Ai colleghi
Alle Istituzioni
Alle Organizzazioni politiche
Alle Organizzazioni Professionali agricole
Alle Organizzazioni Ambientaliste
Alle Organizzazioni dei Consumatori
Caro collega,
ti scrivo per comunicarti che presso l’ITAS “G.Presta” opera l’ADAF Lecce l’Associazione dei Dottori in Scienze Agrarie e Forestali della nostra provincia che aderisce alla FIDAF, federazione fondata a Roma il 17 novembre del 1944, che come certamente già sparai è l’organizzazione di rappresentanza di tutti i laureati delle Facoltà di Agraria.
L’ADAF Lecce ha come scopi la tutela morale, professionale e sindacale della categoria e come compiti principali l’aggiornamento professionale e culturale e la realizzazione di servizi per i suoi soci.
Martedì 21 giugno insieme con il Vice Presidente mi recherò a Roma per l’Assemblea Ordinaria della Federazione che prevede anche l’intervento del Collega Mario GUIDI, neo-Presidente della Confagricoltura.
Al fine di stimolare un dibattito costruttivo e di rendere noti a me e al Vice Presidente gli elementi necessari ad esprimere il voto in modo consapevole ed informato, spero di ricevere da te richieste di chiarimento, proposte e critiche da rappresentare nell’Assemblea Nazionale.
Invito tutti i colleghi a stimolare un dibattito pubblico sui temi caldi della nostra professione e ritengo in ogni caso che la Tua risposta a questa mail sarebbe estremamente utile per consentirmi di esprimere il voto in Assemblea Nazionale in modo consapevole ed informato.
Lecce 19 giugno 2011
IL PRESIDENTE
(Dottore Agronomo Antonio BRUNO)
Antonio Bruno è Laureato in Scienze Agrarie Dottore Agronomo iscritto all'Ordine di Lecce - Esperto in diagnostica urbana e territoriale e studente all'Università del Salento del Corso di laurea in Viticultura ed Enologia
sabato 18 giugno 2011
domenica 12 giugno 2011
Un’avvolgente amicizia nella Fiera di San Giovanni a Zollino del Salento leccese
Un’avvolgente amicizia nella Fiera di San Giovanni a Zollino del Salento leccese
E’ soprattutto l’amicizia che mi lega a Francesco Pellegrino, sindaco del Comune di Zollino del Salento leccese e Dottore Veterinario che mi spinge a scrivere della fiera di San Giovanni che per questo 2011 avrà luogo dal 24 al 26 di giugno tra i caratteristici vicoli e le case a corte del centro storico.
La prima fiera a Zollino
La Fiera di San Giovanni, nasce nel 1910 da una deliberazione del consiglio comunale, presieduta dall'allora sindaco Francesco Pellegrino, che non per nulla ha lo stesso nome e cognome del mio amico Francesco. La fiera è stata proposta del consigliere Giuseppe Chiriatti:
"Il consiglio intesa la proposta e considerato che il Comune di Zollino essendo un paese agricolo, con una popolazione di 1400 abitanti, per la sua posizione topografica, al centro di vari Comuni, con un continuo traffico e movimento nella sua stazione ferroviaria, sarebbe di molto agevolata nel consumo dei suoi prodotti tanto ricercati, con l'istituzione di tale fiera. …………….
Considerato eziando che la fiera in discorso è di molto interesse a questi abitanti, scarsi di altre risorse e procura lo scambio delle derrate ricercate, dando vita a sviluppo alle diverse industrie”.
I prodotti agroalimentari del 2011
Tra le viuzze allestite con cascate di girasoli, antichi oggetti e luci di candele, sarà possibile degustare e acquistare produzioni del settore agroalimentare ed enogastronomico salentino: dai prodotti a Km zero, all’originale Olivotto, dal polline, al miele ai succhi biologici, dai salumi ricercati ai dolci di mandorle, fichi, arancio e cioccolato, dal vino di eccellenza all’olio extravergine con spremitura a freddo.
I piatti tradizionali
Sarà inoltre possibile assaporare i piatti della cucina tradizionale quali i piselli nani alla pignata e le fave nette con i morsi preparati da mani sapienti con le ricette di una volta e cotti ancora nella tipica pignata, seduti nella atmosfera magica di una corte, accanto a sciarabà e ballette di paglia, in linea con lo slogan griko dell’iniziativa “to kalò fai” che vuol dire “il buon cibo”.
La fiera di San Giovanni non inquina l’ambiente
La novità di quest’anno sta nell'utilizzo di piatti, posateria e bicchieri biodegradabili. Nell'organizzazione della fiera un aspetto sempre più importante lo assume la gestione dei rifiuti. Intanto gli organizzatori individuavano una persona che si assumeva la responsabilità della corretta differenziazione degli stessi (organico, secco, vetro, plastica...)
Questa operazione richiedeva molto tempo, basta pensare, tanto per fare un esempio, a quanto tempo di vuole per vuotare i piatti dai resti di cibo quando si sparecchia un tavolo.
L'utilizzo di piatti e di posate in materiale biodegradabile in questo caso risulta la soluzione ideale per velocizzare e semplificare le operazioni di pulizia; come è già stato scritto le caratteristiche delle stoviglie biodegradabili sono ormai tali da poter essere sostituite a quelle classiche in polistirolo.
Proprio per questo motivo a Zollino gli organizzatori hanno adottato piatti, posateria e bicchieri biodegradabili.
La speranza è che nel futuro si diffonda sempre più questa tendenza, ricordo infatti come sia sufficiente una sola posata di plastica per rendere non recuperabile un sacchetto di "umido".
I prodotti tipici in vetrina
Mi piace la Fiera di San Giovanni, inutile negarlo, convinto come sono che consumare prodotti tipici aiuta l’economia del Salento leccese a superare la crisi che imperversa in tutto il mondo nell’agro-alimentare.
La crisi spinge tutti noi a non acquistare i prodotti di qualità, o ad acquistarne di meno, tutto questo guidati dal fatto di privilegiare la convenienza economica di cibi che giungono magari dall’altra faccia della terra rispetto ai cibi genuini del Salento leccese.
Invece se acquistiamo prodotti del Salento leccese sappiamo che le materie prime sono genuine, non si consuma petrolio per il trasporto inquinando, si salvaguardano le pratiche tradizionali e soprattutto sosteniamo il lavoro di tante famiglie del Salento leccese.
La crisi economica c’è e si vede! Ma non la risolviamo acquistando prodotti alimentari di scarsa qualità! Molte volte si dice “pensa alla salute”; ecco pensaci e acquista i prodotti agricoli prodotti nel Salento leccese favorendo la biodiversità del nostro territorio.
di Antonio Bruno, Direttore dell’Area Agraria del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics)
E’ soprattutto l’amicizia che mi lega a Francesco Pellegrino, sindaco del Comune di Zollino del Salento leccese e Dottore Veterinario che mi spinge a scrivere della fiera di San Giovanni che per questo 2011 avrà luogo dal 24 al 26 di giugno tra i caratteristici vicoli e le case a corte del centro storico.
La prima fiera a Zollino
La Fiera di San Giovanni, nasce nel 1910 da una deliberazione del consiglio comunale, presieduta dall'allora sindaco Francesco Pellegrino, che non per nulla ha lo stesso nome e cognome del mio amico Francesco. La fiera è stata proposta del consigliere Giuseppe Chiriatti:
"Il consiglio intesa la proposta e considerato che il Comune di Zollino essendo un paese agricolo, con una popolazione di 1400 abitanti, per la sua posizione topografica, al centro di vari Comuni, con un continuo traffico e movimento nella sua stazione ferroviaria, sarebbe di molto agevolata nel consumo dei suoi prodotti tanto ricercati, con l'istituzione di tale fiera. …………….
Considerato eziando che la fiera in discorso è di molto interesse a questi abitanti, scarsi di altre risorse e procura lo scambio delle derrate ricercate, dando vita a sviluppo alle diverse industrie”.
I prodotti agroalimentari del 2011
Tra le viuzze allestite con cascate di girasoli, antichi oggetti e luci di candele, sarà possibile degustare e acquistare produzioni del settore agroalimentare ed enogastronomico salentino: dai prodotti a Km zero, all’originale Olivotto, dal polline, al miele ai succhi biologici, dai salumi ricercati ai dolci di mandorle, fichi, arancio e cioccolato, dal vino di eccellenza all’olio extravergine con spremitura a freddo.
I piatti tradizionali
Sarà inoltre possibile assaporare i piatti della cucina tradizionale quali i piselli nani alla pignata e le fave nette con i morsi preparati da mani sapienti con le ricette di una volta e cotti ancora nella tipica pignata, seduti nella atmosfera magica di una corte, accanto a sciarabà e ballette di paglia, in linea con lo slogan griko dell’iniziativa “to kalò fai” che vuol dire “il buon cibo”.
La fiera di San Giovanni non inquina l’ambiente
La novità di quest’anno sta nell'utilizzo di piatti, posateria e bicchieri biodegradabili. Nell'organizzazione della fiera un aspetto sempre più importante lo assume la gestione dei rifiuti. Intanto gli organizzatori individuavano una persona che si assumeva la responsabilità della corretta differenziazione degli stessi (organico, secco, vetro, plastica...)
Questa operazione richiedeva molto tempo, basta pensare, tanto per fare un esempio, a quanto tempo di vuole per vuotare i piatti dai resti di cibo quando si sparecchia un tavolo.
L'utilizzo di piatti e di posate in materiale biodegradabile in questo caso risulta la soluzione ideale per velocizzare e semplificare le operazioni di pulizia; come è già stato scritto le caratteristiche delle stoviglie biodegradabili sono ormai tali da poter essere sostituite a quelle classiche in polistirolo.
Proprio per questo motivo a Zollino gli organizzatori hanno adottato piatti, posateria e bicchieri biodegradabili.
La speranza è che nel futuro si diffonda sempre più questa tendenza, ricordo infatti come sia sufficiente una sola posata di plastica per rendere non recuperabile un sacchetto di "umido".
I prodotti tipici in vetrina
Mi piace la Fiera di San Giovanni, inutile negarlo, convinto come sono che consumare prodotti tipici aiuta l’economia del Salento leccese a superare la crisi che imperversa in tutto il mondo nell’agro-alimentare.
La crisi spinge tutti noi a non acquistare i prodotti di qualità, o ad acquistarne di meno, tutto questo guidati dal fatto di privilegiare la convenienza economica di cibi che giungono magari dall’altra faccia della terra rispetto ai cibi genuini del Salento leccese.
Invece se acquistiamo prodotti del Salento leccese sappiamo che le materie prime sono genuine, non si consuma petrolio per il trasporto inquinando, si salvaguardano le pratiche tradizionali e soprattutto sosteniamo il lavoro di tante famiglie del Salento leccese.
La crisi economica c’è e si vede! Ma non la risolviamo acquistando prodotti alimentari di scarsa qualità! Molte volte si dice “pensa alla salute”; ecco pensaci e acquista i prodotti agricoli prodotti nel Salento leccese favorendo la biodiversità del nostro territorio.
di Antonio Bruno, Direttore dell’Area Agraria del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics)
Andrea vuole sapere cos’è la coltivazione AEROPONICA
Andrea vuole sapere cos’è la coltivazione AEROPONICA
Il mio amico Andrea più volte mi ha chiesto notizie sull’Aeroponica e io che non ero informato non riuscivo a dargli una risposta. Oggi mi sono informato perché grazie a lui e ai tanti che continuano a rivolgermi delle domande la mia curiosità rimane viva e la mia voglia di soddisfarla sempre presente.
Che cos’è la coltivazione aeroponica
L’aeroponica è la coltivazione delle piante senza la terra e che quindi utilizza l’acqua idroponica dal greco ύδωρ (acqua) + πόνος (lavoro) è il processo di sviluppo di piante sostenute artificialmente e la loro alimentazione è garantita da sistemi di nebulizzazione di acqua arricchita da fertilizzanti minerali o bioponici. La soluzione investe direttamente l'apparato radicale della pianta.
Il ciclo di quest’acqua è chiuso che significa che dell’acqua che viene data alle radici delle piante, quella che non viene assorbita viene poi raccolta e utilizzata ancora una volta. Questo ciclo può avvenire in modo continuo e quindi l’acqua che avanza viene raccolta e poi subito ridata, oppure può essere discontinuo che prevede delle pause in cui l’acqua viene sostituita completamente.
L’aeroponica è una tecnica di coltivazione di piante da fiore o per quegli ortaggi che crescono su piante che hanno un accrescimento ridotto come la fragola, la lattuga e anche per quei pomodori che si possono raccogliere in grappolo.
Come si sostengono le piante?
Le piante stanno ficcate in pannelli di polistirolo che sono inclinati rispetto all’asse verticale. Questi pannelli sono tenuti fermi da una struttura portante in acciaio zincato. La conseguenza è che le piante è come se fossero su due falde di una montagna che per questo motivo saranno esposte in modo diverso rispetto al sole.
E’ intuitivo che le radici delle piante che sono sulle due falde si sviluppano all’interno “della montagna” che poi è quello spazio vuoto di forma triangolare che sono delimitati dalle due falde della montagna.
Ma come si nutrono le radici che stanno nell’aria?
Per nutrire le piante attraverso le radici c’è un sistema di nebulizzazione (sprayer) che è all’interno del triangolo formato dalle due falde della montagna. Questo impianto spruzza da 35 a 70 litri di acqua con i nutrienti disciolti ogni ora e la durata dello spruzzo varia da 30 a 60 secondi.
Ma ogni quanto tempo gli sprayer entrano in funzione? Questi interventi di irrigazione con l’acqua che ha dentro disciolti i fertilizzanti (fertirrigazione)? Il numero di interventi ogni ora dipende dalle condizioni di temperatura, umidità dell’aria, ventosità e luminosità ma anche dal tipo di pianta che si coltiva e dalla fase di crescita (fenologica) in cui si trova.
Che fine fa l’acqua con dentro i fertilizzati che non viene assorbita dalle piante?
Quest’acqua con dentro i fertilizzanti (soluzione nutritiva) in eccesso drena alla base del triangolo della montagna e viene raccolta in serbatoi che sono disposti a valle delle montagne (moduli di coltivazione) tutto questo perché la base del triangolo viene realizzata con una pendenza verso il serbatoio. Da qui viene di nuovo usata per spruzzarla sulle radici (viene riciclata).
Ma l’acqua riciclata da problemi?
L’acqua con dentro i fertilizzanti (soluzione nutritiva) altera il contenuto dei minerali e in più dentro quest’acqua si possono sviluppare organismi che fanno ammalare le piante (patogeni).
E cosa si fa per risolvere questi problemi?
Intanto si controllano sia il ph che la conducibilità elettrica e in base ai valori riscontrati si può reintegrare periodicamente con una soluzione fatta da poco e poi si controllano i consumi dell’acqua e quanto minerale è stato asportato dalle piante, ma siccome è l’acqua che viene consumata in maggior misura si provvede all’aggiunta per abbassare la conducibilità elettrica che è determinata dalla concentrazione di minerali. La soluzione nutritiva nel caso del ciclo discontinuo viene periodicamente sostituita dalla soluzione fresca. Nel caso del ciclo continuo resta in circolo per l’intero ciclo colturale. Per quanto riguarda la diffusione degli organismi patogeni per ostacolarla basta osservare scrupolosamente le norme igieniche nella serra.
Ma per quale motivo è vantaggioso effettuare la coltivazione aeroponica?
Intanto con questo sistema le radici sono ossigenate, c’è un basso consumo sia dell’acqua che dei concimi, si possono mettere molte più piante per metro quadrato, sfruttiamo anche in altezza il volume della serra, c’è meno volume di deposito di acqua con dentro i nutrienti, non servono né le vasche di coltivazione né il substrato, le montagne (moduli di coltivazione) sono mobili, e si producono radici integre e pulite.
di Antonio Bruno, Direttore dell’Area Agraria del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
Bibliografia
Anna Bonaria, Pietro Santamaria, Aeroponica Azienda Sperimentale “La noria” schede colturali
Aeroponica http://www.aeroponica.com
Serra aeroponica. Come funziona? http://www.giardinaggioindoor.it/2009/04/15/serra-aeroponica-come-funziona/
Il mio amico Andrea più volte mi ha chiesto notizie sull’Aeroponica e io che non ero informato non riuscivo a dargli una risposta. Oggi mi sono informato perché grazie a lui e ai tanti che continuano a rivolgermi delle domande la mia curiosità rimane viva e la mia voglia di soddisfarla sempre presente.
Che cos’è la coltivazione aeroponica
L’aeroponica è la coltivazione delle piante senza la terra e che quindi utilizza l’acqua idroponica dal greco ύδωρ (acqua) + πόνος (lavoro) è il processo di sviluppo di piante sostenute artificialmente e la loro alimentazione è garantita da sistemi di nebulizzazione di acqua arricchita da fertilizzanti minerali o bioponici. La soluzione investe direttamente l'apparato radicale della pianta.
Il ciclo di quest’acqua è chiuso che significa che dell’acqua che viene data alle radici delle piante, quella che non viene assorbita viene poi raccolta e utilizzata ancora una volta. Questo ciclo può avvenire in modo continuo e quindi l’acqua che avanza viene raccolta e poi subito ridata, oppure può essere discontinuo che prevede delle pause in cui l’acqua viene sostituita completamente.
L’aeroponica è una tecnica di coltivazione di piante da fiore o per quegli ortaggi che crescono su piante che hanno un accrescimento ridotto come la fragola, la lattuga e anche per quei pomodori che si possono raccogliere in grappolo.
Come si sostengono le piante?
Le piante stanno ficcate in pannelli di polistirolo che sono inclinati rispetto all’asse verticale. Questi pannelli sono tenuti fermi da una struttura portante in acciaio zincato. La conseguenza è che le piante è come se fossero su due falde di una montagna che per questo motivo saranno esposte in modo diverso rispetto al sole.
