa sera, davvero è difficile, è complicato scrivere le emozioni, le espressioni dei visi, le inflessioni delle voci, gli sguardi di tanti colleghi, dei tantissimi Periti agrari di stasera. Una cosa però è apparsa evidente a tutti, la gioia e la disponibilità di spendersi per l’Agrario di Lecce, la certezza di cogliere frutti meravigliosi e speciali da porgere ai giovani, quei “benedetti figli” che sono così temerari, incoscienti e meravigliosamente folli da intraprendere un ciclo di studi all’Agrario di Lecce. E’ arrivata la prof.ssa Fiorentina De Masi che ha salutato il suo vicario prof. Luigi Paladini e che ha fatto scattare in piedi noi tutti. Una signora ma anche una dirigente e, a scuola, la sindrome dell’allievo ti ritorna, come allora, che dovevamo alzarci ogni ora all’arrivo del professore e ogni volta che giungeva la visita del preside.
Caro dott. Caricato qui ci vuole lei, con la sua Milano, con il suo narrare l’olio, ci vuole lei che ha fatto l’Agrario di Lecce per farlo divenire ciò che è, ovvero la palestra dell’Ambiente che è come tutti sanno al 99% Paesaggio Rurale. Ci vuole il contributo delle donne e degli uomini che hanno passato i 5 anni più importanti della loro vita, che sono quelli dai 12 anni ai 18 anni, quegli anni che ti manifesti per quello che sei, che sei stato e che sarai per il resto della tua vita. Un periodo che rimane impresso, indelebile nell’esperienza di ognuno, anni con i genitori ma anche con i compagni di classe, con le prime ragazze, i primi baci i primi fremiti e le prime sofferenze e delusioni.
L’Agrario di Lecce, il simbolo di ciò che sono e di ciò che sarò per sempre. Queste parole devono risuonare nella mente di tutti noi per risvegliare quel sentimento, quell’amicizia tra persone che fa della nostra professione il mestiere che ti conduce al successo.
Non è detto che il successo sia quello che è considerato da questa società, ma di sicuro tra queste mura, quelle dell’Agrario, sono maturate idee, passioni, sogni, desideri che poi nel corso degli anni si sono realizzati, ciò che si realizza è un successo e chi lo realizza è una persona di successo.
Poi s’è fatto tardi, c’è chi, per esserci, è venuto con la moglie all’uscita della visita dal cardiologo, chi è partito da Erchie, chi ha lasciato l’Università della Basilicata, siamo venuti all’Agrario di Lecce tutti uniti e disponibili per questa straordinaria avventura. Tutti insieme siamo quelli dell’Agrario di Lecce, quelli che hanno successo e che si stanno spendendo per il territorio e la gioventù!
di Antonio Bruno Dottore Agronomo Master Degree IMD Esperto in Diagnostica Urbana e Territoriale
mercoledì 23 marzo 2011
L’ACQUA E’ UNA RISORSA DA VALORIZZARE A SERVIZIO DEGLI INTERESSI DELLA COMUNITA’
“L’ACQUA E’ UNA RISORSA DA VALORIZZARE A SERVIZIO DEGLI INTERESSI DELLA COMUNITA’. IRRIFRAME E MICROIDROELETTRICO SONO ESEMPI DELLA CULTURA PROATTIVA SULLA RISORSA IDRICA CHE CARATTERIZZA I CONSORZI DI BONIFICA”
Massimo Gargano Presidente dell’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni Sarà nella Sala Conferenze del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” sita sulla Provinciale Ugento - Casarano ad Ugento (Lecce) nel pomeriggio di venerdì 25 marzo alle ore 15 e 30.
“Indicare su base scientifica che l’ammodernamento della rete irrigua del Paese, attraverso interventi strutturali e di innovazione tecnologica, garantirebbe un beneficio economico e sociale quantificabile in 1413 euro ad ettaro, pari ad un risparmio annuo nazionale fra i 10 ed i 17 miliardi di euro, significa indicare la strada per migliorare la competitività economica del territorio, incrementandone conseguentemente anche l’occupazione.”
Lo afferma Massimo Gargano, Presidente dell’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni (A.N.B.I.), a commento dello studio Althesis, presentato oggi a Roma. “L’agricoltura, attraverso i consorzi di bonifica, ha ridotto il fabbisogno idrico a meno del 50% di quanto necessario a livello nazionale; ciò, nonostante l’isolamento culturale nel quale l’hanno confinata luoghi comuni, quali il consumo e non l’uso rurale della risorsa idrica, dimenticando altresì il fondamentale beneficio ambientale apportato dall’irrigazione ed a cui A.N.B.I. si sta impegnando, grazie all’ausilio del mondo accademico, a dare un valore economico. Ora – insiste Gargano - bisogna comunque guardare oltre, perché la prossima sfida è l’incremento delle risorse idriche disponibili, considerato che, ad oggi, si utilizzano solo 8 dei 300 miliardi di metri cubi d’acqua che, annualmente, piovono sul Paese. Per questo, A.N.B.I. insiste nel richiedere un Piano nazionale di invasi medio-piccoli collinari e di pianura, cui abbinare nuove opportunità economiche come la produzione microidroelettrica. E’ un disegno che, unitamente all’impegno per la salvaguardia idrogeologica e l’avvio operativo del progetto Irriframe per l’ottimizzazione della risorsa irrigua, fa dei consorzi di bonifica, un elemento centrale per lo sviluppo del territorio. Non è un caso- conclude il Presidente
A.N.B.I. - che, nella zona cagliaritana di Arborea dove, come nel resto della regione, è stata tolta la competenza irrigua agli enti consortili, la tipica risicoltura locale, in pochi anni, sia praticamente dimezzata e rischi di scomparire entro breve.”
MASSIMO GARGANO
(Presidente A.N.B.I. – Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni)
Massimo Gargano Presidente dell’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni Sarà nella Sala Conferenze del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” sita sulla Provinciale Ugento - Casarano ad Ugento (Lecce) nel pomeriggio di venerdì 25 marzo alle ore 15 e 30.
“Indicare su base scientifica che l’ammodernamento della rete irrigua del Paese, attraverso interventi strutturali e di innovazione tecnologica, garantirebbe un beneficio economico e sociale quantificabile in 1413 euro ad ettaro, pari ad un risparmio annuo nazionale fra i 10 ed i 17 miliardi di euro, significa indicare la strada per migliorare la competitività economica del territorio, incrementandone conseguentemente anche l’occupazione.”
