Con una nota inviata alcuni giorni fa al presidente della
giunta della Regione Puglia, che di seguito pubblichiamo, Pietro Perrino, Agronomo,
già direttore dell’Istituto di genetica Vegetale del Cnr, è intervenuto sul
problema del disseccamento rapido degli ulivi nel Salento, che sarebbe stato
causato dalla Xylella.
Caro Presidente,
siamo persone diverse, ma tutte amanti della natura. Dal
2011, si sta discutendo del disseccamento rapido degli ulivi. Una patologia che secondo alcuni potrebbe
sterminare gli uliveti del Salento e quelli di altre regioni e nazioni. Queste
ultime premono sulla CE affinché si proceda all’abbattimento delle piante
malate. Mentre riusciamo a capire il loro interesse a questa soluzione,
facciamo fatica a comprendere quello degli studiosi locali. Infatti, ad oggi si
sa solo che si tratta di un fenomeno complesso. Per i batteriologi il patogeno
responsabile è la Xylella fastidiosa. Per i micologi gli agenti potrebbero
essere diverse specie di funghi, oltre che diverse sottospecie di Xylella. A
ciò bisogna aggiungere i vettori (insetti), diverse specie di piante ospiti e
fattori climatici.
Nel frattempo, diversi ulivicoltori salentini hanno mostrato
come con alcuni accorgimenti siano riusciti, in poco tempo, a risanare piante
d’ulivo che sembravano spacciate dalla malattia. Gli stessi hanno segnalato che
nelle aree focolaio ci sono uliveti indenni, ergo che la virulenza dei patogeni
dipende dalla vulnerabilità delle piante e dell’ecosistema:
pianta-suolo-biodiversità.
Tutto ciò suggerisce delle riflessioni. Il disseccamento c’è
ed è innegabile, ma è difficile pensare che possa essere risolto con
l’abbattimento degli alberi affetti e ancora peggio che possa essere utile
l’abbattimento di piante sane per creare un cordone (tampone) intorno alle aree
focolaio. Pensiamo che entrambi i provvedimenti siano sbagliati. Nel primo caso
perché le piante malate possono essere risanate e nel secondo perché si
distruggerebbero piante sane, che, molto probabilmente, comprendono anche cloni
naturalmente resistenti alle avversità che provocano il disseccamento.
L’approccio più razionale sembra quello agroecologico. Studi
di carattere generale suggeriscono che le cause possono risiedere in un tipo di
agricoltura che per decenni è stata caratterizzata
da un uso eccessivo di concimi chimici, pesticidi, antiparassitari ed erbicidi,
aventi come unico obiettivo quello di aumentare le produzioni. Un’agricoltura
ad alto impatto ambientale che ha reso i terreni sterili e le piante più
vulnerabili alle avversità. È stato dimostrato che tutte queste sostanze
chimiche rendono non disponibili per le piante i microelementi presenti nel
suolo. Di conseguenza, le piante diventano più deboli e vulnerabili.
L’esistenza nelle aree focolaio di piante sane può significare che si tratta di
uliveti coltivati con un’agrotecnica più rispettosa dell’ambiente.
In un ecosistema sano, anche i patogeni svolgono un ruolo.
Pensare di eradicarli, invece di controllarli è un grosso errore che comporta
il rischio di sviluppare nuovi patogeni più virulenti.
Alla luce di queste riflessioni è di solare evidenza che la
soluzione del problema non sta nello sradicamento degli ulivi né
nell’accanimento contro i patogeni, ma sta nel ripristino di un’agricoltura a
basso impatto ambientale, strategia suggerita dai salentini più avveduti e che
dovrebbero essere più ascoltati, anche perché sono loro che vivono in empatia
con le piante d’ulivo.
In conclusione, pensiamo che sia giusto finanziare la
ricerca per aumentare le conoscenze sul disseccamento rapido dell’olivo, ma
pensiamo anche che sia altrettanto giusto non abbattere ma curare le piante
malate, seguendo anche e soprattutto le strategie indicate dagli olivicoltori
locali.
Abbiamo bisogno di una ricerca che guarda all’intero ecosistema
e quindi di un’agricoltura a basso impatto ambientale. Auspichiamo più dialogo
tra burocrati, ricercatori e agricoltori.
Con molta stima.
Pietro Perrino, Agronomo, già Dirigente di Ricerca del CNR
di Bari
Nessun commento:
Posta un commento