E’ intuitivo che le radici delle piante che sono sulle due falde si sviluppano all’interno “della montagna” che poi è quello spazio vuoto di forma triangolare che sono delimitati dalle due falde della montagna.
Ma come si nutrono le radici che stanno nell’aria?
Per nutrire le piante attraverso le radici c’è un sistema di nebulizzazione (sprayer) che è all’interno del triangolo formato dalle due falde della montagna. Questo impianto spruzza da 35 a 70 litri di acqua con i nutrienti disciolti ogni ora e la durata dello spruzzo varia da 30 a 60 secondi.
Ma ogni quanto tempo gli sprayer entrano in funzione? Questi interventi di irrigazione con l’acqua che ha dentro disciolti i fertilizzanti (fertirrigazione)? Il numero di interventi ogni ora dipende dalle condizioni di temperatura, umidità dell’aria, ventosità e luminosità ma anche dal tipo di pianta che si coltiva e dalla fase di crescita (fenologica) in cui si trova.
Che fine fa l’acqua con dentro i fertilizzati che non viene assorbita dalle piante?
Quest’acqua con dentro i fertilizzanti (soluzione nutritiva) in eccesso drena alla base del triangolo della montagna e viene raccolta in serbatoi che sono disposti a valle delle montagne (moduli di coltivazione) tutto questo perché la base del triangolo viene realizzata con una pendenza verso il serbatoio. Da qui viene di nuovo usata per spruzzarla sulle radici (viene riciclata).
Ma l’acqua riciclata da problemi?
L’acqua con dentro i fertilizzanti (soluzione nutritiva) altera il contenuto dei minerali e in più dentro quest’acqua si possono sviluppare organismi che fanno ammalare le piante (patogeni).
E cosa si fa per risolvere questi problemi?
Intanto si controllano sia il ph che la conducibilità elettrica e in base ai valori riscontrati si può reintegrare periodicamente con una soluzione fatta da poco e poi si controllano i consumi dell’acqua e quanto minerale è stato asportato dalle piante, ma siccome è l’acqua che viene consumata in maggior misura si provvede all’aggiunta per abbassare la conducibilità elettrica che è determinata dalla concentrazione di minerali. La soluzione nutritiva nel caso del ciclo discontinuo viene periodicamente sostituita dalla soluzione fresca. Nel caso del ciclo continuo resta in circolo per l’intero ciclo colturale. Per quanto riguarda la diffusione degli organismi patogeni per ostacolarla basta osservare scrupolosamente le norme igieniche nella serra.
Ma per quale motivo è vantaggioso effettuare la coltivazione aeroponica?
Intanto con questo sistema le radici sono ossigenate, c’è un basso consumo sia dell’acqua che dei concimi, si possono mettere molte più piante per metro quadrato, sfruttiamo anche in altezza il volume della serra, c’è meno volume di deposito di acqua con dentro i nutrienti, non servono né le vasche di coltivazione né il substrato, le montagne (moduli di coltivazione) sono mobili, e si producono radici integre e pulite.
di Antonio Bruno, Direttore dell’Area Agraria del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
Bibliografia
Anna Bonaria, Pietro Santamaria, Aeroponica Azienda Sperimentale “La noria” schede colturali
Aeroponica http://www.aeroponica.com
Serra aeroponica. Come funziona? http://www.giardinaggioindoor.it/2009/04/15/serra-aeroponica-come-funziona/
sabato 11 giugno 2011
Le piante che vivono senza la terra
Le piante che vivono senza la terra
Avete osservato una pianta? La cosa che mi viene subito in mente è che lei è sempre in un posto, con le radici ficcate nella terra! Già le piante non si spostano e svolgono la loro vita in posto preciso. Soprattutto è interessante questo fatto che hanno necessità di stare ben piantate per terra per nutrirsi e per stare “in piedi” e quindi per vivere.
L’Azienda sperimentale “La Noria”
Ieri pomeriggio sono stato nell’Azienda sperimentale “La Noria”, ISPA-CNR Contrada Scannacinque (zona industriale) – Mola di Bari dove ho visto la coltivazione senza suolo della vite con le cultivar Victoria, Black Magic, Red Globe e Cardinal, e alcune cultivar apirene, tra cui Crimson, allevate in vaso. A guidare quest’avventura è Pietro Santamaria http://noria.ba.cnr.it/aid=16.phtml che ci accoglie nella bella struttura. Così come fanno i direttori d’orchestra, Pietro Santamaria dirige gli interventi degli altri ricercatori che lavorano con lui in quest’azienda alle porte della bella Mola di Bari per narrarci della loro ricerca.
Le piante coltivate senza terra nell’antichità
Le piante coltivate senza la terra non sono una novità perché sin dalla notte dei tempi l’uomo ha cercato di coltivare le piante nell’acqua, l’hanno fatto gli egiziani e prima di loro i Babilonesi infatti è a tutti noto della magnificenza e bellezza dei giardini pensili di Babilonia. Ma anche i Cinesi e gli Aztechi hanno messo a punto la tecnica delle “zattere galleggianti” che è una vera e propria coltura idroponica sui laghi, anche se sulla zattera ci mettevano la terra presa dal fondo del lago che fornivano i nutrienti mentre le radici rimanevano appese nelle acque. Queste zattere galleggiavano sino al momento del raccolto. Le zattere erano costruite con canne, giunchi o bambù il vantaggio di queste coltivazioni galleggianti era il facile trasporto fluviale dei prodotti al mercato.
Frutta e ortaggi crescono dentro bottiglie di plastica tagliate a metà
Un progetto per coltivare le piante senza la terra è nato tra la facoltà di Agraria e il Comune di Bologna, in collaborazione con Horticity, Biodivercity e gli allievi del corso di orti urbani del Vag 61. A Bologna, in cima al tetto di via Gandusio 10 frutta e ortaggi crescono dentro bottiglie di plastica tagliate a metà.
Nelle mezze bottiglie invece della terra c’è fibra di cocco e pietra pomice. La coltivazione è realizzata attraverso un sistema di pompe e vasche che, goccia dopo goccia, nutre con acqua e fertilizzante le piante; la soluzione che scende dal tubo in fondo alla bottiglia viene recuperata e rimessa in circolo.
Horticity, società nata a Padova, nel 2008 aveva realizzato sempre a Bologna una piccola coltivazione senza terra (idroponica) dove il nutrimento delle piante viene garantito dall’acqua con le deiezioni dei pesci di un acquario.
Quanto costa un orto senza terra sul balcone?
Sul balcone si coltivano decine di piante, per tutte le esigenze: lattuga, peperoni, fragole, basilico, pomodori, cetrioli, melanzane. Francesco Orsini dell’associazione Biodivercity, ricercatore (precario) afferna che far nascere un orto idroponico costa circa 200 euro per il primo metro quadro, poi i costi si ammortizzano, e siccome le radici si sviluppano poco e nello stesso spazio si possono coltivare molte più piante
La tecnica di coltivazione della vite da uva da tavola idroponica
Il ciclo della vite senza suolo prevede due fasi: la prima di formazione della pianta (radicazione talea ed allevamento germoglio), la seconda di produzione.
Nella prima fase, le talee di vite europea radicate vengono collocate in vasi (10-30 L) riempiti con perlite e torba in rapporto 2:1 (v:v).
Le piante, che vengono alimentate con soluzione nutritiva, sono allevate con un solo germoglio, il quale costituirà il capo a frutto nella fase di produzione.
Nell’anno di produzione, dal risveglio vegetativo, le piante, che vengono alimentate sempre con soluzione nutritiva (tipo Hoagland), sono coltivate seguendo le pratiche colturali ordinarie (potatura verde, legatura germogli, sfogliature, selezione grappoli, ecc.).
Nella fase di produzione, particolare attenzione va attribuita alla gestione delle fertirrigazioni poiché eccessi idrici e di elementi nutritivi provocano un decadimento della qualità dei grappoli; viceversa, scarsi apporti idrici o di fertilizzanti, soprattutto in condizioni di domanda traspirativa elevata, provocano una condizione di stress per la pianta.
di Antonio Bruno, Direttore dell’Area Agraria del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
Se volete saperne di più scrivete a
dott. Pietro Santamaria, responsabile scientifico del Progetto
Email: santamap@agr.uniba.it
http://noria.ba.cnr.it/index.php?italiano
Avete osservato una pianta? La cosa che mi viene subito in mente è che lei è sempre in un posto, con le radici ficcate nella terra! Già le piante non si spostano e svolgono la loro vita in posto preciso. Soprattutto è interessante questo fatto che hanno necessità di stare ben piantate per terra per nutrirsi e per stare “in piedi” e quindi per vivere.
L’Azienda sperimentale “La Noria”
Ieri pomeriggio sono stato nell’Azienda sperimentale “La Noria”, ISPA-CNR Contrada Scannacinque (zona industriale) – Mola di Bari dove ho visto la coltivazione senza suolo della vite con le cultivar Victoria, Black Magic, Red Globe e Cardinal, e alcune cultivar apirene, tra cui Crimson, allevate in vaso. A guidare quest’avventura è Pietro Santamaria http://noria.ba.cnr.it/aid=16.phtml che ci accoglie nella bella struttura. Così come fanno i direttori d’orchestra, Pietro Santamaria dirige gli interventi degli altri ricercatori che lavorano con lui in quest’azienda alle porte della bella Mola di Bari per narrarci della loro ricerca.
Le piante coltivate senza terra nell’antichità
Le piante coltivate senza la terra non sono una novità perché sin dalla notte dei tempi l’uomo ha cercato di coltivare le piante nell’acqua, l’hanno fatto gli egiziani e prima di loro i Babilonesi infatti è a tutti noto della magnificenza e bellezza dei giardini pensili di Babilonia. Ma anche i Cinesi e gli Aztechi hanno messo a punto la tecnica delle “zattere galleggianti” che è una vera e propria coltura idroponica sui laghi, anche se sulla zattera ci mettevano la terra presa dal fondo del lago che fornivano i nutrienti mentre le radici rimanevano appese nelle acque. Queste zattere galleggiavano sino al momento del raccolto. Le zattere erano costruite con canne, giunchi o bambù il vantaggio di queste coltivazioni galleggianti era il facile trasporto fluviale dei prodotti al mercato.
Frutta e ortaggi crescono dentro bottiglie di plastica tagliate a metà
Un progetto per coltivare le piante senza la terra è nato tra la facoltà di Agraria e il Comune di Bologna, in collaborazione con Horticity, Biodivercity e gli allievi del corso di orti urbani del Vag 61. A Bologna, in cima al tetto di via Gandusio 10 frutta e ortaggi crescono dentro bottiglie di plastica tagliate a metà.
Nelle mezze bottiglie invece della terra c’è fibra di cocco e pietra pomice. La coltivazione è realizzata attraverso un sistema di pompe e vasche che, goccia dopo goccia, nutre con acqua e fertilizzante le piante; la soluzione che scende dal tubo in fondo alla bottiglia viene recuperata e rimessa in circolo.
Horticity, società nata a Padova, nel 2008 aveva realizzato sempre a Bologna una piccola coltivazione senza terra (idroponica) dove il nutrimento delle piante viene garantito dall’acqua con le deiezioni dei pesci di un acquario.
Quanto costa un orto senza terra sul balcone?
Sul balcone si coltivano decine di piante, per tutte le esigenze: lattuga, peperoni, fragole, basilico, pomodori, cetrioli, melanzane. Francesco Orsini dell’associazione Biodivercity, ricercatore (precario) afferna che far nascere un orto idroponico costa circa 200 euro per il primo metro quadro, poi i costi si ammortizzano, e siccome le radici si sviluppano poco e nello stesso spazio si possono coltivare molte più piante
La tecnica di coltivazione della vite da uva da tavola idroponica
Il ciclo della vite senza suolo prevede due fasi: la prima di formazione della pianta (radicazione talea ed allevamento germoglio), la seconda di produzione.
Nella prima fase, le talee di vite europea radicate vengono collocate in vasi (10-30 L) riempiti con perlite e torba in rapporto 2:1 (v:v).
Le piante, che vengono alimentate con soluzione nutritiva, sono allevate con un solo germoglio, il quale costituirà il capo a frutto nella fase di produzione.
Nell’anno di produzione, dal risveglio vegetativo, le piante, che vengono alimentate sempre con soluzione nutritiva (tipo Hoagland), sono coltivate seguendo le pratiche colturali ordinarie (potatura verde, legatura germogli, sfogliature, selezione grappoli, ecc.).
Nella fase di produzione, particolare attenzione va attribuita alla gestione delle fertirrigazioni poiché eccessi idrici e di elementi nutritivi provocano un decadimento della qualità dei grappoli; viceversa, scarsi apporti idrici o di fertilizzanti, soprattutto in condizioni di domanda traspirativa elevata, provocano una condizione di stress per la pianta.
di Antonio Bruno, Direttore dell’Area Agraria del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
Se volete saperne di più scrivete a
dott. Pietro Santamaria, responsabile scientifico del Progetto
Email: santamap@agr.uniba.it
http://noria.ba.cnr.it/index.php?italiano
giovedì 9 giugno 2011
Agricoltura: più soldi a chi?
Agricoltura: più soldi a chi?
Ieri a Lecce al Castello Carlo V nella sala Maria D’Enghen il Ministro Romano ha dichiarato che ha chiesto più soldi all’Europa e li ha chiesti per l’agricoltura. Ma per quale agricoltura?
L’Agricoltura del Salento leccese
Io ho più volte scritto che voglio fissare il mio sguardo al Salento leccese. Allora mentre continua la ridda delle cifre degli addetti all’agricoltura io ho chiesto al Presidente di Coldiretti Lecce quante fossero le imprese agricole iscritte alla Camera di Commercio di Lecce, mi ha risposto che sono circa 11mila ovvero poco più di 100 imprenditori agricoli per ognuno dei 100 Comuni della Provincia di Lecce. Poi in serata parlando con il mio collega Vincenzo Castellano e commentando queste cifre abbiamo insieme considerato che di tali imprese solo pochissime fatturano e quindi lavorano per il mercato.
Più soldi a chi?
Più soldi all’agricoltura può voler dire che abbiamo fatto scomodare un Ministro della Repubblica per chiedere più soldi da dare a poco più di 10mila persone delle 800mila del Salento leccese?
Io non credo che la strada da percorrere sia questa. E chi pensa ai 220mila possessori del Paesaggio rurale del Salento leccese esclusi da ogni tipo di finanziamento? Perché i soldi che vengono dall’Europa devono essere dati solo ai10mila imprenditori agricoli professionali?
I numeri dell’Agricoltura del Salento leccese
Nella Provincia di Lecce il settore agricolo appare caratterizzato da un elevato grado di frammentazione aziendale, ossia dalla presenza di numerose imprese di dimensioni piccole e piccolissime. Le aziende della provincia sono, infatti, oltre 78.600 per una superficie totale (SAT) di 163.438 ettari, il 93% dei quali utilizzati (152.284 ettari).
Ma quanti dei 163mila ettari di terreno della Provincia di Lecce è coltivato dai 10mila imprenditori agricoli professionali?
Chi mette fuori i soldi?
Devo registrare che chi investe in agricoltura, chi mette le mani in tasca per acquistare macchine, attrezzi, per effettuare migliorie nel Paesaggio Agrario sono proprio i tanti Architetti, Ingegneri, Medici, ragionieri, impiegati, postini e operai che hanno acquistato o ereditato un pezzetto di Paesaggio rurale del Salento leccese. Non hanno contribuito solo con il 50% del loro capitale, come gli imprenditori agricoli professionali che prendono i soldi, si sono messi le mani in tasca e hanno tirato fuori il 100% del capitale necessario.
Io avrei capito se il Ministro della Repubblica Romano avesse detto che ai soldi che l’Unione Europea destina ai 10mila imprenditori agricoli professionali devono essere aggiunti i soldi per i più di 200mila possessori di paesaggio rurale del Salento leccese.
L’Unione Europea salvaguarda gli ecosistemi
L’UE è la stessa che a livello internazionale sta promuovendo una migliore governance e che tenta di rafforzare le regole che aiutano a salvaguardare gli ecosistemi. L'UE è uno dei 191 firmatari della Convenzione sulla diversità biologica delle Nazioni Unite (CBD). Fra le recenti iniziative della CBD vi è l'integrazione del tema della biodiversità nei negoziati sui cambiamenti climatici.
L'UE stanzia milioni di euro per gli aiuti esterni alla conservazione della biodiversità. Affronta inoltre la questione dei negoziati commerciali attraverso valutazioni di impatto sulla sostenibilità.
La valutazione degli ecosistemi del millennio
La valutazione degli ecosistemi è uno strumento che consente di valutare i diversi aspetti della salute degli ecosistemi e la fornitura dei beni e servizi ecosistemici che sono quelli resi dai 220mila proprietari del Paesaggio rurale del Salento leccese.
Nel 2000, le Nazioni Unite hanno lanciato un'iniziativa a livello planetario, la valutazione degli ecosistemi del millennio (Millennium Ecosystem Assessment). La relazione sulla valutazione, completata nel 2005, ha evidenziato che due terzi dei servizi ecosistemici della Terra sono in calo o a rischio. Nell'ambito del seguito dato alla valutazione degli ecosistemi del millennio, l'UE si è impegnata a preparare una valutazione per la regione europea. Una nuova valutazione su scala planetaria è prevista per il 2015.
Chiedo al Ministro Romano di pagare ai Proprietari del Paesaggio rurale del Salento leccese i servizi ecosistemici
In base ai calcoli dell' Agenzia europea dell'ambiente il valore complessivo dei servizi generali prodotti dalle zone umide, ad es. la purificazione dell'acqua e l'assorbimento del carbonio, potrebbe aggirarsi attorno ai 2,5 miliardi di euro l'anno.