Lo afferma Massimo Gargano, Presidente dell’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni (A.N.B.I.), a commento dello studio Althesis, presentato oggi a Roma. “L’agricoltura, attraverso i consorzi di bonifica, ha ridotto il fabbisogno idrico a meno del 50% di quanto necessario a livello nazionale; ciò, nonostante l’isolamento culturale nel quale l’hanno confinata luoghi comuni, quali il consumo e non l’uso rurale della risorsa idrica, dimenticando altresì il fondamentale beneficio ambientale apportato dall’irrigazione ed a cui A.N.B.I. si sta impegnando, grazie all’ausilio del mondo accademico, a dare un valore economico. Ora – insiste Gargano - bisogna comunque guardare oltre, perché la prossima sfida è l’incremento delle risorse idriche disponibili, considerato che, ad oggi, si utilizzano solo 8 dei 300 miliardi di metri cubi d’acqua che, annualmente, piovono sul Paese. Per questo, A.N.B.I. insiste nel richiedere un Piano nazionale di invasi medio-piccoli collinari e di pianura, cui abbinare nuove opportunità economiche come la produzione microidroelettrica. E’ un disegno che, unitamente all’impegno per la salvaguardia idrogeologica e l’avvio operativo del progetto Irriframe per l’ottimizzazione della risorsa irrigua, fa dei consorzi di bonifica, un elemento centrale per lo sviluppo del territorio. Non è un caso- conclude il Presidente
A.N.B.I. - che, nella zona cagliaritana di Arborea dove, come nel resto della regione, è stata tolta la competenza irrigua agli enti consortili, la tipica risicoltura locale, in pochi anni, sia praticamente dimezzata e rischi di scomparire entro breve.”
MASSIMO GARGANO
(Presidente A.N.B.I. – Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni)
martedì 22 marzo 2011
Venerdì 25 marzo alle ore 15 e 30 Massimo Gargano Presidente dell’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni a Ugento
Venerdì 25 marzo alle ore 15 e 30 Massimo Gargano Presidente dell’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni a Ugento
Sarà la Sala Conferenze del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” di Ugento (Lecce) ad ospitare Massimo Gargano Presidente dell’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni; i lavori saranno aperti, nel pomeriggio di venerdì 25 marzo alle ore 15 e 30, dalla relazione del Prof. Franco Nigro del dipartimento di biologia e chimica agro-forestale ed ambientale dell'Università di Bari che illustrerà il Progetto di sperimentazione che sarà messo in atto in collaborazione con il Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” e l'Area Politiche per lo Sviluppo Rurale dell'Assessorato Risorse Agroalimentare Regione Puglia che riguarderà la prevenzione e la protezione integrata dell’olivo dalle specie di Colletotrichum, agenti della Lebbra dell'olivo antracnosi (C. gloeosporioides e C. acutatum). Sempre con lo stesso progetto collateralmente, saranno effettuati rilievi anche sull’incidenza di Spilocea oleagina, agente dell’occhio di pavone, e di Pseudocercospora cladosporioides, agente della piombatura. Un formulato commerciale, prossimo alla registrazione per l’impiego sull’olivo, sarà saggiato come alternativa ai composti rameici, al fine di ottimizzare il controllo della malattia e di fornire soluzioni concrete alla progressiva riduzione dell’impiego del rame in agricoltura. Contemporaneamente, saranno valutati gli effetti di differenti gestioni del suolo e di sistemi di potatura sullo stato idrico e nutrizionale delle piante, sull’incidenza dei citati patogeni e della interazione con i trattamenti fitosanitari e le caratteristiche pedoclimatiche degli oliveti in studio, al fine di individuare strategie integrate di controllo della malattia fungina per il distretto olivicolo salentino. I lavori saranno conclusi da Massimo Gargano Presidente dell’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni. L'incontro con il Presidente dell'ANBI è un atteso momento di confronto sulle modalità operative per meglio rispondere alle esigenze di una società in veloce evoluzione. Per questo motivo fra i temi centrali, sarà posta la questione energetica, cui il Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” di Ugento (Lecce) vuole sempre più concorrere, grazie all’applicazione di soluzioni innovative. Il Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” di Ugento (Lecce) può essere una “banca dell’energia pulita” in sintonia con le aspirazioni migliori di un territorio, che fa delle proprie peculiarità paesaggistica, il fattore competitivo vincente. A Ugento del Salento leccese, ancora una volta, questo mondo si confronterà su esperienze applicate, che fanno della concretezza a servizio del territorio, la caratteristica della moderna Bonifica.
Sarà la Sala Conferenze del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” di Ugento (Lecce) ad ospitare Massimo Gargano Presidente dell’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni; i lavori saranno aperti, nel pomeriggio di venerdì 25 marzo alle ore 15 e 30, dalla relazione del Prof. Franco Nigro del dipartimento di biologia e chimica agro-forestale ed ambientale dell'Università di Bari che illustrerà il Progetto di sperimentazione che sarà messo in atto in collaborazione con il Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” e l'Area Politiche per lo Sviluppo Rurale dell'Assessorato Risorse Agroalimentare Regione Puglia che riguarderà la prevenzione e la protezione integrata dell’olivo dalle specie di Colletotrichum, agenti della Lebbra dell'olivo antracnosi (C. gloeosporioides e C. acutatum). Sempre con lo stesso progetto collateralmente, saranno effettuati rilievi anche sull’incidenza di Spilocea oleagina, agente dell’occhio di pavone, e di Pseudocercospora cladosporioides, agente della piombatura. Un formulato commerciale, prossimo alla registrazione per l’impiego sull’olivo, sarà saggiato come alternativa ai composti rameici, al fine di ottimizzare il controllo della malattia e di fornire soluzioni concrete alla progressiva riduzione dell’impiego del rame in agricoltura. Contemporaneamente, saranno valutati gli effetti di differenti gestioni del suolo e di sistemi di potatura sullo stato idrico e nutrizionale delle piante, sull’incidenza dei citati patogeni e della interazione con i trattamenti fitosanitari e le caratteristiche pedoclimatiche degli oliveti in studio, al fine di individuare strategie integrate di controllo della malattia fungina per il distretto olivicolo salentino. I lavori saranno conclusi da Massimo Gargano Presidente dell’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni. L'incontro con il Presidente dell'ANBI è un atteso momento di confronto sulle modalità operative per meglio rispondere alle esigenze di una società in veloce evoluzione. Per questo motivo fra i temi centrali, sarà posta la questione energetica, cui il Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” di Ugento (Lecce) vuole sempre più concorrere, grazie all’applicazione di soluzioni innovative. Il Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” di Ugento (Lecce) può essere una “banca dell’energia pulita” in sintonia con le aspirazioni migliori di un territorio, che fa delle proprie peculiarità paesaggistica, il fattore competitivo vincente. A Ugento del Salento leccese, ancora una volta, questo mondo si confronterà su esperienze applicate, che fanno della concretezza a servizio del territorio, la caratteristica della moderna Bonifica.
lunedì 21 marzo 2011
Operazione Arcobaleno
Operazione Arcobaleno
Una iniziativa del Centro Internazionale di Cooperazione Culturale
( C.I.C.C. )
La tenuta a Marsiglia nel Marzo 2012 del VI° Foro Internazionale dell’Acqua e del suo Forum Alternativo ( FAME ) offre al CICC l’opportunità di portare il suo contributo alla soluzione di alcuni dei problemi posti dall’Acqua nella società contemporanea.
Grazie alla sua rete internazionale di esperti e specialisti , il C.I.C.C. ha deciso di impegnarsi nell’operazione “ Arcobaleno “ : un vero e proprio ponte tra le esperienze e le riflessioni di tre Regioni del Sud dell’Europa : la Regione Autonoma dell’Andalusia ( Spagna ) , la Regione Provenza , Alpi , Costa Azzurra ( Francia ) e la Regione Puglia ( Italia ).
Si tratterà di presentare le iniziative e le ricerche tese a favorire una migliore gestione dell’Acqua e una efficace protezione degli ecosistemi che vengono portate avanti in ognuna delle tre Regioni , attraverso la realizzazione di altrettanti documentari volti a approfondire il ruolo dell’Acqua per la conservazione del territorio .