Chiedo al Ministro Francesco Romano di ottenere che in Italia, quindi anche nel Salento leccese, si faccia ciò che già si fa in molti paesi del mondo dove vengono sviluppati programmi di pagamento per i servizi ecosistemici che sono essenziali per fornire compensi adeguati ai proprietari terrieri che tutelano i servizi ecosistemici utili per la società.
di Antonio Bruno, Direttore dell’Area Agraria del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
Ieri a Lecce al Castello Carlo V nella sala Maria D’Enghen il Ministro Romano ha dichiarato che ha chiesto più soldi all’Europa e li ha chiesti per l’agricoltura. Ma per quale agricoltura?
L’Agricoltura del Salento leccese
Io ho più volte scritto che voglio fissare il mio sguardo al Salento leccese. Allora mentre continua la ridda delle cifre degli addetti all’agricoltura io ho chiesto al Presidente di Coldiretti Lecce quante fossero le imprese agricole iscritte alla Camera di Commercio di Lecce, mi ha risposto che sono circa 11mila ovvero poco più di 100 imprenditori agricoli per ognuno dei 100 Comuni della Provincia di Lecce. Poi in serata parlando con il mio collega Vincenzo Castellano e commentando queste cifre abbiamo insieme considerato che di tali imprese solo pochissime fatturano e quindi lavorano per il mercato.
Più soldi a chi?
Più soldi all’agricoltura può voler dire che abbiamo fatto scomodare un Ministro della Repubblica per chiedere più soldi da dare a poco più di 10mila persone delle 800mila del Salento leccese?
Io non credo che la strada da percorrere sia questa. E chi pensa ai 220mila possessori del Paesaggio rurale del Salento leccese esclusi da ogni tipo di finanziamento? Perché i soldi che vengono dall’Europa devono essere dati solo ai10mila imprenditori agricoli professionali?
I numeri dell’Agricoltura del Salento leccese
Nella Provincia di Lecce il settore agricolo appare caratterizzato da un elevato grado di frammentazione aziendale, ossia dalla presenza di numerose imprese di dimensioni piccole e piccolissime. Le aziende della provincia sono, infatti, oltre 78.600 per una superficie totale (SAT) di 163.438 ettari, il 93% dei quali utilizzati (152.284 ettari).
Ma quanti dei 163mila ettari di terreno della Provincia di Lecce è coltivato dai 10mila imprenditori agricoli professionali?
Chi mette fuori i soldi?
Devo registrare che chi investe in agricoltura, chi mette le mani in tasca per acquistare macchine, attrezzi, per effettuare migliorie nel Paesaggio Agrario sono proprio i tanti Architetti, Ingegneri, Medici, ragionieri, impiegati, postini e operai che hanno acquistato o ereditato un pezzetto di Paesaggio rurale del Salento leccese. Non hanno contribuito solo con il 50% del loro capitale, come gli imprenditori agricoli professionali che prendono i soldi, si sono messi le mani in tasca e hanno tirato fuori il 100% del capitale necessario.
Io avrei capito se il Ministro della Repubblica Romano avesse detto che ai soldi che l’Unione Europea destina ai 10mila imprenditori agricoli professionali devono essere aggiunti i soldi per i più di 200mila possessori di paesaggio rurale del Salento leccese.
L’Unione Europea salvaguarda gli ecosistemi
L’UE è la stessa che a livello internazionale sta promuovendo una migliore governance e che tenta di rafforzare le regole che aiutano a salvaguardare gli ecosistemi. L'UE è uno dei 191 firmatari della Convenzione sulla diversità biologica delle Nazioni Unite (CBD). Fra le recenti iniziative della CBD vi è l'integrazione del tema della biodiversità nei negoziati sui cambiamenti climatici.
L'UE stanzia milioni di euro per gli aiuti esterni alla conservazione della biodiversità. Affronta inoltre la questione dei negoziati commerciali attraverso valutazioni di impatto sulla sostenibilità.
La valutazione degli ecosistemi del millennio
La valutazione degli ecosistemi è uno strumento che consente di valutare i diversi aspetti della salute degli ecosistemi e la fornitura dei beni e servizi ecosistemici che sono quelli resi dai 220mila proprietari del Paesaggio rurale del Salento leccese.
Nel 2000, le Nazioni Unite hanno lanciato un'iniziativa a livello planetario, la valutazione degli ecosistemi del millennio (Millennium Ecosystem Assessment). La relazione sulla valutazione, completata nel 2005, ha evidenziato che due terzi dei servizi ecosistemici della Terra sono in calo o a rischio. Nell'ambito del seguito dato alla valutazione degli ecosistemi del millennio, l'UE si è impegnata a preparare una valutazione per la regione europea. Una nuova valutazione su scala planetaria è prevista per il 2015.
Chiedo al Ministro Romano di pagare ai Proprietari del Paesaggio rurale del Salento leccese i servizi ecosistemici
In base ai calcoli dell' Agenzia europea dell'ambiente il valore complessivo dei servizi generali prodotti dalle zone umide, ad es. la purificazione dell'acqua e l'assorbimento del carbonio, potrebbe aggirarsi attorno ai 2,5 miliardi di euro l'anno.
Chiedo al Ministro Francesco Romano di ottenere che in Italia, quindi anche nel Salento leccese, si faccia ciò che già si fa in molti paesi del mondo dove vengono sviluppati programmi di pagamento per i servizi ecosistemici che sono essenziali per fornire compensi adeguati ai proprietari terrieri che tutelano i servizi ecosistemici utili per la società.
di Antonio Bruno, Direttore dell’Area Agraria del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
mercoledì 8 giugno 2011
Per reddito di 2,40 Euro al chilo cercasi foglie di vite del Salento leccese
Per reddito di 2,40 Euro al chilo cercasi foglie di vite del Salento leccese
Nel Salento leccese c’erano 60mila ettari di vigneto e ne rimangono appena 5mila. Con i contributi allo snellimento si è determinato l’abbandono di questa coltivazione che ha caratterizzato per secoli il bel Paesaggio agrario del nostro territorio.
Ieri a Bari grazie al Dott. Giuseppe Lamacchia i 220mila proprietari del Paesaggio rurale del Salento leccese soci del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” sono in condizioni di usufruire di un servizio fornito dall’Ufficio ICE di Bari e dall’Ufficio ICE di Riyadh a vantaggio dei produttori pugliesi di uva, che ha dato l’avvio alla creazione di un nuovo filone di esportazione ovvero quello delle foglie di vite.
Ma che cosa fanno in Arabia Saudita con le foglie di vite della Puglia?
Gli involtini in foglie di vite, sono uno dei più tipici antipasti greci amati in Bulgaria, Romania, Albania..., è tradizione di tanti paesi, ma ha origini ignote
Gli involtini preparati con le foglie di vite sono un piatto dell’est Europa. Si mangiano in Bulgaria, dove si chiamano “sarmi”, in Grecia dove il loro nome è dolmadakia, in Albania, Romania, Macedonia e nei paesi limitrofi. In questi paesi sono amatissimi tanto che vengono “spacciati” per piatto tradizionale in ognuno, ma quali siano le loro vere radici è difficile da stabilire.
Sono mangiate soprattutto nel periodo in cui sono disponibili le foglie di vite fresche, ma vengono messe sotto sale per poterli preparare anche di inverno. Guai, dunque, a essere sprovvisti di foglie di vite
Cosa contiene la foglia di vite
La foglia è la parte più utilizzata in medicina popolare:i principi attivi principali sono gli antociani, un tipo di flavonoidi, presenti in tutta la pianta, ma in quantità molto più elevata nelle foglie, con proprietà vasoattive e vasoprotettive.Essi danno alle foglie la tipica colorazione rossa, per cui le foglie di questa colorazione ne sono più ricche rispetto alle foglie di colore diverso. Gli estratti di foglie di vite rossa vengono pertanto usati in medicina fin dall’antichità per i disturbi della circolazione: insufficienza venosa degli arti inferiori, fragilità dei capillari, emorroidi e sensazione di gambe pesanti. Presenti anche tannini che ne rinforza e giustifica l’indicazione.
Che caratteristiche deve avere la foglia di vite da mettere in salamoia
Per capire farò lo stesso esempio che ha fatto il Dott. Giuseppe Lamacchia. Prendete un foglio A4 e mettete la vostra mano che rappresenta la foglia quindi le misure che la foglia deve possedere sono di un’altezza di 25 – 27 centimetri e di una larghezza di 20 – 21. La foglia è bene che sia palmata e non lobata ma soprattutto tenera e senza peluria nella pagina inferiore. Inutile precisare che queste foglie poiché usate per il consumo fresco o in salamoia non devono essere trattate con prodotti chimici.
Il valore del prodotto in Arabia Saudita
L’Arabia Saudita nel 2010 ha importato 9.235 t di foglie di vite in salamoia, per lo più da Stati Uniti e Turchia, per un valore di quasi 11 milioni di euro. Queste sono le importazioni di un solo Paese tra i 14 interessati al prodotto. Le foglie di vite sono ampiamente usate in tutte le cucine mediorientali e oltre a essere gradevoli al palato, sono dotate di interessanti proprietà nutritive.
In contenitori da 11 chili per la ristorazione o in barattoli per il consumo domestico
Le foglie di vite dopo essere state messe in salamoia sono commercializzate in contenitori da 11 chili per la ristorazione o in barattoli per il consumo domestico. Un contenitore contiene il 50% in peso di acqua e sale e il restante 50% di foglie.
In un recente incontro, svoltosi a gennaio 2011 presso l’Ufficio ICE di Bari, l’operatore saudita ha presentato una lusinghiera indagine di mercato svolta in Arabia Saudita, predisponendo un piano di affari che prevede l’importazione iniziale su base annua di almeno 400-500 t di foglie di vite in salamoia, al prezzo attuale di mercato che si aggira intorno a 1,2 euro al kg di foglie in salamoia corrispondenti a 2.40 euro al chilogrammo.
Da stime effettuate per raggiungere tale quantità ci vogliono le foglie di 40 ettari di vigneto. Quindi si stima che un ettaro di vigneto produca 5 tonnellate di foglie ovvero 50 quintali.
Il Consorzio di Bonifica “Ugento e li Foggi” è a disposizione per favorire questo prodotto
Se sei arrivato a leggere le mie parole sino a questo punto e sei interessato a produrre e vendere le tue foglie di vite chiama il Consorzio e chiedi dell’Assistenza Tecnica dell’Area Agraria dove ti verranno fornite tutte le informazioni.
Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” Area Agraria – Settore Assistenza Tecnica 0833 - 959249
di Antonio Bruno, Direttore dell’Area Agraria del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
Nel Salento leccese c’erano 60mila ettari di vigneto e ne rimangono appena 5mila. Con i contributi allo snellimento si è determinato l’abbandono di questa coltivazione che ha caratterizzato per secoli il bel Paesaggio agrario del nostro territorio.
Ieri a Bari grazie al Dott. Giuseppe Lamacchia i 220mila proprietari del Paesaggio rurale del Salento leccese soci del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” sono in condizioni di usufruire di un servizio fornito dall’Ufficio ICE di Bari e dall’Ufficio ICE di Riyadh a vantaggio dei produttori pugliesi di uva, che ha dato l’avvio alla creazione di un nuovo filone di esportazione ovvero quello delle foglie di vite.
Ma che cosa fanno in Arabia Saudita con le foglie di vite della Puglia?
Gli involtini in foglie di vite, sono uno dei più tipici antipasti greci amati in Bulgaria, Romania, Albania..., è tradizione di tanti paesi, ma ha origini ignote
Gli involtini preparati con le foglie di vite sono un piatto dell’est Europa. Si mangiano in Bulgaria, dove si chiamano “sarmi”, in Grecia dove il loro nome è dolmadakia, in Albania, Romania, Macedonia e nei paesi limitrofi. In questi paesi sono amatissimi tanto che vengono “spacciati” per piatto tradizionale in ognuno, ma quali siano le loro vere radici è difficile da stabilire.
Sono mangiate soprattutto nel periodo in cui sono disponibili le foglie di vite fresche, ma vengono messe sotto sale per poterli preparare anche di inverno. Guai, dunque, a essere sprovvisti di foglie di vite
Cosa contiene la foglia di vite
La foglia è la parte più utilizzata in medicina popolare:i principi attivi principali sono gli antociani, un tipo di flavonoidi, presenti in tutta la pianta, ma in quantità molto più elevata nelle foglie, con proprietà vasoattive e vasoprotettive.Essi danno alle foglie la tipica colorazione rossa, per cui le foglie di questa colorazione ne sono più ricche rispetto alle foglie di colore diverso. Gli estratti di foglie di vite rossa vengono pertanto usati in medicina fin dall’antichità per i disturbi della circolazione: insufficienza venosa degli arti inferiori, fragilità dei capillari, emorroidi e sensazione di gambe pesanti. Presenti anche tannini che ne rinforza e giustifica l’indicazione.
Che caratteristiche deve avere la foglia di vite da mettere in salamoia
Per capire farò lo stesso esempio che ha fatto il Dott. Giuseppe Lamacchia. Prendete un foglio A4 e mettete la vostra mano che rappresenta la foglia quindi le misure che la foglia deve possedere sono di un’altezza di 25 – 27 centimetri e di una larghezza di 20 – 21. La foglia è bene che sia palmata e non lobata ma soprattutto tenera e senza peluria nella pagina inferiore. Inutile precisare che queste foglie poiché usate per il consumo fresco o in salamoia non devono essere trattate con prodotti chimici.
Il valore del prodotto in Arabia Saudita
L’Arabia Saudita nel 2010 ha importato 9.235 t di foglie di vite in salamoia, per lo più da Stati Uniti e Turchia, per un valore di quasi 11 milioni di euro. Queste sono le importazioni di un solo Paese tra i 14 interessati al prodotto. Le foglie di vite sono ampiamente usate in tutte le cucine mediorientali e oltre a essere gradevoli al palato, sono dotate di interessanti proprietà nutritive.
In contenitori da 11 chili per la ristorazione o in barattoli per il consumo domestico
Le foglie di vite dopo essere state messe in salamoia sono commercializzate in contenitori da 11 chili per la ristorazione o in barattoli per il consumo domestico. Un contenitore contiene il 50% in peso di acqua e sale e il restante 50% di foglie.
In un recente incontro, svoltosi a gennaio 2011 presso l’Ufficio ICE di Bari, l’operatore saudita ha presentato una lusinghiera indagine di mercato svolta in Arabia Saudita, predisponendo un piano di affari che prevede l’importazione iniziale su base annua di almeno 400-500 t di foglie di vite in salamoia, al prezzo attuale di mercato che si aggira intorno a 1,2 euro al kg di foglie in salamoia corrispondenti a 2.40 euro al chilogrammo.
Da stime effettuate per raggiungere tale quantità ci vogliono le foglie di 40 ettari di vigneto. Quindi si stima che un ettaro di vigneto produca 5 tonnellate di foglie ovvero 50 quintali.
Il Consorzio di Bonifica “Ugento e li Foggi” è a disposizione per favorire questo prodotto
Se sei arrivato a leggere le mie parole sino a questo punto e sei interessato a produrre e vendere le tue foglie di vite chiama il Consorzio e chiedi dell’Assistenza Tecnica dell’Area Agraria dove ti verranno fornite tutte le informazioni.
Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi” Area Agraria – Settore Assistenza Tecnica 0833 - 959249
di Antonio Bruno, Direttore dell’Area Agraria del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
Documento finale del Convegno Internazionale “i 100 laghi del Salento leccese”
Comitato di Azione per il Paesaggio ( C.A.P. )
Palazzo dei Principi Gallone
Piazza Pisanelli
Tricase (Lecce)
Documento finale del Convegno Internazionale “i 100 laghi del Salento leccese”
Considerato
1. che in Puglia sono 617 le cave - attive: 212 a Bari, 121 a Foggia, 54 a Brindisi, 126 a Lecce e 73 a Taranto e che l’attività estrattiva riveste una notevole importanza sia sotto il profilo economico che ambientale; in particolare la Puglia risulta essere al terzo posto in Italia per volume di materiale estratto.
2. che il numero delle cave risulta distribuito più o meno uniformemente nelle cinque province.
3. che se da una parte l’attività estrattiva risulta essere un importante fattore per l’economia della Regione (legata soprattutto all’imprescindibile necessità di reperimento di materiale per l’edilizia) dall’altra, causa il ritardo con cui la normativa è intervenuta a regolamentarla ha spesso indotto un notevole impatto sul territorio modificando in modo anche irreversibile la morfologia, l’idrografia, e in definitiva il suo ecosistema.
4. che il tema della tutela ambientale nei territori in cui viene estratta la pietra e più in generale il tema del recupero di vaste aree degradate acquista per la regione pugliese una rilevanza indiscutibile soprattutto in un contesto territoriale in cui la questione degrado legato alle attività estrattive - in continua trasformazione e espansione - e la necessità di un recupero consono alle esigenze umane e ambientali, divengono sempre più urgenti.
5. che è necessario ridefinire l’orizzonte culturale che consenta la reimmissione delle cave nel circuito degli usi collettivi anche dopo la fine delle attività, fornendo la possibilità di reinventare il paesaggio antropico e la sua relazione con il paesaggio naturale.
Preso atto
1. che riciclare l'acqua reflua urbana ed utilizzarla in agricoltura contribuisce ad alleviare i problemi legati alla scarsità dell'acqua e a ridurne l'inquinamento, e che tale pratica non è attualmente diffusa quanto dovrebbe, secondo un recente rapporto della FAO.
2. che l'utilizzo in agricoltura delle acque reflue trattate risulta esser praticato in circa 50 paesi, per una superficie complessiva pari al 10% di tutte le terre irrigate, così come si può leggere nel rapporto "La ricchezza dei rifiuti: l'economia dell'utilizzo delle acque reflue in agricoltura", pubblicato nella Settimana Mondiale dell'Acqua (Stoccolma, 5-11 settembre 2010).
3. che tra i sistemi in grado di offrire un immediato contributo alla soluzione del problema acqua (spreco, scarsità, crescenti costi dell'approvvigionamento) vi sono quelli basati sul recupero e riciclaggio delle acque piovane (o acque meteoriche).
./.
Il Comitato di Azione per il Paesaggio
costituitosi a Tricase in data 03/02/ a seguito del Convegno “ I 100 Laghi del Salento Leccese “
propone
che i Consorzi di Bonifica della Puglia procedano alla progettazione e alla esecuzione dei lavori per la reimmissione delle cave nel circuito degli usi collettivi dopo la fine delle attività trasformandole in specchi d’acqua.
Per raggiungere tale fine si utilizzeranno le acque di prima pioggia trattate, quelle di seconda pioggia e i reflui depurati e resi batteriologicamente puri attraverso opportune tecniche “ naturali “ , quali la fitodepurazione.
Inoltre il comitato propone che tali specchi d’acqua abbiano la funzione di invasi naturali di accumulo della risorsa idrica da destinare al riuso in agricoltura, nell’industria e per gli usi domestici nonché alla fruizione per il tempo libero dopo opportuna risistemazione paesaggistica degli spazi circostanti .
IL COORDINATORE
(Giulio Sparascio)
Bibliografia :
-ALESSANDRO REINA - Politecnico di Bari, La Regione Puglia è tra le prime in Italia per attività del recupero estrattivo
-Rapporto di Legambiente sulla gestione dell’attività estrattiva nel territorio italiano
-Atti del Convegno “i 100 laghi del Salento leccese” , Tricase 03/02/2011
CONVEGNO INTERNAZIONALE: I CENTO LAGHI DEL SALENTO LECCESE
CONVEGNO INTERNAZIONALE: I CENTO LAGHI DEL SALENTO LECCESE
SALA DEL TRONO DI PALAZZO GALLONE
TRICASE 3-06-2011
Si è svolto Venerdì 03-06-2011, presso la Sala del Trono di Palazzo Gallone a Tricase il convegno internazionale: “I cento laghi del Salento leccese” organizzato dal Consorzio di Bonifica di Ugento e Li Foggi e il Centro Internazionale di Cooperazione Culturale (C.I.C.C.).
Il Convegno di Tricase ha visto la partecipazione di diversi specialisti del settore agrario e ingegneristico, di rappresentanti di enti provinciali e regionali e di ospiti internazionali, rappresentando un’importante tappa del cammino che il CICC intende condurre, con quanti saranno disposti ad affiancarlo, verso il Forum Mondiale di Marsiglia nel Marzo 2012.
Il convegno, che ha visto come chairman il Prof. Luigi de Bellis, Università del Salento, è stato aperto dai saluti del Sindaco di Tricase Antonio Musarò, ai quali sono seguiti quelli del Presidente Provinciale della CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) Giulio Sparascio.
IL Sig. Giulio Sparascio ha voluto focalizzare l’attenzione sulla necessità di uno sviluppo sostenibile in Salento, attraverso la realizzazione di programmi di crescita coerenti con le linee guida definite dai programmi internazionali europei. In questa direzione, l’attivazione di impianti di depurazione dell’acqua potrebbe essere un primo passo verso l’affermazione di politiche di tutela capaci di salvaguardare le risorse idriche salentine. La Dr.ssa Anna Chiumeo, Direttore Generale Unione Regionale Bonifiche Puglia, ha parlato di una falda acquifera salentina estremamente stressata e ha accolto con grande entusiasmo l’invito a partecipare al progetto dei 100 laghi. Le cave salentine sono come delle ferite che devono essere risanate attraverso il recupero delle acque reflue e piovane. Questi “ laghi” potrebbero inoltre essere aree d’ “attrazione”, delle oasi tematiche in grado di rilanciare il paesaggio salentino. La Dr.ssa Chiumeo ha concluso il suo intervento parlando di “società automa” che ha perso la sua umanità e che necessita di ridare valore al suolo per poter ritrovare le proprie radici sociali e umane. Il Dr. Antonio Lia, Presidente del GAL Capo di Leuca, ha mosso non poche critiche verso la non curanza e la non partecipazione della Regione Puglia, dell’Assessorato ai lavori pubblici e di tutte quelle figure che dovrebbero, invece, essere principali interlocutori di un evento simile. Il Dr. Lia ha parlato di un progetto presentato e bocciato dalla Regione Puglia, destinato al recupero delle acque piovane nella località di Specchia attraverso degli invasi ricavati su un terreno di sei ettari altrimenti inutilizzato. Il Dr. Lia ha concluso facendo riferimento ai moltissimi fiumi sotterranei, presenti in Salento, che sfociano in mare, fiumi di acque pure e dolci e dunque potabili, tenuti nascosti da un’economia viziata che “spende e spreca”. Ha concluso questa prima parte della Conferenza il Dr. Giulio Cesare Giordano, Presidente del CICCS ( Centro Internazionale di Cooperazione Culturale e Scientifica) il quale ha richiamato l’attenzione dell’utenza non solo sul ruolo degli impianti di purificazione, quanto piuttosto sulla necessità di intervenire attraverso la tecnica della Fito-depurazione, unico processo in grado di eliminare i batteri dalle acque depurate e utilizzate in agricoltura.
Il primo intervento specialistico è stato quello del Dr. Nicola Negro il quale sulla base della direttiva europea sul trattamento delle acque usate urbane (91/271/EEC), l’art.12 e il regolamento nazionale italiano ai sensi del D. Lgs 152/06 ha parlato di un progetto di ricerca, realizzato dal dottore stesso in collaborazione con la Regione Emilia Romagna, sulle componenti chimiche e batteriologiche presenti nell’acqua. Il secondo intervento è stato quello dell’ospite israeliano, il Prof. Iko Avital, Università di Beer Sheva, il quale ha fornito un quadro generale sulle tecniche di irrigazione, riutilizzo e sanificazione delle acque reflue e piovane in Israele. Le risorse idriche presenti in Israele sono quelle del Fiume Giordano, il quale nutre non solo il territorio israeliano, ma anche quello delle vicine Siria, Giordania, Palestina; e quelle del Mar Morto, la cui elevata salinità ne limita l’utilizzo solo per scopi termali. Essendo Israele un’area territoriale mista che vede un Nord molto piovoso e un Sud arido e desertico, la politica israeliana ha dovuto avviare una serie di azioni finalizzate a trasferire l’acqua da Nord a Sud (Injection system), a conservare e depurare l’acqua attraverso la costruzione di invasi, sistemi di irrigazione all’avanguardia basati sul sistema “a goccia” ( Drip Irrigation) e l’installazione di impianti di depurazione e desalinizzazione.
Il terzo intervento è stato quello dell’ospite palestinese Nael T. H. Ali Ahmad, Autorità palestinese per l’acqua, il quale ha descritto la drammatica situazione della popolazione palestinese per quanto concerne l’accesso e l’uso dell’acqua. La Palestina, infatti, compra l’acqua da Israele e nessun intervento di manutenzione o installazione impianti è possibile senza l’autorizzazione del Governo israeliano. Il PWA lavora costantemente per la realizzazione di Master Plan finalizzati all’installazione di impianti di depurazione e distribuzione dell’acqua in Palestina e si ritrova a dover affrontare numerose difficoltà burocratiche, tecniche, pratiche. Un esempio potrebbe essere l’elevato valore del BOD che si concentra in piccole quantità di acqua e il cui trattamento di diventa cosi estremamente complicato. Sono presenti nel territorio fiumi di acqua depurata (es. El Bireh) che nel loro tragitto si mixano ad altre acque di torrenti filtrate con filtri di sabbia. Quest’acqua viene utilizzata per l’agricoltura ed anche come acqua potabile pur non essendo adeguatamente depurata per nessuna di queste finalità, ma la popolazione non ha altre risorse e in alcuni casi è costretta anche a utilizzare l’acqua di scarico delle fogne.
Un ultimo intervento prima delle pausa pranzo è stato quello del giornalista Mario Barbarisi, Alto Calore Irpino Avellino, il quale ha parlato appunto di questo grande bacino idrografico (il più grande in Italia) che fornisce acqua a gran parte dell’area partenopea e dell’impianto di depurazione a fanghi attivi presente nel territorio dell’Irpinia, il cui progetto è stato realizzato prima del terremoto del 1980.
Nel pomeriggio si è tenuto un focus, che ha visto come coordinatore il Dr. Giulio Cesare Giordano, durante il quale sono stati identificati i temi della piattaforma programmatica da presentare al Forum di Marsiglia l’anno prossimo. Sono stati riconosciuti come obiettivi primari del progetto il riutilizzo delle acque reflue e piovane, il recupero del paesaggio inteso come simbolo dell’identità salentina, la fruibilità di questi specchi d’acqua e la multimedialità della comunicazione per poter informare quante più persone possibili. Tutte le parti hanno dichiarato l’intenzione di voler partecipare attivamente alla realizzazione del progetto, ognuna per il settore di competenza.
Il convegno internazionale: I cento laghi del Salento leccese si è concluso con la istituzione del Comitato di Azione per il Paesaggio (C.A.P.)che ha eletto all’unanimità come coordinatore il Sig. Giulio Sparascio.
SALA DEL TRONO DI PALAZZO GALLONE
TRICASE 3-06-2011
Si è svolto Venerdì 03-06-2011, presso la Sala del Trono di Palazzo Gallone a Tricase il convegno internazionale: “I cento laghi del Salento leccese” organizzato dal Consorzio di Bonifica di Ugento e Li Foggi e il Centro Internazionale di Cooperazione Culturale (C.I.C.C.).
Il Convegno di Tricase ha visto la partecipazione di diversi specialisti del settore agrario e ingegneristico, di rappresentanti di enti provinciali e regionali e di ospiti internazionali, rappresentando un’importante tappa del cammino che il CICC intende condurre, con quanti saranno disposti ad affiancarlo, verso il Forum Mondiale di Marsiglia nel Marzo 2012.
Il convegno, che ha visto come chairman il Prof. Luigi de Bellis, Università del Salento, è stato aperto dai saluti del Sindaco di Tricase Antonio Musarò, ai quali sono seguiti quelli del Presidente Provinciale della CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) Giulio Sparascio.
IL Sig. Giulio Sparascio ha voluto focalizzare l’attenzione sulla necessità di uno sviluppo sostenibile in Salento, attraverso la realizzazione di programmi di crescita coerenti con le linee guida definite dai programmi internazionali europei. In questa direzione, l’attivazione di impianti di depurazione dell’acqua potrebbe essere un primo passo verso l’affermazione di politiche di tutela capaci di salvaguardare le risorse idriche salentine. La Dr.ssa Anna Chiumeo, Direttore Generale Unione Regionale Bonifiche Puglia, ha parlato di una falda acquifera salentina estremamente stressata e ha accolto con grande entusiasmo l’invito a partecipare al progetto dei 100 laghi. Le cave salentine sono come delle ferite che devono essere risanate attraverso il recupero delle acque reflue e piovane. Questi “ laghi” potrebbero inoltre essere aree d’ “attrazione”, delle oasi tematiche in grado di rilanciare il paesaggio salentino. La Dr.ssa Chiumeo ha concluso il suo intervento parlando di “società automa” che ha perso la sua umanità e che necessita di ridare valore al suolo per poter ritrovare le proprie radici sociali e umane. Il Dr. Antonio Lia, Presidente del GAL Capo di Leuca, ha mosso non poche critiche verso la non curanza e la non partecipazione della Regione Puglia, dell’Assessorato ai lavori pubblici e di tutte quelle figure che dovrebbero, invece, essere principali interlocutori di un evento simile. Il Dr. Lia ha parlato di un progetto presentato e bocciato dalla Regione Puglia, destinato al recupero delle acque piovane nella località di Specchia attraverso degli invasi ricavati su un terreno di sei ettari altrimenti inutilizzato. Il Dr. Lia ha concluso facendo riferimento ai moltissimi fiumi sotterranei, presenti in Salento, che sfociano in mare, fiumi di acque pure e dolci e dunque potabili, tenuti nascosti da un’economia viziata che “spende e spreca”. Ha concluso questa prima parte della Conferenza il Dr. Giulio Cesare Giordano, Presidente del CICCS ( Centro Internazionale di Cooperazione Culturale e Scientifica) il quale ha richiamato l’attenzione dell’utenza non solo sul ruolo degli impianti di purificazione, quanto piuttosto sulla necessità di intervenire attraverso la tecnica della Fito-depurazione, unico processo in grado di eliminare i batteri dalle acque depurate e utilizzate in agricoltura.
Il primo intervento specialistico è stato quello del Dr. Nicola Negro il quale sulla base della direttiva europea sul trattamento delle acque usate urbane (91/271/EEC), l’art.12 e il regolamento nazionale italiano ai sensi del D. Lgs 152/06 ha parlato di un progetto di ricerca, realizzato dal dottore stesso in collaborazione con la Regione Emilia Romagna, sulle componenti chimiche e batteriologiche presenti nell’acqua. Il secondo intervento è stato quello dell’ospite israeliano, il Prof. Iko Avital, Università di Beer Sheva, il quale ha fornito un quadro generale sulle tecniche di irrigazione, riutilizzo e sanificazione delle acque reflue e piovane in Israele. Le risorse idriche presenti in Israele sono quelle del Fiume Giordano, il quale nutre non solo il territorio israeliano, ma anche quello delle vicine Siria, Giordania, Palestina; e quelle del Mar Morto, la cui elevata salinità ne limita l’utilizzo solo per scopi termali. Essendo Israele un’area territoriale mista che vede un Nord molto piovoso e un Sud arido e desertico, la politica israeliana ha dovuto avviare una serie di azioni finalizzate a trasferire l’acqua da Nord a Sud (Injection system), a conservare e depurare l’acqua attraverso la costruzione di invasi, sistemi di irrigazione all’avanguardia basati sul sistema “a goccia” ( Drip Irrigation) e l’installazione di impianti di depurazione e desalinizzazione.
Il terzo intervento è stato quello dell’ospite palestinese Nael T. H. Ali Ahmad, Autorità palestinese per l’acqua, il quale ha descritto la drammatica situazione della popolazione palestinese per quanto concerne l’accesso e l’uso dell’acqua. La Palestina, infatti, compra l’acqua da Israele e nessun intervento di manutenzione o installazione impianti è possibile senza l’autorizzazione del Governo israeliano. Il PWA lavora costantemente per la realizzazione di Master Plan finalizzati all’installazione di impianti di depurazione e distribuzione dell’acqua in Palestina e si ritrova a dover affrontare numerose difficoltà burocratiche, tecniche, pratiche. Un esempio potrebbe essere l’elevato valore del BOD che si concentra in piccole quantità di acqua e il cui trattamento di diventa cosi estremamente complicato. Sono presenti nel territorio fiumi di acqua depurata (es. El Bireh) che nel loro tragitto si mixano ad altre acque di torrenti filtrate con filtri di sabbia. Quest’acqua viene utilizzata per l’agricoltura ed anche come acqua potabile pur non essendo adeguatamente depurata per nessuna di queste finalità, ma la popolazione non ha altre risorse e in alcuni casi è costretta anche a utilizzare l’acqua di scarico delle fogne.
Un ultimo intervento prima delle pausa pranzo è stato quello del giornalista Mario Barbarisi, Alto Calore Irpino Avellino, il quale ha parlato appunto di questo grande bacino idrografico (il più grande in Italia) che fornisce acqua a gran parte dell’area partenopea e dell’impianto di depurazione a fanghi attivi presente nel territorio dell’Irpinia, il cui progetto è stato realizzato prima del terremoto del 1980.
Nel pomeriggio si è tenuto un focus, che ha visto come coordinatore il Dr. Giulio Cesare Giordano, durante il quale sono stati identificati i temi della piattaforma programmatica da presentare al Forum di Marsiglia l’anno prossimo. Sono stati riconosciuti come obiettivi primari del progetto il riutilizzo delle acque reflue e piovane, il recupero del paesaggio inteso come simbolo dell’identità salentina, la fruibilità di questi specchi d’acqua e la multimedialità della comunicazione per poter informare quante più persone possibili. Tutte le parti hanno dichiarato l’intenzione di voler partecipare attivamente alla realizzazione del progetto, ognuna per il settore di competenza.
Il convegno internazionale: I cento laghi del Salento leccese si è concluso con la istituzione del Comitato di Azione per il Paesaggio (C.A.P.)che ha eletto all’unanimità come coordinatore il Sig. Giulio Sparascio.
martedì 7 giugno 2011
Il lago di Lecce: come gestire l’acqua della città
Il lago di Lecce: come gestire l’acqua della città
I reflui depurati della città di Lecce verso a San Cataldo
A Lecce percorrendo la Strada Statale Lecce – San Cataldo dopo lo stadio tutti sappiamo che c’è l’impianto di depurazione di Ciccio Prete.
Parallelo alla strada provinciale Lecce - San Cataldo corre il collettore per lo scarico a mare delle acque che sono state depurate a Ciccio Prete, con accanto il canale di deflusso delle acque meteoriche della Città di Lecce .
Il tratto finale dei due canali paralleli sfocia a mare a San Cataldo di Vernole, in località San Giovanni.
Per smaltire i reflui depurati a Ciccio Prete la Città di Lecce ha realizzato negli anni tra il 2000 ed il 2002 - con fondi comunitari - una condotta sottomarina, con relativi impianti di pompaggio e spinta, per spingere i liquami a chilometri 2,700 dalla costa.
Con parte dello stesso finanziamento, si è realizzata la copertura dei canali collettori che da Cicco Prete portano le acque a San Cataldo, sino a San Giovanni di Vernole, posizionandovi sopra una soletta in cemento destinata a pista ciclabile.