Ad oggi i tre documentari sono centrati sulle seguenti problematiche :
-per l’Andalusia sulle ricerche volte a conservare la biodiversità in una zona fortemente a rischio , quella del Parco Naturale della Donana ( delta del Guadalquivir ) , a causa di un processo di forte antropizzazione dovuto all’aumento incontrollato del turismo di massa ;
-per la Provenza sulla necessità di recuperare per altri usi ( soprattutto agricoli ) i miliardi di metri cubi di acqua sversati nello stagno salmastro di Berre ( delta del Rodano ) dalle centrali elettriche ed evitare di alterare in questo modo l’ecosistema di questo grande specchio d’acqua prima ch’esso sia irrimediabilmente compromesso ;
-per la Puglia sulla riutilizzazione delle acque reflue attraverso processi di depurazione naturali , quali la fitodepurazione , e la realizzazione di vaste zone umide attorno alle aree delle vecchie cave abbandonate o di altre depressioni naturali , alfine di ristabilire un micro-clima in grado di mitigare gli effetti della desertificazione .
L’obiettivo del CICC è anche quello di favorire , attraverso questa serie di documentari , lo scambio di informazioni e di buone pratiche tra i responsabili delle tre regioni al fine di identificare e porre in atto delle azioni comuni in vista dei due prossimi importanti eventi : Il Forum Mondiale dell’Acqua e il suo Forum Alternativo.
Henri Dumolié
domenica 20 marzo 2011
Il 21 marzo 2011 l’equinozio di primavera nel Salento leccese
Il 21 marzo 2011 l’equinozio di primavera nel Salento leccese
In astronomia, si definiscono equinozi i due istanti nel corso dell'anno in cui il Sole si trova perpendicolare all'equatore e la separazione tra zona illuminata e zona in ombra della Terra passa per i poli. Per il Cristianesimo, la data dell’equinozio di Primavera di 2000 anni fa, corrisponde al giorno e alla festività liturgica del concepimento di Gesù. Sempre per i cristiani, all'equinozio di primavera è legato anche il calcolo per il giorno di Pasqua che cade la prima domenica dopo la prima luna piena, contemporanea o successiva, all'equinozio di marzo. Oggi 21 marzo 2011 c’è l’equinozio di primavera. In questa nota alcuni effetti di tale ricorrenza.
Risveglio
Ogni mio risveglio in questo tempo è fatto di curiosità di vedere oltre la finestra, se c’è stata qualche novità, un fiore, una tenera erba della primavera. Poi il cammino che ogni giorno mi separa dal mio studio, quelle strade costeggiate dai giganti del mediterraneo, quelle panchine che ogni anno si inerbiscono per decorare di fiori e di spighe l’arrivo della primavera.
La primavera dipinta di giallo
I fiori, queste bellissime produzioni delle piante, come quelli del genere Acacia. Per capire cos’è il genere Acacia ricordo che ne fa parte la comunissima mimosa, che nel Salento leccese è presentissima in giardini e campagne. La mimosa che accompagna quell’8 marzo in cui celebriamo l’altro genere, quello femminile, quello che ha dato inizio al mondo. Le donne hanno creato il Mondo. I fiori di mimosa sono una gioia per gli occhi perché è una delle primissime piante a fiorire in primavera. Ci sono sempre i frettolosi anche nelle piante tanto che alcune specie del genere acacia fioriscono anche in pieno inverno e si vestono di una fantastica pioggia di piccoli capolini gialli, tutti rigorosamente riuniti in pannocchie. Un giallo vivo che mette allegria, che illuminato dalla luce del Salento leccese spruzza la mia giornata di schizzi di felicità, perché il giallo è il colore caro a mia moglie, erano gialle le rose del suo bouquet e gialli i fiori dell’addobbo floreale del nostro matrimonio.
Una festa sui prati
Il bello della primavera è poter finalmente festeggiare all’aperto, dopo un lungo inverno di ritrovi in casa davanti ai camini accesi. Come non gustare una calda giornata di sole in cui fiori e piante dai mille colori e profumi fanno da sfondo al nostro ritrovato contatto con la realtà che è il paesaggio che ci circonda?
Quest’anno ho voglia di buffet all’aperto, come quello della pasquetta che è bella solo se svolta in un contesto bucolico. Io la mia festa tra i prati, la prossima pasquetta 2011, me la immagino in accoglienti aree relax fatte da cuscini, comode poltroncine, divanetti all’ombra di grandi alberi. Bella vero? Va bene, ho capito, appena organizzo ti faccio sapere, così puoi venire anche tu.
L’acquazzone
Ma la primavera è fatta di sorprese, di stupore, di meraviglia, come quella di un bell’acquazzone improvviso mentre siamo a spasso nelle campagne che circondano uno dei nostri cento paesi del Salento leccese. In bicicletta si torna senza potersi proteggere dalla pioggia a meno che non ci porta appresso un bell’ombrello. Ma attenzione che l’ombrello abbia tutti i colori dell’arcobaleno che il mio amico Henri Dumoliè chiama “arc en ciel”.
E quando all’improvviso arriva l’acquazzone, scappiamo in bicicletta con tutta la famiglia sotto l’ombrello dai mille colori potremo ammirare questo bellissimo arco nel cielo che è l’arcobaleno, con tutti i suoi colori, potremo inspirare e sentire il magnifico odore di erba bagnata e accompagnati dai sorrisi e dalle grida delle donne che fuggono il pericolo di bagnarsi completamente arriveremo finalmente a un riparo.
La calendula e la margherita
Riconquistare il ritmo delle stagioni, i colori e i profumi della terra del Salento leccese dei cento comuni, di questa terra ricoperta dagli ulivi, da una foresta immensa fatta di alberi sotto le cui chiome c’è la terra rossa e quella nera della campagna salentina.
In questo luogo e in questo tempo fiorisce la calendula, che bella vero? I fiori sono di un colore che varia dal giallo all’arancio, raccolti in gruppi di circa 3 – 5 centimetri. I prati pieni di calendule del Salento leccese, in questa bella primavera. Ma pieni anche di margherite, che continuano a fiorire imperterrite ogni anno, con quel bel giallo tanto caro a mia moglie.
La primavera te lu masciu (di Maggio)
A Sannicola del Salento leccese si è rispolverata una festa che si teneva in ogni luogo di questa terra immersa nel mediterraneo verso oriente. Tutto il Salento in una grande festa di primavera. La festa di primavera è il rito propiziatorio per invocare fertilità e prosperità. Tutto questo insieme a romantiche promesse d'amore. Si dico a te, si proprio a te! Tu come per la maggior parte dei casi delle persone che conosco, non è vero che hai dichiarato il tuo amore in primavera? Se si, come mai? Come mai tutti gli amori arrivano con la primavera? Ci deve essere un motivo! A Sannicola ragazze e ragazzi in abiti d'epoca del '600 su carretti trainati da cavalli splendidamente addobbati con fiori e frutta di stagione, si danno appuntamento nella piazza del paese dove si scambiamo omaggi floreali, primizie e parole d'amore eterno.