I reflui depurati verso l’impianto di fitodepurazione “Càcari”
Negli anni 2004 – 2006 la Città di Lecce ha realizzato, col residuo del finanziamento comunitario, una nuova condotta ed un impianto di spinta per convogliare dal collettore principale, in apposita derivazione, una parte dei reflui provenienti da Ciccio Prete in località “Càcari” in territorio di Vernole, a ridosso de “Le Cesine” dove è stato costruito un ulteriore impianto di depurazione - a ridosso della struttura ricettiva “Santi Cuti” e dell’impianto sportivo “Acaya Golf Club” - per l’affinamento di una parte di quegli stessi reflui col sistema di fitodepurazione, rimanendo invariato il recapito finale della maggior parte dei reflui, canalizzati e spinti in mare, sott’acqua, a distanza dalla costa.
Quando c’è la pioggia torrenziale nel mare di San Cataldo materiale scuro
Ma nonostante tutto questo in caso di piogge torrenziali si verificano sversamenti in mare di liquami che presentano in sospensione materiale scuro, che determina grande preoccupazione
Ma cos’è questo materiale scuro?
Sul Giornale "Il nuovo Quotidiano" di Giovedì, 26 maggio 2011 si afferma che seppure il sistema di depurazione della Città di Lecce funziona regolarmente in caso di piogge abbondanti la condotta delle acque bianche (che come abbiamo visto corre parallela a quella del depuratore) trabocca.
Sempre secondo questo articolo il flusso della condotta delle acque bianche crea un vortice all'uscita della galleria sollevando la sabbia e le alghe dal fondo marino che determina il colore scuro dell'acqua.
Il riuso per l’irrigazione delle acque reflue della Città di Lecce
In questi mesi si è discusso a Bari e a Lecce di questo problema e si sta procedendo ad attivare l’affinamento delle acque reflue della città di Lecce per il riuso
In primo luogo queste acque saranno utilizzate per l’irrigazione dei 2mila ettari dell’Impianto irriguo “IDUME” gestito dal Consorzio di Bonifica “Ugento e li Foggi”
Ma quanta acqua sarà destinata all’agricoltura?
Se tutti i coltivatori irrigheranno nei mesi di giugno luglio e agosto si consumeranno 600mila metri cubi al mese.
Ma quanta acqua produce l’impianto di Ciccio Prete?
I tecnici dell’acquedotto pugliese sostengono che si producono 250 litri al secondo di acqua che corrispondono a 648mila metri cubi al mese
Il bilancio idrico
IL bilancio idrico e' utilizzato nella programmazione e gestione delle risorse idriche per scopi irrigui. Consiste nella differenza della riserva idrica dell'impianto di irrigazione misurando le voci in entrata (apporti idrici al netto delle perdite) e quelle in uscita per l'irrigazione. C’è la produzione di 600mila metri cubi di acqua e il consumo di 648mila metri cubi di acqua.
Con un deficit di 48mila metri cubi che può essere coperto dagli apporti della sorgente Idume.
C’è bisogno di fornire l’acqua gratis ai proprietari del Paesaggio Agrario di Lecce
Insomma se si attua una politica di incentivazione (dando l’acqua gratis) allo scopo di vincere le resistenze degli agricoltori ad utilizzare i reflui, tutto il refluo depurato e affinato della Città di Lecce sarà utilizzato per l’agricoltura
In estate a San Cataldo di Lecce non ci sarà più nemmeno una goccia di refluo in mare!
E l’acqua prodotta nei 9 mesi restanti perché deve andare buttata a mare?
Perché buttare a mare quasi 6 milioni di metri cubi di acqua che può essere riusata?
Il lago Alimini Grande
Nel Salento leccese nei pressi della città di Otranto c’è il lago Alimini Grande che presenta un asse maggiore di 2860m ed un asse minore di 1540m alla linea di foce; in condizioni medie di marea il lago risulta avere un perimetro di 9530m, con un indice di sinuosità pari a 2.293, ed un'area di 137.5 ettari.
Il Lago di Lecce
I sei milioni di metri cubi di acqua che si producono in autunno, inverno e primavera possono essere la risorsa che creerebbe un lago. Il Lago di Lecce avrebbe le stesse dimensioni del Lago Alimini Grande e nemmeno una goccia d’acqua finirebbe in mare
Tutto il mondo saprebbe che le marine della Città d’Arte del Barocco sono l’ambiente naturale incontaminato nel quale fare il bagno stando in acqua per tutta l’estate
di Antonio Bruno, Direttore dell’Area Agraria del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
I reflui depurati della città di Lecce verso a San Cataldo
A Lecce percorrendo la Strada Statale Lecce – San Cataldo dopo lo stadio tutti sappiamo che c’è l’impianto di depurazione di Ciccio Prete.
Parallelo alla strada provinciale Lecce - San Cataldo corre il collettore per lo scarico a mare delle acque che sono state depurate a Ciccio Prete, con accanto il canale di deflusso delle acque meteoriche della Città di Lecce .
Il tratto finale dei due canali paralleli sfocia a mare a San Cataldo di Vernole, in località San Giovanni.
Per smaltire i reflui depurati a Ciccio Prete la Città di Lecce ha realizzato negli anni tra il 2000 ed il 2002 - con fondi comunitari - una condotta sottomarina, con relativi impianti di pompaggio e spinta, per spingere i liquami a chilometri 2,700 dalla costa.
Con parte dello stesso finanziamento, si è realizzata la copertura dei canali collettori che da Cicco Prete portano le acque a San Cataldo, sino a San Giovanni di Vernole, posizionandovi sopra una soletta in cemento destinata a pista ciclabile.
I reflui depurati verso l’impianto di fitodepurazione “Càcari”
Negli anni 2004 – 2006 la Città di Lecce ha realizzato, col residuo del finanziamento comunitario, una nuova condotta ed un impianto di spinta per convogliare dal collettore principale, in apposita derivazione, una parte dei reflui provenienti da Ciccio Prete in località “Càcari” in territorio di Vernole, a ridosso de “Le Cesine” dove è stato costruito un ulteriore impianto di depurazione - a ridosso della struttura ricettiva “Santi Cuti” e dell’impianto sportivo “Acaya Golf Club” - per l’affinamento di una parte di quegli stessi reflui col sistema di fitodepurazione, rimanendo invariato il recapito finale della maggior parte dei reflui, canalizzati e spinti in mare, sott’acqua, a distanza dalla costa.
Quando c’è la pioggia torrenziale nel mare di San Cataldo materiale scuro
Ma nonostante tutto questo in caso di piogge torrenziali si verificano sversamenti in mare di liquami che presentano in sospensione materiale scuro, che determina grande preoccupazione
Ma cos’è questo materiale scuro?
Sul Giornale "Il nuovo Quotidiano" di Giovedì, 26 maggio 2011 si afferma che seppure il sistema di depurazione della Città di Lecce funziona regolarmente in caso di piogge abbondanti la condotta delle acque bianche (che come abbiamo visto corre parallela a quella del depuratore) trabocca.
Sempre secondo questo articolo il flusso della condotta delle acque bianche crea un vortice all'uscita della galleria sollevando la sabbia e le alghe dal fondo marino che determina il colore scuro dell'acqua.
Il riuso per l’irrigazione delle acque reflue della Città di Lecce
In questi mesi si è discusso a Bari e a Lecce di questo problema e si sta procedendo ad attivare l’affinamento delle acque reflue della città di Lecce per il riuso
In primo luogo queste acque saranno utilizzate per l’irrigazione dei 2mila ettari dell’Impianto irriguo “IDUME” gestito dal Consorzio di Bonifica “Ugento e li Foggi”
Ma quanta acqua sarà destinata all’agricoltura?
Se tutti i coltivatori irrigheranno nei mesi di giugno luglio e agosto si consumeranno 600mila metri cubi al mese.
Ma quanta acqua produce l’impianto di Ciccio Prete?
I tecnici dell’acquedotto pugliese sostengono che si producono 250 litri al secondo di acqua che corrispondono a 648mila metri cubi al mese
Il bilancio idrico
IL bilancio idrico e' utilizzato nella programmazione e gestione delle risorse idriche per scopi irrigui. Consiste nella differenza della riserva idrica dell'impianto di irrigazione misurando le voci in entrata (apporti idrici al netto delle perdite) e quelle in uscita per l'irrigazione. C’è la produzione di 600mila metri cubi di acqua e il consumo di 648mila metri cubi di acqua.
Con un deficit di 48mila metri cubi che può essere coperto dagli apporti della sorgente Idume.
C’è bisogno di fornire l’acqua gratis ai proprietari del Paesaggio Agrario di Lecce
Insomma se si attua una politica di incentivazione (dando l’acqua gratis) allo scopo di vincere le resistenze degli agricoltori ad utilizzare i reflui, tutto il refluo depurato e affinato della Città di Lecce sarà utilizzato per l’agricoltura
In estate a San Cataldo di Lecce non ci sarà più nemmeno una goccia di refluo in mare!
E l’acqua prodotta nei 9 mesi restanti perché deve andare buttata a mare?
Perché buttare a mare quasi 6 milioni di metri cubi di acqua che può essere riusata?
Il lago Alimini Grande
Nel Salento leccese nei pressi della città di Otranto c’è il lago Alimini Grande che presenta un asse maggiore di 2860m ed un asse minore di 1540m alla linea di foce; in condizioni medie di marea il lago risulta avere un perimetro di 9530m, con un indice di sinuosità pari a 2.293, ed un'area di 137.5 ettari.
Il Lago di Lecce
I sei milioni di metri cubi di acqua che si producono in autunno, inverno e primavera possono essere la risorsa che creerebbe un lago. Il Lago di Lecce avrebbe le stesse dimensioni del Lago Alimini Grande e nemmeno una goccia d’acqua finirebbe in mare
Tutto il mondo saprebbe che le marine della Città d’Arte del Barocco sono l’ambiente naturale incontaminato nel quale fare il bagno stando in acqua per tutta l’estate
di Antonio Bruno, Direttore dell’Area Agraria del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
lunedì 6 giugno 2011
Riporto una nota scritta nel 1979 che mi è sembrata di grande attualità
Riporto una nota scritta nel 1979 che mi è sembrata di grande attualità
L'agricoltura non basta
Sembra proprio che i meridionali debbano decidersi a tornare agli agresti costumi di un tempo. Da ogni parte si moltiplicano i consigli, tra infastiditi e perentori, che suggeriscono a chi è rimasto sotto il Garigliano di abbandonare i "miti" (anzi, la "sottocultura") dell'industrializzazione, e di guardare invece alle più antiche e autentiche risorse dell'agricoltura e del paesaggio mediterraneo come fonti di reddito. Anche nel tono di questi discorsi si registra un marcato mutamento: e alle dichiarazioni di chi si richiama ancora e sempre al migliore interesse dei meridionali si intreccia l'insofferenza di chi apertamente si dice stufo di pagare per questo Mezzogiorno, che costa così caro e che dà così poche soddisfazioni.
Chi, contro le "cattedrali nel deserto", esalta il Mezzogiorno agrario e le sue risorse ancora inutilizzate di espansione turistica, può certo contare sul favore delle mode ecologiche correnti, che sembrano aver fornito addirittura il modello di certe invettive contro i grandi impianti, gli inquinamenti, la distruzione di colture pregiate che avrebbero trasformato le più belle regioni meridionali in una conurbazione di Manchester o di Sheffield novecentesche. Ma chi non ha dimenticato che cos'era il Mezzogiorno agricolo e turistico da cui è partita la battaglia meridionalistica ha il diritto di chiedere precisazioni e chiarimenti.
Davvero riteniamo che l'agricoltura meridionale, sulla quale grava ancora una percentuale di addetti pari al 28,1 per cento della popolazione attiva (in confronto al 15,5 per cento della media italiana; al 10,8 della Francia; al 7,1 della Germania; e al 2,7 della Gran Bretagna), possa produrre reddito in misura adeguata ai bisogni di una popolazione che tuttora raggiunge il 34,3 per cento della popolazione italiana?
Non si dimentichi che i prodotti tipici dell'agricoltura meridionale incontrano una concorrenza crescente da parte dei nuovi membri mediterranei della Comunità europea. Certo, vi è spazio per una riconversione strutturale che sviluppi anche nel Mezzogiorno quelle produzioni agricole di base, dalla moderna cerealicoltura alla zootecnia, che godono oggi di più favorevoli condizioni di mercato e di maggiori sostegni della Comunità europea: ma prima di affidare a queste speranze tutto l'avvenire delle nostre regioni si facciano valutazioni più concrete e realistiche, che tengano conto insieme delle difficoltà che l'agricoltura incontra in tutti i Paesi avanzati e di quelle specifiche di territori così gravemente sfavoriti, nonostante tutti gli sforzi, in confronto alle ricche pianure dell'Europa continentale. Anche i disegni di chi prospetta sviluppi finora trascurati dell'industria piccola e media, dovrebbero confrontarsi con le realtà della concorrenza che i paesi del Terzo Mondo esercitano su settori come quelli tessili e alimentari, e che hanno costretto anche i maggiori Paesi industriali a difficili processi di conversione.
E' troppo facile attribuire la scelta delle industrie di base ad alta intensità di capitale ai soli capricci politici e all'affarismo di gruppi corrotti e di corruttori. Chi e quanti siano costoro accerti la Magistratura, e provveda a termini di legge. Ma si vada cauti a credere che sarebbe bastato volere la piccola e media industria per farla sorgere dove non è sorta nonostante gli incentivi, i crediti agevolati, ecc. Di solito, si vede in questo la riprova della incapacità dei meridionali a inserirsi in una seria politica dello sviluppo, per mancanza di spirito imprenditoriale, di "cultura industriale", ecc. Ma sta di fatto che nel Sud hanno scarseggiato non solo gli imprenditori meridionali ma anche i settentrionali: anch'essi respinti dalle difficoltà che inducono Zappulli alla pessimistica conclusione che "il Sud non si sviluppa perchè non è sviluppato". E' proprio questo il circolo che il meridionalismo classico ha cercato di spezzare: e se non si può certo gridare al trionfo delle sue indicazioni, è almeno altrettanto vano sperare che l'industria si trasferisca "naturalmente" nel Mezzogiorno, quando piacerà alle leggi dell'economia di mercato di stabilire che l'ora è finalmente venuta.
Quest'ora fu attesa per qualche secolo, prima che si iniziasse 1'intervento straordinario: e credere che possa suonare spontaneamente adesso, in tempi di così grave difficoltà Per tutti i Paesi industrializzati, sarebbe davvero troppo ingenuo. Quando si fanno questi discorsi si richiamano i "tempi lunghi" di Einaudi: ma a me vengono in mente piuttosto le battaglie liberiste per le industrie "naturali", che dovevano trovare nel Paese la materia prima, e che erano considerate solo legittime in un Paese come il nostro. A questa stregua è da dubitare che in Italia sarebbe sopravvissuta la stessa industria della seta, che già nella seconda metà del secolo lavorava in gran parte materie importate.
Tutto questo dovrebbe solo indurre a maggiore cautela prima di accogliere demolizioni senza appello di ciò che nel Mezzogiorno si è fatto durante trent'anni. Ma dietro le demolizioni par di cogliere qualcosa che potrebbe essere assai grave.
I ceti produttivi del Nord, imprenditori e operai, manifestano una crescente insofferenza dei sacrifici richiesti per il Mezzogiorno. Che questi sacrifici non siano stati ampiamente compensati da vantaggi di ritorno per il Nord sarebbe da discutere, come sarebbero da discutere i raffronti con la spesa sostenuta nel primo conflitto mondiale, che, dilatata su un periodo otto volte più lungo e riferita a un reddito nazionale cresciuto di quasi dieci volte in termini reali, perde molto della sua drammaticità. Ma si comprende che in tempi difficili come questi l'appello alla solidarietà con le regioni meno favorite incontri resistenze maggiori in chi ha già tanti problemi da risolvere: e le manifestazioni sindacali per il Mezzogiorno non possono nascondere la realtà delle quote sempre maggiori di reddito che la spinta salariale nell'industria ritaglia a favore delle regioni settentrionali.
E' dunque probabile che l'intervento nel Mezzogiorno debba assumere in avvenire forme diverse: ma se queste forme diverse dovessero solo servire a nascondere un sostanziale disimpegno della collettività nazionale dai problemi del Mezzogiorno, che resterebbe affidato alla beneficenza a buon mercato degli investimenti agroturistici, in attesa che l'industria si decida a rimontare la corrente e a scendere finalmente nel Mezzogiorno, è bene renderci conto che ciò rimetterebbe in discussione alcuni del fondamenti su cui si è costruita la stessa unità nazionale. Quando, nel 1848, la classe dirigente meridionale rinunciò alla creazione di uno Stato liberale nel Mezzogiorno, e optò per la soluzione "albertista", essa fece una scelta che da allora ha determinato tutta la storia del Paese a sud del Garigliano. Allora si decise che il Mezzogiorno avrebbe puntato sullo Stato nazionale come strumento fondamentale per la sua modernizzazione e per il suo inserimento in Europa. Per un secolo l'unità ha funzionato così: e chi guardi al di là delle polemiche utili e necessarie non stenta a riconoscere il senso generale di questo processo. Il culmine più alto da esso raggiunto è stato, probabilmente, l'ultimo trentennio, che ha visto il massimo sforzo mai prodotto da tutto il Paese in nome della "centralità" del problema meridionale. Se i risultati, comunque grandiosi, non sono stati pari alle attese, è dovuto, a mio giudizio, alla difficoltà che una politica meridionalistica doveva necessariamente incontrare senza il sostegno di una programmazione di tutta l'economia nazionale, che è appunto il terreno su cui è fallito il centro-sinistra. Se, dopo tutto questo, al Mezzogiorno dovesse essere riservata solo una forma di "benign neglect", sarebbe un nuovo passo verso quel progressivo svuotamento della nostra esperienza nazionale al quale abbiamo assistito negli ultimi decenni.
di Rosario Romeo (Giarre, 11 ottobre 1924 – Roma, 16 marzo 1987) è stato uno storico e politico italiano, esponente del Partito Repubblicano Italiano e parlamentare europeo.
L'agricoltura non basta
Sembra proprio che i meridionali debbano decidersi a tornare agli agresti costumi di un tempo. Da ogni parte si moltiplicano i consigli, tra infastiditi e perentori, che suggeriscono a chi è rimasto sotto il Garigliano di abbandonare i "miti" (anzi, la "sottocultura") dell'industrializzazione, e di guardare invece alle più antiche e autentiche risorse dell'agricoltura e del paesaggio mediterraneo come fonti di reddito. Anche nel tono di questi discorsi si registra un marcato mutamento: e alle dichiarazioni di chi si richiama ancora e sempre al migliore interesse dei meridionali si intreccia l'insofferenza di chi apertamente si dice stufo di pagare per questo Mezzogiorno, che costa così caro e che dà così poche soddisfazioni.
Chi, contro le "cattedrali nel deserto", esalta il Mezzogiorno agrario e le sue risorse ancora inutilizzate di espansione turistica, può certo contare sul favore delle mode ecologiche correnti, che sembrano aver fornito addirittura il modello di certe invettive contro i grandi impianti, gli inquinamenti, la distruzione di colture pregiate che avrebbero trasformato le più belle regioni meridionali in una conurbazione di Manchester o di Sheffield novecentesche. Ma chi non ha dimenticato che cos'era il Mezzogiorno agricolo e turistico da cui è partita la battaglia meridionalistica ha il diritto di chiedere precisazioni e chiarimenti.
Davvero riteniamo che l'agricoltura meridionale, sulla quale grava ancora una percentuale di addetti pari al 28,1 per cento della popolazione attiva (in confronto al 15,5 per cento della media italiana; al 10,8 della Francia; al 7,1 della Germania; e al 2,7 della Gran Bretagna), possa produrre reddito in misura adeguata ai bisogni di una popolazione che tuttora raggiunge il 34,3 per cento della popolazione italiana?
Non si dimentichi che i prodotti tipici dell'agricoltura meridionale incontrano una concorrenza crescente da parte dei nuovi membri mediterranei della Comunità europea. Certo, vi è spazio per una riconversione strutturale che sviluppi anche nel Mezzogiorno quelle produzioni agricole di base, dalla moderna cerealicoltura alla zootecnia, che godono oggi di più favorevoli condizioni di mercato e di maggiori sostegni della Comunità europea: ma prima di affidare a queste speranze tutto l'avvenire delle nostre regioni si facciano valutazioni più concrete e realistiche, che tengano conto insieme delle difficoltà che l'agricoltura incontra in tutti i Paesi avanzati e di quelle specifiche di territori così gravemente sfavoriti, nonostante tutti gli sforzi, in confronto alle ricche pianure dell'Europa continentale. Anche i disegni di chi prospetta sviluppi finora trascurati dell'industria piccola e media, dovrebbero confrontarsi con le realtà della concorrenza che i paesi del Terzo Mondo esercitano su settori come quelli tessili e alimentari, e che hanno costretto anche i maggiori Paesi industriali a difficili processi di conversione.
E' troppo facile attribuire la scelta delle industrie di base ad alta intensità di capitale ai soli capricci politici e all'affarismo di gruppi corrotti e di corruttori. Chi e quanti siano costoro accerti la Magistratura, e provveda a termini di legge. Ma si vada cauti a credere che sarebbe bastato volere la piccola e media industria per farla sorgere dove non è sorta nonostante gli incentivi, i crediti agevolati, ecc. Di solito, si vede in questo la riprova della incapacità dei meridionali a inserirsi in una seria politica dello sviluppo, per mancanza di spirito imprenditoriale, di "cultura industriale", ecc. Ma sta di fatto che nel Sud hanno scarseggiato non solo gli imprenditori meridionali ma anche i settentrionali: anch'essi respinti dalle difficoltà che inducono Zappulli alla pessimistica conclusione che "il Sud non si sviluppa perchè non è sviluppato". E' proprio questo il circolo che il meridionalismo classico ha cercato di spezzare: e se non si può certo gridare al trionfo delle sue indicazioni, è almeno altrettanto vano sperare che l'industria si trasferisca "naturalmente" nel Mezzogiorno, quando piacerà alle leggi dell'economia di mercato di stabilire che l'ora è finalmente venuta.
Quest'ora fu attesa per qualche secolo, prima che si iniziasse 1'intervento straordinario: e credere che possa suonare spontaneamente adesso, in tempi di così grave difficoltà Per tutti i Paesi industrializzati, sarebbe davvero troppo ingenuo. Quando si fanno questi discorsi si richiamano i "tempi lunghi" di Einaudi: ma a me vengono in mente piuttosto le battaglie liberiste per le industrie "naturali", che dovevano trovare nel Paese la materia prima, e che erano considerate solo legittime in un Paese come il nostro. A questa stregua è da dubitare che in Italia sarebbe sopravvissuta la stessa industria della seta, che già nella seconda metà del secolo lavorava in gran parte materie importate.
Tutto questo dovrebbe solo indurre a maggiore cautela prima di accogliere demolizioni senza appello di ciò che nel Mezzogiorno si è fatto durante trent'anni. Ma dietro le demolizioni par di cogliere qualcosa che potrebbe essere assai grave.
I ceti produttivi del Nord, imprenditori e operai, manifestano una crescente insofferenza dei sacrifici richiesti per il Mezzogiorno. Che questi sacrifici non siano stati ampiamente compensati da vantaggi di ritorno per il Nord sarebbe da discutere, come sarebbero da discutere i raffronti con la spesa sostenuta nel primo conflitto mondiale, che, dilatata su un periodo otto volte più lungo e riferita a un reddito nazionale cresciuto di quasi dieci volte in termini reali, perde molto della sua drammaticità. Ma si comprende che in tempi difficili come questi l'appello alla solidarietà con le regioni meno favorite incontri resistenze maggiori in chi ha già tanti problemi da risolvere: e le manifestazioni sindacali per il Mezzogiorno non possono nascondere la realtà delle quote sempre maggiori di reddito che la spinta salariale nell'industria ritaglia a favore delle regioni settentrionali.
E' dunque probabile che l'intervento nel Mezzogiorno debba assumere in avvenire forme diverse: ma se queste forme diverse dovessero solo servire a nascondere un sostanziale disimpegno della collettività nazionale dai problemi del Mezzogiorno, che resterebbe affidato alla beneficenza a buon mercato degli investimenti agroturistici, in attesa che l'industria si decida a rimontare la corrente e a scendere finalmente nel Mezzogiorno, è bene renderci conto che ciò rimetterebbe in discussione alcuni del fondamenti su cui si è costruita la stessa unità nazionale. Quando, nel 1848, la classe dirigente meridionale rinunciò alla creazione di uno Stato liberale nel Mezzogiorno, e optò per la soluzione "albertista", essa fece una scelta che da allora ha determinato tutta la storia del Paese a sud del Garigliano. Allora si decise che il Mezzogiorno avrebbe puntato sullo Stato nazionale come strumento fondamentale per la sua modernizzazione e per il suo inserimento in Europa. Per un secolo l'unità ha funzionato così: e chi guardi al di là delle polemiche utili e necessarie non stenta a riconoscere il senso generale di questo processo. Il culmine più alto da esso raggiunto è stato, probabilmente, l'ultimo trentennio, che ha visto il massimo sforzo mai prodotto da tutto il Paese in nome della "centralità" del problema meridionale. Se i risultati, comunque grandiosi, non sono stati pari alle attese, è dovuto, a mio giudizio, alla difficoltà che una politica meridionalistica doveva necessariamente incontrare senza il sostegno di una programmazione di tutta l'economia nazionale, che è appunto il terreno su cui è fallito il centro-sinistra. Se, dopo tutto questo, al Mezzogiorno dovesse essere riservata solo una forma di "benign neglect", sarebbe un nuovo passo verso quel progressivo svuotamento della nostra esperienza nazionale al quale abbiamo assistito negli ultimi decenni.
di Rosario Romeo (Giarre, 11 ottobre 1924 – Roma, 16 marzo 1987) è stato uno storico e politico italiano, esponente del Partito Repubblicano Italiano e parlamentare europeo.
domenica 5 giugno 2011
Strage di Ulivi
Comunicato URGENTE all' Attenzione
di mezzi di informazione, enti pubblici di sorveglianza e amministrazione competenti,
della Provincia di Lecce e della Regione Puglia
da
Coordinamento Civico per la Tutela del Territorio, della Salute e dei Diritti del Cittadino
6 giugno 2011
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Strage d’olivi nel cantiere degli errori tecnico-amministrativi!
Nell’allargamento della Strada Maglie-Collepasso già una decina di alberi d’olivo sono stati segati di netto senza pietà alcuna!
Si teme ora per decine di altri alberi già segnati di rosso ai margini della strada!
Ma a rischio anche rare preziose Querce caducifoglie autoctone, un raro albero di Azzeruolo (Crataegus azarolus L.), un frutto antico, diversi altri alberi da frutta e alcune tamerici!
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APPELLO URGENTE alle autorità competenti, a partire dalla Forestale fino al NOE dei Carabinieri, passando dalla Polizia Provinciale, perché effettuino subito dei sopralluoghi per appurare quanto accaduto e fermare l’ ulteriore strage che si preannuncia!
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La Provincia di Lecce intervenga subito per approntare le operazioni di espianto-trapianto e ripiantumazione in loco, poco distante, di tutti gli alberi ubicati nelle aree di ampliamento della strada, non ovviamente solo d’olivo, ma anche di quercia, di altre essenze e di quelli da frutto, come l’Azzeruolo, alto circa 4 metri e simile al biancospino per gli inesperti, così come delle vive ceppaie d’olivo, con il loro apparato radicolare, degli alberi già vilipesi dalla sega elettrica, ma che possono ancora rapidamente pollonare con forti getti di rapida crescita, se trapiantati come necessario!
Vigili con urgenza la Regione Puglia, con i suoi Settore Foreste, Assessorato all’ Ambiente e Assessorato all’ Assetto del Territorio: una ben precisa legge regionale tutela gli alberi d’ulivo, e ne regolamenta gli espianti, ma in più il tutto sta avvenendo in un’area dove la Regione ha anche previsto e iniziato a tutelare il Parco dei Paduli - Foresta Belvedere!
Si tratta del tratto della SP 361, la strada provinciale Maglie-Gallipoli, posto poco oltre l’incrocio con la strada Cutrofiano-Supersano, proseguendo in direzione Collepasso e quindi Gallipoli. Paion lavori di allargamento della carreggiata e rettificazione della curva. Nulla da eccepire su tutto questo, che risponde a legittime e sempre auspicabili operazioni volte alla massimizzazione della sicurezza e scorrevolezza stradale, fermo restando che la riduzione della velocità, e l’aumento dell’attenzione del guidatore durante la guida devono essere gli scopi principali da perseguire col massimo impegno per la riduzione vera e drastica della dolorosissima piaga sociale degli incidenti automobilistici!
Ma poiché la rimozione degli alberi nei tratti in cui dovrà essere allargata la carreggiata è un’operazione agronomica di buona tecnica ecosostenibile, etica, da perseguire scrupolosamente in qualsiasi cantiere, tanto più se per opere di pubblica utilità, come nel caso in oggetto, quanto sta avvenendo, e che ci è stato denunciato da nostri attivisti che ci hanno fornito anche documentazione fotografica, poi verificata con un nostro sopralluogo, è inaccettabile, inaudito ed intollerabile, e getta inevitabilmente sinistre ombre su tutta l’operazione cantierizzata, nonostante i buoni auspici delle motivazioni di fondo.
I tagli, raggiunto da Maglie l’incrocio con la Supersano-Cutrofiano si osservano sulla destra, poco oltre il guardrail, dopo aver percorso poco più di 900 metri. Un intero filare di olivi ridotti a colletti basali sporchi di segatura! Alberi segnati di rosso ai margini della strada, prossimi al rischio di taglio, si osservano già poco dopo aver superato l’incrocio. Un gruppo di alberi d’olivo poi dove le operazioni di movimentazione terra son state maggiori, e forse a più immediato ancora rischio di taglio, son posti sulla sinistra della strada, nel tratto posto tra 900 e 1400 m dall’incrocio.
Percorsi circa 300 metri, da primi olivi tagliati, segnalati sulla destra della strada, le Querce a foglia caduca, (relitti botanici preziosissimi della Foresta Belvedere d’un tempo, per la sua ricostruzione e riforestazione a partire dal germoplasma locale), e che rischiano l’abbattimento, son sulla sinistra, sempre poco oltre il guardrail, in corrispondenza di una svolta sterrata sulla sinistra, che conduce a Masseria Padula e a Masseria Macrì, nella vallata dove esisteva il Lago Sombrino, oggi purtroppo regolarmente fatto prosciugare dall’uomo, ormai da oltre cento anni, tramite pozzi e canalizzazioni artificiali, vanificando l’opera della natura e della pioggia, che lì formava un lago dall’immensa biodiversità, tanto che vi sostava una nutrita colonia di Pellicani, oltre che Cigni, Gru e Cicogne, ancora nella prima metà dell’ ‘800! Un lago che in seno al Parco dei Paduli deve essere fatto rivivere, con la sua immensa biodiversità originaria.
Osserviamo che questo di giugno non è neppure un mese adatto per operazioni di potatura e trapianto di questo piante. Occorre attendere almeno l’autunno! La natura del locale profondo suolo sabbioso-argilloso rende estremamente semplici le operazioni di sradicamento con zolla degli alberi ed il loro trapianto in massima probabilità di attecchimento, anche delle ceppaie, come in questo caso per gli alberi amputati del loro tronco!!
Nell’eventualità che le operazioni di infrastrutturazione e ammodernamento stradale in corso dovessero interessare anche l’incrocio con rotatoria canalizzata, poco distante, all’ intersezione tra la Strada Maglie-Collepasso (SP 361) e la strada Cutrofiano-Supersano: chiediamo che le medesime cure siano ovviamente applicate a tutti gli alberi ed arbusti in essa oggi presenti, nelle sue isole spartitraffico, poiché essenze della macchia mediterranea, (Pini domestici, Cipressi mediterranei, Palma nana mediterranea, Oleandri), pertanto esemplari da lasciare in loco o da trapiantare, se indispensabile con le stesse accortezza e cure agronomiche bel tempo, nelle campagne immediatamente prossime!
Ci auguriamo che per le rotatorie, a partire da quelle lungo queste arterie stradali, ricadenti nel Parco naturale dei Paduli, fino a tutte le rotatorie, o comunque isole sparti-traffico, o margini stradali, la si smetta una buona volta di speculare e sperperare denari pubblici autorizzando alla piantumazione di piante alloctone, come palme esotiche, che abbisognano poi di sistemi di irrigazioni dispendiosi, e di cure agronomiche notevoli, e che si son rivelate, già ovunque nel Salento, interventi disastrosi sui quali però nessuno indaga e tanti si arricchiscono, a scapito del nostro paesaggio!
La rotatoria in oggetto, ubicata nel centro del Parco Paduli, mostra invece come l’uso di piante autoctone mediterranee permette, con cure minime, o nulle, eccezion per qualche sfoltimento dei cespugli e sfasciamento dell’erba di tanto in tanto, di avere, senza neppure alcuna innaffiatura artificiale a regime, e dunque a costi bassissimi, visto anche il basso costo delle piante locali, interventi altamente decorativi, ben naturalizzati e rispettosi dell’identità dei luoghi!
Anche per tutto questo, oltre a chiedere l’urgente intervento della Provincia di Lecce, chiediamo l’intervento della Regione Puglia.
La strada in questione attraversa il Parco Paduli-Foresta Belvedere assunto a progetto pilota con DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE 20 ottobre 2009, per l'applicazione dei principi del PPTR, il nuovo Piano Paesaggistico Territoriale della Regione Puglia, per buone pratiche di paesaggio in seno al PPTR; principi di tutela, massima salvaguardia e ripristino delle antiche suggestioni rurali e naturali del paesaggio a 360°. Non solo, l’area Paduli fu già individuata dalla Provincia di Lecce, come luogo da sottoporre a massima protezione paesaggistica nel cuore di un Salento meritevole tutto comunque di protezione e cura, questo quanto legiferato con l’adozione, all’unanimità, del PTCP Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, già nel marzo del 2008, con l’attuale presidente Antonio Gabellone, all’epoca proprio membro consigliere della Commissione Ambiente della Provincia di Lecce.
Chiediamo pertanto di sapere da Provincia e Regione se si è approntato il progetto cantierizzato di ampliamento al fine di un restauro paesaggistico dei margini stradali, con eventuali bassi muretti a secco, o con il rifacimento delle canalizzazioni in terra, (che ora si sono per un tratto già sventrate con atterramento dei bellissimi canneti ricchi di macchia mediterranea), ai margini del nuovo tracciato stradale. Rifacimenti di canali che, per quanto detto, non devono essere assolutamente cementificati, ma ad alveo rigorosamente naturale in terra, e rinforzo, ove necessario, a pietra a secco, e con piantumazione lungo i margini di piante igrofile quali i Pioppi neri ad esempio, presenti poco prima verso Maglie, e consolidanti gli argini terrosi dei canali bordanti le strade e non nell’area acquitrinosa Paduli, o altre piante a tale scopo ottenute da semenze autoctone del Parco Paduli, come Olmi campestri, Pioppi bianchi, Salici bianchi, e Frassini ossifilli, che l’Orto Botanico Universitario di Lecce sta ripropagando con accortezza scientifica e che sarebbe opportuno consultare, così come il CFS, il Corpo Forestale dello Stato, per tutti gli impianti di verde stradale da effettuarsi sempre nel Salento, d’ora in avanti, con piante autoctone mediterranee!