Tutti a San Mauro
Dopo il rito dello scambio, si forma un corteo che insieme agli sbandieratori, artisti di strada e musicanti vanno alla serra di San Mauro. E’ un altipiano dove sorge una piccola abbazia basiliana intorno alla quale un tempo, il giorno della festa di San Mauro, i monaci davano vita ad una fiera. Da quell’altipiano è possibile gustare un panorama che gradualmente affonda dalla campagna al mare Ionio.
Le tavole di San Giuseppe
Ogni anno nel Salento si ripete un antichissimo rito in onore di San Giuseppe sia a Giurdignano, che a Minervino di Lecce, come ad Uggiano La Chiesa e la piccola frazione di Casamassella. In questi paesi del Salento leccese le porte di molte case si spalancano per accogliere migliaia di visitatori e fedeli.
I visitatori arrivano per ammirare le tavole di San Giuseppe, veri capolavori di devozione. Un rito in cui s’intrecciano sacro e profano, e che coincide con l’equinozio di primavera e gli antichi riti di purificazione agraria, che chiudevano l’inverno.
La preparazione dei cibi per le tavole di San Giuseppe avviene una settimana prima così ad esempio il sabato s’impasta la farina per fare i “vermiceddhi” (un tipo di pasta corta), il lunedì si mettono a bagno i lampascioni e lo stoccafisso, il martedì i ceci, il giovedì si puliscono rape, cavoli e cavolfiori, si cucinano i ceci e si passano i fritti nel miele.
Il venerdì si cucinano le verdure, lo stoccafisso, la pasta con il miele, il pesce e si friggono le pittole.
A primavera tutto si rinnova ed è per questo che le tavole si San Giuseppe fanno rifiorire ogni cosa come la solidarietà con chi non ha nulla da mangiare e il rinnovare tutti i rapporti con le persone, anche quelli con parenti e vicini con cui nell’autunno ed inverno si erano avuti screzi, in Primavera tutto passa, anche le arrabbiature! Le persone che si mettono a tavola possono variare da 3 a 21.
Il 21 marzo 2011 in occasione dell’equinozio di Primavera
Mi sveglio per gustare questo giorno, il tempo si rincorre e torna a far sbocciare i fiori e a ricoprire questo luogo in cui vivo di vegetazione verde, illuminata da una luce unica al mondo. Ogni anno arriva la primavera anche per te amica mia, anche per te amico mio, un mondo che è la fuori non aspetta che di essere contemplato per darti colori, odori ed emozioni che renderanno questo un giorno unico, come unico è ogni giorno, ogni ora, ogni istante della nostra vita. La natura si risveglia per dare i suoi frutti tra qualche mese, gli stessi frutti della terra che ci consentiranno di avere una vita bella e appagante, viva e piena di sorprese, perché per me, come per te, ogni giorno è un’avventura.
In astronomia, si definiscono equinozi i due istanti nel corso dell'anno in cui il Sole si trova perpendicolare all'equatore e la separazione tra zona illuminata e zona in ombra della Terra passa per i poli. Per il Cristianesimo, la data dell’equinozio di Primavera di 2000 anni fa, corrisponde al giorno e alla festività liturgica del concepimento di Gesù. Sempre per i cristiani, all'equinozio di primavera è legato anche il calcolo per il giorno di Pasqua che cade la prima domenica dopo la prima luna piena, contemporanea o successiva, all'equinozio di marzo. Oggi 21 marzo 2011 c’è l’equinozio di primavera. In questa nota alcuni effetti di tale ricorrenza.
Risveglio
Ogni mio risveglio in questo tempo è fatto di curiosità di vedere oltre la finestra, se c’è stata qualche novità, un fiore, una tenera erba della primavera. Poi il cammino che ogni giorno mi separa dal mio studio, quelle strade costeggiate dai giganti del mediterraneo, quelle panchine che ogni anno si inerbiscono per decorare di fiori e di spighe l’arrivo della primavera.
La primavera dipinta di giallo
I fiori, queste bellissime produzioni delle piante, come quelli del genere Acacia. Per capire cos’è il genere Acacia ricordo che ne fa parte la comunissima mimosa, che nel Salento leccese è presentissima in giardini e campagne. La mimosa che accompagna quell’8 marzo in cui celebriamo l’altro genere, quello femminile, quello che ha dato inizio al mondo. Le donne hanno creato il Mondo. I fiori di mimosa sono una gioia per gli occhi perché è una delle primissime piante a fiorire in primavera. Ci sono sempre i frettolosi anche nelle piante tanto che alcune specie del genere acacia fioriscono anche in pieno inverno e si vestono di una fantastica pioggia di piccoli capolini gialli, tutti rigorosamente riuniti in pannocchie. Un giallo vivo che mette allegria, che illuminato dalla luce del Salento leccese spruzza la mia giornata di schizzi di felicità, perché il giallo è il colore caro a mia moglie, erano gialle le rose del suo bouquet e gialli i fiori dell’addobbo floreale del nostro matrimonio.
Una festa sui prati
Il bello della primavera è poter finalmente festeggiare all’aperto, dopo un lungo inverno di ritrovi in casa davanti ai camini accesi. Come non gustare una calda giornata di sole in cui fiori e piante dai mille colori e profumi fanno da sfondo al nostro ritrovato contatto con la realtà che è il paesaggio che ci circonda?
Quest’anno ho voglia di buffet all’aperto, come quello della pasquetta che è bella solo se svolta in un contesto bucolico. Io la mia festa tra i prati, la prossima pasquetta 2011, me la immagino in accoglienti aree relax fatte da cuscini, comode poltroncine, divanetti all’ombra di grandi alberi. Bella vero? Va bene, ho capito, appena organizzo ti faccio sapere, così puoi venire anche tu.
L’acquazzone
Ma la primavera è fatta di sorprese, di stupore, di meraviglia, come quella di un bell’acquazzone improvviso mentre siamo a spasso nelle campagne che circondano uno dei nostri cento paesi del Salento leccese. In bicicletta si torna senza potersi proteggere dalla pioggia a meno che non ci porta appresso un bell’ombrello. Ma attenzione che l’ombrello abbia tutti i colori dell’arcobaleno che il mio amico Henri Dumoliè chiama “arc en ciel”.
E quando all’improvviso arriva l’acquazzone, scappiamo in bicicletta con tutta la famiglia sotto l’ombrello dai mille colori potremo ammirare questo bellissimo arco nel cielo che è l’arcobaleno, con tutti i suoi colori, potremo inspirare e sentire il magnifico odore di erba bagnata e accompagnati dai sorrisi e dalle grida delle donne che fuggono il pericolo di bagnarsi completamente arriveremo finalmente a un riparo.
La calendula e la margherita
Riconquistare il ritmo delle stagioni, i colori e i profumi della terra del Salento leccese dei cento comuni, di questa terra ricoperta dagli ulivi, da una foresta immensa fatta di alberi sotto le cui chiome c’è la terra rossa e quella nera della campagna salentina.
In questo luogo e in questo tempo fiorisce la calendula, che bella vero? I fiori sono di un colore che varia dal giallo all’arancio, raccolti in gruppi di circa 3 – 5 centimetri. I prati pieni di calendule del Salento leccese, in questa bella primavera. Ma pieni anche di margherite, che continuano a fiorire imperterrite ogni anno, con quel bel giallo tanto caro a mia moglie.