Chiediamo anche che le eventuali porzioni di strada attuale che non dovessero essere soprapposte al nuovo tracciato non rimangano terra degradata di nessuno e dell’abbandono, come spesso accade, finendo per accogliere inevitabili discariche a cielo aperto. Chiediamo pertanto che si appronti, già nei lavori di primo cantiere, la loro bonifica con rimozione dell’asfalto e del cemento e altro rifiuto stradale, con ricostruzione del suolo agricolo-naturale, naturalizzando il sito.
Tutte queste opere non rappresentano costi aggiuntivi, ma costi primari da poter sostenere, se si vuole procedere alla realizzazione di opere che vogliano fregiarsi del titolo di “pubblica utilità”!
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Info:
Coordinamento Civico per la Tutela del Territorio, della Salute e dei Diritti del Cittadino
rete coordinativa d’azione apartitica di associazioni, comitati e movimenti locali e non, ambientalisti, culturali e socio-assistenziali
sede c/o Tribunale Diritti del Malato – CittadinanzAttiva
c/o Ospedale di Maglie "M.Tamborino"
Via N. Ferramosca, c.a.p. 73024 Maglie (LECCE)
E-mail: coordinamento.civico@libero.it , coordinamentocivico@yahoo.it
Il batterio killer dell'Escherichia coli proviene da germogli di soia tedeschi, mangiati crudi.
Il batterio killer dell'Escherichia coli proviene da germogli di soia tedeschi, mangiati crudi.
Lo ha confermato ieri (domenica) pomeriggio in una conferenza stampa ad Hannover il ministro dell’Agricoltura della Bassa Sassonia, Gert Lindemann (Cdu), secondo il quale le autorità mediche si trovano adesso “sulla pista giusta”.
I germogli di soia che hanno un sapore vagamente simile al burro, si ricavano dal germoglio appena nato dal seme per essere consumati come verdure. E' quanto afferma la Coldiretti, in riferimento al nuovo allarme lanciato sull'origine del batterio killer diffuso dalla Germania, nel sottolineare che si tratta di un mercato di nicchia molto ristretto diffuso nella cucina etnica e tra i vegetariani per l'importante apporto di proteine.
In Italia i germogli di soia sono consumati in estate da soli o come condimento e sono venduti in buste, vassoi o in scatola ma recentemente - sottolinea la Coldiretti - si e' diffusa anche la coltivazione casalinga. I prezzi variano dai 4 ai 6 euro al chilo per il prodotto venduto in vassoi e nei supermercati - conclude la Coldiretti - e' possibile acquistare germogli di soia di produzione nazionale.
Non esiste un codice doganale dei semi di soia poiché l’importazione nel nostro paese è quasi inesistente.
Per ottenere i germogli di soia si prendono i semi che si coltiva in serre senza terra in “coltura idroponica” che richiede un substrato inerte su cui si poggia il seme che radicherà nutrito da acqua e nutrienti in essa disciolti. In questo modo il seme di soia germoglierà e verrà utilizzato come legume giovanissimo.
Nel 1996 i germogli di soia sono stati la causa di una grave epidemia di Escherichia coli in Giappone nella zona di Sakai dove si ammalarono 10mila persone.
Il batterio dell'Escherichia coli è in grado di fissarsi con successo sulla soia tanto che alcune proteine di questa pianta vengono utilizzate in laboratorio per il brodo di coltura dove viene fatta riprodurre l'Escherichia coli.
Alfredo Caprioli il direttore del laboratorio di riferimento europeo per l'Escherichia coli dell’Istituto superiore di sanità ha dichiarato che il batterio è in grado di restare in stato di quiescenza nel seme essiccato per poi tornare attivo quando nascono i germogli.
Lo ha confermato ieri (domenica) pomeriggio in una conferenza stampa ad Hannover il ministro dell’Agricoltura della Bassa Sassonia, Gert Lindemann (Cdu), secondo il quale le autorità mediche si trovano adesso “sulla pista giusta”.
I germogli di soia che hanno un sapore vagamente simile al burro, si ricavano dal germoglio appena nato dal seme per essere consumati come verdure. E' quanto afferma la Coldiretti, in riferimento al nuovo allarme lanciato sull'origine del batterio killer diffuso dalla Germania, nel sottolineare che si tratta di un mercato di nicchia molto ristretto diffuso nella cucina etnica e tra i vegetariani per l'importante apporto di proteine.
In Italia i germogli di soia sono consumati in estate da soli o come condimento e sono venduti in buste, vassoi o in scatola ma recentemente - sottolinea la Coldiretti - si e' diffusa anche la coltivazione casalinga. I prezzi variano dai 4 ai 6 euro al chilo per il prodotto venduto in vassoi e nei supermercati - conclude la Coldiretti - e' possibile acquistare germogli di soia di produzione nazionale.
Non esiste un codice doganale dei semi di soia poiché l’importazione nel nostro paese è quasi inesistente.
Per ottenere i germogli di soia si prendono i semi che si coltiva in serre senza terra in “coltura idroponica” che richiede un substrato inerte su cui si poggia il seme che radicherà nutrito da acqua e nutrienti in essa disciolti. In questo modo il seme di soia germoglierà e verrà utilizzato come legume giovanissimo.
Nel 1996 i germogli di soia sono stati la causa di una grave epidemia di Escherichia coli in Giappone nella zona di Sakai dove si ammalarono 10mila persone.
Il batterio dell'Escherichia coli è in grado di fissarsi con successo sulla soia tanto che alcune proteine di questa pianta vengono utilizzate in laboratorio per il brodo di coltura dove viene fatta riprodurre l'Escherichia coli.
Alfredo Caprioli il direttore del laboratorio di riferimento europeo per l'Escherichia coli dell’Istituto superiore di sanità ha dichiarato che il batterio è in grado di restare in stato di quiescenza nel seme essiccato per poi tornare attivo quando nascono i germogli.
sabato 4 giugno 2011
Che fine ha fatto il Parco del Negroamaro?
Che fine ha fatto il Parco del Negroamaro?
Il successo di un territorio? Lo si misura anche attraverso le peculiarità delle sue colture. È quello che succede nel Salento, dove un vitigno storico di grande successo lancia il territorio verso nuove sfide di mercato, facendo leva sul valore dei prodotti a marchio, dall'agricoltura biologica alle Denominazioni comunali, alle Specialità tradizionali garantite. Il progetto integrato di sviluppo che la Provincia di Lecce propone con il “parco del Negroamaro” include una serie d’attenzioni a qualunque tipo di settore produttivo dell’area del Nord Salento.
Il Salento leccese del Nord
Si parte dal presupposto che il Salento del Nord appare differente da altre aree della Grecìa salentina o del Salento del Sud e che ogni entità civica ricadente in tale territorio debba rappresentare con le sue specificità una robusta radice di crescita collettiva. Sarà compito dell’Ente Provinciale riportare all’unisono produttivo l’intera area descritta migliorandone ogni tipo di filiera, dall’agro-alimentare a quella turistica. Come in passato fu il tracciato detto “il limitone dei greci” che annunciava il segno d’arrivo in terra messapica per tanti popoli, così la fascia di superficie che comprende tale programmazione potrebbe identificare e realizzare una degna premessa ricettiva per chi giunge nel Salento. La visione di quest’interessante studio entra pienamente in quell’attività che la Provincia sta spiegando in materia di sviluppo locale. “Il parco del Negroamaro” può concretizzarsi se si pone su tali presupposti: identità, integrazione, innovazione, internalizzazione e qualità.
La ruralità
La ruralità di questi paesi, appare ancora oggi, marcatamente predisposta alla produzione vitivinicola, alla vera ospitalità, ai sentimenti popolari, ed è ormai risaputo in ogni località. Certamente, quel che occorre è una migliore attenzione pubblica alle diverse forme d’inquinamento presenti in questi tratti di meridione. Chi è che non vuole un modello naturale pulito e in perfetta armonia? Garantire, infatti, le singolarità dei piaceri rurali che appassionano il visitatore, e chi vi risiede, è anche un serio motivo di tutela della biodiversità, vale a dire quell’insieme delle molteplicità viventi che popolano e qualificano un territorio. Alcune varietà d’uva tipiche del Nord Salento, ad esempio, sono quasi scomparse in favore di produzioni intensive e poco attinenti alle nostre tradizioni.
La valorizzazione del territorio
In questo territorio sono presenti esemplari d’ulivi e querce ultrasecolari, spesso poco valorizzati, che sono dei veri e propri monumenti a ridosso di vie romane, muretti a secco, masserie e frantoi ipogei medievali. Dalle stesse contrade parte un’antica e riverente civiltà rurale che ha dignitosamente custodito questo patrimonio e che adesso merita di essere assolutamente riscoperta.
Il riconoscimento STG (Specialità Tradizionale Garantita) e le Denominazioni Comunali (De.Co)
Tale ricchezza si può ritrovare anche attraverso il riconoscimento STG (Specialità Tradizionale Garantita) concesso a quei prodotti agro-alimentari che sono ottenuti secondo un metodo di lavorazione tradizionale, al fine di tutelarne la singolarità d’ogni ricetta. Inoltre le Denominazioni Comunali (De.Co), già adottate in alcune regioni e che qualificano l’origine di qualunque produzione, possono essere delle proposte avvincenti per il “parco”. Trasmettere all’imprenditoria agricola o industriale una nuova forma di sviluppo eco-compatibile e attenta alle attuali esigenze dei consumatori, può non essere facile. Ad esempio, produrre con metodi da agricoltura biologica, senza veleni, come una volta, in favore della biodiversità, appare gravoso a causa dei costi produttivi più elevati rispetto ad altre regioni italiane e con una nicchia di mercato quasi inesistente. Agire con una reale pianificazione a difesa del territorio, attraverso ricerche e percorsi nella natura e nella storia d’ogni comunità coinvolta è ormai divenuto quasi un dovere. Con “Il Parco del Negroamaro” s’intende impostare, insomma, un progetto etico che organizzi un tessuto unico fra tradizione e modernità che parta da un’energia remota e popolare, affinché sia un valido riferimento per tutti i tipi d’impresa e per qualsiasi identità.
di Mimmo Ciccarese - Tecnico agricoltura ecologica
Il successo di un territorio? Lo si misura anche attraverso le peculiarità delle sue colture. È quello che succede nel Salento, dove un vitigno storico di grande successo lancia il territorio verso nuove sfide di mercato, facendo leva sul valore dei prodotti a marchio, dall'agricoltura biologica alle Denominazioni comunali, alle Specialità tradizionali garantite. Il progetto integrato di sviluppo che la Provincia di Lecce propone con il “parco del Negroamaro” include una serie d’attenzioni a qualunque tipo di settore produttivo dell’area del Nord Salento.
Il Salento leccese del Nord
Si parte dal presupposto che il Salento del Nord appare differente da altre aree della Grecìa salentina o del Salento del Sud e che ogni entità civica ricadente in tale territorio debba rappresentare con le sue specificità una robusta radice di crescita collettiva. Sarà compito dell’Ente Provinciale riportare all’unisono produttivo l’intera area descritta migliorandone ogni tipo di filiera, dall’agro-alimentare a quella turistica. Come in passato fu il tracciato detto “il limitone dei greci” che annunciava il segno d’arrivo in terra messapica per tanti popoli, così la fascia di superficie che comprende tale programmazione potrebbe identificare e realizzare una degna premessa ricettiva per chi giunge nel Salento. La visione di quest’interessante studio entra pienamente in quell’attività che la Provincia sta spiegando in materia di sviluppo locale. “Il parco del Negroamaro” può concretizzarsi se si pone su tali presupposti: identità, integrazione, innovazione, internalizzazione e qualità.
La ruralità
La ruralità di questi paesi, appare ancora oggi, marcatamente predisposta alla produzione vitivinicola, alla vera ospitalità, ai sentimenti popolari, ed è ormai risaputo in ogni località. Certamente, quel che occorre è una migliore attenzione pubblica alle diverse forme d’inquinamento presenti in questi tratti di meridione. Chi è che non vuole un modello naturale pulito e in perfetta armonia? Garantire, infatti, le singolarità dei piaceri rurali che appassionano il visitatore, e chi vi risiede, è anche un serio motivo di tutela della biodiversità, vale a dire quell’insieme delle molteplicità viventi che popolano e qualificano un territorio. Alcune varietà d’uva tipiche del Nord Salento, ad esempio, sono quasi scomparse in favore di produzioni intensive e poco attinenti alle nostre tradizioni.
La valorizzazione del territorio
In questo territorio sono presenti esemplari d’ulivi e querce ultrasecolari, spesso poco valorizzati, che sono dei veri e propri monumenti a ridosso di vie romane, muretti a secco, masserie e frantoi ipogei medievali. Dalle stesse contrade parte un’antica e riverente civiltà rurale che ha dignitosamente custodito questo patrimonio e che adesso merita di essere assolutamente riscoperta.
Il riconoscimento STG (Specialità Tradizionale Garantita) e le Denominazioni Comunali (De.Co)
Tale ricchezza si può ritrovare anche attraverso il riconoscimento STG (Specialità Tradizionale Garantita) concesso a quei prodotti agro-alimentari che sono ottenuti secondo un metodo di lavorazione tradizionale, al fine di tutelarne la singolarità d’ogni ricetta. Inoltre le Denominazioni Comunali (De.Co), già adottate in alcune regioni e che qualificano l’origine di qualunque produzione, possono essere delle proposte avvincenti per il “parco”. Trasmettere all’imprenditoria agricola o industriale una nuova forma di sviluppo eco-compatibile e attenta alle attuali esigenze dei consumatori, può non essere facile. Ad esempio, produrre con metodi da agricoltura biologica, senza veleni, come una volta, in favore della biodiversità, appare gravoso a causa dei costi produttivi più elevati rispetto ad altre regioni italiane e con una nicchia di mercato quasi inesistente. Agire con una reale pianificazione a difesa del territorio, attraverso ricerche e percorsi nella natura e nella storia d’ogni comunità coinvolta è ormai divenuto quasi un dovere. Con “Il Parco del Negroamaro” s’intende impostare, insomma, un progetto etico che organizzi un tessuto unico fra tradizione e modernità che parta da un’energia remota e popolare, affinché sia un valido riferimento per tutti i tipi d’impresa e per qualsiasi identità.
di Mimmo Ciccarese - Tecnico agricoltura ecologica
Verso l’Agricoltura Sociale del Salento leccese
Verso l’Agricoltura Sociale del Salento leccese
Il legame tra Paesaggio rurale e territorio
“In agricoltura non esiste la diversità, né si può riconoscere dai tratti del prodotto agricolo se è
stato fatto da un diverso” lo dice Alfonso Pascale a Tricase invitato dal Presidente della CIA di Lecce Giulio Sparascio per presentare l’Agricoltura Sociale.
Alfonso Pascale è presidente della Rete Fattorie Sociali e membro del Tavolo di partenariato della Rete Rurale Nazionale presso il Ministero delle Politiche Agricole è soprattutto studioso di politiche economiche, sociali e territoriali e collabora con diversi istituti di ricerca. E’ autore di saggi di economia, storia e politica. Ha un sito personale: www.alfonsopascale.it
Dopo tanto tempo e tante idee su cui ci siamo confrontati nel Web finalmente lo incontro a Tricase coinvolgente la relazione del Dott. Pascale soprattutto quando afferma che esistono due tipi di agricolture: una, industriale, votata alla produttività, che ha perduto il legame con il territorio; l’altra, forse più povera, ma che ha conservato questo legame.
Il Paesaggio rurale agisce sulle persone umane
Il Paesaggio rurale agisce sull’ambiente sostenendo la vita e l'attività umana nel loro complesso e ci circonda, ci avvolge purificando l’aria e l’ambiente da ciò che l’attività umana produce. Il Paesaggio agrario è vitale per il benessere e lo sviluppo economico e sociale futuro.
I benefici che ci vengono donati comprendono cibo, acqua, legname, purificazione dell'aria, formazione del suolo e impollinazione.
Noi siamo stati per troppo tempo abituati a considerarci fuori dall’ambiente e per questo abbiamo perduto la percezione dell’armonia che è contenuta nel paesaggio. Quando abbiamo di nuovo l’opportunità di entrare in contatto con la realtà che è quella del paesaggio ecco che quell’armonia ci pervade e noi cominciamo a provare quel benessere che è la ricerca di ognuno di noi ogni giorno della nostra esistenza.
Il Paesaggio rurale “aiuta” e serve alla persona umana
I servizi alla persona possono e devono avvenire nel paesaggio rurale. Questa affermazione è frutto della consapevolezza che paesaggio rurale è vocato per natura a tutti gli interventi “sociali”, “assistenziali” ed “educativi”.
Una azienda agricola che si occupa di servizi sociali lavora nell’aiuto alla persona umana e tale attività non può e non deve incorrere nella convinzione della società attuale che vede una cultura sul “sociale” come “assistenziale” e quindi “ausiliaria.
Costituzione della repubblica italiana
L’Agricoltura Sociale (AS) trova il proprio fondamento nei valori e nei principi della Carta costituzionale e, in particolare, nell’art. 3 che impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese e nell’art. 44 che finalizza
l’intervento pubblico in agricoltura alla cura della qualità del territorio e al perseguimento della
giustizia sociale.
Aiutare i più bisognosi
Le Fattorie sociali sono aziende agricole che estendono i loro servizi a favore di persone che presentano forme di fragilità o di svantaggio psico-fisico o sociale o a fasce di popolazione che presenta forme di disagio sociale, attraverso l’offerta di servizi educativi, culturali, di supporto alle famiglie e alle istituzioni didattiche.