La primavera te lu masciu (di Maggio)
A Sannicola del Salento leccese si è rispolverata una festa che si teneva in ogni luogo di questa terra immersa nel mediterraneo verso oriente. Tutto il Salento in una grande festa di primavera. La festa di primavera è il rito propiziatorio per invocare fertilità e prosperità. Tutto questo insieme a romantiche promesse d'amore. Si dico a te, si proprio a te! Tu come per la maggior parte dei casi delle persone che conosco, non è vero che hai dichiarato il tuo amore in primavera? Se si, come mai? Come mai tutti gli amori arrivano con la primavera? Ci deve essere un motivo! A Sannicola ragazze e ragazzi in abiti d'epoca del '600 su carretti trainati da cavalli splendidamente addobbati con fiori e frutta di stagione, si danno appuntamento nella piazza del paese dove si scambiamo omaggi floreali, primizie e parole d'amore eterno.
Tutti a San Mauro
Dopo il rito dello scambio, si forma un corteo che insieme agli sbandieratori, artisti di strada e musicanti vanno alla serra di San Mauro. E’ un altipiano dove sorge una piccola abbazia basiliana intorno alla quale un tempo, il giorno della festa di San Mauro, i monaci davano vita ad una fiera. Da quell’altipiano è possibile gustare un panorama che gradualmente affonda dalla campagna al mare Ionio.
Le tavole di San Giuseppe
Ogni anno nel Salento si ripete un antichissimo rito in onore di San Giuseppe sia a Giurdignano, che a Minervino di Lecce, come ad Uggiano La Chiesa e la piccola frazione di Casamassella. In questi paesi del Salento leccese le porte di molte case si spalancano per accogliere migliaia di visitatori e fedeli.
I visitatori arrivano per ammirare le tavole di San Giuseppe, veri capolavori di devozione. Un rito in cui s’intrecciano sacro e profano, e che coincide con l’equinozio di primavera e gli antichi riti di purificazione agraria, che chiudevano l’inverno.
La preparazione dei cibi per le tavole di San Giuseppe avviene una settimana prima così ad esempio il sabato s’impasta la farina per fare i “vermiceddhi” (un tipo di pasta corta), il lunedì si mettono a bagno i lampascioni e lo stoccafisso, il martedì i ceci, il giovedì si puliscono rape, cavoli e cavolfiori, si cucinano i ceci e si passano i fritti nel miele.
Il venerdì si cucinano le verdure, lo stoccafisso, la pasta con il miele, il pesce e si friggono le pittole.
A primavera tutto si rinnova ed è per questo che le tavole si San Giuseppe fanno rifiorire ogni cosa come la solidarietà con chi non ha nulla da mangiare e il rinnovare tutti i rapporti con le persone, anche quelli con parenti e vicini con cui nell’autunno ed inverno si erano avuti screzi, in Primavera tutto passa, anche le arrabbiature! Le persone che si mettono a tavola possono variare da 3 a 21.
Il 21 marzo 2011 in occasione dell’equinozio di Primavera
Mi sveglio per gustare questo giorno, il tempo si rincorre e torna a far sbocciare i fiori e a ricoprire questo luogo in cui vivo di vegetazione verde, illuminata da una luce unica al mondo. Ogni anno arriva la primavera anche per te amica mia, anche per te amico mio, un mondo che è la fuori non aspetta che di essere contemplato per darti colori, odori ed emozioni che renderanno questo un giorno unico, come unico è ogni giorno, ogni ora, ogni istante della nostra vita. La natura si risveglia per dare i suoi frutti tra qualche mese, gli stessi frutti della terra che ci consentiranno di avere una vita bella e appagante, viva e piena di sorprese, perché per me, come per te, ogni giorno è un’avventura.
L'acqua deve essere un diritto, un bene comune distribuito alla collettività con efficienza ed ad un prezzo sostenibile.
L'acqua deve essere un diritto, un bene comune distribuito alla collettività con efficienza ed ad un prezzo sostenibile.
E'stato interamente dedicato all’acqua e alle sue probleatiche più urgenti, il convegno che si è svolto ad Avellino il 18 e 19 marzo 2011 con il titolo “Ambiente e risorse naturali, un patrimonio da tutelare e valorizzare”. Si sono avuti interventi riguardo le politiche sull’ambiente e sul ruolo della stampa e della comunicazione per la salvaguardia del territorio.
Organizzato dal “Il Ponte”, settimanale della Diocesi di Avellino, in collaborazione con Greenaccord, la diocesi di Avellino, la Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici) e il Centro Internazionale di Cooperazione culturale (CICC), il convegno che ha avuto il patrocinio del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare si è aperto Venerdì 18 nel Palazzo vescovile di Avellino.
Nel prima giornata del Convegno si sono avuti gli interventi di Francesco Zanotti (presidente Fisc), Alex Zanotelli (padre Comboniano, già direttore di Nigrizia, che da anni si batte per evitare la privatizzazione dell’acqua), Alfonso Cauteruccio (presidente Greenaccord) e Christian Pellicani (direttore della rivista francese Natural&mente e referente del Forum mondiale sull’acqua). Giuseppe Rogolino, giornalista responsabile della comunicazione e promozione di RaiNews, ha presentato alcune sequenze dei filmati prodotti dal canale sul tema dell’acqua (“Dalla parte dell’acqua”). Ha presieduto l’intera giornata di lavori il direttore de "Il Ponte" Mario Barbarisi consigliere della Fisc.
La seconda giornata del convegno, si è svolta invece nella Sala del circolo della stampa del palazzo della Prefettura di Avellino, ed è stata aperta sabato 19 da un saluto delle Autorità locali e presieduta da Giulio Cesare Giordano, presidente del CICC (Centro internazionale di cooperazione culturale).
Sono interventi Henri Dumoliè (già direttore generale della televisione regionale di Marsiglia e vice Presidente esecutivo del CICC responsabile del progetto comunicazione internazionale sui problemi dell’acqua del CICC), Antonio Bruno (Direttore dell'Area Agraria del Consorzio di Bonifica "Ugento e Li Foggi") e Angelo Sferrazza, capo ufficio stampa di Greenaccord, che ha chiuso il convegno con un intervento che ha illustrato la crisi dell’acqua come problema internazionale di natura strategico-militare. Tutto l'evento è stato trasmesso in diretta streaming sul sito www.zetatv.itwww.zetatv.itwww.zetatv.itwww.zetatv.it
Alla conclusione dei lavori gli organizzatori ed i relatori hanno firmato un comunicato finale elaborato con i rappresentanti degli enti e delle istituzioni partecipanti per porre le basi di un cammino condiviso verso gli obiettivi comuni.
Il CICC (Centro Internazionale di Cooperazione Culturale) partendo dal forum di Avellino, in vista del “Forum alternativo mondiale sull’acqua” (Fame) che si terrà a Marsiglia nel marzo 2012 parallelamente al forum ufficiale, ritiene fondamentale promuovere una intesa tra tutti gli aventi interesse che stimoli la riflessione sui punti fondamentali che hanno riunito ad Avellino tutti i relatori per affrontare da diversi punti di vista l’importanza dell’acqua ed i problemi connessi alla sua privatizzazione.
Tale accordo non può prescindere da due assunti fondamentali, il primo dei quali è l’avvenuto riconoscimento da parte dell’Onu, nel luglio 2010, dell’accesso all’acqua potabile per tutti come diritto umano fondamentale - dopo l’istituzione nel 1992 sempre da parte dell’Onu della Giornata mondiale dell’acqua che si celebra il 22 marzo di ogni anno - e il secondo, il fatto che l’apporto positivo di quel fenomeno noto come globalizzazione risiede nella convinzione che tutto il mondo oggi deve cooperare perché la comunicazione sia corretta, scientifica e non censurata, soprattutto sui temi che riguardano la sopravvivenza dell’uomo e del pianeta, nel pieno rispetto di tutte le diversità sociali, religiose, ideologiche, politiche e territoriali che ogni popolo possiede e conserva come valore fondamentale.
A partire da questa intesa, il CICC (Centro Internazionale di Cooperazione Culturale) prende l'impegno di avviare, a livello locale, nazionale ed internazionale, una “riflessione partecipata” per costruire un percorso che coinvolga tutte le realtà interessate verso un obiettivo condiviso: l'acqua deve essere un diritto, un bene comune distribuito alla collettività con efficienza ed ad un prezzo sostenibile.
Le conclusioni di questo lavoro di riflessione saranno portate dal CICC (Centro Internazionale di Cooperazione Culturale) al prossimo Forum Mondiale dell'acqua del marzo 2012.
E'stato interamente dedicato all’acqua e alle sue probleatiche più urgenti, il convegno che si è svolto ad Avellino il 18 e 19 marzo 2011 con il titolo “Ambiente e risorse naturali, un patrimonio da tutelare e valorizzare”. Si sono avuti interventi riguardo le politiche sull’ambiente e sul ruolo della stampa e della comunicazione per la salvaguardia del territorio.
Organizzato dal “Il Ponte”, settimanale della Diocesi di Avellino, in collaborazione con Greenaccord, la diocesi di Avellino, la Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici) e il Centro Internazionale di Cooperazione culturale (CICC), il convegno che ha avuto il patrocinio del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare si è aperto Venerdì 18 nel Palazzo vescovile di Avellino.
Nel prima giornata del Convegno si sono avuti gli interventi di Francesco Zanotti (presidente Fisc), Alex Zanotelli (padre Comboniano, già direttore di Nigrizia, che da anni si batte per evitare la privatizzazione dell’acqua), Alfonso Cauteruccio (presidente Greenaccord) e Christian Pellicani (direttore della rivista francese Natural&mente e referente del Forum mondiale sull’acqua). Giuseppe Rogolino, giornalista responsabile della comunicazione e promozione di RaiNews, ha presentato alcune sequenze dei filmati prodotti dal canale sul tema dell’acqua (“Dalla parte dell’acqua”). Ha presieduto l’intera giornata di lavori il direttore de "Il Ponte" Mario Barbarisi consigliere della Fisc.
La seconda giornata del convegno, si è svolta invece nella Sala del circolo della stampa del palazzo della Prefettura di Avellino, ed è stata aperta sabato 19 da un saluto delle Autorità locali e presieduta da Giulio Cesare Giordano, presidente del CICC (Centro internazionale di cooperazione culturale).
Sono interventi Henri Dumoliè (già direttore generale della televisione regionale di Marsiglia e vice Presidente esecutivo del CICC responsabile del progetto comunicazione internazionale sui problemi dell’acqua del CICC), Antonio Bruno (Direttore dell'Area Agraria del Consorzio di Bonifica "Ugento e Li Foggi") e Angelo Sferrazza, capo ufficio stampa di Greenaccord, che ha chiuso il convegno con un intervento che ha illustrato la crisi dell’acqua come problema internazionale di natura strategico-militare. Tutto l'evento è stato trasmesso in diretta streaming sul sito www.zetatv.itwww.zetatv.itwww.zetatv.itwww.zetatv.it
Alla conclusione dei lavori gli organizzatori ed i relatori hanno firmato un comunicato finale elaborato con i rappresentanti degli enti e delle istituzioni partecipanti per porre le basi di un cammino condiviso verso gli obiettivi comuni.
Il CICC (Centro Internazionale di Cooperazione Culturale) partendo dal forum di Avellino, in vista del “Forum alternativo mondiale sull’acqua” (Fame) che si terrà a Marsiglia nel marzo 2012 parallelamente al forum ufficiale, ritiene fondamentale promuovere una intesa tra tutti gli aventi interesse che stimoli la riflessione sui punti fondamentali che hanno riunito ad Avellino tutti i relatori per affrontare da diversi punti di vista l’importanza dell’acqua ed i problemi connessi alla sua privatizzazione.
Tale accordo non può prescindere da due assunti fondamentali, il primo dei quali è l’avvenuto riconoscimento da parte dell’Onu, nel luglio 2010, dell’accesso all’acqua potabile per tutti come diritto umano fondamentale - dopo l’istituzione nel 1992 sempre da parte dell’Onu della Giornata mondiale dell’acqua che si celebra il 22 marzo di ogni anno - e il secondo, il fatto che l’apporto positivo di quel fenomeno noto come globalizzazione risiede nella convinzione che tutto il mondo oggi deve cooperare perché la comunicazione sia corretta, scientifica e non censurata, soprattutto sui temi che riguardano la sopravvivenza dell’uomo e del pianeta, nel pieno rispetto di tutte le diversità sociali, religiose, ideologiche, politiche e territoriali che ogni popolo possiede e conserva come valore fondamentale.
A partire da questa intesa, il CICC (Centro Internazionale di Cooperazione Culturale) prende l'impegno di avviare, a livello locale, nazionale ed internazionale, una “riflessione partecipata” per costruire un percorso che coinvolga tutte le realtà interessate verso un obiettivo condiviso: l'acqua deve essere un diritto, un bene comune distribuito alla collettività con efficienza ed ad un prezzo sostenibile.
Le conclusioni di questo lavoro di riflessione saranno portate dal CICC (Centro Internazionale di Cooperazione Culturale) al prossimo Forum Mondiale dell'acqua del marzo 2012.
giovedì 17 marzo 2011
I Funghi parassiti dell’olivo
I Funghi parassiti dell’olivo
I funghi che danneggiano l’olivo sono quelli che causano le malattie della lebbra (Colletotrichum gleosporioidese e C. acutatum), piombatura (Mycocentrospora cladosporoides), fumaggine (Capnodium, Alternaria, Cladosporium ecc.)e occhio di pavone(Spilocaea oleagina). Nel Salento leccese si sono susseguite annate umide e questa circostanza ha favorito lo sviluppo e la diffusione di questi funghi parassiti dell’olivo.
La calamità lebbra dell’olivo
Nel 2010 l’aumento delle temperature e delle piogge autunnali, ma anche gli le piogge alluvionali sempre più frequenti, hanno consentito la diffusione della lebbra dell’olivo nel Salento leccese e in quello brindisino. Le conseguenze delle infezioni del fungo sulle drupe sono state il raggrinzimento del pericarpo con una conseguente caduta dei frutticini (cascola precoce).
Il danno all’olio d’oliva
Ma il danno maggiore l’hanno subito gli oli ottenuti dalla lavorazione di partite infette che hanno raggiunto un’elevata acidità, anche fino 12 – 15 gradi di acidità espressa in acido oleico. La variabilità di acidità riscontrata è perché è stata diversa la percentuale di olive infettate dalla lebbra.