Bisogna predisporre ambienti coperti, attrezzati per l’accoglienza e l’intrattenimento dei gruppi, nei quali siano individuati anche luoghi di sosta e riposo; ma devono anche essere dotate di strutture ed attrezzature finalizzate ad attività ludiche o terapeutiche attraverso l’impiego di animali o di produzioni agricole aziendali, ma soprattutto devono offrire dei servizi nei quali gli ospiti si sentano attivi e partecipi in modo da trarre benefici sul piano fisico, mentale, sociale e psicologico, attraverso l’accrescimento dell’autostima ed il miglioramento della persona.
Le radici dell’Agricoltura Sociale nei valori di solidarietà
L’Agricoltura Sociale (AS), continua il Dott. Pascale, affonda le sue radici nei valori di solidarietà e di mutuo aiuto che da sempre hanno caratterizzato il mondo rurale. Il particolare intreccio che si determina tra la dimensione produttiva, quella relazionale con le piante e con gli animali e quella familiare e comunitaria ha permesso all’agricoltura di svolgere da tempi remoti una funzione sociale. Secondo Alfonso Pascale nel mondo contadino, qualunque persona, indipendentemente dalla propria condizione fisica o psichica, trovava sempre una mansione da svolgere. E questo accadeva perché quel gruppo sociale era pervaso da un profondo senso della propria dignità, in quanto individui e come ceto, a cui si legavano i valori di reciprocità, gratuità e mutuo aiuto.
La definizione di Agricoltura Sociale di Alfonso Pascale
“Impresa economicamente e finanziariamente sostenibile, condotta in forma singola o variamente
associata, che svolge l’attività produttiva agricola e zootecnica proponendo i suoi prodotti sul mercato, in modo integrato con l’offerta di servizi culturali, educativi, assistenziali, formativi e occupazionali a vantaggio di soggetti deboli e di aree fragili in collaborazione con istituzioni pubbliche e con il vasto mondo del terzo settore”.
Chi fornisce i servizi sociali?
Insomma se sei un Privato imprenditore che possiedi un azienda agricola – agrituristica con un Privato- sociale (cooperative sociale tipo A e B) o ancora un sociale- associativo (ass. di volontariato, fondazioni …) o un pubblico/istituzionale (operatori, enti socio sanitari, istituti di cura, penitenziari e scolastici) puoi fornire i servizi:
• Nidi familiari (tagesmutter), agrinido, campi solari estivi
• Laboratori didattici (fattorie didattiche)
• Pratiche abilitanti e di avvicinamento al lavoro
•Terapie verdi (ortoterapia) e pet therapy, inserimento occupazionale
• Inserimento lavorativo
•Accoglienza temporanea, orti sociali e turismo sociale.
A chi sono erogati questi servizi?
Ma tu mi dirai a chi posso erogare questi servizi? E io te lo scrivo:
• Bambini
• Giovani in età scolare
• Minori e giovani in difficoltà
• Disabili fisici e mentali
• Persone affette da dipendenze da alcool e droga
• Detenuti ed ex-detenuti
• Anziani
Verso l’Agricoltura sociale
Ieri sera si è formato presso il Gal Capo di Leuca un Gruppo di lavoro di cui faccio parte. Siamo in cammino verso un mondo in cui tutti hanno cittadinanza e dove non esistono le distinzioni e soprattutto dove nessuno è inferiore a nessuno, siamo in cammino per realizzare in questo territorio l’Agricoltura sociale
di Antonio Bruno, Direttore dell’Area Agraria del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
Il legame tra Paesaggio rurale e territorio
“In agricoltura non esiste la diversità, né si può riconoscere dai tratti del prodotto agricolo se è
stato fatto da un diverso” lo dice Alfonso Pascale a Tricase invitato dal Presidente della CIA di Lecce Giulio Sparascio per presentare l’Agricoltura Sociale.
Alfonso Pascale è presidente della Rete Fattorie Sociali e membro del Tavolo di partenariato della Rete Rurale Nazionale presso il Ministero delle Politiche Agricole è soprattutto studioso di politiche economiche, sociali e territoriali e collabora con diversi istituti di ricerca. E’ autore di saggi di economia, storia e politica. Ha un sito personale: www.alfonsopascale.it
Dopo tanto tempo e tante idee su cui ci siamo confrontati nel Web finalmente lo incontro a Tricase coinvolgente la relazione del Dott. Pascale soprattutto quando afferma che esistono due tipi di agricolture: una, industriale, votata alla produttività, che ha perduto il legame con il territorio; l’altra, forse più povera, ma che ha conservato questo legame.
Il Paesaggio rurale agisce sulle persone umane
Il Paesaggio rurale agisce sull’ambiente sostenendo la vita e l'attività umana nel loro complesso e ci circonda, ci avvolge purificando l’aria e l’ambiente da ciò che l’attività umana produce. Il Paesaggio agrario è vitale per il benessere e lo sviluppo economico e sociale futuro.
I benefici che ci vengono donati comprendono cibo, acqua, legname, purificazione dell'aria, formazione del suolo e impollinazione.
Noi siamo stati per troppo tempo abituati a considerarci fuori dall’ambiente e per questo abbiamo perduto la percezione dell’armonia che è contenuta nel paesaggio. Quando abbiamo di nuovo l’opportunità di entrare in contatto con la realtà che è quella del paesaggio ecco che quell’armonia ci pervade e noi cominciamo a provare quel benessere che è la ricerca di ognuno di noi ogni giorno della nostra esistenza.
Il Paesaggio rurale “aiuta” e serve alla persona umana
I servizi alla persona possono e devono avvenire nel paesaggio rurale. Questa affermazione è frutto della consapevolezza che paesaggio rurale è vocato per natura a tutti gli interventi “sociali”, “assistenziali” ed “educativi”.
Una azienda agricola che si occupa di servizi sociali lavora nell’aiuto alla persona umana e tale attività non può e non deve incorrere nella convinzione della società attuale che vede una cultura sul “sociale” come “assistenziale” e quindi “ausiliaria.
Costituzione della repubblica italiana
L’Agricoltura Sociale (AS) trova il proprio fondamento nei valori e nei principi della Carta costituzionale e, in particolare, nell’art. 3 che impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese e nell’art. 44 che finalizza
l’intervento pubblico in agricoltura alla cura della qualità del territorio e al perseguimento della
giustizia sociale.
Aiutare i più bisognosi
Le Fattorie sociali sono aziende agricole che estendono i loro servizi a favore di persone che presentano forme di fragilità o di svantaggio psico-fisico o sociale o a fasce di popolazione che presenta forme di disagio sociale, attraverso l’offerta di servizi educativi, culturali, di supporto alle famiglie e alle istituzioni didattiche.
Bisogna predisporre ambienti coperti, attrezzati per l’accoglienza e l’intrattenimento dei gruppi, nei quali siano individuati anche luoghi di sosta e riposo; ma devono anche essere dotate di strutture ed attrezzature finalizzate ad attività ludiche o terapeutiche attraverso l’impiego di animali o di produzioni agricole aziendali, ma soprattutto devono offrire dei servizi nei quali gli ospiti si sentano attivi e partecipi in modo da trarre benefici sul piano fisico, mentale, sociale e psicologico, attraverso l’accrescimento dell’autostima ed il miglioramento della persona.
Le radici dell’Agricoltura Sociale nei valori di solidarietà
L’Agricoltura Sociale (AS), continua il Dott. Pascale, affonda le sue radici nei valori di solidarietà e di mutuo aiuto che da sempre hanno caratterizzato il mondo rurale. Il particolare intreccio che si determina tra la dimensione produttiva, quella relazionale con le piante e con gli animali e quella familiare e comunitaria ha permesso all’agricoltura di svolgere da tempi remoti una funzione sociale. Secondo Alfonso Pascale nel mondo contadino, qualunque persona, indipendentemente dalla propria condizione fisica o psichica, trovava sempre una mansione da svolgere. E questo accadeva perché quel gruppo sociale era pervaso da un profondo senso della propria dignità, in quanto individui e come ceto, a cui si legavano i valori di reciprocità, gratuità e mutuo aiuto.
La definizione di Agricoltura Sociale di Alfonso Pascale
“Impresa economicamente e finanziariamente sostenibile, condotta in forma singola o variamente
associata, che svolge l’attività produttiva agricola e zootecnica proponendo i suoi prodotti sul mercato, in modo integrato con l’offerta di servizi culturali, educativi, assistenziali, formativi e occupazionali a vantaggio di soggetti deboli e di aree fragili in collaborazione con istituzioni pubbliche e con il vasto mondo del terzo settore”.
Chi fornisce i servizi sociali?
Insomma se sei un Privato imprenditore che possiedi un azienda agricola – agrituristica con un Privato- sociale (cooperative sociale tipo A e B) o ancora un sociale- associativo (ass. di volontariato, fondazioni …) o un pubblico/istituzionale (operatori, enti socio sanitari, istituti di cura, penitenziari e scolastici) puoi fornire i servizi:
• Nidi familiari (tagesmutter), agrinido, campi solari estivi
• Laboratori didattici (fattorie didattiche)
• Pratiche abilitanti e di avvicinamento al lavoro
•Terapie verdi (ortoterapia) e pet therapy, inserimento occupazionale
• Inserimento lavorativo
•Accoglienza temporanea, orti sociali e turismo sociale.
A chi sono erogati questi servizi?
Ma tu mi dirai a chi posso erogare questi servizi? E io te lo scrivo:
• Bambini
• Giovani in età scolare
• Minori e giovani in difficoltà
• Disabili fisici e mentali
• Persone affette da dipendenze da alcool e droga
• Detenuti ed ex-detenuti
• Anziani
Verso l’Agricoltura sociale
Ieri sera si è formato presso il Gal Capo di Leuca un Gruppo di lavoro di cui faccio parte. Siamo in cammino verso un mondo in cui tutti hanno cittadinanza e dove non esistono le distinzioni e soprattutto dove nessuno è inferiore a nessuno, siamo in cammino per realizzare in questo territorio l’Agricoltura sociale
di Antonio Bruno, Direttore dell’Area Agraria del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”, Dottore Agronomo (Esperto in diagnostica urbana e territoriale titolo Universitario International Master's Degree IMD in Diagnostica Urbana e territoriale Urban and Territorial Diagnostics).
mercoledì 1 giugno 2011
Riflessione per il Convegno del 3 giugno 2011: LE NUOVE EMERGENZE. MA VERAMENTE NUOVE?
Riflessione per il Convegno del 3 giugno 2011: LE NUOVE EMERGENZE. MA VERAMENTE NUOVE?
Nei giornali di questi giorni sono uscite alcune notizie interessanti. La Germania entro il 2022 chiuderà l’ultima centrale atomica in funzione e costruirà ( in tempi brevissimi come solo i tedeschi sanno fare) la prima “autostrada” per biciclette. La Svezia e la Finlandia avrebbero risolto ( ma dubbi seri rimangono) il problema dello “stoccaggio” dei rifiuti delle centrali nucleari in depositi geologici profondi: bare cilindriche di rame nel granito, garantite per centomila anni. Brutte notizie invece dal fronte CO2. E’ aumentato, intaccando le previsioni per il 2020. I terribili 2 gradi di riscaldamento, si avvicinano sempre più. Uno scienziato ha scritto: “ dato l’uomo con 36 di temperatura corporea, 2 gradi in più è febbre”.
Il 10 marzo un quotidiano italiano ha pubblicato una corrispondenza dal Giappone per informare che nella metropolitana di Tokyo erano stati installati nei vagoni di una delle linee più frequentate della capitale sedili “anti-maleducati”. Questi sedili costringono i passeggeri, come una specie di macchina da contenzione, a rimanere immobili, non distendersi, non premere sul vicino, non allungare le gambe ed altro. Ma la parte più interessante dell’articolo è quella dedicata al carattere dei giapponesi, al loro rispetto per sé e per gli altri e soprattutto l’essere “educati”, un concetto vasto e complesso, che non è l’immagine dei tre classici inchini, ma che si sostanzia nell’intera struttura, economica, culturale e sociale.
Il giorno dopo la pubblicazione dell’articolo, un terribile terremoto seguito da un distruttivo tsunami ha colpito il Paese. Negli ultimi 10 anni in Giappone ci sono stati 16 sismi; si ricorda soprattutto quello del 17 gennaio del 1995 che distrusse Kobe e devastò le regioni di Osaka e Tokyo. Tutti abbiamo visto le spaventose immagini dell’onda nera che ha sradicato case come fuscelli, fatto scavalcare ponti e strade ad enormi imbarcazioni, trascinato auto e treni come minuscoli modellini. La scossa di 9 gradi della scala Richter, il quarto per intensità nel mondo dal 1900, ha fatto tremare la terra per 6 minuti: una eternità. Molti danni e danni ancora provocati dallo tsunami che in giapponese vuol dire “onda nel porto”. Lo scrittore giapponese Kazumi Saeki ha raccontato : “ Sono mancati sia l’acqua sia il gas e di notte le uniche fonti di illuminazione erano le candele e la luna. Senza le luci della città, di notte,il cielo era rischiarato dal bagliore delle stelle”. Solo uno scrittore poteva “imprigionare” poeticamente il dramma di una delle più grandi potenze mondiali, all’avanguardia nelle tecnologia, messa in ginocchio da un evento naturale. Qualche giorno fa tifoni di una potenza imprevista hanno sconvolto lo Stato americano del Missouri, con oltre 100 vittime ed altrettanti dispersi. Ancora una volta la forza della natura ha risvegliato paure ancestrali, spinto ad immaginare nuovi millenarismi, scomodato profeti di sventure e cabale numeriche. Pianti i morti e i dispersi, i giapponesi si sono accorti che dentro la paura, c’era un’altra paura: danneggiate tre centrali nucleari nella prefettura di Fukushima al centro del sisma. Una fuga radioattiva che man mano si è dimostrata sempre più grave, tanto da raggiungere un mese dopo il livello 7, che è, come si sa, quello di Cernobyl del 1986. I giapponesi hanno convissuto con il nucleare da anni, godendone grandissimi vantaggi per lo sviluppo della loro economia. Gli incidenti, eufemisticamente chiamati così, di Fukushima hanno riaperto il dibattito sul nucleare: tema complesso e indubitabilmente scabroso, ma ciò che è accaduto in Giappone ha ancora una volta spinto ad interrogarsi sul rapporto uomo-natura. Se è vero che la natura non è prevedibile o meglio è più “forte” di noi, è altrettanto vero che l’uomo può comportarsi in modo da non essere “complice” di eventi catastrofici o peggio responsabile di favorirli. Due esempi: il riscaldamento globale e il cambiamento del clima, fatti ormai certificati dalla scienza. Siamo alla svolta, non abbiamo troppo tempo a disposizione per correre ai ripari, anzi più si aspetta, più il conto da pagare sarà salatissimo e non solo in termini monetari. L’ultimo decennio è stato un rincorrersi di drammatici eventi: caldo eccessivo, alluvioni, desertificazioni che avanzano, produzione alimentare in diminuzione nel momento in cui aumenta la domanda e terremoti. E tutto ciò costa. Qualche esempio: Kobe nel 1995 è costato 100 miliardi di dollari, l’uragano Katrina del 2005 81 miliardi, il terremoto del Cile del 2010 30 miliardi. Per il terremoto ultimo del Giappone si prevedono oltre 235 miliardi di dollari! Ma per il Giappone il prezzo non sarà solo in dollari o meglio in yen. Lo scrive in maniera chiarissima lo scrittore Kenzaburo Oe, Premio Nobel per la letteratura nel 1994. “ In questo disastro si intrecciano in modo drammatico due fenomeni: da una parte la vulnerabilità del Giappone di fronte ai terremoti, dall’altra il rischio legato all’energia atomica. La prima è una realtà con cui questo paese deve fare i conti fin dall’alba dei tempi. La seconda, che potrebbe rivelarsi perfino più catastrofica del terremoto e dello tsunami, è opera dell’uomo. Che cosa ha imparato il Giappone dalla tragedia di Hiroshima” ? Ma altre paure si presentano davanti a noi. Una di queste è la penuria di acqua che caratterizzerà il nostro prossimo futuro. Scienziati, grandi istituzioni internazionali ONU, Fao e in maniera assai blanda i vari G a numerazione variabile, alcuni centri studi come il Pacific Institut di San Francisco e qualche governo ( in verità pochissimi) pongono il problema ai primi posti per importanza. Ma se lo pongono anche gli Stati Maggiori delle potenze soprattutto dei paesi più industrializzati e questo non è un bel segno. Non è da escludere infatti, anche perché è già accaduto negli anni passati, che la penuria di acqua e il controllo delle riserve scatenino azioni militari. Qualcuno le ha già definite le “guerre per l’acqua”. Una guerra, non militare, ma non per questo meno pericolosa, è già in atto fra i grandi gruppi economici interessati a mettere le mani sul cosiddetto “oro blu”, considerato al pari di quello “nero”. Tema complesso quello dell’acqua che, anche se non presenta la drammaticità di quello nucleare, primo fra i primi, “ il crinale apocalittico della Storia” come lo definì Giorgio La Pira, il grande Sindaco di Firenze,certo rimane fra i primi. L’acqua è senza dubbio di sorta un bene di tutti e come tale deve rimanere. Si possono immaginare forme articolate, nella distribuzione, con una redditività che pareggi ( e non è detto al 100%) l’insieme delle spese della distribuzione, ma è assolutamente ignobile e spregevole pensare che proprio l’acqua possa essere considerata materia commerciabile e fonte di guadagno per le multinazionali. Qualche rischio lo stiamo correndo, un rischio di una gravità, al solo pensarlo, sconvolgente.
Angelo Sferrazza Vice Presidente C.I.C.C.
sferrazza@iol.it
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