La ricerca del Prof. Franco Nigro
Franco Nigro, ricercatore del Dipartimento di Protezione delle Piante e Microbiologia Applicata – Università degli studi di Bari – ha realizzato uno studio sulla malattia che è causata da due differenti patogeni (Colletotrichum gleosporioidese e C. acutatum), e che si è diffusa negli ultimi anni nel Salento con attacchi fino all’80% delle piante e completa distruzione del raccolto. L’olio che si ricava da partite di olive colpite è caratterizzato da elevata acidità e numerosi difetti organolettici.
Le cause della diffusione della lebbra
La diffusione è stata causata sia come ho già scritto per le condizioni climatiche di questi ultimi anni, che per la riduzione degli interventi di “cura” degli uliveti.
La lotta contro la lebbra dell’olivo
Attualmente le misure di lotta sono limitate all’eliminazione con potature dei rametti infetti, delle olive mummificate, che costituiscono una pericolosa fonte di inoculo, l’arieggiamento della chioma per evitare ristagni di umidità e favorire la ventilazione. Infine è consigliabile non procrastinare la raccolta, al fine di ridurre l’incidenza di malattia, che cresce con l’avanzare della maturazione delle drupe. I trattamenti con formulati rameici sono al momento gli unici autorizzati sulla coltura dell’olivo.
I danni economici indiretti
Comunque senza arrivare ai danni estremi che ha inflitto la lebbra in questi anni lo sviluppo e la diffusione dei funghi che parassitizzano l’olivo provoca un danno economico indiretto che può essere anche significativo. Mi riferisco specificamente al danno causato dalla caduta delle foglie di olivo attaccate dai funghi che ha la conseguenza di una riduzione dell’attività fotosintetica e metabolica delle piante che di fatto determina una diminuzione anche significativa della produzione di olive.
La miglior difesa è la prevenzione
In questi giorni i miei collaboratori stanno predisponendo la potatura dell’oliveto della sede del Consorzio di Bonifica consapevoli come siamo che la miglior difesa, nei confronti di questi agenti patogeni, è sempre la prevenzione che consiste nel garantire una buona areazione della chioma e uno sviluppo contenuto di succhioni.
Il rame per combattere chimicamente i funghi parassiti dell’olivo
I prodotti contro i funghi che sono autorizzati per l’olivo sono tutti a base di rame. La scoperta dell’azione fungicida del rame è stata fatta per caso nel 1878, la collega Sara Nutricato riferisce che le prime osservazioni sulla sua attività furono fatte sui filari di vigneto che perimetravano l’appezzamento. All’epoca si usava distribuire sui filari marginali dei vigneti una miscela di calce e solfato di rame, tale mistura serviva come deterrente contro i furti. Gli operatori di allora si accorsero che piante di vite avevano una protezione contro un fungo che fece una vera e propria strage di foglie e frutti ovvero la Peronospora (Plasmopara viticola). Tutto ciò perché i conidi del fungo della peronospora non germinano in acque che presentavano tracce di rame in soluzione. Allo stesso modo i conidi e le spore dei funghi responsabili delle infezioni sull’olivo ovvero lebbra, piombatura, fumaggine e occhio di pavone non germinano se messi a contatto con acque che presentavano tracce di rame in soluzione.
Il rame è tossico per l’olivo?
Non c’è rosa senza spine direbbe il mio direttore Avv. Vincenzo Provenzano, e infatti il rame è fitotossico. I fenomeni fitotossici del rame si manifestano sulle foglie con arrossamenti, diminuzione della superficie fogliare, disseccamento delle gemme, disseccamenti di parte o di tutto il lembo e caduta precoce; tali fenomeni sono dovuti alla penetrazione del rame nel lembo fogliare e sono nettamente più marcati se il trattamento viene effettuato su vegetazione bagnata in quanto potrebbero tradursi in un calo quantitativo ed un peggioramento qualitativo.
Quali prodotti ma base di rame sono meno fitotossici?
Tra i vari prodotti cuprici i più fitotossici risultano essere quelli a base di idrossido e di solfato di rame, meno fitotossici gli ossicloruri, in particolare l’ossicloruro triramico di rame e calcio.
Come usare il rame contro i funghi parassiti per l’olivo?
Si possono evitare gli effetti indesiderati del rame adottando alcuni semplici accorgimenti come quello di utilizzare i prodotti meno fitotossici in prefioritura e di evitare i trattamenti in piena fioritura e sulla vegetazione bagnata. Tutto questo è assolutamente necessario perchè in questo momento gli unici fitofarmaci che possiamo utilizzare contro i funghi parassiti dell’olivo sono i prodotti rameici.
di Antonio Bruno, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
Bibliografia
PIERANGELA SCHIATTI, SARA NUTRICATO Quali livelli di TOSSICITÀ ha il RAME che si accumula nel TERRENO?
Sara Nutricato, FITOTOSSICITA’ DEI TRATTAMENTI A BASE DI RAME SULLE COLTURE
Matta A. 1996, FONDAMENTI DI PATOLOGIA VEGETALE, Patron editore
FOSCHI S., BRUNELLI A., Ponti I. 1985 - terapia vegetale - Edagricole, Bologna, pp. 107-109.
BENUZZI M., 2003 –Il rame- AZBIO n°1, pp. 25-26.
BENUZZI M., 2004 – La peronospora della vite – AZBIO n° 2, pp.13-14.
BRUNELLI A., MARANGONI B., 2002 - Atti Convegno a Fognano (RA) 22 ottobre 2002, “Le prospettive del rame nella difesa delle piante”.
FREGONI M., CORALLO G., 2001 – Il rame nei vigneti italiani – Vignevini n°5, pp. 35-4
Rame in Bio, “L'impiego del rame in frutticoltura e viticoltura biologica alla luce del Reg. CE 473/2002, giovedì 20 giugno 2002, Veneto Agricoltura - Corte Benedettina Legnaro – Pd
G. Belli. Elementi di Patologia vegetale. Piccin Editore
G.N. Agrios. Plant pathology, IV edizione. Academic Press.
J. W. Deacon. Micologia moderna. Calderini-Edagricole, Bologna.
G. Goidanich. Manuale di patologia vegetale. Edagricole, Bologna. Vol. I - II - III - IV.
S. Foschi, A. Brunelli e I. Ponti. Terapia vegetale. Edagricole, Bologna.
M. Muccinelli. Prontuario dei fitofarmaci. Edagricole, Bologna.
Image Line. Manuale di fitoiatria. Edagricole, Bologna.
I. Valori. Nuovo repertorio dei fitofarmaci, Edagricole, Bologna.
I funghi che danneggiano l’olivo sono quelli che causano le malattie della lebbra (Colletotrichum gleosporioidese e C. acutatum), piombatura (Mycocentrospora cladosporoides), fumaggine (Capnodium, Alternaria, Cladosporium ecc.)e occhio di pavone(Spilocaea oleagina). Nel Salento leccese si sono susseguite annate umide e questa circostanza ha favorito lo sviluppo e la diffusione di questi funghi parassiti dell’olivo.
La calamità lebbra dell’olivo
Nel 2010 l’aumento delle temperature e delle piogge autunnali, ma anche gli le piogge alluvionali sempre più frequenti, hanno consentito la diffusione della lebbra dell’olivo nel Salento leccese e in quello brindisino. Le conseguenze delle infezioni del fungo sulle drupe sono state il raggrinzimento del pericarpo con una conseguente caduta dei frutticini (cascola precoce).
Il danno all’olio d’oliva
Ma il danno maggiore l’hanno subito gli oli ottenuti dalla lavorazione di partite infette che hanno raggiunto un’elevata acidità, anche fino 12 – 15 gradi di acidità espressa in acido oleico. La variabilità di acidità riscontrata è perché è stata diversa la percentuale di olive infettate dalla lebbra.
La ricerca del Prof. Franco Nigro
Franco Nigro, ricercatore del Dipartimento di Protezione delle Piante e Microbiologia Applicata – Università degli studi di Bari – ha realizzato uno studio sulla malattia che è causata da due differenti patogeni (Colletotrichum gleosporioidese e C. acutatum), e che si è diffusa negli ultimi anni nel Salento con attacchi fino all’80% delle piante e completa distruzione del raccolto. L’olio che si ricava da partite di olive colpite è caratterizzato da elevata acidità e numerosi difetti organolettici.
Le cause della diffusione della lebbra
La diffusione è stata causata sia come ho già scritto per le condizioni climatiche di questi ultimi anni, che per la riduzione degli interventi di “cura” degli uliveti.
La lotta contro la lebbra dell’olivo
Attualmente le misure di lotta sono limitate all’eliminazione con potature dei rametti infetti, delle olive mummificate, che costituiscono una pericolosa fonte di inoculo, l’arieggiamento della chioma per evitare ristagni di umidità e favorire la ventilazione. Infine è consigliabile non procrastinare la raccolta, al fine di ridurre l’incidenza di malattia, che cresce con l’avanzare della maturazione delle drupe. I trattamenti con formulati rameici sono al momento gli unici autorizzati sulla coltura dell’olivo.
I danni economici indiretti
Comunque senza arrivare ai danni estremi che ha inflitto la lebbra in questi anni lo sviluppo e la diffusione dei funghi che parassitizzano l’olivo provoca un danno economico indiretto che può essere anche significativo. Mi riferisco specificamente al danno causato dalla caduta delle foglie di olivo attaccate dai funghi che ha la conseguenza di una riduzione dell’attività fotosintetica e metabolica delle piante che di fatto determina una diminuzione anche significativa della produzione di olive.
La miglior difesa è la prevenzione
In questi giorni i miei collaboratori stanno predisponendo la potatura dell’oliveto della sede del Consorzio di Bonifica consapevoli come siamo che la miglior difesa, nei confronti di questi agenti patogeni, è sempre la prevenzione che consiste nel garantire una buona areazione della chioma e uno sviluppo contenuto di succhioni.
Il rame per combattere chimicamente i funghi parassiti dell’olivo
I prodotti contro i funghi che sono autorizzati per l’olivo sono tutti a base di rame. La scoperta dell’azione fungicida del rame è stata fatta per caso nel 1878, la collega Sara Nutricato riferisce che le prime osservazioni sulla sua attività furono fatte sui filari di vigneto che perimetravano l’appezzamento. All’epoca si usava distribuire sui filari marginali dei vigneti una miscela di calce e solfato di rame, tale mistura serviva come deterrente contro i furti. Gli operatori di allora si accorsero che piante di vite avevano una protezione contro un fungo che fece una vera e propria strage di foglie e frutti ovvero la Peronospora (Plasmopara viticola). Tutto ciò perché i conidi del fungo della peronospora non germinano in acque che presentavano tracce di rame in soluzione. Allo stesso modo i conidi e le spore dei funghi responsabili delle infezioni sull’olivo ovvero lebbra, piombatura, fumaggine e occhio di pavone non germinano se messi a contatto con acque che presentavano tracce di rame in soluzione.
Il rame è tossico per l’olivo?
Non c’è rosa senza spine direbbe il mio direttore Avv. Vincenzo Provenzano, e infatti il rame è fitotossico. I fenomeni fitotossici del rame si manifestano sulle foglie con arrossamenti, diminuzione della superficie fogliare, disseccamento delle gemme, disseccamenti di parte o di tutto il lembo e caduta precoce; tali fenomeni sono dovuti alla penetrazione del rame nel lembo fogliare e sono nettamente più marcati se il trattamento viene effettuato su vegetazione bagnata in quanto potrebbero tradursi in un calo quantitativo ed un peggioramento qualitativo.
Quali prodotti ma base di rame sono meno fitotossici?
Tra i vari prodotti cuprici i più fitotossici risultano essere quelli a base di idrossido e di solfato di rame, meno fitotossici gli ossicloruri, in particolare l’ossicloruro triramico di rame e calcio.
Come usare il rame contro i funghi parassiti per l’olivo?
Si possono evitare gli effetti indesiderati del rame adottando alcuni semplici accorgimenti come quello di utilizzare i prodotti meno fitotossici in prefioritura e di evitare i trattamenti in piena fioritura e sulla vegetazione bagnata. Tutto questo è assolutamente necessario perchè in questo momento gli unici fitofarmaci che possiamo utilizzare contro i funghi parassiti dell’olivo sono i prodotti rameici.
di Antonio Bruno, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
Bibliografia
PIERANGELA SCHIATTI, SARA NUTRICATO Quali livelli di TOSSICITÀ ha il RAME che si accumula nel TERRENO?
Sara Nutricato, FITOTOSSICITA’ DEI TRATTAMENTI A BASE DI RAME SULLE COLTURE
Matta A. 1996, FONDAMENTI DI PATOLOGIA VEGETALE, Patron editore
FOSCHI S., BRUNELLI A., Ponti I. 1985 - terapia vegetale - Edagricole, Bologna, pp. 107-109.
BENUZZI M., 2003 –Il rame- AZBIO n°1, pp. 25-26.
BENUZZI M., 2004 – La peronospora della vite – AZBIO n° 2, pp.13-14.
BRUNELLI A., MARANGONI B., 2002 - Atti Convegno a Fognano (RA) 22 ottobre 2002, “Le prospettive del rame nella difesa delle piante”.
FREGONI M., CORALLO G., 2001 – Il rame nei vigneti italiani – Vignevini n°5, pp. 35-4
Rame in Bio, “L'impiego del rame in frutticoltura e viticoltura biologica alla luce del Reg. CE 473/2002, giovedì 20 giugno 2002, Veneto Agricoltura - Corte Benedettina Legnaro – Pd
G. Belli. Elementi di Patologia vegetale. Piccin Editore
G.N. Agrios. Plant pathology, IV edizione. Academic Press.
J. W. Deacon. Micologia moderna. Calderini-Edagricole, Bologna.
G. Goidanich. Manuale di patologia vegetale. Edagricole, Bologna. Vol. I - II - III - IV.
S. Foschi, A. Brunelli e I. Ponti. Terapia vegetale. Edagricole, Bologna.
M. Muccinelli. Prontuario dei fitofarmaci. Edagricole, Bologna.
Image Line. Manuale di fitoiatria. Edagricole, Bologna.
I. Valori. Nuovo repertorio dei fitofarmaci, Edagricole, Bologna.
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